BRACCO, Roberto
Nacque a Napoli il 10 nov. 1861 da Achille e da Rosa De Ruggero. Frequentò la scuola con scarso profitto, assumendo fin dai diciassette anni un impiego, in un ufficio di viaggi e spedizioni, per ottenere l'indipendenza economica. Subito dopo cominciò la professione del giornalista (attività cui si dedicò sempre, anche nel pieno del suo successo di commediografo), entrando, con uno stipendio mensile di 17 lire, nella redazione del Corriere del mattino di Napoli, fondato e diretto da M. Cafiero e aperto anche ad interessi letterari.
Parallelamente all'attività giornalistica il B. svolse un'intensa vita mondana (a diciotto anni sostenne il suo primo duello e ne ebbe, poi, sei entro i venticinque anni: in uno fu ferito gravemente al braccio destro, che rimase leso per sempre). Ciononostante rifuggì sempre dal clamore di una ostentata pubblicità, e agendo soprattutto in nome di un impulso idealista, fu spesso implicato in episodi violenti in difesa dei deboli e della giustizia. Il fondo del suo carattere rimase sempre sentimentale e lo portò a un senso caldo di amicizia (si ricordano soprattutto i generosi sodalizi con letterati e poeti, da Ferdinando Russo a Mario Giobbe a Edoardo Scarfoglio), anche se soffrì di una spiccata suscettibilità, soprattutto, più tardi, nei riguardi della critica, procurandosi la fama di uomo ombroso.
Dopo tre anni il B. passò al Piccolo, diretto da R. De Zerbi; poi fu corrispondente da Napoli del Capitan Fracassa di Roma (al posto del defunto Cafiero) e, infine, dal 1886 e per parecchi anni, critico drammatico e musicale del Corriere di Napoli, il giornale fondato da M. Serao ed E. Scarfoglio.
La sua intensa attività giornalistica è testimoniata dai due volumi di Scritti vari (Napoli 1921), scelti da Valentino Gervasi. Il primo volume interessa soprattutto per la conoscenza delle sue idee critiche (Tra le Arti e gli Artisti), in particolare per le sue idee sulla funzione morale del teatro (in difesa di Ibsen contro l'accusa di cerebralismo), per la sua adesione al nuovo teatro italiano, da Gallina (che riteneva autore "nazionale" al di là del regionalismo dialettale del suo linguaggio) a Giacosa, Rovetta e Praga, e per il suo interesse verso l'evoluzione musicale postverdiana, da Wagner a Puccini e Mascagni; il secondo, per la conoscenza del suo giornalismo di attualità, quale precursore del moderno "inviato speciale", con lettere da Parigi, Londra, Bruxelles, Siena, Assisi (Tra gli Uomini e le Cose). Il suo fu un giornalismo brillante, curioso, vivace, specchio fedele della sua passione inquieta per le cose del mondo.
Su invito del Cafiero (che fu il suo Pigmalione nella prima giovinezza) il B. iniziò anche l'attività di paroliere della canzone napoletana, scrivendo i versi di Salamelic per la musica di Luigi Caracciolo, in gara a Piedigrotta. La canzone ebbe molto successo (nonostante il giudizio severo del B.) e gli rese molto anche economicamente. Cominciò, così, la sua produzione di poesia, napoletana intitolata Vecchi versetti (Palermo 1910) e distinta in canzoncine, romanze, duetti da un lato, e poesia di maggior impegno (versetti tristi) dall'altro. Scrisse anche il libretto per l'opera Le disilluse di M. Costa (Napoli 1889).
La terza attività, cui il B. fu avviato dal Cafiero, è quella narrativa. In seguito, infatti, alla sollecitazione di costui, scrisse una novelletta per la pagina letteraria del suo giornale; poi Federico Verdinois (che dirigeva la pagina letteraria del Corriere del mattino) lo invitò a scriverne un'altra per la Rivista minima da lui diretta a Torino. Di qui si sviluppò la vena narrativa del B., nettamente distinta anch'essa, come quella di poeta napoletano (e come, più tardi, quella di commediografo), in una vena comica e una seria. La sua prima raccolta di novelle fu Frottole di Baby (Napoli 1881); la raccolta completa comprende cinque volumi di Smorfie gaie e tristi (in cui si succedono: Smorfie gaie, Palermo 1909; Smorfie tristi, ibid. 1909; La vita e la favola, ibid. 1909; Ombre cinesi, ibid. 1920; Gli specchi, ibid. 1920), che furono tradotti (almeno in parte) in francese, tedesco, spagnolo, polacco e olandese. Alla maliziosa lievità delle prime corrisponde nelle seconde un'ambientazione drammatica da romanzo popolare, con i motivi della miseria, della malavita, dell'ingiustizia e della pietà; ma, soprattutto, appaiono riuscite quelle novelle in cui il gaio e l'amaro si fondono nella "smorfia", appunto, della deformazione grottesca del vero.
L'eclettismo del B. toccò ancora altri campi tra cui vale la pena di ricordare l'attività cinematografica e quella di conferenziere: scrisse diversi soggetti originali per film - fra gli altri, L'avvenire in agguato (1915), Nei labirinti di un'anima (1916), Le due Marie (1917); fornì commedie e racconti per altri, come La moglie scacciata, Luce nell'ombra - oltre ad aver dato, con il dramma teatrale Sperduti nel buio, il soggetto ad uno dei più importanti film che caratterizzarono il rinnovamento realistico italiano (con la regia di Nino Martoglio, 1914) contro l'imperante enfasi di gusto dannunziano (dal dramma era stato ricavato anche il libretto per un melodramma di S. Donaudy, rappresentato al Teatro Massimo di Palermo nel 1907). Furono ricavati, inoltre, da suoi drammi e racconti, fra il 1912 e il 1920, i film omonimi: Il diritto di vivere, La principessa, Il perfetto amore, Una donna ,Nellina, Don Pietro Caruso, Il piccolo santo, Piccola fonte, La moglie scacciata, Notte di neve. Scrisse inoltre, sull'argomento, note critiche, ad esempio: La cinematografia, Francesca Bertini, Giovanni Grasso ed io (in Comoedia, 1929, n. 6).
Come conferenziere, il B. s'interessò ai più vari argomenti, dalla letteratura al teatro, dalla musica al costume. Ebbe così occasione di parlare su Goldoni e Adelaide Ristori, Mario Giobbe e Rovetta, Verdi, Tosti, Martucci, e addirittura, sull'evoluzione della donna nella società, con un'oratoria sempre calda e affascinante. Svolse, infine, attività di epigrafista.
Al teatro, che rimane, in fondo, la sua più importante attività, il B. cominciò a dedicarsi a ventisei anni. Ed avvenne quasi per caso, quando l'attore Ermete Novelli, che gli era diventato amico in seguito ad un suo favorevole articolo sul Fracassa, lo invitò a scrivergli qualcosa per una serata d'onore (22 dic. 1887 al Teatro Sannazzaro di Napoli): nacque allora la farsa in un atto Non fare ad altri, seguita nello stesso anno dai due scherzi Un'avventura di viaggio e Lui Lei Lui. Il B. iniziò con brevi prove brillanti, tutte affidate a un dialogo malizioso e a un senso spiccato del ritmo della battuta. Con esse il commediografo inaugurò un filone della sua produzione nettamente distinto da quello drammatico, a cui si rifece a varie riprese, non soltanto con atti unici ma anche con opere di più vasto respiro, da L'infedele del 1894 a Il frutto acerbo del 1904 (entrambe in tre atti), sulla casistica, elegantemente duellata, dell'amore e della fedeltà.
Questa duplicità di tendenze stilistiche (nella novellistica e nel teatro) comprova nel B. una naturale vocazione all'eclettismo, anche se le sue prove brillanti non sono prive di qualche sottinteso malinconico o di qualche forzatura grottesca, più di quanto quelle serie tendano ad alleggerirsi nei riflessi dell'ironia. Si tratta, in sostanza, di due attitudini e linguaggi antitetici, nei quali il B. testimoniò la sua disinvoltura espressiva, sebbene egli abbia poi voluto sottolineare la sua più spiccata disposizione verso il genere serio, in contrasto con il parere del Croce che gli riconoscerà piuttosto attitudini brillanti (cfr. lettera a Ferrero del 2 ott. 1901 in L'Osservatore politico letterario, VIII [1962], n. 5, pp. 63-64).
In entrambi i generi, però, l'autore ha dovuto ricorrere spesso a ingredienti artificiosi per sostenere un mestiere non sempre riscattato da una sufficiente profondità e originalità di idee, anche se a lui si deve il merito di aver saputo toccare quasi tutti i temi più dibattuti della problematica morale e sociale del suo tempo. Molto spesso si trattava del riecheggiamento in termini piuttosto esterni di motivi attuali: non sarebbe giusto, d'altro lato, accusarlo di aver ripreso intenzionalmente i temi del teatro straniero (da Ibsen a Čechov) e italiano (Pirandello) di quegli anni, in quanto, come egli stesso ebbe modo di dichiarare, non si preoccupava neppure di leggere quanto, in Italia e all'estero, si veniva pubblicando: "Io persisto nell'ignoranza. Da dodici o tredici anni non metto piede in una sala di teatro di prosa. Non ho letto nessuno dei lavori scenici prodotti in questi ultimi tempi. Ho il mio studiolo pieno di volumi intonsi, i quali stanno qui perché offertimi in omaggio" (da una lettera a Luigi M. Personé del 17 sett. 1925 in L'Osservatore politico letterario, III [1957], n. 7, pp. 82 s.). Li riecheggiava, piuttosto, dalla risonanza che questi stessi motivi culturali avevano nella realtà della vita, con tutto quanto di generico essi si trascinavano dietro nei discorsi di società, come è il caso degli influssi di Nietzsche su La piccola fonte, dal B. stesso rifiutati (cfr. la lettera al Personé del 13 ott. 1925, ibid.).
Naturalmente egli non si accorgeva che, negando un influsso diretto sulla sua opera delle più importanti correnti d'arte e di pensiero del tempo ed ammettendone, invece, un'eco indiretta, attestava proprio la genericità e superficialità di quegli influssi. I quali, nei suoi drammi, non si limitano ad ispirare i gesti dei personaggi, ma pretendono qua e là di elevarsi a una formulazione teorica. È avvenuto, così, che il teatro del B. rispecchiasse quasi tutti i problemi del tempo, pur senza portare traccia di un intimo travaglio ideologico. Là dove gli venivano a mancare gli strumenti intellettuali, il B. ricorreva agli effetti di teatro, agli intrecci romanzeschi o alle ambientazioni pittoresche, e snaturava così le pretese problematiche della prima impostazione.
Uno dei temi che per primi lo interessarono fu quello del conflitto fra una concezione positivistica ed una idealistica della vita (è il tema su cui si è imperniato il dibattito di molte riviste del primo Novecento, dal Leonardo al Regno e ad Hermes, dalla Voce a Lacerba, e che ha toccato tutti gli aspetti della cultura italiana di quegli anni). Il B. vi dedica diverse opere, da Il trionfo a Tragedie dell'anima, da Il diritto di vivere a La piccola fonte, da I fantasmi a Il piccolo santo, da Nemmeno un bacio a L'amante lontano e a I pazzi, comprese fra il 1892 e il 1922, nelle quali la problematica assume, di volta in volta, volti e prospettive diversi. Ma l'intento rimane sempre quello di reagire ai termini di una concezione aridamente materialistica della vita, per affermare le esigenze della personalità individuale, la realtà superiore dello spirito, degli affetti, della fede religiosa, sulla meccanica deterministica della scienza e sull'egoismo delle passioni, come evidente reazione, o meglio, superamento, del teatro verista. Il B. ci presenta, così, il tema di una passione pura che si sforza di rimanere tale (Il trionfo) contro le tentazioni provocate dall'istinto; quello della gelosia fisica, incapace di affermare la superiorità degli intenti amorosi (Tragedie dell'anima); quello della maternità intesa come riscatto della libertà femminile (Maternità);quello della irresistibile seduzione dell'amore sincero e rispettoso sulla cieca passione dei sensi (I pazzi). I pretesti variano, ma rimane piuttosto simile, in tutte queste opere, una eccessiva schematicità di impostazione dei due termini e il frequente ricorso a coloriture esasperate dei vizi e delle virtù: dalla prima opera drammatica, Una donna, del 1892, all'ultima, I pazzi, che tocca il culmine nell'erotismo esotico della ballerina Sonia e nella virtù paradigmatica del filantropo Francesco.
Altro tema frequente nel teatro del B. è quello sociale della pietà per i poveri, che egli presenta in termini di patetica solidarietà umana prima che di riscatto economico, sempre fedele allo sforzo di superare la polemica implicita nel teatro verista. Anche questo spunto abbraccia una serie di opere, da Il diritto di vivere a Sperduti nel buio, da Don Pietro Caruso a Notte di neve, comprese fra il 1895 e il 1905, parallelo alla materia di ispirazione delle novelle Smorfie tristi:corruzione delle classi elevate, egoismo e arrivismo dei ricchi, severità della legge contro i diseredati, omertà dei malviventi, fatalità della sconfitta dei deboli. Il fatalismo della sconfitta come risultato della cinica concorrenza dei più forti costituisce la morale di ogni vicenda e tinge di un languido patetismo la maggior parte di queste opere: dalla rovina finanziaria di un industriale operata da un suo rivale (Il diritto di vivere) al quadro di miseria e vizio di Notte di neve. Manca il chiaroscuro, e l'effetto è affidato ad un eccesso di colore in senso populista.
Ma i due filoni dell'opera del B., quello ideologico e quello sociale, raggiungono buoni risultati quando egli sfuma il proprio linguaggio e ricerca prospettive più articolate e complesse. Il genere sociale giunge così a qualche scena più intima, nella sua pateticità, e pudicamente sofferta; quello ideologico suggerisce indagini psicologiche di natura freudiana, alludendo al mondo segreto del subconscio o, almeno, a quello delicato della dissimulazione. Con l'uno e l'altro il B. inaugura realmente un linguaggio nuovo, quello intimista, affidandolo ora ai silenzi carichi di contenuta tragedia, ora alle intuizioni di uno psicologismo penetrante. Ecco, allora, per il genere sociale, Sperduti nel buio, soprattutto con il I e III atto in cui il quadro pittoresco di una equivoca bettola (fa pensare a Gor'kij, che il B. conobbe personalmente) è illuminato dall'amore rarefatto di un cieco e una fragile fanciulla; e il perfetto Don Pietro Caruso, un atto con cui già nel 1895 egli aveva toccato il vertice dello stile allusivo (fa pensare a Čechov), rappresentando il dramma di miseria e di rimorso di un padre vizioso soltanto attraverso i cenni di un linguaggio in controluce, affidato alle pause e al gesto finale più che alle parole. La conclusione rimane sempre di un greve fatalismo, ma risulta riscattata dal diverso procedimento in cui i due drammi sono condotti.
Ed ecco, per il genere ideologico, dopo La piccola fonte, Fantasmi, Nemmeno un bacio,L'amante lontano, che già avevano preparato il terreno all'evoluzione, sciogliendo la schematicità del contrasto ideologico fra positivismo e idealismo in un più complesso studio psicologico dei personaggi (ma senza saper evitare una sottolineatura troppo esplicita dei contrasti fino al punto di banalizzarli), apparire Il piccolo santo(1912), che è considerato il capolavoro del Bracco. Qui il dramma del sacerdote protagonista, dibattuto fra la vocazione di astinenza e l'attrazione gelosa verso la giovane cognata, di cui in giovinezza egli aveva amato la madre, il dramma, quindi, di fede e di libertà, di virtù e di peccato, sotto la suggestione di un fatale ricorso del tempo andato, è ricostruito con sapiente misura, ed interiorizzato, nel tragico finale, fino al punto di concretare nel gesto di un pazzo il desiderio, inconscio e inconfessato, del prete protagonista.
Dopo il 1922, anno di pubblicazione de I pazzi (che in realtà furono concepiti prima de Il piccolosanto e, scritti definitivamente nel 1918, furono tenuti quattro anni nel cassetto), il B. smise la sua attività. Fu deputato d'opposizione nel 1924; appartenne al gruppo di Amendola e fu dichiarato decaduto nel nov. 1926; per la sua ostilità al fascismo, il suo teatro fu messo al bando e mai rappresentato fino all'ultimo dopoguerra, salvo per I pazzi, recitati da Emma Grammatica nel 1929 (19 giugno, Teatro Fiorentini di Napoli) in seguito ad un temporaneo allentamento delle ostilità governative, subito riprese, per altro (dopo un mese), con le clamorose dimostrazioni contro di lui di una parte del pubblico, in un teatro di Roma, alla prima del lavoro.
Ciononostante l'edizione delle Opere del B., in 25 voll., fu pubblicata a Lanciano tra il 1935 e il 1942. Aprendo la via alle nuove correnti spiritualistiche e problematiche dell'arte contemporanea, egli aveva, infatti, rimesso il teatro italiano nel dialogo europeo, ed era stato rappresentato in Austria, Germania, Francia, Spagna, Grecia, Inghilterra e Stati Uniti. L'Accademia svedese lo aveva proposto per il premio Nobel nel 1927, ma, in seguito all'opposizione del governo italiano che gli aveva contrapposto Ada Negri, si decise per Grazia Deledda che si era autocandidata (cfr. M. Castaldi, p. 50).
Durante il fascismo il B. collaborò a qualche giornale straniero e visse appartato fino alla morte, che lo colse a Sorrento il 20 apr. 1943.
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