ROBERTO da Eboli
ROBERTO da Eboli. – Nacque a Eboli, tra il 1510 e il 1520, nella famiglia Novella, appartenente alla nobiltà locale. Tra il 1530 e il 1535, probabilmente a Potenza, entrò tra i frati cappuccini.
Diventato predicatore, intorno al 1553, trovandosi a San Vito lo Capo, in Sicilia, fu rapito durante un’incursione di un nipote del corsaro Dragut e condotto a Tripoli. Dopo oltre dieci anni di prigionia, alla fine del 1564 riottenne la libertà grazie al riscatto raccolto con una colletta dai suoi compagni di reclusione, che lo avevano scelto come loro portavoce. Il religioso, che a Tripoli aveva saputo dei preparativi in corso per la spedizione militare turca contro Malta, anziché rientrare subito in patria raggiunse l’isola nei primi mesi del 1565. Ben accolto dal gran maestro dei cavalieri gerosolimitani Jean de la Valette e dal vescovo Domenico Cubelles, predicò la Quaresima nella chiesa conventuale dell’Ordine di Malta nel Borgo del Castello a mare e accolse l’invito di Cubelles a restare per sostenere spiritualmente la popolazione e i soldati. Il 20 maggio, due giorni dopo l’arrivo nelle acque maltesi dell’armata ottomana e nell’imminenza dello sbarco, pronunciò un’eloquente predica che aprì la preghiera delle Quarantore, ufficiate per la prima volta a Malta con una partecipazione di massa, per chiedere l’aiuto divino nell’assedio, durante il quale continuò a prestare conforto recandosi nei luoghi più esposti, come il caposaldo di forte S. Elmo. Quando questa piazzaforte cadde, il 23 giugno, padre Roberto si dedicò all’assistenza dei malati e dei feriti nell’infermeria del Borgo ma, nel momento in cui l’attacco turco si fece più violento, chiese di poter stare vicino ai combattenti cristiani sugli spalti del forte S. Michele dove, «con ’l crucifixo da una et l’arme da un’altra mano» (cit. in Azzopardi, in I Frati, 1999, p. 346), fu ferito anche lui e portato all’ospedale. Dopo un mese di degenza, il 29 agosto riferì al gran maestro di aver avuto una visione (che i cronisti cappuccini attribuiscono invece al confratello Ivo da Messina) che assicurava l’imminente sconfitta dei turchi, i quali effettivamente, saputo dell’ormai prossimo arrivo di soccorsi dalla Sicilia, abbandonarono Malta il 13 settembre.
Dopo la vittoria, celebrata con una sua commovente predica, Roberto da Eboli (che fu il primo cappuccino ad arrivare a Malta ma, essendo solo, non colui che vi introdusse questo Ordine religioso, un convento del quale fu aperto solo nel 1588) tornò in Italia. Arrivato a Napoli, nel novembre del 1565, trovò ad attenderlo tre lettere del vicario generale Evangelista da Cannobio (note solo per il riassunto del contenuto fatto dallo stesso Roberto da Eboli) che gli ordinavano di lasciare immediatamente i cappuccini, essendo accusato di aver compiuto scandali ed eccessi durante la permanenza a Malta, di aver ricevuto denaro passato poi ai suoi familiari e viaggiato con una donna. Accolto tra i frati minori osservanti di S. Maria del Gesù, chiese a monsignor Cubelles una testimonianza che potesse scagionarlo. Il vescovo rispose il 9 gennaio 1566 difendendo l’ortodossia e il buon comportamento del frate, negando che avesse mai dato alcuno scandalo e ribadendo l’aiuto da lui fornito durante l’assedio, spiegando che lui stesso gli aveva dato del denaro, ma solo il bastante per vivere a Malta e curarsi durante il ricovero in ospedale e che la donna accusata di malaffare era una terziaria cappuccina che lo aveva curato e che lui aveva accompagnato in Italia per evitarle i pericoli di un viaggio da sola. Lo stesso dichiararono anche il gran maestro la Valette e altri qualificati testimoni maltesi.
Nonostante ciò, Roberto da Eboli non fu mai riammesso tra i cappuccini e restò minore osservante. Fu però inviato nell’Italia del Nord, a Mantova, dove si trovava all’inizio del 1568. Nella città si erano diffuse dottrine eretiche e dal giugno precedente si era insediata l’Inquisizione che, guidata dal domenicano Camillo Campeggi, attirandosi l’ostilità della popolazione e dello stesso duca Guglielmo Gonzaga, aveva dato inizio a una dura repressione. Roberto da Eboli, dal carattere impulsivo e influenzato dalla sua storia personale, pensando forse di potersi fare scudo della protezione dei Gonzaga, durante una predica nella chiesa di S. Barbara denunciò gli eccessi dell’Inquisizione definendo Campeggi un «sognatore di eretici» (p. 325) in una città retta da un duca religiosissimo. Ammonito per l’imprudenza, ripeté l’attacco anche nella chiesa di S. Francesco e appena uscì da Mantova, il 6 marzo 1568, a Piacenza, fu arrestato, inviato a Roma su richiesta di Pio V e rinchiuso nel carcere di Tor di Nona, nella stessa cella dell’umanista Aonio Paleario.
In un primo tempo, i due, che forse già si conoscevano, pensarono di aiutarsi a vicenda (l’idea potrebbe essere stata proprio del cappuccino) controbattendo con altre accuse quelle loro mosse dal S. Uffizio. Così il 16 marzo 1569 Roberto da Eboli presentò in tribunale un atto di accusa di simonia contro lo stesso Pio V, sostenendo che costui era stato eletto grazie al denaro versato a un nipote del predecessore Pio IV e al cardinale Vitellozzo Vitelli. Il 18 marzo Paleario confermò queste dichiarazioni, aggiungendone altre. Furono tutte smentite e la situazione degli imputati si aggravò, però mentre Paleario rifiutò di abiurare e fu poi condannato a morte e giustiziato il 3 luglio 1570, Roberto da Eboli il 18 marzo 1570 ritrattò le sue affermazioni e il 9 giugno venne condannato al carcere perpetuo nella rocca di Ostia. Il 1° aprile 1574 Gregorio XIII lo fece trasferire nella prigione del S. Uffizio da dove, il 6 maggio 1575, scrisse una lettera ad Aurelio Tibramonti, ministro del duca di Mantova, chiedendo qualche soccorso. Grazie all’intervento di Guglielmo Gonzaga, ottenne la grazia e nell’aprile del 1578 gli fu concesso il domicilio coatto nel convento osservante di S. Maria in Aracoeli, a Roma. Nel 1580 riottenne la completa libertà e tornò a Eboli, dove trovò che la sua famiglia si era impoverita. Il 15 dicembre, da Potenza, scrisse ancora al duca Guglielmo, stavolta per chiedere che l’amministrazione di Mercato San Severino, parte di un feudo dei Gonzaga, fosse affidata al fratello Lucio Novella.
Mancando altre notizie di lui, si può ipotizzare che sia morto poco tempo dopo nella sua terra natale.
Fonti e Bibl.: La figura di Roberto da Eboli, che presenta tutti gli aspetti di radicalità, complessità e contraddittorietà tipici della fase iniziale del nuovo movimento francescano, è però praticamente ignorata dalle fonti cappuccine, presumibilmente a causa delle vicende collegate e seguite alla sua espulsione dall’Ordine. Documenti e cronache esterne ai cappuccini, invece, hanno permesso a Francis Azzopardi di ricostruirne la vita e l’opera, nonostante permangano alcune lacune. Mariano da Calitri, P. R. da E. e il “Grande Assedio” di Malta, Salerno 1939; F. Azzopardi, The activities of the first known capuchin in Malta Robert of Eboli, in Melita historica, 1965, vol. 4, n. 2, pp. 96-110, e in Collectanea Franciscana, XXXVII (1965), pp. 287-303; V. Marchetti, Campeggi Camillo, in Dizionario biografico degli Italiani, XVII, Roma 1974, p. 440; E. Gallina, Il francescano padre R. Novella da E., in L’Italia francescana, LXIV (1989), 6, pp. 563-587; I Frati minori cappuccini in Basilicata e nel Salernitano fra ’500 e ’600, a cura di V. Criscuolo, Roma 1999 (in partic. M. Mafrici, I meridionali schiavi dei turchi e l’azione dei cappuccini, pp. 292 s.; F. Azzopardi, L’impegno pastorale e missionario: R. Novella da E., pp. 307-360); Id., R. Novella da E.: francescano predicatore a Malta (1565) e a Mantova (1568), Malta 2000.