LUCIFERO, Roberto
Nacque a Roma il 16 dic. 1903 da Alfonso, deputato dal 1886 al 1919, e da Elena Cloan-Spyer. Laureato in legge, avvocato, dopo l'8 sett. 1943 partecipò alla Resistenza romana nelle file del Centro della democrazia italiana, una formazione monarchica clandestina, guidata da E. Selvaggi. Nell'aprile 1944 fu catturato dalle SS tedesche e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli, da dove venne liberato il 4 giugno all'ingresso delle truppe alleate a Roma. Pochi giorni dopo partecipò alla costituzione del Partito democratico italiano (PDI), sorto dalla fusione tra il Centro della democrazia italiana, il Partito di unione e il Partito socialdemocratico. Membro dell'esecutivo del PDI, il L. divenne la firma di punta del quotidiano monarchico Italia nuova, dalle cui pagine prese ad attaccare le misure di epurazione antifascista del governo Bonomi e la "dittatura" del Comitato di liberazione nazionale (CLN). Il 12 sett. 1944 ebbe un incontro con A. De Gasperi e lo sollecitò a rompere l'alleanza con i comunisti.
Le prese di posizione oltranziste del L. creavano qualche imbarazzo negli ambienti monarchici ed erano ritenute controproducenti in quanto finivano per identificare casa Savoia con la destra reazionaria, proprio mentre la famiglia reale cercava di accreditarsi in senso democratico. Lo stesso Umberto di Savoia, parlando con F. Lucifero, cugino del L. e ministro della Real Casa, si mostrò contrariato per il tipo di campagna condotta dall'Italia nuova.
Nel 1945 venne designato alla Consulta nazionale e il 2 giugno 1946 fu eletto all'Assemblea costituente nelle liste del Blocco nazionale della libertà (composto dal PDI, dal Centro democratico e dalla Concentrazione democratico liberale), riportando 33.721 voti di preferenza nel collegio di Catanzaro. Di fronte all'esito del referendum istituzionale il L. avrebbe voluto che il re si attestasse su una posizione di estrema resistenza, come emerge da questa significativa pagina di diario di F. Lucifero.
"Oggi ho veduto Roberto di ritorno dalla Calabria, ove è riuscito eletto. Come al solito: "Ditemi cosa si vuole e a un mio cenno tutta l'Italia meridionale insorgerà!". Le solite esagerazioni: peccato! Egli desidererebbe essere nominato dal re capo del movimento monarchico, avere un giornale suo e danaro. Subito dopo è andato dal re" (F. Lucifero, p. 548). Ancora il 13 giugno, recatosi al Quirinale per salutare il re che si accingeva a lasciare l'Italia, il L. rivolse a Umberto un accorato "non parta, non parta, non parta" (ibid., p. 556).
Alla Costituente il L. fece parte della Commissione per la costituzione e intervenne, tra l'altro, sul diritto di sciopero, sulle autonomie locali, sui rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica, sulla tutela della morale pubblica, sull'uso dei titoli nobiliari e sull'avocazione dei beni appartenenti a casa Savoia. Il 4 marzo 1947, parlando in assemblea plenaria, si dichiarò contrario alla caratterizzazione in senso antifascista della Costituzione, sostenendo che essa non avrebbe dovuto contenere alcun riferimento "né in forma positiva, né in forma negativa" al fascismo.
Secondo il L. la carta costituzionale doveva piuttosto contenere una sorta di preambolo così concepito: "Il popolo italiano, invocando l'assistenza di Dio, nel libero esercizio della propria sovranità si è data la presente legge fondamentale, mediante la quale si costituisce e si ordina in Stato".
Il 25 nov. 1946 il PDI era intanto confluito nel Partito liberale italiano (PLI), in seno al quale il L., uomo dal temperamento combattivo, s'impegnò subito in una battaglia politica per portare il partito su posizioni marcatamente di destra. Quando, il 30 nov. 1947, si aprì a Roma il IV congresso liberale gli orientamenti del L. erano ormai condivisi dalla maggioranza del partito.
Dalla tribuna congressuale il 1( dicembre lanciò un appello "a tutte le forze borghesi e moderate" affinché si unissero in un'alleanza: "I termini di destra e sinistra - affermò il L. - hanno un significato pratico: quando il nemico è a sinistra noi siamo a destra, perché dobbiamo essergli di fronte" (Setta, p. 216). Una posizione diametralmente opposta a quella di B. Croce che, nel rassegnare davanti al congresso le proprie dimissioni da presidente del PLI, aveva detto: "Nel partito liberale la destra e la sinistra stanno sempre insieme, come fusione di due momenti della conservazione e del progresso: onde il partito liberale è veramente di centro; il solo partito di centro che sia logicamente concepibile" (ibid., p. 217).
Il 3 dicembre la mozione presentata dal L., che auspicava la costituzione di un fronte unico della destra, ottenne 381 voti contro i 373 ottenuti dalla mozione di centro, sulla quale erano confluiti i voti della sinistra del partito. Il L. coronava il proprio successo con l'elezione a segretario generale del PLI, ma non riuscì a realizzare compiutamente il suo disegno politico. Croce mise infatti in campo tutta la sua autorevolezza riuscendo a impedire che la svolta conservatrice approdasse a un'alleanza con i monarchici e i neofascisti.
All'appuntamento del 18 apr. 1948 il PLI si presentò alleato con il Fronte dell'Uomo qualunque di G. Giannini e con l'Unione per la ricostruzione di F.S. Nitti, dando vita al Blocco nazionale. Il L. contava di fare il pieno dei voti d'ordine, guadagnando il consenso di quanti non si sentivano sufficientemente garantiti dall'impegno anticomunista della Democrazia cristiana (DC).
Nel corso di un comizio a Napoli il 14 febbr. 1948 il L. aveva messo in dubbio l'affidabilità della DC nella quale a suo parere convivevano "Dossetti che è comunista, un paraliberale come Pella, e un paracomunista come Fanfani". E concluse: "Nessuno è più anticomunista di noi" (Gambino, p. 478 n.).
Il 18 aprile le urne assegnarono al Blocco nazionale appena il 3,8% dei voti e 19 seggi, assai meno del 12,1 % e dei 71 seggi che liberali e qualunquisti avevano ottenuto separatamente nelle elezioni del 1946. Il fallimento del progetto politico del L. - eletto al Senato nel collegio di Crotone con 34.182 voti - alimentò vivaci contestazioni nei suoi confronti che lo indussero a dimettersi, il 13 ott. 1948, da segretario generale. Mentre il suo successore, B. Villabruna, si impegnava nel difficile tentativo di riunificazione dei liberali, avviando una politica di collaborazione con la DC, il L. decise di non partecipare al V congresso del PLI (Roma, 9-11 luglio 1949) per rimarcare il suo distacco dal partito, che di lì a poco abbandonò.
Il L. diede vita prima al gruppo dei Liberali indipendenti e quindi al Partito nazionale liberale corporativo, battendosi contro l'approvazione della legge maggioritaria. Alle elezioni del 7 giugno 1953 venne candidato alla Camera dei deputati nelle liste del Partito nazionale monarchico (PNM) ed eletto nella circoscrizione di Catanzaro-Cosenza-Reggio di Calabria con 22.351 voti di preferenza; nel corso della seconda legislatura repubblicana il L. fece parte della commissione Giustizia. Alle successive elezioni del 25 maggio 1958 venne riconfermato deputato, riportando nella medesima circoscrizione 4.989 voti preferenziali e nella terza legislatura fu membro della commissione Industria e commercio. Fu tra i parlamentari monarchici che l'8 apr. 1960 votarono la fiducia al governo presieduto da F. Tambroni. Contrario alla fusione tra il PNM e il Partito monarchico popolare di A. Lauro, da cui nel 1961 nacque il Partito democratico di unità monarchica, concluse la sua carriera parlamentare nel gruppo misto.
Il L. morì a Roma l'11 marzo 1993.
Fonti e Bibl.: Atti dell'Assemblea costituente, Attività dei deputati, Roma 1948, pp. 154-156; F. Lucifero, L'ultimo re: i diari del ministro della Real Casa, 1944-1946, a cura di A. Lucifero - F. Perfetti, Milano 2002, ad ind.; B. Croce, Taccuini di guerra, a cura di C. Cassani, Milano 2004, ad ind.; E. Piscitelli, Storia della Resistenza romana, Bari 1965, ad ind.; F. Etnasi, 2 giugno 1946. Repubblica o monarchia?, Roma 1966, ad ind.; A. Ciani, Il Partito liberale italiano da Croce a Malagodi, Napoli 1968, pp. 61, 64, 68, 71; A. Gambino, Storia del dopoguerra. Dalla Liberazione al potere DC, Roma-Bari 1978, ad ind.; S. Setta, Croce, il liberalismo e l'Italia postfascista, Roma 1979, ad ind.; D. De Napoli, Il movimento monarchico in Italia dal 1946 al 1954, Napoli 1980, ad ind.; S. Marelli, Storia dei liberali da Cavour a Zanone, Pesaro 1981, pp. 144, 146; G. Artieri, Quarant'anni di Repubblica, Milano 1987, ad ind.; G. Sircana, R. L., in Il Parlamento italiano. Storia parlamentare e politica dell'Italia, 1861-1988, XIV, 1946-1947, Repubblica e Costituzione, Milano 1989, pp. 420, 578 s.; A.G. Ricci, Aspettando la Repubblica. I governi della transizione 1943-46, Roma 1996, ad ind.; A. Ungari, In nome del re. I monarchici italiani dal 1943 al 1948, Firenze 2004, ad ind.; S. Lupo, Partito e antipartito. Una storia politica della prima Repubblica (1946-78), Roma 2004, ad ind.; I deputati alla Costituente, Torino 1946, s.v.; Chi è?, 1957, s.v.; I deputati e i senatori del III Parlamento repubblicano, Roma 1958, s.v.; Enc. dell'antifascismo e della Resistenza, III, Milano 1976, s.v.; Grande Enc. della politica, vol. 22, marzo 1994, I monarchici, II, ad indicem.