Gavaldón, Roberto
Regista, attore e sceneggiatore cinematografico messicano, nato a Ciudad Jiménez (Chihuahua) il 7 giugno 1909 e morto a Città di Messico il 4 settembre 1986. Tra i più importanti cineasti messicani, è stato spesso sottovalutato a causa di un certo eclettismo che ha segnato la sua vasta filmografia qualitativamente discontinua. Pur nell'alternarsi di opere di mestiere ad altre più personali, del cinema di G. resta il segno di uno stile potentemente evocativo e a volte barocco, e di una cura figurativa nel costruire intrecci melodrammatici o nel disegnare con forza innovativa grandi affreschi in cui la storia e il folklore messicani vengono enfatizzati da personaggi e situazioni spinti verso un eccesso di tensione drammatica.
Militò per un breve periodo nella polizia municipale, che abbandonò per diventare attore. Fu interprete negli anni Trenta di alcuni film messicani come El prisionero 13 (1933) di Fernando de Fuentes o Cielito lindo (1936), che codiresse assieme a Robert O'Quigley. Sempre negli anni Trenta fece il suo apprendistato da assistente alla regia negli Stati Uniti, lavorando a fianco di un brillante artigiano di Hollywood, anch'egli cineasta-attore, Jack Conway. Assimilò così un solido mestiere di cui dette subito prova nel suo primo film di successo La barraca (1944), tratto da un romanzo di V. Blasco Ibáñez, cui presero parte in varie vesti professionali alcuni esiliati spagnoli, come le attrici Luana Alcañiz e Anita Blanch e gli sceneggiatori Libertad Blasco Ibáñez e Paulino Masip. In tale occasione G. fu salutato come l'erede del grande Emilio Fernández per la pregevole ricostruzione dell'ambiente valenciano e la vigorosa cadenza drammatica del film, che vinse nel 1946 l'Ariel d'oro, il premio nazionale per il miglior film dell'anno, riconoscimento che sarebbe poi stato conferito anche ad altre sue opere, come En la palma de tu mano (1950; Nel palmo della mano) e El niño y la niebla (1953).
Del 1946 è un'opera singolare come La otra (Vita rubata), fosco e delirante melodramma sul tema del doppio, percorso da umori sinistri e necrofili che rimandano a certi climi buñueliani, con Dolores Del Río nel ruolo di una manicure assassina che prende il posto della ricchissima sorella gemella, in un'atmosfera soffocante ben resa dalla suggestiva fotografia di Alex Phillips. Il film era stato sceneggiato, sulla base di un dramma di R. James, dallo scrittore José Revueltas con cui G. collaborò per altri film, riprendendo analoghe atmosfere inquietanti e melodrammatiche in La diosa arrodillada (1947; La dea inginocchiata) con María Félix, Deseada (1950) una storia di amori fatali ancora con la Del Río, e Sombra verde (1954) sceneggiato anche da Luis Alcoriza; oppure orchestrando, tra colore locale e notazioni etnografiche, grandi affreschi di vita popolare come El rebozo de Soledad (1952; Santa Cruz) con Pedro Armendáriz. Con Revueltas lavorò anche per il film che lo fece apprezzare dal pubblico internazionale, La escondida (1955; La passionaria), ancora con la Félix e Armendáriz, dove G. intreccia i motivi melodrammatici di una storia di passioni con un affresco corale del Messico durante la guerra civile contro la dittatura di P. Díaz, rappresentato dai vividi colori di Gabriel Figueroa. Con questo grande direttore della fotografia G. collaborò per altri film, come Camelia (1953; Donne e arena), dove la Félix incarna un personaggio vagamente ispirato alla dumasiana dame aux camelias, o per Flor de mayo (1957; Oltre ogni limite), sontuosa produzione a tratti oleografica ma suggestiva, tratta ancora una volta da un romanzo di Blasco Ibáñez, in cui recitò anche Jack Palance. Negli Stati Uniti G. girò Adventures of Casanova (1948; Capitano Casanova) con Arturo de Córdova e nel 1955 realizzò un film d'avventura per ragazzi con la Walt Disney Pictures, The littlest outlaw (Il piccolo fuorilegge).Del 1959 è Macario (Morte in vacanza), forse il suo film più personale, che venne candidato nel 1961 all'Oscar come miglior film straniero. G. elabora una parabola allegorica, ispirata a un racconto di B. Traven, nella quale un povero contadino combatte contro una fame atavica e incontra sotto vesti quotidiane le figure simboliche della Morte, di Dio e del Diavolo, nel corso dei festeggiamenti del 'giorno dei morti' e sullo sfondo di un Messico ancora sotto la dominazione spagnola, colto nella luce aspra e trasfigurata della fotografia di Figueroa. Se questo film risulta pervaso da una forza evocativa che richiama il cinema di Buñuel o di Ingmar Bergman, il successivo Días de otoño (1962), una storia di colpa e di follia, rimanda alla tensione psicologica di certi film di Alfred Hitchcock, mentre il film girato l'anno prima, ma bloccato dalla censura fino al 1973, Rosa blanca, ancora derivato da un racconto di Traven, mescola dramma sociale e cadenze popolari in una vicenda ambientata durante la nazionalizzazione dell'industria petrolifera da parte del presidente L. Cárdenas. Poi G. alternò opere di routine ad altre più impegnative, restando fedele a una certa magniloquenza ed esuberanza figurativa nel raccontare umori e vicende del suo Paese. Del 1964 è il notevole El gallo de oro, desolato apologo rurale sulla solitudine, la passione amorosa e la povertà tratto da un romanzo di J. Rulfo, cui si sarebbe successivamente ispirato Arturo Ripstein per un film altrettanto interessante, El imperio de la fortuna (1986). Gli ultimi film di G. furono ancora dei melodrammi, come La madrastra (1974) o La playa vacía (1976).
Le età d'oro del cinema messicano, a cura di A. Martini, N. Vidal, Torino 1997, passim.