COSTAGUTI, Roberto Ranieri
Nato a Livorno da Mattia e Rosa Nocetti il 15 giugno 1732, compì i primi studi a Pisa presso i barnabiti e a sedici anni divenne novizio dei servi di Maria nel convento della SS. Annunziata di Firenze. Completò la propria istruzione a Siena e a Senigallia e seguì il corso di teologia nel collegio di S. Marcello a Roma. Fu ordinato sacerdote il 21 dic. 1754 e fu subito nominato lettore di matematica nel convento di S. Giorgio a Bologna e poi in quello di Mantova. Presto si fece una cospicua fama come predicatore e alternò questa attività a quella di insegnante. Il 4 ott. 1759 fu nominato maestro di teologia. Fu priore e reggente di studio del convento di Faenza (1761) e successivamente di quello di Firenze (1766); ma la predicazione finì con l'assorbire quasi tutta la sua attività grazie ad un'oratoria che era considerata particolarmente brillante. Ciò gli fece guadagnare la stima di personalità influenti ed allargare le proprie conoscenze. Raccolse anche molteplici riconoscimenti, tra i quali l'iscrizione a numerose accademie, come quella di Mantova, Imola, Cortona e Foligno; a Roma fu arcade col nome di Lentisco Adrasteo. Nel 1765 predicò in S. Lorenzo in Damaso a Roma su invito del cardinale Stuart, e in quell'occasione parlò anche davanti al Collegio dei cardinali.
Nei mesi successivi predicò l'avvento e la quaresima a Malta e fu tale il successo che il gran maestro Emanuele Pinto fece scortare la sua nave fino a Napoli da una squadra dell'Ordine gerosolimitano agli ordini del principe di Rohan. Lo stesso gran maestro ricorse a lui poco dopo, quando, in seguito alla cacciata dei gesuiti dall'isola (1768), istituì un collegio di educazione e un'università. Raggiunta Malta col corpo accademico che aveva reclutato tra gli ecclesiastici italiani, il C. elaborò le costituzioni della nuova università, articolata in tre facoltà (teologia, giurisprudenza e medicina) con annessa scuola teorica e pratica di nautica. Alla morte del Pinto (1773) il nuovo gran maestro dell'Ordine licenziò tutti i docenti stranieri sostituendoli, per asseriti motivi economici, con personale dell'isola; e anche il rettore lasciò il posto.
Rientrato a Firenze, il C. riprese l'attività di predicatore. Clemente XIV lo invitò per la quaresima nella chiesa del Gesù a Roma (1774) e al ritorno a Firenze fu nominato preposto della cattedrale di Fiesole. Assai stretti divennero i suoi rapporti con la corte granducale, davanti alla quale predicò in varie occasioni. Sarebbe stata soprattutto la stima della granduchessa Maria Luisa, consorte di Pietro Leopoldo, a guadagnargli, secondo C. Cantù, la nomina a vescovo di Borgo Sansepolcro (14 dic. 1778) sebbene, stando ad un rapporto del residente milanese a Firenze, il papa avesse manifestato delle perplessità considerandolo "di poco sana dottrina e più cortigiano che ecclesiastico".
Anche dopo aver preso possesso della sede episcopale il C. continuò l'attività di predicatore e nel 1779 tenne il ciclo quaresimale a Vienna, davanti alla corte di Maria Teresa. Nondimeno intensa fu anche la sua attività di vescovo. Dal 1779 al 1797, epoca in cui la sua salute prese a peggiorare, compì quattro visite pastorali alle 135 parrocchie della diocesi, sparse tra Toscana e Romagna, senza tralasciare nemmeno quelle di montagna, più difficili da raggiungere. Apprezzata fu la sua carità, specialmente in occasione delle calamità naturali che colpirono la diocesi, come il terremoto del 1781 e la carestia del 1781 durante la quale vendette a beneficio dei poveri la maggior parte dei doni che aveva ricevuto durante le predicazioni e perfino la carrozza, che non avrebbe più ricomprato. Tra le iniziative che illustrano il suo zelo, è possibile ricordare la fondazione di una scuola per ragazze povere a San Piero in Bagno e la celebrazione in cattedrale di una messa, all'alba dei giorni festivi dell'avvento e della quaresima, a beneficio dei fedeli impossibilitati a frequentare la chiesa in ora più tarda per motivi di lavoro, come i barbieri, i bottegai, i domestici e i contadini.
Nella fase del riformismo ecclesiastico leopoldino il C. aderì alle sollecitazioni che gli pervenivano da Firenze riducendo conventi e monasteri, sopprimendo gli oratori a beneficio delle chiese parrocchiali e sciogliendo le confraternite laicali per sostituirle con quella della Carità, istituita in ciascuna parrocchia. Allo stesso modo dedicò particolare cura all'istruzione del clero, sia con numerosi appelli epistolari, sia con la riforma dei regolamenti del seminario, sebbene tale istituzione restasse sempre in condizioni precarie "attesa la povertà della maggior parte dei chierici".
Pur condividendo molte delle idee riformatrici, accreditando probabilmente così il sospetto romano di "poco sana dottrina", il vescovo C. rifiutò di piegarsi alle iniziative più spiccatamente ispirate dal giansenismo ricciano. I limiti dell'adesione al riformismo leopoldino emergono evidenti dalle risposte al questionario granducale dei "57 punti" e dal ruolo che egli svolse in seno alla successiva assemblea degli arcivescovi e dei vescovi tenutasi a Firenze dal 23 aprile al 5 giugno 1787 in preparazione del progettato sinodo nazionale destinato ad un definitivo rinvio.
Un rapporto del nunzio pontificio a Firenze L. Ruffo Scilla al segretario di Stato cardinal I. Boncompagni nei giorni in cui a Roma era maggiore la preoccupazione sull'atteggiamento, che i vescovi toscani avrebbero potuto assumere di fronte all'iniziativa sovrana rivela che il C. concordò la propria risposta ai quesiti posti dal questionario coi vescovi Niccolò Marcacci (Arezzo) e Gregorio Alessandri (Cortona). Tale iniziativa del C., anzi, suggerì al nunzio di sconsigliare una presa di posizione ufficiale da parte della S. Sede, a favore di analoghe consultazioni riservate tra i singoli vescovi, per non "ingelosire il governo". Lo stesso nunzio era in grado di riferire a Roma sin dal 20 marzo 1787 che sull'atteggiamento del C. non si dovevano nutrire dubbi di sorta e che anzi proprio a lui poteva esser fatta risalire almeno parte del merito per il "recupero" del vescovo di Cortona, già compromesso con la minoranza filoricciana e che ormai aveva "dato segni non equivoci di volersi riunire alla parte sana".
Il punto sul quale monsignor C. fornì una risposta di netta chiusura alle tesi granducali e ricciane fu quello relativo ai diritti dei vescovi. Pur convenendo sulla tesi che questi avevano rinunziato da tempo a certe prerogative, egli sostenne l'illiceità di "ripigliare la parte dei diritti rinunziati senza il consenso di quello a cui sono stati rinunziati e che nessuno nega essere il primo tra i suoi fratelli e il Capo della Chiesa". Questa assoluta fedeltà al primato di Roma il C. ebbe modo di ribadire anche in assemblea, in seno alla quale si accollò il compito di contrastare le tesi dei ricciani relativamente al piano degli studi ecclesiastici, tema sul quale egli era particolarmente preparato vista l'esperienza acquisita in tanti anni.
Su tale argomento il C. ebbe anzi due scontri particolarmente vivaci col vescovo di Pistoia e Prato. Il primo fu a proposito della dottrina di s. Agostino, che a parere del Ricci avrebbe dovuto informare gli studi ecclesiastici senza alcuna intermediazione. Secondo il C. tale dottrina doveva essere seguita sulla base dell'interpretazione di s. Tommaso e della scolastica. Il secondo fu provocato dall'atteggiamento del C. in merito ai libri di cui il granduca avrebbe dovuto fornire le singole parrocchie dello Stato. Alcuni di questi volumi erano inseriti nell'Indice romano e il C. sostenne animatamente l'opportunità di escluderli poiché, disse, "la Chiesa parlando per bocca del Sommo Pontefice ha di essi giudicato". E aggiunse che "non volendosi allontanare dall'unità della Prima Sede è necessario in materia di fede e di disciplina stare alle decisioni della medesima". E poiché il Ricci obiettò che alcuni di tali libri recavano sul frontespizio una dedica al granduca e che non si potevano quindi escludere senza offendere il sovrano, il C. replicò che un vescovo "non può erigersi in giudice delle censure del Romano Pontefice". Il Ricci insorse contestando allora l'infallibilità e l'irreformabilità delle decisioni di Roma, sostenendo l'autorità dei vescovi a giudicare in materia e quella del sovrano sull'applicazione della censura nel proprio Stato, ma l'assemblea cercò un compromesso che portò poi all'approvazione di un piano di studi in cui i volumi più discussi erano stati eliminati, a cominciare da quello del Quesnel, sebbene dedicato a Pietro Leopoldo.
Il rigido atteggiamento tenuto in assemblea dal C. sorprese e amareggiò il granduca, che gli divenne ostile. Nella Relazione sul governo della Toscana redatta nell'atto di lasciare il granducato (1790), Pietro Leopoldo scrisse che il C. era "uomo senza carattere, finto, falso, pronto a mutare opinione e di carattere, quando crede di fare il suo gioco" e aggiunse che era "un uomo più pericoloso di tutti, da non se fidar mai per la sua doppiezza e falsità".
Gli ultimi anni della vita del C. furono resi penosi, oltre che dalla situazione politica, anche dal progressivo aggravarsi di una malattia agli occhi che nel 1808 lo lasciò quasi dei tutto privo della vista. In conseguenza di ciò egli chiese di lasciare la diocesi, ma venne invitato da Pio VII a restare al proprio posto. Durante il periodo napoleonico non volle prestare giuramento al regime e rifiutò anche di fregiarsi della Legion d'onore. Pari energia seppe usare nel critico momento del crollo dell'Impero, quando riuscì ad assicurare un tranquillo trapasso di regime.
Morì a Sansepolcro (Arezzo) il 16 nov. 1818, lasciando quasi tutto il suo patrimonio ai poveri della città.
Fonti e Bibl.: Sansepolcro, Arch. vescovile, Atti benefiziali dal 1776 al 1780 e Atti episc. dal 1779 al 1791; Carteggio del governo al vescovado di mons. R.C., tomi I-XIII (1772-1818); Lettere del governo, t. XVII (1781-1834); Corrispondenza, t. XXV; Lettere e decreti della S. Congregazione, t. IX (1767-1818); Rescritti e decreti dell'Ordinario e sua Curia, tomi V-IX; Vescovi C., Tommasi, Singlau, t. XI; Visite pastorali, anni 1779-1783, 1780-1818; Varie poesie di mons. C., Patenti di accademico e poesie in elogio del medesimo;Firenze, Arch. d. Convento S. Annunziata, Miscell. su R.C. (contiene una raccolta delle pastorali del vescovo); Roma, Arch. generale dell'Ordine dei servi di Maria, Provinciae et conventus, tre registri della provincia toscana (1720-1799), e Copialettere Adami, vol.33 (1768-1770); Arch. Segr. Vaticano, Proc. Dat. 1778. vol. 155, ff. 105-120. Per la vicenda dell'università di Malta: Arch. Segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Malta, 135, ff. 23, 73-76, 104, 124; 136, f. 137. Per i rapporti col governo granducale: Arch. di Stato di Firenze, Segreteria di Gabinetto, Affari del vescovo di Sansepolcro, vol. 39; Arch. Segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Firenze, 168 A, ff. 321, 350-353, 377, 390, 419-422, 427-432, 437-439, 442-447; 170, ff. 96, 139, 199-200; 171, f. 130; 251, f. 21 (dispacci del nunzio Ruffo di Scilla durante l'assemblea dei vescovi); Novelle letter. (di Firenze) XXIX (1768), col. 241; n. s., VII (1776), col. 113; Punti ecclesiastici compilati e trasmessi da S.A.R. a tutti gli arcivescovi e vescovi..., Firenze 1787, pp. 185-236; Atti dell'Assemblea degli arcivescovi e vescovi .... Firenze 1787, passim;[R. Tanzini] Istoria dell'Assemblea degli arcivescovi e vescovi.... Firenze 1788, pp. 109-111 e passim. Vedi, inoltre, F. Gherardi Dragomanni, Elogio stor. di mons. R.C. livornese, vescovo..., Firenze 1836; N. Tommaseo, Diz. estetico, Venezia 1840, p. 179; F. Pera, Ricordi e biogr. livornesi, Livorno 1867, pp. 253-259; C. Cantù, La Repubblica e il Regno d'Italia e la Toscana, in Arch. storico ital., s. 4, XIV (1884), p. 174; A. Mifsud, L'espulsione dei gesuiti da Malta nel 1768 e le loro temporalità, in Archivum Melitense, II (1913), 17, pp. 113-175; L. Viviani, Storia di Malta, Torino 1933, I, p. 326; V. Laurenza, Il primo rettore e i primi statuti dell'Università di Malta, Malta 1934; R. Taucci, Mons. R. C., in Studi storici dell'Ordine dei Servi di Maria, II (1934), pp. 109-125; N. Risi, Zelo e fortezza evangelica di mons. R.C., in Civiltà cattolica, XCIV(1934), 2, pp. 155-163; Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, Firenze 1941-42, I, pp. 464 s.; Pietro Leopoldo, Relaz. sul Governo della Toscana, a cura di A. Salvestrini, Firenze 1969, ad Ind.; E. Agnoletti, Mons. R.M.C. (1778-1818), Sansepolcro 1964; M. Pieroni Francini, Un vescovo toscano tra riformismo e rivoluzione. Mons. Gregorio Alessandri (1776-1802), Roma 1977, pp. 67 s., 136 s., 174 s., 216 s., 235 s.; P. Ircani, I fatti del giansenismo toscano nellericordanze di P. C. Battini O.S.M., in La SS. Annunziata di Firenze, Firenze 1978, II, pp. 309315; Enc. cattolica, X, col. 1812.