BONGHI, Roberto
Arcidiacono della cattedrale di Bergamo, il 21 marzo 1281 fu eletto dalla maggioranza del Capitolo a succedere al vescovo Guiscardo Suardi, morto nel febbraio precedente.
Appartenente ad antica e ragguardevole famiglia guelfa bergamasca, il B. si puòforse identificare con quel Roberto Bonghi che, insieme col fratello Guidotto, ricopriva nel 1277 a Castione della Presolana la carica di podestà e di giudice criminale: lo stesso, cioè, che due anni prima, nel 1275, aveva chiesto a Ranieri d'Arzago, podestà di Bergamo, il ritiro dal fortilizio dei Bonghi in Castione delle truppe stabilitevi dal predecessore.
L'elezione del B. alla cattedra episcopale fu tuttavia impugnata da quindici canonici, che avevano appoggiato la candidatura di Giovanni Avvocati, prevosto della cattedrale: costoro si appellarono al papa, denunziando Pelezione come irregolare e il vescovo eletto come colpevole di delitti comuni, e perciò canonicamente indegno. Benché papa Martino IV avesse provveduto sollecitamente a nominare una commissione per verificare l'attendibilità delle accuse e stabilire la natura dei fatti che avrebbero potuto far dichiarare nulla l'elezione del B., l'inchiesta si trascinò per ben otto anni, tra incertezze e difficoltà d'ogni sorta, non ultime, la morte di Martino IV e la brevità del pontificato di Onorio IV. Convocato - come del resto il suo antagonista - presso la Curia pontificia per venire interrogato in merito alle accuse mossegli, dopo aver nominato suoi vicari in Bergamo il prevosto di Ghisalba, Lanfranco Bedeschi, e il canonico Alberto di Primolo, il B. si recava a Roma, dove, dopo qualche tempo, finiva con lo stabilirsi definitivamente, forse anche per seguire più da vicino il corso delle indagini. Tuttavia, prolungandosi oltre il previsto l'inchiesta e scomparso Giovanni Avvocati, morto a Roma dopo il 1285, il B. rinunziò formalmente ai diritti derivantigli dalla sua contestata elezione.
Come risulta chiaramente dagli avvenimenti successivi, il B. era stato indotto a questa decisione non solo da preoccupazioni di ordine pastorale circa le gravi conseguenze che avrebbe sicuramente avuto sulla vita religiosa della diocesi un ulteriore prolungarsi della vacanza episcopale. Fondati timori sull'oculatezza dei criteri, secondo i quali dal capitolo erano stati amministrati i beni della sua Chiesa, e precisi dubbi sull'onestà stessa dcgli amministratori nominati in quegli anni dal Capitolo dovevano aver avuto un peso certo non indifferente nel determinare la grave risoluzione presa dall'ecclesiastico bergamasco; così come non vi era senza dubbio rimasto estraneo il convincimento di essere in qualche modo - suo malgrado - di ostacolo a un accordo tra le due fazioni in cui si erano divisi i canonici della cattedrale di Bergamo.
Tuttavia, la morte prematura di papa Onorio IV (3 aprile 1287) e le laboriose manovre che portarono, dopo quasi un anno di vacanza della Sede apostolica, alla elezione di Girolamo Masci al soglio pontificio (15 febbr. 1288), resero vana la responsabile presa di posizione assunta dal Bonghi. Ordinato papa col nome di Niccolò IV, il nuovo pontefice, rifiutandosi di prendere in considerazione l'atto di rinunzia presentato a suo tempo dall'ecclesiastico bergamasco, ordinò che la commissione d'inchiesta, nominata dai suoi predecessori, riprendesse immediatamente i lavori e li fece portare con sollecitudine a termine: il procedimento si concluse l'anno successivo, scagionando il B. da ogni addebito d'ordine morale e riconoscendo come perfettamente valida e legittima la votazione che lo aveva designato alla cattedra episcopale. Lo stesso Niccolò IV, approvando, insieme con le risultanze dell'inchiesta, l'elezione del B., non soltanto volle egli stesso ordinare vescovo il B. in una solenne cerimonia celebrata nella cattedrale di Rieti, ma volle altresì partecipare l'avvenuta consacrazione al clero e al popolo bergamasco con una lettera datata 7 ott. 1289, confermando in tal modo la scelta da loro fatta otto anni prima.
Il pontefice vi sottolineava la riconosciuta falsità delle accuse mosse contro l'antico arcidiacono della cattedrale e teneva a far notare come il B., alla scomparsa dell'antagonista, il prevosto Giovanni Avvocati, avesse preferito rinunziare, per il bene della sua Chiesa, ad ogni suo diritto a quella cattedra episcopale; esprimeva infine la sua personale convinzione che il vescovo da lui consacrato in quel giorno fosse persona fornita di solide virtù e di un non comune zelo apostolico: era dunque persona moralmente degna e capace di dirigere con prudenza e umiltà il gregge che gli era stato confidato. Accettassero, pertanto, di buon grado, il nuovo presule gli prestassero il dovuto rispetto. Analoghi concetti aveva espresso il papa nel breve di conferma ch'egli aveva rilasciato in quello stesso giomo al Bonghi. A parte la prudenza delle espressioni e le frasi di ossequio - certo usate nei confronti del capitolo bergamasco e delle autorità comunali per non urtarne la suscettibilità e suscitare reazioni inconsulte -, risultano chiaramente da questi documenti sia la precarietà dell'equilibrio interno della Chiesa di Bergamo, anch'essa turbata dalla violenza delle lotte politiche intestine (il che spiega i timori di Niccolò IV), sia le preoccupazioni del pontefice per la delicatezza della posizione del B.; così come risulta evidente che, in seno allo stesso clero della città lombarda, tuttora numerosi - o assai influenti - erano gli avversari del nuovo vescovo. La stessa cauta allusione a Giovanni Avvocati, la prudente denunzia della sua irregolare elezione e della pretestuosità delle sue pretese, se rivelano - come l'accenno al buon diritto del B., del resto - un invito, implicito ma fermo, a non voler rinnovare lo scisma, palesano altresì le apprensioni del papa che una simile eventualità potesse ripetersi a breve scadenza.
Nonostante gli appelli del pontefice tuttavia, la situazione interna della diocesi di Bergamo non si avviò alla normalizzazione, se Niccolò IV si vedeva costretto, quasi un anno più tardi, a rivolgersi al vescovo Bernardo, di Brescia, per affidargli il compito di adoperarsi presso il capitolo della cattedrale di Bergamo al fine di indurre i quattro canonici, incaricati dell'amministrazione interinale dei beni di quella Chiesa, a rendere una buona volta al B., loro vescovo, i bilanci e il resoconto della loro gestione, e a fargli pervenire la somma richiesta, necessaria al trasferimento di quel presule da Roma nella sua sede episcopale (20 febbr. 1290). In contrasto con quanto è stato affermato - anche di recente - da scrittori e da studiosi locab, non sembra che i responsabili della Chiesa di Bergamo si dessero particolare cura di ottemperare con sollecitudine agli inviti del pontefice e di eseguire gli ordini del loro vescovo: da quanto si può desumere dai documenti in nostro possesso appare certo che il B. poté entrare nella sua diocesi e prendere ufficialmente possesso dell'episcopio soltanto nello scorcio del 1291 e dopo notevoli difficoltà. Difatti, mentre un breve pontificio investiva qualche tempo dopo Bernardo di Brescia dei poteri necessari per costringere i debitori insolventi del vescovo e della Chiesa di Bergamo a onorare i loro impegni finanziari, il B., evidentemente impossibilitato a lasciare Roma, delegava Bernardo a rappresentarlo nella città orobica, dandogli ampie facoltà di assolvere o punire i morosi. La risposta da Bergamo non si fece attendere a lungo: il 30 apr. 1291 Beltramo della Corte, incaricato di svolgere un'inchiesta sulla amministrazione del patrimonio vescovile, ritenendo non necessarie alcune spese compiute col consenso dello stesso presule, intimava al B. di restituire, entro trenta giorni dal suo arrivo in Bergamo, trenta lire di imperiali al capitolo della cattedrale. Dal canto suo, Bernardo di Brescia svolse con severità e precisione il difficile compito che gli era stato affidato, senza guardare a grado o a casata, punendo con l'interdetto o, nei casi più gravi, con la scomunica, quanti si fossero rifiutati di pagare i loro debiti, e cercando, per quanto stava in lui, di preparare il terreno per la venuta del Bonghi.
Chi fossero gli avversari del B., a quali potenti consorterie appartenessero i debitori insolventi del patrimonio vescovile - e, di conseguenza, quali fossero in realtà le ragioni di una così tenace opposizione - ci lascia intravvedere uno dei primi atti di governo compiuti da quel presule dopo il suo rientro in Bergamo: la conferma della scomunica lanciata contro Franceschino e Vaschino di Lanfranco Suardi, ambedue debitori insolventi, da Bernardo di Brescia (17 dic. 1291). La famiglia Suardi, una delle più antiche e potenti famiglie bergamasche, era ghibellina per tradizione e filomilanese per interesse, è naturale che essa - come i suoi alleati e aderenti all'interno e all'esterno, del resto - avversasse il B., che apparteneva a famiglia irriducibilmente guelfa e ostile a Milano, e di cui non poteva certamente vedere di buon occhio l'ascesa al soglio vescovile: così come è evidente che essa e la sua fazione avessero cercato di trarre il massimo vantaggio dalla lunga vacanza episcopale.
Il B. poté appena avviare la sua attività pastorale. Mirando a dare un nuovo impulso alla vita spirituale della sua diocesi, iniziò una riorganizzazione del clero secolare e regolare, in modo da assicurare la continuità del servizio di culto nella città e, soprattutto, nel suo territorio: a questo scopo assegnò, spesso attingendo dai propri beni personali, a singoli sacerdoti o a comunità rendite che assicurassero loro una certa indipendenza economica, promosse la costruzione di nuove chiese e molte, di antiche, fece restaurare; intervenne a mettere nuovo ordine nei monasteri, restaurando i costumi, punendo eccessi e frenando abusi. Ma la sua opera fu improvvisamente troncata dalla morte avvenuta sul finire del 1292.
Non conosciamo l'esatta data obituaria di questo vescovo di Bergamo; ma da un documento del 22 dic. 1292 siamo informati che allora erano già in corso le trattative per l'elezione del suo successore: dunque il B. doveva esser morto prima di tale data; ma, d'altro canto, uno strumento rogato il 12 dicembre testimonia che egli era ancora vivo ed in piena attività: dunque la sua morte deve necessariamente porsi non prima del 12 e non dopo il 22 dic. 1292. È in ogni caso da respingere come falsa la notizia riferita dalla Cronaca dello pseudo Manfredo Zezunone, che attribuisce la morte di questo presule al 9 nov. 1292 (Mazzi, Gli "Annales Italiae").
Numerosi documenti rimangono a testimoniare l'operosità del suo episcopato. Il 3 marzo 1290 ottenne dal pontefice il privilegio di essere dispensato dall'obbligo della visita "ad limina"; due giorni dopo otteneva, con un secondo privilegio, una speciale indulgenza per i fedeli che avessero visitato - con le debite disposizioni - l'antico duomo di Bergamo, S. Alessandro Maggiore. L'8 aprile successivo, sempre dalla sua residenza romana, confermava i tre ecclesiastici proposti dal capitolo della cattedrale di Bergamo per condurre l'inchiesta sui disordini avvenuti nel convento di Vasina; il vescovo, munendo i tre ecclesiastici - il prevosto di Galgario, il canonico Guglielmo di Calepio e il priore dei predicatori - dei poteri giurisdizionali necessari allo svolgimento della loro missione, raccomandava di indagare diligentemente sulla vita morale e religiosa del monastero, e li invitava a prendere, ove ne ravvedessero la necessità, drastici provvedimenti correttivi. Sempre in quell'anno, non potendo ancora lasciare Roma, nominava suoi vicari generali in Bergamo il prevosto di S. Alessandro e il canonico Ficieno dei Ficieni; le ricordate difficoltà finanziarie, che lo costringevano a prolungare il suo soggiorno romano, gli impedirono altresì l'anno successivo di presenziare alla solenne deposizione delle reliquie di quattro martiri bergamaschi - Giacomo, Esteria, Giovanni e Proiettizio -, i venerandi resti dei quali erano venuti casualmente alla luce l'8 apr. 1291, nel corso di lavori fatti eseguire nel pavimento della basilica di S. Alessandro. Otteneva quindi dal pontefice la facoltà di creare, scegliendoli a suo giudizio e provvedendoli delle prebende non ecclesiastiche vacanti, nuovi canonici per le chiese cattedrali di Bergamo, di Nembro e Romano di Lombardia; col medesimo provvedimento Niccolò IV autorizzava il B. ad accogliere anche persone già altrimenti beneficiate, purché non avessero cura d'anime (15 maggio 1291). Per favorire la ripresa dei lavori per la costruzione della chiesa dei minori in Bergamo, la cui fabbrica era stata interrotta a causa delle ristrettezze economiche in cui versava allora l'Ordine, il B. induceva il papa a concedere particolari indulgenze a quei fedeli delle diocesi di Bergamo, di Brescia e di Milano, che avessero provveduto, con offerte in danaro o altro, ad aiutare l'Ordine nell'erezione di quel tempio. Rientrato in Bergamo, intervenne nel convento femminile di S. Grata, per restaurarvi la purezza della vita monastica e per far luce sulle circostanze dell'elezione della badessa Allegranza, che era stata ostacolata con tutti i mezzi probabilmente per motivi di antagonismo politico - da alcune consorterie tra le più turbolente (Carpioni, Adelasi e Colleoni). Il 19 genn. 1292 consacrò la chiesa parrocchiale di S. Giorgio in Boltiere; promosse la costruzione della chiesa dei predicatori, S. Stefano, a ciò destinando le rendite di alcuni benefici ecclesiastici, senza chiedere l'assenso del Capitolo; pose la prima pietra del convento e della chiesa di S. Agostino, che sorge tuttora - scampata miracolosamente alle distruzioni compiute dal governo veneto sul finire del Cinquecento per far posto alla nuova cerchia muraria - a fianco dell'omonima porta. Il 27 ag. 1292 consacrava a s. Francesco la chiesa - già dedicata a Giovanni Battista - e l'annesso monastero, munifico dono della famiglia Bonghi ai frati minori. Prima di lasciare Roma, per incarico del pontefice (1º sett. 1291), aveva concesso a Guido di Castiglione, nipote del futuro papa Celestino V, la dispensa necessaria al godimento di alcuni benefici ecclesiastici.
Fonti e Bibl.: A. Potthast, Regesta pontificum Romanorum, II, Berolini 1875, p. 1899 n. 23727; Les registres de Nicolas IV, a cura di E. Langlois, I, Paris 1886, pp. 294 nn. 1528-1532, 404 n. 2275, 412 n. 2358, 425 n. 2492, 432 n. 2549, 444 n. 2662; II, ibid., 1890, p. 797 n. 5922; D. Calvi, Effemeridi sagro profana di quanto memorabile sia successo in Bergamo..., III, Milano 1677, pp. 141 e 218; V. Coronelli, Synopsis rerum ac temporum ecclesiae Bergomensis, Coloniae 1696, pp. 79 s.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, IV, Venetiis 1719, col. 417; G. Ronchetti, Memorie istoriche della città e chiesa di Bergamo dal principio del V sec. di nostra salute sino all'anno 1428, II, 4, Bergamo 1817, pp. 166-194; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, XI, Venezia 1856, pp. 499 ss.; B. Vaerini, Scrittori di Bergamo,vescovi e cardinali, Bergamo 1874, p. 98; G. Locatelli, L'istruzione a Bergamo e la Misericordia Maggiore, in Bollettino della Civica Bibl. di Bergamo (poi Bergomum), IV (1910), p. 73; ibid., V, (1911), p. 28; A. Alazzi, GliAnnales Italiae di G. Michele Alberto Carrara,ibid., X (1916), pp. 93 e 149; Id., Castione della Presolana,ibid., XI (1917), p. 68; Id., Aspetti di vita religiosa e civile nel sec. XIII a Bergamo,ibid., XVI(1922), p. 238; F. Savio, Gli antichi vescovi d'Italia dalle origini al 1300. La Lombardia, II, 1, Bergamo 1929, pp. 113-117; L. Dentella, I vescovidi Bergamo. Notizie storiche, Bergamo 1939, pp. 220-225; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, II, Bergamo 1959, p. 195; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., IX, coll. 687 s.