LAURO, Roberto di
Figlio di Roberto signore del castello di Lauro e di Saracena, nacque intorno al 1120. I "de Lauro" erano un ramo della famiglia dei Sanseverino, che derivava il suo cognomen toponomasticum dal feudo di Lauro, oggi in provincia di Avellino. Suo nonno, Ruggero di Sanseverino, signore del castello di Lauro, aveva sposato Sica, figlia di Landolfo di Salerno la cui sorella Sichelgaita aveva sposato Roberto il Guiscardo.
Sua madre sposò in seconde nozze il salernitano Roberto Capomazza dal quale ebbe una figlia di nome Claricia, che nel 1147 compare come moglie di Simone "de Tivilla" signore di Nusco, già morto nel 1159.
Intorno al 1140, uscito dalla minore età, il L. entrò in possesso delle terre paterne fino ad allora amministrate da Roberto Capomazza. Tra il 1150 e il 1159 fu nominato conte di Caserta e divenne uno dei baroni più importanti del Regno. Nella prima redazione del Catalogus baronum (1150), infatti, compare solo come titolare dell'avito feudo di Lauro - per il quale doveva fornire quattro cavalieri armati alla pesante più altri sei in caso di mobilitazione generale e una quota di dieci servientes -, mentre il feudo di Caserta senza il titolo comitale è registrato nelle mani di Nicola Frainella. Successivamente, come titolare della contea di Caserta, compare come feudatario in capite dei feudi di Caserta, Morrone, Melizzano, Pugliano, parte di Telese, Solopaca, Fontana del Liri, Arpino, Montenero e, in caso di mobilitazione generale, doveva fornire, tra feudi detenuti in demanio e feudi in servitio, un contingente militare numericamente molto rilevante, costituito da 109 cavalieri e 300 servientes.
In quegli stessi anni le fonti ricordano anche il figlio del L., Ruggero conte di Tricarico, annoverato da Romualdo Guarna (Romualdo Salernitano) tra i conti e baroni che nel 1159-60 congiurarono contro il grande ammiraglio Maione di Bari e che fu esiliato per aver partecipato alla rivolta del 1160-62 contro il potente cancelliere e la Corona normanna.
Nel marzo 1162 il L. prese parte alla controffensiva guidata da Guglielmo I d'Altavilla re di Sicilia contro i conti ribelli ed ebbe il comando dell'esercito regio composto da galeati - soldati armati di una specie di elmo detta galea - che espugnò il castello di Monte Arcano, dove furono presi molti prigionieri tra i quali la moglie e il figlio del ribelle Riccardo Dell'Aquila conte di Fondi.
Nello stesso anno, probabilmente per i meriti acquisiti durante le operazioni militari contro i baroni ribelli, ottenne dal sovrano San Severino, Montoro e altre terre confiscate al cugino Guglielmo di Sanseverino che, costretto a lasciare il Regno per aver permesso alla sorella Marotta di sposare senza il consenso della Curia regia il conte di Avellino, Ruggero Dell'Aquila, si era rifugiato presso la corte di Federico Barbarossa.
Dopo la morte di Guglielmo I (1166) e il rientro dall'esilio di Guglielmo di Sanseverino, nel 1168 si vide costretto a restituire al cugino, sostenitore del cancelliere Stefano di Perche, Montoro, San Severino e altre terre che, a suo dire, il padre di Guglielmo aveva ingiustamente detenuto a suo danno. Perciò si recò a Messina, affiancato da avvocati e dal figlio Ruggero, reintegrato quest'ultimo del possesso dei suoi feudi grazie alla politica di conciliazione voluta dalla regina Margherita di Navarra, per esporre dinanzi alla Curia le sue ragioni. Il cancelliere Stefano di Perche, non volendo scontentare Guglielmo di Sanseverino, suo fedele confidente, ma temendo di offendere il L., fece restituire al primo le sue terre e concesse al L. altre terre in Puglia - probabilmente Mandra e Pulcarino - a patto che questi rinunciasse alla lite con il cugino. Tuttavia, poiché nel 1187 Montoro compare quale possesso dei figli del L., è probabile che quel feudo gli fosse stato confermato dal sovrano se non nel 1168 almeno negli anni successivi.
A Messina il L. intervenne contro i nemici del cancelliere Stefano nel durissimo scontro tra le fazioni della corte. In particolare accusò Riccardo de Mandra conte di Molise - che già si era difeso con difficoltà dall'accusa di aver congiurato contro il cancelliere, mossagli dal conte di Manoppello Boemondo di Tarsia - di aver occupato Mandra e alcuni castelli regi nel territorio di Troia e di occuparli senza l'autorizzazione della Curia regia. Quindi, insieme con altri conti e alti funzionari del Regno, tra i quali il figlio Ruggero, fu uno dei membri della corte che giudicò il conte di Molise.
Questi cercò di difendersi sostenendo che Mandra gli era stata donata dal gaito Pietro in cambio di un censo annuo e che i castelli in questione gli erano stati concessi dal camerario Turgisio, ma venne riconosciuto colpevole e condannato alla confisca di tutti i beni per essersi impadronito in modo irregolare di un bene del re in Capitanata. Inoltre, per aver messo in discussione la legittimità di quel giudizio, Riccardo de Mandra fu affidato a un tribunale ecclesiastico che confermò la confisca dei beni, lo riconobbe colpevole di sacrilegio per aver fatto iniuria alla giustizia regia e lo fece imprigionare nella rocca di Taormina.
Probabilmente l'espulsione dal Regno del cancelliere Stefano di Perche, nell'estate del 1168, indebolì la posizione a corte del L. e risollevò le sorti del suo acerrimo rivale, Riccardo de Mandra, che entrò a far parte del Consiglio di reggenza destinato ad affiancare la regina Margherita durante la minorità di Guglielmo II.
Nella revisione del Catalogus baronum, portata a termine nel biennio 1167-68 durante la reggenza della regina Margherita, il L. compare anche come feudatario in capite di Mandra e Pulcarino (oggi Villanova del Battista, in provincia di Avellino), per i quali doveva fornire all'esercito regio altri sei cavalieri armati alla pesante.
A partire dal 1171 e per oltre un decennio il L. compare in diverse circostanze come magnus comestabulus et magister iustitiarius Apulie et Terre Laboris e come tale fu titolare di poteri giudiziari e militari molto ampi: nel giugno 1171 presiedette una curia nei pressi di Maddaloni per risolvere una controversia insorta tra gli abitanti della città di Teano e quelli della città di Nola per il controllo e lo sfruttamento di un corso d'acqua; nello stesso anno compose una lite sorta tra "Tostaynus de Rivomatrice" e l'abbazia di Cava per il possesso di alcune case e terre in Capua; nell'ottobre 1172, insieme con Riccardo de Say conte di Gravina, altro maestro giustiziere, ricevette dal sovrano Guglielmo II l'incarico di accertare, in collaborazione con il camerario della Terra di Lavoro, se Ruggero II avesse realmente concesso al monastero di S. Domenico di Sora le rendite di quattro chiese.
Non è testimoniata dalle fonti la sua presenza, affermata da Cuozzo (1984, p. 274) e da Tescione (p. 38), nelle fila dell'esercito normanno che il 10 marzo 1176, sotto il comando di Ruggero d'Andria e del conte di Lecce Tancredi, si oppose senza successo nei pressi di Carsoli, sul confine settentrionale del Regno, all'esercito imperiale guidato dall'arcivescovo Cristiano di Magonza.
Nel novembre dello stesso anno, insieme con Alfano arcivescovo di Capua e Riccardo vescovo di Siracusa, fu inviato con 25 galee a Saint-Gilles in Provenza per ricevere Giovanna, figlia di Enrico II d'Inghilterra, promessa sposa di Guglielmo II. Il 18 febbraio dell'anno successivo fu presente alla celebrazione, nella cappella palatina di Palermo, del matrimonio tra Guglielmo II e Giovanna e sottoscrisse il dotarium, il diploma regio che stabiliva la dote della nuova regina.
Dopo la morte della madre, avvenuta prima del 1178, entrò in possesso dei feudi di Solofra e di Serino, quest'ultimo appartenuto a Simone "de Tivilla".
Nel 1178, sempre in qualità di gran connestabile e maestro giustiziere di Puglia e Terra di Lavoro, intervenne nella questione relativa al possesso di un mulino insorta tra il vescovo Bartolomeo di Ariano e il prete Tasso. Nella stessa funzione compare, nel 1181, in occasione di una controversia in cui era coinvolto Falcone vescovo di Aversa. Il 17 febbr. 1182, insieme con il collega Tancredi conte di Lecce, tenne una corte in Capua per decidere, su mandato regio, la vertenza in merito alla chiesa di S. Bartolomeo di Avezzano tra il vescovo dei Marsi Zaccaria e Gentile di Pagliara. Quindi ordinò al camerario di Terra di Lavoro di far godere all'abbazia di Cava i redditi provenienti da alcuni mulini. Nello stesso anno, essendo morto l'abate Leonate di S. Clemente a Casauria (25 marzo 1182), invitò il capitolo di quel monastero - accolto sotto la protezione del sovrano - a rivolgersi a lui o al conte Tancredi per le eventuali controversie giudiziarie.
Particolarmente documentata risulta l'intensa attività del L. in favore di fondazioni religiose di area campana: nel 1165 donò alcuni homines al monastero di S. Angelo in Formis; nel giugno 1169 concesse il castello di Montenero e altri beni nel territorio di Arpino a S. Gerardo "de Insula"; nel 1172 donò alcuni beni al monastero di S. Pietro di Piedimonte; nel 1173 e nel 1174 donò vassalli e terre a Lusiza, badessa del monastero capuano di S. Giovanni delle Monache. Al L. e a sua moglie Agnese va attribuita anche la costruzione e la dotazione di terre, uomini e mulini, di una grande chiesa dedicata a S. Giacomo dentro la città di Caserta, già completata nell'agosto del 1178 quando il pontefice Alessandro III accolse la chiesa sotto la protezione apostolica. Dopo la morte della moglie Agnese, nel settembre del 1178 il L., insieme con il figlio Riccardo, confermò una donazione compiuta dalla madre del L., Saracena, nel 1159 all'abbazia di Cava, quindi, presenti i figli Riccardo e Guglielmo, scambiò con la medesima abbazia alcuni beni, case e terre, siti in Capua.
Il L. morì il 31 ag. 1183. L'anno precedente era morto uno dei suoi figli, Riccardo, sepolto nella chiesa di S. Matteo di Salerno. La contea di Caserta passò a Guglielmo, mentre l'altro figlio Ruggero era già conte di Tricarico. Dopo la morte di Agnese (1178) il L. si era risposato con una sorella del conte Berardo di Loreto che a sua volta, nel 1193, si risposò con Bertoldo di Kunigsberg, legato dell'imperatore Enrico VI.
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