FARINACCI, Roberto
Nacque il 16 ott. 1892 a Isernia da Michele e da Amelia Scognamiglio. Rimase nella città molisana fino all'età di otto anni, poi al seguito del padre, commissario di polizia, la sua famiglia dovette trasferirsi prima a Tortona (Alessandria) e quindi a Cremona. Anche a causa di questi spostamenti il F. frequentò in modo discontinuo e con scarso profitto la scuola e nel 1909 abbandonò gli studi. Venne subito assunto come assistente operatore al telegrafo presso le Ferrovie dello Stato, prima a Piacenza e poi a Cremona. Insieme con questa occupazione, che, almeno formalmente, mantenne per dodici anni, cominciò a svolgere attività politica al seguito di Leonida Bissolati, deputato cremonese e tra i capi dell'ala riformista del Partito socialista italiano.
Il F. si impegnò attivamente nell'organizzazione sindacale dei contadini cremonesi e nella polemica politica sulle pagine del settimanale socialista locale L'Eco del popolo. Uno dei suoi bersagli preferiti era Guido Miglioli, deputato ed organizzatore delle leghe contadine cattoliche nella vicina Soresina.
Come tutti i socialriforinisti il F. fu favorevole, nel 1914, all'entrata in guerra dell'Italia, ma nell'agitazione interventista ebbe modo di distinguersi per il particolare impeto che sfociava spesso nello scontro con gli avversari, cattolici e socialisti. Animatore del foglio interventista La Squilla, divenne allora corrispondente da Cremona del Popolo d'Italia, appena fondato da Benito Mussolini. Ebbe così luogo il primo incontro tra due personaggi le cui vicende saranno fortemente intrecciate per oltre trent'anni.
Alla fine del 1915 il F. si arruolò nell'esercito, dove raggiunse il grado di caporale ed ottenne una croce militare. Congedato, all'inizio del 1917. per poter riprendere servizio nelle Ferrovie, colse l'occasione del suo ritorno a Cremona per rinnovare gli attacchi agli esponenti locali cattolici e socialisti. Dovette per questo subire qualche processo, ma poiché veniva regolarmente assolto, ne beneficiò in termini di pubblicità e di potere. Finita la guerra, risultava già un uomo molto potente nella sua città, ancora formalmente legato a Bissolati, ma ormai sempre più allineato con le posizioni di Mussolini.
La rottura definitiva col socialismo riformista e l'approdo sulla sponda mussoliniana avvenne nel gennaio 1919, appena in tempo per consentire al F. di essere tra coloro che il 23 marzo si ritrovarono a Milano, al fianco di Mussolini, all'atto della fondazione dei Fasci di combattimento. Il F. profuse subito un grande impegno nel mettere in piedi l'organizzazione fascista nel Cremonese e acquisire aderenti al nuovo movimento, non risparmiando il ricorso alla coercizione e alla violenza. In aprile costituì il fascio locale, di cui divenne segretario politico, raccogliendo proseliti soprattutto tra i ferrovieri. In settembre Mussolini lo nominò membro del comitato centrale dei Fasci di combattimento, che avevano ormai a Cremona uno dei maggiori punti di forza. Con la trasformazione de La Squilla prima ne La Voce del popolo sovrano e poi ne La Voce del fascismo cremonese ilF. diede maggiore impulso alla propria ascesa politica.
Avendo stabilito proficui rapporti con agrari e industriali locali, dei cui interessi lo squadrismo fascista si ergeva a tutore, era ormai in condizione di poter fare a meno dello stipendio. Nel 1921 si dimise perciò dalle Ferrovie, alle quali, specie negli ultimi tempi, non aveva certo prestato la sua opera di dipendente. Aveva invece trovato tempo e modo di recuperare i propri ritardi scolastici, conseguendo, grazie anche ad tini disposizione favorevole agli ex combattenti, la licenza liceale. Iscrittosi quindi alla facoltà di legge dell'università di Modena, conseguì la laurea nel 1923, presentando una tesi completamente copiata da quella di un altro candidato (cfr. Fornari, 1980, p. 223.
Il 15 maggio 1921, al termine di una campagna elettorale condotta all'insegna della violenza, il F. venne eletto deputato per il collegio di Mantova-Cremona. Anche alla Camera ebbe modo di segnalarsi per l'indole violenta e le aggressioni agli oppositori del fascismo. Nel maggio 1922 dovette tuttavia abbandonare il seggio parlamentare poiché, non avendo egli l'età minima richiesta di 30 anni, la sua elezione venne invalidata. Nei momenti cruciali tra lo scatenairnento dello squadrismo armato e la marcia su Roma il F. svolse un ruolo di primo piano in seno al movimento fascista. Già allora cominciarono ad affiorare alcune divergenze tra la strategia perseguita da Mussolini e la posizione del Farinacci. Mentre Mussolini usava lo squadrismo come arma di pressione per contare di più nel gioco politico, il F. e gli altri cosiddetti ras locali - il cui potere derivava dal disporre di una propria forza armata - erano recalcitranti a seguire Mussolini sulla strada del compromesso politico, come fu il patto di pacificazione del 30 ag. 1921 tra fascisti e socialisti. Quando, nel novembre dello stesso anno, il movimento si trasformò in Partito nazionale fascista (PNF) il F., considerato un incontrollabile elemento di disturbo, venne escluso dalle cariche dirigenti.
La piega presa dagli avvenimenti gli offrì tuttavia l'occasione per riguadagnare le posizioni perdute. La nuova ondata di imprese squadristiche, scatenatasi nell'estate del 1922, ebbe nel F. uno dei maggiori protagonisti. Additando dalle pagine del nuovo quotidiano Cremona nuova ibersagli da colpire, ebbe in poco tempo il controllo di tutta la provincia. Dopo aver costretto il Consiglio comunale a sciogliersi si proclamò sindaco di Cremona, quando tutte le altre amministrazioni locali della zona erano già in mano fascista. Le capacità mostrate in questo genere di imprese ne fecero l'uomo più indicato a ricoprire la carica di console generale dell'appena costituita milizia fascista. Dopo aver guidato con altri capi fascisti l'occupazione di Trento e Bolzano, il 28 ottobre, mentre era in atto la marcia su Roma, il F. esautorava l'esercito ed assumeva il comando di Cremona.
La nomina di Mussolini a capo del governo ed il rientro nei ranghi della milizia imposero al F. un periodo di relativa inattività, pur restando sempre vigile contro quelle che egli riteneva concessioni agli avversari. Era ormai chiaro a questo proposito il dissenso tra Mussolini e il F.: mentre il primo mirava a consolidare il potere "inserendo gradatamente i fascisti negli organi governativi nazionali", il secondo pensava invece che la missione del fascismo fosse "l'immediata e violenta imposizione al paese delle scelte politiche formulate da un'élite dominante. Il partito nazionale fascista, secondo Farinacci, doveva essere non uno dei tanti partiti che cooperavano all'amministrazione dello Stato, ma lo Stato in quanto tale, con gli squadristi come braccio militare (Fornari, 1972, p. 88).
Quando nell'estate del 1923 Mussolini riorganizzò la milizia, trasferendone il controllo dal partito al governo, il F. reagì in modo platealmente duro, minacciando coloro che "si servono e non servono il fascismo" (Cremonanuova, 18 sett. 1923) e annunciando le proprie dimissioni dalla milizia. Solo la minaccia di Mussolini di farlo arrestare per "insubordinazione e ammutinamento" lo costrinse a recedere. Non per questo egli venne meno al compito, che si era attribuito, di intransigente tutore della "purezza" fascista.
"A Mussolini sarebbe piaciuto moltissimo tenere Farinacci lontano dalle posizioni politiche di maggior prestigio: il ras di Cremona non soltanto era irrefrenabile, ma aveva anche un notevole seguito tra gli attivisti fascisti più intransigenti, di cui era di fatto, se non ufficialmente, il capo. Fu per questo che Mussolini, pur tenendolo fuori dal governo, dovette nominarlo membro dei Gran Consiglio del fascismo, creato nel 1922" (Fornari, 1972, p. 88). Un'altra occasione di scontro con Mussolini fu offerta al F. dalla nuova legge elettorale in vista delle elezioni del 1924. A quell'appuntamento Mussolini intendeva giungere presentando il fascismo come espressione di uno schieramento sociale maggioritario, nel quale, accanto ai fascisti "puri", trovavano posto esponenti di altre tendenze, come cattolici e liberali di destra. Il F., contrario a tali aperture, avversò la modifica della legge elettorale, ma dovette un'altra volta piegarsi al volere di Mussolini. In occasione delle elezioni del 6 apr. 1924 fu peraltro rieletto alla Camera come deputato della Lombardia.
Fu la crisi determinata dal caso Matteotti a rilanciare politicamente il F. facendolo assurgere ai vertici del partito. Di fronte alla secessione dell'Aventino e alle incertezze di Mussolini nel venir fuori da una difficile situazione, egli invocava la massima durezza nella repressione degli antifascisti.
Poiché ostentava questa sua divergenza con Mussolini, sembrò ch'egli mirasse a prenderne il posto. Smentendo intenzioni del genere il F. confermava, su Cremona nuova del 31 dic. 1924, la sostanza delle sue posizioni: "la nostra fedeltà è stata duramente provata, perciò potremo anche dire al duce che il fascismo non approva la politica rinunciataria di questi ultimi anni".
Quando, con il discorso del 3 genn. 1925, Mussolini imboccò la strada indicata dal F., sembrò naturale che questi fosse chiamato ad assumere maggiori responsabilità: il 12 febbraio Mussolini decise di affidare il partito nelle mani di un segretario generale e il prescelto per la carica fu appunto Farinacci.
Nell'assumere l'incarico, il 23 febbraio, il F. proclamò tra i suoi obiettivi la "purificazione" del partito e la fascistizzazione di tutti i settori della società italiana. "Sotto il profilo dei rapporti Mussolini-Farinacci non fu una collaborazione facile, né senza attriti. Su troppi punti i due uomini miravano ad obiettivi radicalmente o parzialmente diversi. Più di una volta Farinacci riuscì ad imporre il proprio punto di vista, caldeggiando nei suoi discorsi e dalle colonne di Cremona nuova soluzioni che Mussolini avrebbe poi fatto proprie al governo" (De Felice, 1968, p. 55).
Durante i tredici mesi del segretariato del F. si verificò una dicotomia ai vertici del fascismo, cui corrispondevano diversi settori sociali. Nella politica di Mussolini si ritrovavano la monarchia, le forze armate, il mondo industriale e finanziario, la media ed alta borghesia. All'intransigentismo del F. guardavano con simpatia strati di piccola borghesia oltre alle frange minoritarie ma estremamente attive di squadristi, cui venne dato nuovamente spazio. La politica normalizzatrice di Mussolini mal si conciliava con la ripresa dello squadrismo e con "alcune prese di posizione più violente e intransigenti di Farinacci che rischiavano di compromettere gli sforzi di Mussolini per legare a sé i fiancheggiatori e ricucire nell'opinione pubblica e nella classe politica le lacerazioni dei mesi precedenti" (De Felice, 1968, pp. 61 s.). Il F. si muoveva invece in direzione opposta, alimentando forti polemiche con la Chiesa e giungendo ad affermare che il delitto Matteotti aveva rafforzato il fascismo. Proprio al termine dei processo per quell'omicidio politico, nel quale il F. aveva assunto la difesa di Amerigo Dumini, venne, nel marzo 1926, il momento della resa dei conti tra il F. e Mussolini. Questi costrinse il F. a presentare le dimissioni, accolte dal Gran Consiglio il 30 marzo.
"Mussolini non solo non avrebbe più affidato a Farinacci, dopo il suo allontanamento dalla segreteria del Pnf, alcun incarico politico di rilievo (né nel partito né nel governo), ma avrebbe cercato a più riprese di distruggerlo politicamente e, addirittura, di farlo espellere dal partito (senza per altro riuscirvi, dato il prestigio che il ras di Cremona continuò a godere tra i vecchi fascisti e dato che il suo dissenso si basava su fatti difficilmente contestabili in toto); quanto a Farinacci, basterà dire che egli sarebbe finito per diventare il punto di riferimento di gran parte degli oppositori interni al regime, sia di quelli di "destra" sia di quelli di "sinistra", e avrebbe finito per assumere così il ruolo di loro interprete politico: l'"altro" che, bene o male, non poteva essere ignorato" (De Felice, 1968, p. 65).
Anche dopo la degradazione il F. continuò dunque a svolgere il ruolo di difensore dell'ortodossia fascista, non rinunciando mai a far conoscere il suo più o meno aperto dissenso. Disponeva, dopo la trasfonnazione di Cremona nuova in Regime fascista, di un organo di stampa a livello nazionale, mentre a Cremona il suo potere non risultava minimamente scalfito. Fu direttore della Cassa di risparmio lombarda e continuò ad esercitare la lucrosa attività forense. Nel 1929 venne rieletto alla Camera, ma dovette sopportare un'altra sconfitta, restando escluso dal Gran Consiglio. I rapporti con gli altri gerarchi non erano buoni e ciò esponeva il F. ai continui tentativi che essi facevano per screditarne l'immagine. Contro le ripetute accuse e insinuazioni che gli venivano rivolte, si appellava a Mussolini, ma senza successo.
Dopo una serie di rifiuti il duce accettò, il 21 nov. 1933, di incontrare il F. per un chiarimento. Non si sa in base a quali nuovi elementi o mezzi di pressione il F., dopo quell'incontro, riuscì a risalire la china e a ristabilire un modus vivendi con Mussolini. All'inizio del 1935 fu reintegrato nel Gran Consiglio e venne nominato ministro di Stato.
S'impegnò nella preparazione della campagna d'Etiopia, alla quale partecipò per breve tempo. La sua permanenza in terra africana fu infatti interrotta da un incidente accadutogli mentre pescava con una granata e che gli causò l'amputazione della mano destra. L'anno successivo, inviato da Mussolini in Spagna per assistere Franco, il F. perorò la richiesta di un intervento italiano a sostegno dei nazionalisti.
In questo periodo la sua influenza era accresciuta dal legame sempre più stretto tra il fascismo e il nazismo sancito dalla proclamazione dell'asse Roma-Berlino. Di tale intesa era stato uno dei più convinti assertori e ne divenne il più strenuo difensore fino al tragico epilogo. Il F., che vantava buoni rapporti con il vertice nazista, fu sempre considerato in Germania e in Italia come il più filotedesco tra i gerarchi fascisti. Nel 1938 fu il gerarca che maggiormente s'impegnò perché anche in Italia fossero varate leggi razziali e quindi si distinse nella campagna antisemita. La crescente sintonia tra nazismo e fascismo avrebbe dovuto portare, secondo il F., all'entrata in guerra dell'Italia a fianco della Germania già nel 1939. Le cose sembravano comunque andare per il verso voluto dal F. e questo contribuiva a rafforzare la sua posizione, tanto che nel 1939 venne nominato luogotenente generale della milizia. Quando l'andamento della guerra cominciò a volgere al peggio non ebbe esitazione ad addossarne la responsabilità ai comandanti italiani, ritenuti inetti (il suo bersaglio preferito fu P. Badoglio), proponendo che anche le truppe italiane venissero poste sotto il comando unificato tedesco.
Il F. contribuì, suo malgrado, a facilitare la manovra di D. Grandi, allorché richiese con insistenza, ed infine ottenne, la convocazione del Gran Consiglio per il 24 luglio 1943. Dopo aver preavvertito Mussolini di una possibile congiura ai suoi danni da parte di Grandi, degli ambienti militari e della Corona, il F. aveva intenzione di ottenere dal duce un maggiore coinvolgimento suo e degli altri gerarchi nelle decisioni. Voleva in pratica mettere fuori gioco i meno entusiasti della prosecuzione della guerra e dar vita ad un governo filotedesco. La convocazione del Gran Consiglio servì per scopi opposti a quelli perseguiti dal F., che venne così a trovarsi in una situazione difficile.
Nelle ore che seguirono la caduta di Mussofini trovò rifugio presso l'ambasciata tedesca e venne quindi fatto partire per la Germania. Qui il 27 luglio incontrò Hitler e nell'occasione non si trattenne dal criticare il comportamento di Mussolini, proponendosi, neanche tanto velatamente, di prenderne il posto. Questo atteggiamento contrariò Hitler e fece sorgere non pochi dubbi sulla sua affidabilità anche agli altri gerarchi nazisti.
Con la costituzione della Repubblica sociale italiana il F. non ebbe quelle posizioni di potere alle quali ambiva, considerando la sua coerente condotta filotedesca. Privato invece di qualsiasi carica di partito o di governo, si ritrovò ad esercitare il potere assoluto nella "sua" Cremona, da dove continuava a far sentire la sua voce in favore dell'intransigenza assoluta e dell'alleanza con i nazisti.
Il 27 apr. 1945, abbandonata Cremona, cercò di raggiungere la Svizzera, ma venne catturato dai partigiani nei pressi di Beverate. Da qui venne trasferito a Vimercate (prov. Milano), dove un tribunale del Comitato di liberazione nazionale lo sottopose a un processo sommario. Condannato a morte, il F. venne fucilato il 28 apr. 1945.
Della vasta pubblicistica politica del F. vanno ricordati: Il processo Matteotti alle Assise di Chieti, Cremona 1926; Un periodo aureo del Partito nazionale fascista. Raccolta di discorsi e dichiarazioni, a cura di R. Bacchetta, Foligno 1926; Redenzione. Episodio cremonese della rivoluzione fascista. Dramma in tre atti, Cremona 1927; Andante mosso (1924-1925), Milano 1929; Squadrismo. Dal mio diario della vigilia 1919-1922, Cremona 1933; Da Vittorio Veneto a piazza San Sepolcro, Milano 1933; La beffa del destino. Dramma in tre atti, Cremona 1937; La Chiesa e gli ebrei, Roma 1937; Storia della rivoluzione fascista, 3voll., Cremona 1937-39; Realtà storiche, ibid. 1939; Storia del fascismo, ibid. 1940; Costanzo Ciano, Bologna 1940; Donne d'Italia: Caterina da Siena, Cremona 1944.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Fondo Farinacci; Ibid., Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato (1922-1943), fasc. 242/R, "R. Farinacci"; corrispondenza tra il F. e Mussolini anche in Washington, D.C., National Archives, Italian Documents, Microfilm Collection T 586; Guida bibliografica del fascismo, a cura di G. Santangelo - C. Bracale, Roma 1928, ad Indicem; G. A. Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, 5 voll., Firenze 1929, passim; P. Pantaleo, Il fascismo cremonese, Cremona 1931, passim; Bibliografia generale delfascismo, II, Roma 1933, ad Indicem; G. Miglioli, Con Roma o con Mosca. Quarant'anni di battaglie, Cremona 1945, pp. 1, 37, 247, 200-285, 315-319; G. Cremonesi, Voci e moniti della vecchia Italia. Dalla democrazia di E. Sacchi alla signoria di R. F., Cremona 1946, pp. 9, 48, 192, 212-216, 223 s., 226 s., 229 ss., 235 s.; E. Cione, Storia della Repubblica sociale italiana, Caserta 1948, ad Indicem; G. Bottai, Vent'anni e un giorno, Milano 1949, ad Indicem; A. Tamaro, Venti anni di storia (1922-1943), I-II, Roma 1953, ad Indices; L. Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino 1956, ad Indicem; G. Ciano, Diario 1939-1943, I-II, Milano 1963, ad Indices; F. W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Torino 1963, ad Indicem; R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Torino 1964, ad Indicem; A. Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Torino 1965, ad Indicem; R. De Felice, Mussolini, I-VI, Torino 1965-1990, ad Indices; G. Rossini, Il delitto Matteotti tra il Viminale e l'Aventino, Bologna 1966, ad Indicem; P. Alatri, Le origini del fascismo, Roma 1966, ad Indicem; F. Gambetti, Gli anni che scottano, Torino 1967, ad Indicem; U. Alfassio Grimaldi-G. Bozzetti, F., il più fascista, Milano 1972; H. Fornari, La suocera del regime. Vita di R. F., Milano. 1972; F. Catalano, L'Italia dalla dittatura alla democrazia1919/1948, Milano 1972, ad Indicem; G. Nozzoli, Iras del regime, Milano 1972, pp. 150-165; S. Zavoli, Nascita di una dittatura, Torino 1973, ad Indicem; F. Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Bari 1974, ad Indicem; A. Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal1919 al 1929, Bari 1974, ad Indicem; M. Strada-G. Strada, Il fascismo in provincia. Nascita e caduta del fascismo nel Cremasco e nell'alto Cremonese, Crema 1975, passim; A. Répaci, Lamarcia su Roma, Milano 1975, ad Indicem; E. Santarelli, Storia del fascismo, Roma 1975, ad Indicem; P. Rotelli, Lo scontro tra il fascismo e il movimento operaio e contadino nel Cremonese, 1919-1922, Cremona 1975, passim; A. Tasca, Nascita e avvento del fascismo, Bari 1976, ad Indicem; A. A. Mola, Storia della massoneria italiana dall'Unità alla Repubblica, Milano 1976, ad Indicem; G. Bocca, La Repubblica di Mussolini, Bari 1977, ad Indicem; F. J. Demers, Le originidel fascismo a Cremona, Bari 1979, ad Indicem; H. Fornari, R. F., in Uomini e volti del fascismo, a cura di F. Cordova, Roma 1980; N. Tranfaglia - P. Murialdi - M. Legnani, La stampa italiana nell'età fascista, in St. della stampa ital., a cura di V. Castronovo e N. Tranfaglia, IV, Bari 1980, ad Indicem; G. Vannoni, Massoneria, fascismo e Chiesa cattolica, Bari 1980, ad Indicem; D. Veneruso, L'Italia fascista (1922-1945), Bologna 1981, ad Indicem; D. Grandi, 25 luglio. Quarant'anni dopo, a cura di R. De Felice, Bologna 1983, ad Indicem; G. Candeloro, Storia dell'Italia moderna, VIII-X, Milano 1984-1986, ad Indices; D. Grandi, Il mio paese. Ricordi autobiografici, Bologna 1986, ad Indicem; M. Missori, Gerarchie e statuti del P.N.F., Roma 1986, ad Indicem; E. Gentile, Storia del partito fascista 1919-1922. Movimento e milizia, Bari 1989, ad Indicem; Bibliografia orientativa del fascismo, a cura di R. De Felice, Roma 1991; E. Savino, La Nazione operante, Milano 1928, pp. 513 s.; Enciclopedia Italiana, XIV, ad vocem; Seconda Appendice, pp. 902 s.; Lessico universale italiano, VII, ad vocem; Enc. dell'antifascismo e della Resistenza, II, ad vocem.