Roberto Almagià
L’impulso decisivo alla storia della geografia e della cartografia nel nostro Paese si deve senza dubbio alla laboriosa opera di Roberto Almagià, che ha interessato l’intera prima metà del Novecento. Nato a Firenze nel 1884 da una famiglia ebrea molto influente, studiò geografia a Roma sotto la guida di Giuseppe Dalla Vedova (1834-1919), di cui ereditò la cattedra nel 1915, dopo aver raggiunto appena ventisettenne il massimo titolo accademico e aver insegnato per un quadriennio presso l’Università di Padova. Forte attenzione al discorso storiografico e costante preoccupazione d’ordine teorico-metodologico caratterizzano fin dall’inizio i suoi lavori, influenzati dalle dottrine del geomorfologo William Morris Davis (1850-1934) e dallo storicismo idealistico di Benedetto Croce, e in cui il sapere geografico risulta strettamente imbricato con le più complesse e sostenute tra le scienze fisiche, umane e sociali: La dottrina della marea nell’antichità classica e nel Medioevo, 1905; Le dottrine geofisiche di Bernardino Telesio, in Scritti in onore di G. Dalla Vedova, 1908; Studi geografici sulle frane in Italia, 1907 e 1910. Fin dalla vigilia della Prima guerra mondiale i suoi interessi appaiono sempre più decisamente orientati verso la cartografia storica, attraverso ricerche d’archivio volte alla ricostruzione della vita e della produzione dei più influenti cartografi italiani (e non soltanto italiani) del Cinquecento e del Seicento: ricerche che non di rado si traducono nel rinvenimento di mappe e documenti da tempo dimenticati, e che riportano alla luce le figure di autori come Cristoforo Sorte, Pirro Ligorio, Benedetto Bordone, Giacomo Gastaldi, Lukas Holste. Il risultato di tale lavoro, ancora oggi fondamentale per la ricostruzione della storia della moderna cartografia europea, culmina tra le due guerre in due grandi opere: L’Italia di Giovanni Antonio Magini e la cartografia dell’Italia nei secoli XVI e XVII, 1922, e i Monumenta Italiae Cartographica, 1929. Tra il 1944 e il 1945 le leggi razziali costringono Almagià ad abbandonare l’Università di Roma e a rifugiarsi in Vaticano, dove si dedica all’edizione della sua impresa più nota, i quattro volumi in folio dei Monumenta Cartographica Vaticana, 1944-1945. Il riconoscimento internazionale della sua attività è testimoniato dalla Cullum medal, conferitagli nel 1952 dall’American geographical society, e dalla Victoria medal assegnatagli nel 1959 dalla Royal geographical society. Muore a Roma nel 1962.