DE RUGGIERO, Roberto
Nacque a Roma, terzo di quattro figli, il 21 luglio 1875 da Ettore, professore di antichità classiche nell'università, di famiglia borghese napoletana, e da Eloisa Lavoignat, di origini anglofrancesi.
Trascorsa la prima infanzia a Napoli, presso alcuni parenti del padre, rientrò poi nella sua casa a Roma, dove compì gli studi classici al liceo "Visconti" e quelli universitari nella facoltà giuridica della Sapienza (dove allora insegnavano, tra gli altri, F. Filomusi Guelfi, L. Meucci, F. Schupfer, A. De Viti de Marco, V. Scialoja). Si laureò con pieni voti assoluti nel luglio 1898 discutendo una tesi su "Trasporto dei crediti e dei debiti in diritto romano" con lo Scialoja, di cui rimarrà sempre discepolo devotissimo.
Subito dopo la laurea cominciò, grazie a lui, ad esercitare l'avvocatura entrando presto, insieme con P. Alibrandi, nell'ufficio legale dell'Istituto di credito fondiario annesso al Banco di S. Spirito, della cui commissione amministratrice (l'Istituto era in liquidazione) lo Scialoja era presidente.
In questa posizione rimase per diversi anni, da un lato occupandosi, e non solo come "pratico", di credito fondiario: ne sono testimonianza alcune note sul Foro italiano (la prima delle quali, La responsabilità contrattuale del mutuatario di un credito fondiario dopo la vendita del fondo ipotecato, XXIV [1899], 1, pp. 544-560, riguarda una sentenza della corte d'appello di Roma in una causa proprio dell'Istituto di credito fondiario, difeso dallo Scialoja) e, tra le numerose altre, la voce Credito fondiario del Dizionario pratico di diritto privato, che usciva da Vallardi e di cui più tardi sarà condirettore, dall'altro lato dedicandosi con grande impegno agli studi romanistici, estesi a quelli di papirologia giuridica.
La sua iniziale attività di studioso - nella quale andrebbe ricompresa quella svolta per anni, per volontà dello Scialoja ed al suo fianco, come vicesegretario dell'Istituto di diritto romano, appena riorganizzato nella sede del nuovo Circolo giuridico di Roma (gennaio 1900) - riguarda temi ardui e piuttosto trascurati in Italia, da lui già affrontati nella tesi di laurea e riproposti in modo più approfondito, con vigore alle volte un po' ingenuo, in dissenso con autorevoli studiosi contemporanei, ma anche con autori della tradizione romanistica (così La delegazione in diritto romano, in Arch. giuridico "F. Serafini", n. s., IV [1899], pp. 209 ss., 426 ss.; Intorno al concetto della delegatio in diritto romano. Brevi note alla "Delegazione" del prof. Brugi, in Riv. ital. sc. giur., XXVIII [1899], pp. 3 ss., già l'articolo su Novatio legitime facta, in Bull. d. Ist. d. diritto romano, XI [1898], pp. 49 ss., e la lunga recensione ad E. Gaudemet, Etude sur le transport de dettes à titre particulier, Paris 1898, ibid., pp. 73 ss., ritenuti più sorvegliati ed originali).
Contemporaneo è il suo interesse per le ricerche di papirologia giuridica - che coltiverà fino alla piena maturità - nelle quali può veramente essere considerato tra i pionieri in Italia (Pivano, p. 265), in un gruppetto di studiosi (tra i quali - a parte I. Alibrandi - N. Tamassia, E. Costa, C. Ferrini, G. Bortolucci e poi V. Arangio-Ruiz) versati in questo nuovo campo di studi dopo che in Italia V. Scialoja, sin dalla fine degli anni 1870, ne aveva additato l'importanza ai romanisti e in genere ai giuristi (sensibile alla sollecitazione del maestro, tra gli altri, G. Chiovenda). Tra i primi lavori Le prime illustrazioni della cosiddetta "Petizione di Dionysia", in Bull. d. Ist. di diritto romano, XIII (1900), pp. 61 ss., appendice alla traduzione di P. Bonfante, e Ildiritto romano e la papirologia, ibid., XIV (1901), pp. 57 ss., che è una rassegna senza precedenti di testi e studi, tra gli innumerevoli, più direttamente riguardanti il diritto antico, e specialmente il romano. E poi via via, tra gli altri, in materia di obbligazioni (Ipapiri greci e la "stipulatio duplae", ibid., XV [1903], pp. 93 ss., Locazione fittizia di una nave in un papiro greco-egizio dell'anno 212d.C., ibid., XX[1908], pp. 48-76); di diritto di famiglia (Studi papirologici sul matrimonio e sul divorzio nell'Egitto greco-romano, ibid., XV[1903], pp. 179 ss., ove sono autonome ipotesi sulla distinzione tra matrimonio scritto e non scritto; Nuovi documenti per la storia del matrimonio e del divorzio nell'Egitto greco-romano, in Studi storici per l'antichità classica, I [1908], pp. 161-198, 317-393); di ordinamento catastale (Frammenti di un libro catastale scoperti in un papiro greco d'Egitto, in Bull. dell'Ist. di diritto romano, XVI [1904], pp. 193-205; Libri fondiari e ordinamento catastale nell'Egitto greco-romano. Recensioni critiche, ibid., XXI [1910], pp. 255-308, che nonostante la modestia della forma di recensione - propria del resto a molti altri scritti del D. - è invece un corposo saggio).
Le ragioni di questo interesse - cui non sara estranea l'influenza del padre, da lui sempre riconosciuto come suo primo maestro - appartengono alla sensibilità del giurista e non del filologo, né tantomeno al gusto dell'erudito. Esse si ricollegano al bisogno di studiare le esperienze giuridiche in concreto e non solo attraverso il filtro delle elaborazioni giurisprudenziali, proprio come consentivano di fare le sempre più numerose scoperte di papiri, con le dirette testimonianze della vita pratica delle popolazioni dell'Oriente (I papiri greco-egizi, in G. Pacchioni, Corso di diritto romano, I, Innsbruck 1905, pp. 4155 s.; Appendice al cap. XIV, par. 1). Con il duplice risultato - dati i rapporti di queste con i Romani e il diritto romano - di recuperare la storicità anche di quest'ultimo: così "sarà dimostrato come, nonostante le resistenze opposte dall'elemento dominatore, gli infiltramenti, dapprima impercettibili, poi a grado a grado più vasti e profondi, del pensiero greco in quello latino ne abbiano modificato qua e là il contenuto" e si potrà acquisire, secondo l'ipotesi bizantinista, che "la trasfigurazione dei concetti romani sia avvenuta anche prima ed abbia avuto compimento e riconoscimento con Giustiniano" (La critica delle fonti e il metodo comparato nello studio del diritto romano, in Circolo giuridico, XXXV [1904], pp. 13, 18 dell'estratto, Palermo 1904).
I lavori romanistici e papirologici, insieme con quelli di diritto moderno, gli valsero nell'aprile 1902 l'eleggibilità nel concorso per professore straordinario di diritto romano nell'università di Macerata; nel novembre 1902 ancora l'eleggibilità nel concorso per straordinario di istituzioni di diritto romano a Messina; e, nel gennaio 1903, la libera docenza di istituzioni nell'università di Roma (d.m. 3 febbr. 1903). Nel novembre 1905 (d.m. 16 nov. 1905) ottenne lo straordinariato delle istituzioni di diritto romano a Messina (primo temato davanti ad A. De Medio e ad E. Carusi) e poco dopo (r.d. 21 genn. 1906) - previa rinuncia a questa nomina - l'ordinariato nella stessa materia a Cagliari.
Tra gli scritti romanistici sono particolarmente apprezzati: Sulla "cautio usufructuaria", in Studi in on. di V. Scialoja nel XXV del suo insegnamento, I, Milano 1905, pp. 71-89, dove, su un'intuizione di O. Karlowa, dimostrava come la cautio, imposta dall'editto per i legati, derivasse da una consuetudine adottata in ogni forma di costituzione di usufrutto per tutelare l'erede soprattutto nei confronti di comportamenti omissivi e come proprio dalla sua trasformazione in obbligo legale si fosse poi generato il quasi usufrutto; Sul trattamento delle condizioni immorali e "contra leges" nel diritto romano, in Bull. dell'Ist. di dir. romano, XVI (1904), pp. 162 ss., dove a proposito della presunta regola generale secondo cui queste condizioni (come le impossibili) annullavano i negozi inter vivos, avendosi invece per non apposte negli atti mortis causa, egli spiegava - sviluppando tesi esposte dallo Scialoja, Note minime sulle condizioni impossibili nei testamenti ibid., VIII (1895), pp. 36 ss. e Sulle condizioni impossibili nei testamenti. Nuove considerazioni, ibid., XIV (1901), pp. 5 ss. - che l'eccezione favorevole per questi ultimi derivava dalla remissio sorta per opera del pretore ed accordata originariamente soltanto nella istituzione di erede - in considerazione del rilievo molto più che semplicemente patrimoniale attribuito a quest'ultima - e via via estesa ai legati ed ai fedecommessi al punto da risultare di fatto come "una norma a sé e contrapposta alla regola originaria" della nullità degli atti viziati da turpitudine.
Il periodo cagliaritano fu assai fecondo, sia negli studi, sia nell'attività didattica (ebbe anche l'incarico del diritto internazionale, al posto di F. P. Contuzzi, assente per lunghi periodi) ed in genere accademica (dal gennaio 1907 e per il triennio successivo fu, con impegno e successo, rettore dell'università), fino al trasferimento (ottobre 1910) alla cattedra di introduzione alle scienze giuridiche e istituzioni di diritto civile della facoltà giuridica napoletana (r.d. 28 apr. 1910).
Tra le ricerche romanistiche, su temi di diritto processuale e delle obbligazioni, dopo "Satisdatio" e "pigneratio" nelle stipulazioni pretorie, in Studi giuridici in on. di C. Fadda, II, Napoli 1906, pp. 99-128, ricordiamo Teorie nuove e teorie vecchie intorno alla "litis contestatio", in Bull. dell'Ist. di diritto romano, XVII (1905), pp. 149 ss., a proposito dell'opera di S. Schlossmann radicalmente innovatrice, ma con ipotesi inaccettabili, a cominciare dalla negazione dell'esistenza della formula scritta. Ancora sulla scrittura della formula nel processo formulare romano, ibid., XIX (1907), pp. 255 ss., dove insiste nella confutazione della tesi di Schlossmann, a favore di quelle tradizionali (Keller, Wlassak); "Depositum vel commodatum". Contributo alla teoria delle interpolazioni, ibid., pp. 5 ss., ove minutamente dimostra l'accentuazione postclassica della tendenza a costruire una disciplina uniforme dei due istituti, sorti, invece, e sviluppati in modo indipendente; Note sul cosidetto deposito pubblico o giudiziale in diritto romano, in Studi economico-giuridici della Fac. di giurispr. dell'Univ. di Cagliari, I (1909), pp. 121 ss., ove questa figura - distinta dal deposito ordinario, pur in assenza, presso i Romani, di una teoria speciale che la configuri come istituto a sé - viene ricondotta al sequestro, con la conseguente privazione della facoltà del depositante di ritirare la cosa; e, tra i lavori papirologici, oltre quelli ricordati, una recensione a V. Arangio-Ruiz, La successione testamentaria secondo i papiri greco-egizi, in Bull. d. Ist. di diritto romano, XIX (1907), pp. 275 ss., in molti punti dissenziente ma nel complesso favorevole; Ildivieto d'alienazione del pegno nel diritto greco e romano, in Studi econ-giur. Fac. giur. Univ. di Cagliari, II (1910), pp. 3-87 (ora rist. da Jovene, Napoli 1980, con una "nota di lettura" di M. Talamanca).
La chiamata a Napoli in una disciplina non romanistica (al posto di P. Melucci) - da attribuire all'iniziativa di C. Fadda, ma al disegno dello Scialoja -, per quanto risultata a taluni come ennesima "intrusione", scaturiva dal riconoscimento di un impegno di ricerca giuridica proiettata verso la "storia" in quanto autenticamente giuridica, e cioè in quanto diretta verso l'esperienza degli uomini, del passato come del presente, e comunque a partire dalla propria. Nel concreto e senza discorsi di metodologia.
Da quelle lezioni severe ma avvincenti presero corpo le Istituzioni di diritto civile, l'unico libro tra i suoi tanti scritti (a parte altri corsi), ma segnato dalla medesima sobrietà proprio in quanto "libro nato dalla scuola" (pref. alla 2 ed.) e destinato, nelle sue sette successive edizioni, a formare generazioni di studenti.
La I edizione è costituita da due autonomi volumi usciti (con numerazione progressiva, però, dei paragrafi) sotto il titolo di Introduzione alle scienze giuridiche e istituzioni di diritto civile come corsi ufficiali degli anni 1910-11 (Napoli 1911) e 1911-12 (ibid. 1912): l'uno dedicato ad una parte generale, al diritto delle persone ed ai diritti reali; l'altro al possesso, ai diritti di obbligazione ed a quello ereditario. La 2 ed. (ibid. 1915, 2 voll.) assumeva il titolo definitivo di Istituzioni di diritto civile, con identica ripartizione delle materie. La 3 ed. (ibid. 1921-23, 2 voll.) era estesa, nel 2 voll., al diritto di famiglia; così la quarta, Messina-Roma 1926, 2 voll. (di cui si ebbe una traduzione spagnola, a cura di R. Serrano Suñer e J. Santa-Cruz Teijeiro, Madrid 1929-31, 2 voll.) e la quinta, Messina 1929-30, 2 voll. (aggiornata, nelle note, ai lavori della commissione di riforma del codice). La sesta edizione, Messina-Milano s.a., ulteriormente ampliata, uscì in 3 voll. (I: Introduzione e parte generale. Diritti delle persone; II: Diritti di famiglia. Diritti reali e possesso; III: Diritti di obbligazione. Diritto ereditario). Così la settima, Messina-Milano 1934-35.
Il disegno dell'autore avrebbe previsto un ulteriore ampliamento dell'opera, fino a un trattato elementare in quattro volumi e, nello stesso tempo, una sua riduzione, per un corso annuale di istituzioni di diritto privato. Esso poté compiersi, solo per quest'ultima parte, dopo la sua morte, ad opera di F. Maroi, che pubblicò un volume unico di Istituzioni di diritto privato, Messina 1937. Queste Istituzioni ebbero, a loro volta, otto edizioni, le ultime in due volumi. Nella nona, a cura di C. Maiorca, Milano-Messina 1961, ripresero il titolo di Istituzioni di diritto civile.
L'opera - di un genere certo non nuovo né poco frequentato in Italia anche da illustri contemporanei (tra i quali Gianturco. Pacifici-Mazzoni, Chironi, N. Coviello, Brugi, Simoncelli, Bensa, Barassi, Dusi, Pacchioni e, per la parte enciclopedica, almeno Filomusi Guelfi e Brugi) - si segnalava per equilibrio e sempre maggiore completezza (tanto da venire poi paragonata, pur con le dovute differenze, alle Pandette di B. Windscheid come "specchio più completo e preciso del diritto vigente in Italiac Ascoli, p. 185): vicina al carattere di lezione parlata, era tuttavia sorvegliata nello stile e nei contenuti; nitida nell'esposizione dei concetti e nelle sintesi, era egualmente complessa nei collegamenti e nei confronti; scrupolosa nell'esame delle dottrine, era attentissima ai minimi movimenti della legislazione. In essa il sapere giuridico risultava senza ombre intimamente "storico", nel senso che categorie e concetti, per quanto scolpiti nell'ordine di un rigoroso sistema logico, lasciavano trasparire le proprie storicità, le connessioni cioè con tempi e scopi; e perciò la conoscenza di esperienze giuridiche del passato (specialmente di quella romana, ma anche di quella greco-egizia e non esclusa quella del diritto comune) si riversava nell'indagine, invece che come ornamento erudito o come modello, come strumento per comprendere le ragioni, del presente.
Nei sedici anni della sua permanenza a Napoli, il D. partecipò intensamente alla vita della città, che sentiva come sua, anche fuori dell'ambiente universitario (sua una Relazione sulla libera docenza, Napoli 1911, presso la sezione napoletana dell'Associazione fra i professori universitari): socio ordinario residente dell'Accademia Pontaniana (dal 1915) - del cui organo direttivo fu pure membro, sotto la presidenza Croce ed insieme con A. Graziani - e dell'Accademia di scienze morali e politiche (dal 1919), fu anche assai vicino al Circolo giuridico (dove tenne conferenze su temi di attualità giuridica e politica e al cui interno fu membro di una commissione per lo studio delle riforme da apportarsi al codice civile, svolgendo, tra l'altro, una relazione Sulla ricerca della paternità, Napoli 1914); consigliere (sotto la presidenza Croce) e poi presidente dei Regi Educatori femminili; ospite abituale, in casa sua, di amici e colleghi- secondo la consuetudine napoletana - almeno in un incontro settimanale (tra i più intimi, Presutti, Art. Rocco, Baviera, Trifone, Schiappoli, Nitti).
Negli studi civilistici si dedicò ad argomenti di interesse pratico e attuale, spesso traendo spunti da casi giurisprudenziali e qualche volta da iniziative legislative: scritti monografici generalmente brevi, ma densissimi, in materia di successioni (tra i primi L'illiceità della fiducia testamentaria, in Riv. di diritto civile, V [1913], pp. 433 ss., esplicito, già nel titolo, della sua posizione su un tema tradizionale, ma allora rivisitato autorevolmente in occasione di una causa davanti al tribunale di Girgenti); in materia di diritto di famiglia (su temi vicini anche ad interessi di Scialoia: per es. Un nuovo disegno di legge sulla capacità giuridica della donna, conf. al Circolo giuridico, in Diritto e giurisprudenza, XXXII [1917], pp. 219 ss., contrario alla soppressione dell'autorizzazione maritale, anche se scettico sull'utilità pratica di riforme in simili materie; Deroghe e riforme al codice civile in materia di adozione e tutela, memoria all'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, negli Atti di questa accademia, XLVI [1920], I, pp. 417 ss.); in materia di azioni possessorie (La cosidetta servitù di elettrodotto e l'azione di manutenzione, in Riv. di diritto commerciale..., XIV [1916], 2, pp. 745-764, contraria a una Cassazione di Napoli consolidata nel senso del rinvio ad un giudizio petitorio); in materia di obbligazioni (p. es. Pagamento di debiti da giuoco e deposito preventivo della posta, ibid., XV [1917], I, pp. 524-538, a proposito di una decisione della Cassazione di Torino, commentata favorevolmente da B. Brugi, che escludeva la ripetibilità della posta da parte del perdente una volta effettuato il deposito nelle mani di un terzo, da lui invece ritenuta ammissibile, con sottile argomentazione); e finalmente in materia di legislazione di guerra (spec. Leggi di guerra nel diritto privato italiano, conf. al Circolo giuridico, in Diritto e giurisprudenza, XXXI [1916], pp. 171 ss., una minuta analisi, non priva di ironia, di errori e storture conseguenti ad un "farraginoso" ed "estemporaneo legiferare" che, proprio per l'ampia delegazione di poteri al governo e per l'uso che questo ne fece, "costituisce, sia pure transitoriamente, una deformazione e può rappresentare un pericolo in futuro per le pubbliche libertà"; o anche Le leggi eccezionali di guerra in favore degli albergatori, in Riv. di dir. commerc., XIV [1916], 2, pp. 571-580, critico della scelta del governo di aver "preso troppo decisamente partito per una delle parti del contratto contro l'altra" privando, con il suo intervento, il giudice di "quella libertà di azione che senza di esso gli era assicurata dal suo normale potere di dirimere i conflitti" e che sarebbe stata sufficiente anche in quelle circostanze eccezionali).I nuovi studi e l'impegno nell'insegnamento non gli impedirono di seguitare nelle ricerche romanistiche, sostituendo spesso nelle lezioni il Fadda, impegnato nei lavori parlamentari, e pubblicando anche dei corsi - Usufrutto e diritti affini (c.d. servitù personali), Napoli 1913; Le obbligazioni (parte generale), I, ibid. 1921; II, ibid. 1922 - e una monografia (Sulla formula della "stipulatio aquiliana", in Scritti in on. di A. Marghieri, ibid. 1922). Sul finire del 1923, andato il Fadda a riposo, la facoltà deliberò il definitivo trasferimento del D. alla cattedra di diritto romano (d.m. 2 dic. 1923), mantenendo egli anche l'incarico delle istituzioni di diritto civile (e allora videro la luce altri due volumi del corso sulle Obbligazioni: il III, Napoli 1925 e il IV, ibid. 1926; e uno studio su La classificazione dei contratti e l'obbligazione letterale nel diritto classico e nel giustinianeo, in Studi in on. di S. Perozzi, Palermo 1925, pp. 369 ss.).
Il ritorno all'insegnamento civilistico moderno coincise con la chiamata - ispirata ancora una volta da Scialoja - alla cattedra di istituzioni di diritto privato italiano della facoltà giuridica di Roma (r.d. 15 dic. 1926), rimasta vacante per il passaggio di A. Ascoli al diritto civile.
Salendovi il 10 genn. 1927, il D. tenne una "smagliante" prolusione (Cerciello, p. 80) che, già per il titolo (Idogmi del diritto privato e la loro revisione, in Arch. giuridico "F. Serafini", s. 4, XIII [1927], pp. 133 ss.), può considerarsi la sintesi del suo itinerario di studioso e della sua coscienza di giurista.
"Trasportando nella elaborazione del diritto privato moderno i criteri ed il sistema che da più di un secolo vigevano nella pandettistica" (anche per essersi molti civilisti formati alle scuole di diritto romano e addirittura per averlo dapprima professato), la "scienza civilistica" ha costruito un "edificio" che "a chi lo contempli nella sua organica e sistematica struttura si presenta come costituito da un complesso di dogmi, da una serie di principi e di concetti fondamentali, che rappresentano le pietre angolari della sintesi" (ibid., p. 136). E però, ormai, "la verità è che noi professiamo tuttora il culto verso idoli, che sono caduti ed infranti, continuiamo ad insegnar dogmi a cui più non crediamo, serviamo reverenza e rispetto verso concetti, schemi, classificazioni in cui non abbiamo più fede" (ibid., p. 137). "Quando noi ad es. eleviamo a requisito della società l'animus contrahendae societatis o della donazione l'animus donandi o del pagamento l'animus solvendi, abbiamo la sicurezza di non aver per avventura aggiunto un fantasma a quelli che sono i sostanziali fattori di questi tre atti e di non aver commesso una duplicazione ingombrando il terreno con elementi nuovi ed arbitrari?" (ibid., p. 139).
La "revisione dei dogmi", generata come necessità dalla pratica (e cioè, su un altro piano, dalla coscienza della propria storicità), muovendo dalla rinuncia agli atti di fede, finiva, in ultima analisi, per identificare, con straordinaria lucidità, compiti e regole della conoscenza giuridica: "né i principi che reggono gli ordinamenti del presente si possono stimar buoni o falsi, se non si studiano storicamente, col ricongiungerli a quelli da cui sono generati"; né, d'altra parte, "ogni nuova conquista del sapere ... è possibile, se non sia posto il dubbio sulle verità conquistate innanzi" (ibid., p. 152).
I primi mesi dell'insegnamento romano furono molto intensi, soprattutto a causa dei lavori della commissione reale per la riforma dei codici della cui sottocommissione per il codice civile egli era membro sin dalla sua istituzione (r.d. 3 giugno 1924, in Boll. uff. d. Ministero di Giust. e Aff. di culto, 1924, pp. 1624 ss.).
Assiduo e scrupoloso nelle riunioni, lo fu altrettanto nelle lezioni, pur dovendosi dividere tra Napoli - dove ancora risiedeva la famiglia (la moglie Emilia Brosca, che aveva sposato a Roma il 28 luglio 1902, e la figlia Valentina) e dove lo trattenevano diversi interessi - e Parigi, dove talora lo spingevano incarichi della commissione. Nel progetto del nuovo codice fu relatore in materia di parentela e affinità, di filiazione legittima, di alimenti (Comm. reale per la rif. dei codici, Codice civile. Primo libro. Progetto e relazione, Roma 1931, Relazione, pp. 75 ss., 120 ss., 203 ss.) e, nel secondo libro, quasi integralmente di proprietà (Codice civile. Secondo libro. Cose e diritti reali. Progetto e relazione, Roma 1937, Relazione, pp. 16 ss.; ma, dopo la sua morte, la relazione fu adattata alle modificazioni introdotte nel testo).
Insieme con A. Ascoli redasse, per la parte italiana, il progetto comune italofrancese di un codice delle obbligazioni e dei contratti, approvato a Parigi nell'ottobre 1927 (Roma 1928, in testo bilingue), dando esito ad un'aspirazione manifestata da Scialoja già una decina di anni avanti (Per un'alleanza legislativa fra gli Stati dell'Intesa, in Nuova Antologia, 1º febbr. 1916, p. 451) e coltivata per anni in seno a comitati di studiosi e di pratici.
Illustrando in seguito criteri e vedute della commissione (Il progetto del codice delle obbligazioni e dei contratti dinanzi alla critica, in Scritti in on. di A. Ascoli, Messina 1931, pp. 773 ss.), parlò di "metodo dei prudenti ritocchi", di "riforma prudente e cauta" anche se "sostanziale e decisa", condotta sul convincimento che "i codici son fatti per la pratica, non per i dottrinari e i teoretici" e che - messe da parte "le discussioni astratte, che non possono mai dare risultati utili" - "non si può e non si deve scambiare quella che è l'opera dottrinale e scientifica con quello che è il compito del legislatore": poiché - con espressioni di impronta inequivocabile, non nuove nel suo stesso linguaggio - "il legiferare non è creare col proprio gusto e con la propria mentalità istituti e regole giuridiche, ma raccogliere la voce che viene dal popolo e tradurla in formule scritte. Penserà la pratica giurisprudenza a dirci, quando che sia, se l'uno o l'altro obbligo etico sia stato ormai attratto nella sfera del diritto, e verrà poi il legislatore a consolidare in un precetto fisso il risultato dell'esperienza". In accesa polemica con.E. Betti - cui avevano già replicato D'Amelio e lo stesso Scialoja (Riv. di dir. commerc., XXVII [1929], pp. 669 ss. e XXVIII [1930], pp. 190 ss.) -, spiegò che la pretesa eccessiva ispirazione al modello francese era stata quasi sempre il modo per far prevalere il senso della pratica sul puro dottrinarismo (essendo là dottrina e legislazione pratiche per eccellenza), specialmente dove fosse valsa "la constatazione fatta con l'esperienza di 60anni, che la regola prescelta nel 1865 aveva fatto cattiva prova". Difendendo, più nel merito, alcune soluzioni del progetto, accennò, tra l'altro, ad una critica di G. Scaduto sull'eccessivo ampliamento dei poteri del giudice (per es. per la fissazione di un termine alla parte inadempiente di un contratto preliminare; per l'introduzione di una azione generale di lesione; ecc.), sorprendendosi "come alcuno si possa dolere che all'equità sia data una maggiore funzione in un periodo storico ed in una società, come l'attuale, in cui si sente da tutti i lati la pressione per un orientamento più sociale del diritto".
Riferimenti ai lavori della commissione di riforma del codice anche in un breve ma lucido contributo Sulla funzione e sugli effetti del riconoscimento dello Stato nelle persone giuridiche, in Scritti in on. di A. Salandra, Milano 1928, pp. 325 ss. - uno dei non molti scritti di questo periodo -, nel quale, chiarito preliminarmente come il principio secondo cui "la soggettività sia solo nelle persone fisiche" costituisca un "preconcetto" (che ha pesato "come un ingombro nella costruzione di molti istituti giuridici ed ha costituito spesso un ostacolo pel libero sviluppo della scienza giuridica"), si afferma che l'atto di riconoscimento (di carattere dichiarativo e non costitutivo della personalità) possiede efficacia retroattiva, in ossequio soprattutto a bisogni di natura pratica.Partecipò a numerosi altri lavori legislativi (per la riforma della legge notarile, per la preparazione delle convenzioni di diritto privato dell'Aja; e, come membro della commissione di studi giuridici della Confederazione nazionale fascista degli agricoltori - insieme, tra gli altri, ad A.Arcangeli, G. Bolla, A. Cicu, G. Messina -, per diverse leggi in materia agraria: p. es. sulle migliorie nelle locazioni di fondi rustici e sul riordino della proprietà fondiaria - i cui schemi, rispettivamente, in Riv. di diritto agrario, VIII [1929], pp. 3 ss.; X [1931], pp. 3 ss.) - e a molte commissioni per pubblici concorsi, non solo universitari.
Ma né queste frequentazioni - evidentemente compatibili con la sua firma, tra le prime, del manifesto Croce e con la costante intimità con il cugino Guido De Ruggiero, antifascista militante - né la sua comprovata austera probità valsero ad evitargli, nell'estate 1931, un pretestuoso incidente con il regime: per una frase che egli avrebbe occasionalmente pronunciato all'indirizzo di alcuni giovani in divisa di passaggio alla stazione di Roma, ricevette la minaccia dell'immediata sospensione dal grado e dallo stipendio e della successiva dispensa dal servizio, che non ebbe seguito per l'intervento di influenti amici.
Per anni anche incaricato di papirologia giuridica nella facoltà e nella scuola di perfezionamento in diritto romano di Roma, passò, nel 1933-34, all'insegnamento del diritto civile (al posto di G. Messina, che a sua volta lo sostituì nella cattedra delle istituzioni di diritto privato). Angustiato dalla malattia, attese fino alla fine con scrupolo a rivedere il suo ultimo corso di lezioni, destinato a rimanere interrotto (Contratti speciali, Messina-Milano 1934).
Il D. morì a Roma il 5 dic. 1934.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Iversamento, fascicoli personali, de Ruggiero Roberto; Università di Roma, Uff. del personale, Prof. univ., fasc. ad nomen (ivi, tra l'altro, la relazione sulla libera docenza); Boll. ufficiale del Ministero della Istruzione pubblica, 1903, 1, p. 283; 1904, 2, p. 1478; 1906, 2, p. 2713; 1907, 1, p. 233; 1907, 2, pp. 2427, 31117; 1910, 1, p.1641 (relazioni delle commissioni giudicatrici nei concorsi); Guida Monaci 1901, Roma 1902, p. 542 (ed anni successivi, fino al 1906, per l'organico dell'Istituto di credito fondiario); Calend. generale del Regno d'Italia, a cura del Ministero dell'Interno, Roma, ad annos; E. Albertario, R. D., in Riv. di diritto commerciale, XXXIII (1935), I, pp. 143 s.; Id., R. D., in Studia et documenta historiae et iuris, II (1936), pp. 521 s.; Id., D. R., in Enciclopedia Italiana. Appendice I, Roma 1938, p. 512;V. Arangio-Ruiz, R. D. (1875-1934), in Aegyptus, XIV (1934), pp. 506-510 (con bibl. degli scritti papirologici); A. Ascoli, R. D., in Riv. di diritto civile, XXVII (1935), pp. 184-188 (con un elenco degli scritti); R. Cerciello, R. D. (necrologio), in Riv. di diritto privato, V (1935), pp. 75-81 (con bibliografia completa degli scritti giuridici); F. Maroi, R. D. (1875-1934), in Arch. giuridico "F. Serafini", CXIII (1935), pp. 206-220; Id., L'opera scientifica di R. D., in IlForo italiano, LX (1935), pp. 225-239 (con bibl. completa di tutti gli scritti); Id., R. D., in Annuario dell'Università di Roma ... 1936-37, Roma 1937, pp. 523 s.; R. D., in Riv. di diritto agrario, XIII (1934), I, pp. 721 s.; N. Spano, L'Università di Roma, Roma 1935, p. 166;R. Trifone, L'Università degli studi di Napoli dalla fondazione ai giorni nostri, Napoli s.a., pp. 191 s.; F. Vassalli, R. D. Comm. tenuta all'univ. di Roma il 31 marzo 1936, Roma 1936, pp. 1-23 (ricchissima e illuminante sulla personalità di uomo e di studioso).
Diverse notizie in: E. Pais, L'epigrafia e la papirologia giuridica, in Riv. d'Italia, maggio 1908, pp. 781-799; F. Maroi, L'indirizzo romanistico nell'insegnamento del diritto civile, in Riv. ital. di sociologia, XX (1916), pp. 629-634; S. Pivano, Gli studi di papirologia giuridica e la scienza italiana, in Aegyptus, IV (1923), pp. 245-282; F. Santoro Passarelli, Il diritto civile nell'ora presente e le idee di Vittorio Polacco, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, s. 2, VIII (1933), I, pp. 54-89; F. Ferrara, Un secolo di vita del diritto civile (1839-1939), in Riv. di dir. comm., XXXVII (1939), I, pp. 429-444; F. Vassalli, Motivi e caratteri della codificazione civile, in Riv. ital. per le scienze giuridiche, s. 3, 1 (1947), pp. 76-107; R. Bonini, Problemi di storia delle codificazioni e della politica legislativa, I, Bologna 1973, pp. 257-269;II, ibid. 1975, pp. 116-124, 140-148.
Alcune informazioni private sono dovute alla cortese ed aperta disponibilità della signora Valentina De Ruggiero Brera.