ALMAGIÀ, Roberto
Nacque a Firenze il 17 giugno 1884, da Alfonso e da Ester Supino. Iniziati gli studi nella città natale, li continuò a Roma, dove la famiglia si era trasferita nel 1894, frequentando il liceo "Tasso" e poi la facoltà di lettere, dove fu subito attratto dal magistero di G. Dalla Vedova, di cui divenne l'allievo prediletto. Dopo la laurea si dedicò all'insegnamento, dapprima negli istituti tecnici (dal 1907 a Terni, poi all'Aquila e a Napoli) e dal 1911, vinto appena ventisettenne il concorso per la cattedra di geografia, nell'università di Padova, da cui nel 1915 passò a quella di Roma. Due anni più tardi sposò Margherita Mori, figlia del geografo Attilio, la cui sorella aveva sposato a sua volta un cognato di O. Marinelli. Da allora, pur restando fedele all'insegnamento del Dalla Vedova, l'A. si avvicinò gradualmente alla scuola fiorentina che faceva capo al Marinelli, venendo a costituire un utile anello di congiunzione tra le due maggiori correnti di pensiero della geografia italiana del tempo. Cosicché, scomparsi nel 1919il Dalla Vedova e nel 1926 il Marinelli, egli apparve subito il più qualificato a raccoglierne l'eredità, divenendo l'indiscussa guida della geografia italiana, che dominò per quarant'anni, prescindendo dal periodo delle persecuzioni razziali, fino alla morte, avvenuta a Roma il 13 maggio 1962.
Alle indubbie qualità di studioso e a una intelligenza pronta e vivace, l'A. univa grandi capacità di organizzatore e promotore di iniziative, che mise a frutto nella direzione della Rivista geografica italiana (dal 1920 con O. Marinelli e Attilio Mori; dal 1926 al 1932 con quest'ultimo; dal 1933 al 1939 con A. Mori e R. Biasutti; e dal 1958 al 1962 con A. Sestini), il più prestigioso periodico geografico del tempo, organo della Società di studi geografici di Firenze, di cui l'A. fu presidente più volte, a partire dal 1955. Meno stretti furono i suoi rapporti con la Società geografica italiana, di cui peraltro fu consigliere (dal 1929 al 1938) e commissario straordinario (dall'agosto 1944 al luglio 1945); di questa società fu nominato nel 1931 socio d'onore. Fu pure socio della Società italiana per il progresso delle scienze e segretario e organizzatore dei convegni annuali dalla XI riunione (Trieste 1921) alla XVI (Perugia 1926). Tenne anche la direzione del Comitato nazionale per la geografia, geologia e talassografia del Consiglio nazionale delle ricerche (dal 1945) e del Centro di studi di geografia antropica (dal 1946), nonché la vicepresidenza dell'Unione geografica internazionale. Fu inoltre socio di molti sodalizi stranieri, dai quali ebbe prestigiosi riconoscimenti: il premio Malte Brun dalla Société de Géographie di Parigi nel 1923; la Cullum Geographical Medal dall'American Geographical Society nel 1952, la Victoria Medal dalla R. Geographical Society nel 1958. A causa delle sue origini ebraiche, fu costretto a lasciare per cinque anni (1938-43) l'insegnamento all'epoca delle leggi razziali, ma in tale periodo poté continuare, e anzi intensificare i suoi studi prediletti, valendosi dell'ospitalità della Biblioteca Vaticana, e pubblicando sotto lo pseudonimo di Bernardo Varenio.
La produzione scientifica dell'A. si stende per oltre sessanta anni, dalla prima pubblicazione, Il globo terrestre come organismo, apparsa sulla Rivista geografica italiana (IX [1902], pp.639-43) al volume postumo sul Lazio, e comprende oltre cinquecentocinquanta titoli, senza contare le centinaia di recensioni e il suo contributo alla bibliografia geografica, sia con la creazione della Rassegna della letteratura geografica (1914-19), inserita a partire dal 1920 nella Rivista geografica italiana, sia con la Bibliografia geografica dell'Italia dal (1925 al 1929, in collaborazione con E. Migliorini e R. Riccardi), sia con i contributi a repertori bibliografici stranieri. Una produzione vastissima come mole, ma anche come ampiezza di tematiche, in armonia con la sua concezione integralista della geografia, secondo la quale il dualismo tra geografia fisica e umana, punto cruciale delle discussioni epistemologiche della prima metà del nostro secolo, poteva essere superato nella unità del metodo e dell'oggetto finale, che per l'A. è la descrizione, spiegazione e classificazione dei vari aspetti della superficie terrestre. A tale concezione l'A. rimase fedele per tutta la vita, come dimostrano i suoi scritti sul concetto di geografia e sulla storia del pensiero geografico elaborati a distanza di anni (da La geografia, pubblicato a Roma nel 1919, a La storia della geografia, edita nel primo volume di Storia delle scienze, Torino 1962 pp. 183-303), sempre sullo stesso schema monolitico e razionalmente suddiviso in settori, nel quale peraltro, attento com'era a seguire e a recepire prontamente gli stimoli della geografia d'oltralpe, cercò di inserire alcune idee emergenti, come quella di paesaggio geografico e di regione.
E perciò, da un lato si devono in larga misura proprio all'A. sia il superamento di quella situazione di stallo, nella quale si era venuta a trovare la geografia italiana alla morte del Marinelli - per una troppo rigida adesione ai modelli di ricerca da questo elaborati e per la conseguente propensione a farne una scienza essenzialmente descrittiva e analitica, con prevalenti interessi naturalistici - sia molti fruttuosi contatti che all'indomani della seconda guerra mondiale i geografi italiani stabilirono con i colleghi stranieri, in un proficuo scambio d'idee che li indirizzò verso campi di studio fino ad allora trascurati della geografia umana moderna. D'altro canto l'incapacità di superare a livello epistemologico l'integralismo per una visione più articolata fecero dell'A., soprattutto negli ultimi anni, il simbolo di un certo conservatorismo contro il quale si schierarono le più giovani leve, in uno scontro generazionale che aveva radici nel contrasto di fondo di carattere scientifico, ma che trovava forse giustificazione anche nella posizione di forza assunta dall'A. nel mondo accademico.
Peraltro, in contrasto con quanto affermava a livello teorico e pur nell'ambito di una produzione molto varia, lo stesso A. ha chiaramente mostrato di prediligere alcuni settori di studio ben delimitati, tra i quali soprattutto la geografia storica e la storia della geografia, evidentemente più vicine alla sua forma mentis di geografo umanista, e tale in sostanza rimasto nonostante le sporadiche concessioni fatte alla geografia fisica e i suoi entusiasmi per la geografia regionale. Le une e gli altri appaiono oggi assai meno significativi, nel complesso della produzione scientifica dell'A., dei suoi studi storico-geografici e soprattutto assai meno originali, plasmati come sono su modelli preesistenti che si ricollegano nel primo caso ai canoni marinelliani e nel secondo anche, e sempre più col tempo, a quelli della scuola di Vidal de la Blache, che egli contribuì a far conoscere in Italia, anche se tardivamente, e di cui tuttavia sembra aver percepito e adottato più gli schemi di ricerca che non lo spirito informatore.
La prima e più vistosa concessione alla geografia marinelliana è rappresentata dagli Studi geografici sulle frane in Italia (Roma 1907-1910), che gli aprirono le porte dell'università, allora dominata dai geografi naturalisti. In essi, pur mettendo a frutto il metodo della ricerca diretta sul terreno e quello della inchiesta su larga scala, che erano considerati allora presupposto essenziale per la validità di qualsiasi studio geografico, l'A. dimostra la sua tendenza alla sintesi e una costante preoccupazione per le correlazioni che esistono tra i fenomeni naturali e il popolamento, così che, al di là dei limiti che gli derivavano dalla mancanza di una solida base naturalistica, gli Studi gli valsero molti apprezzamenti e consensi. Negli anni precedenti la prima guerra mondiale, l'A. si occupò anche di carsismo e di morfologia glaciale.
Ma già allora aveva rivelato la sua predilezione per la geografia storica, con lo studio su La dottrina della marea nell'antichità classica e nel medio evo (in Riv. geogr. ital., X [1903], pp. 480-93, 538-45 e XI [1904], pp. 13-23), il suoprimo lavoro di un certo impegno, e con quelli su Le dottrine geofisiche di Bernardino Telesio (in Miscell. Dalla Vedova, Roma 1909, pp. 323-70) e La geografia fisica in Italia nel Cinquecento (in Boll. della Soc. geogr. ital., XLVI [1909], pp. 716-39). Risale al 1918 il suoprimo contributo alla storia delle esplorazioni, un volumetto su Cristoforo Colombo (Roma 1918) di carattere essenzialmente divulgativo, ma nel quale l'A. si mostra già ben informato sui più recenti aspetti della relativa problematica. Di ben più largo respiro è l'opera dedicata nel 1937 a Colombo e agli altri maggiori viaggiatori italiani del periodo delle grandi scoperte: Gli italiani primi esploratori dell'America (Roma 1937), nella quale gli intenti celebrativi, pur evidenti, non impediscono una visione critica ampia e onesta. Su Colombo, Vespucci, come su Marco Polo e altri, l'A. tornerà anche in seguito, con contributi di minor mole, ma di maggior impegno scientifico; tuttavia, il desiderio di conciliare le tesi della storiografia italiana con quella, spesso diametralmente opposta, di studiosi stranieri, lo porterà ad assumere una posizione talvolta incerta e contraddittoria su alcuni importanti temi, come i viaggi del Vespucci o la preparazione scientifica di Colombo.
D'altronde, dotato di eccezionali qualità di scrittore, l'A. tenderà spesso a sottovalutare i problemi particolari a favore di visioni d'insieme. Così è anche nella parte migliore della sua opera, ossia negli studi di storia della cartografia, a cui a buon diritto resta soprattutto legato il suo nome. Si devono all'A., oltre a innumerevoli studi particolari, le grandiose raccolte dei Monumenta Italiae Cartographica (Firenze 1929) e dei Monumenta Cartographica Vaticana (I-IV, Città del Vaticano 1944-55), opere che richiesero un impegno davvero eccezionale e che restano a tutt'oggi fondamentali.
La geografia umana è forse il campo di studi in cui si rivela meglio l'itinerario metodologico seguito dall'A., dal Saggio di carta antropogeografica dell'Alta Val Venosta (in Boll. della Soc. geogr. ital., LXVII [1930], pp. 883-90), modello di molte ricerche successive di suoi allievi, ma ancora legato agli schemi marinelliani, alla monografia regionale, di cui diede egli stesso parecchi esempi, ma della quale soprattutto promosse e stimolò la realizzazione da parte di colleghi e discepoli. Va ricordata a questo proposito la collana Le regioni d'Italia che egli diresse e per la quale scrisse il volume Lazio (Torino 1966, pubblicato postumo a cura di E. Migliorini).
Così come il Dalla Vedova, l'A. si fece carico soprattutto negli anni della maturità del ruolo di maestro della geografia italiana, partecipando attivamente a convegni e congressi, sia nazionali che internazionali; promovendo, direttamente o indirettamente, la divulgazione delle conoscenze geografiche e seguendo attentamente la preparazione degli insegnanti medi. A questa opera di divulgazione si ricollega la sua direzione della Geografia universale della UTET e, dopo la seconda guerra mondiale, i volumi, interamente da lui elaborati, su Il mondo attuale (I-VI, 1953-55) e l'Italia (I-II, 1959). Notevole è stato anche il suo contributo alla Enciclopedia Italiana. Se in essa la geografia ha avuto una parte cospicua, più che in qualsiasi opera straniera del genere, con trattazioni ispirate a indirizzi moderni, largamente corredate da abbondante materiale cartografico e illustrativo, il merito spetta all'A., che mantenne dal primo volume del '29 alla prima appendice del 1938 la direzione della sezione geografica (affiancato per una parte da Renato Biasutti, e mantenendo la collaborazione accanto a R. Riccardi alle altre appendici), stese per essa centinaia di voci, molte delle quali assai impegnative, e scelse con cura i collaboratori.
Bibl.: L'elenco completo delle pubblicazioni dell'A. apparse fino al 1961 è in R. Almagià, Scritti geografici (1905-1957), Roma, 1961; scritti posteriori e notizie biografiche in O. Baldacci, R. A. (1884-1962), in Boll. della Soc. geogr. ital., IX (1962), n. 3, pp. 257-273, e in E. Migliorini, R.A. (1884-1962), in Riv. geogr. ital., LXX (1963), pp. 2-25, G. Kish, R. A.: an Appreciation, in Imago et mensura mundi (atti del IX congr. intern. di storia della cartografia), Roma 1985, pp. XV s.