Robotica medica e società
I rapidi sviluppi della robotica negli ultimi vent’anni del 20° sec. hanno dato un forte impulso alla progettazione di sistemi robotici per la chirurgia, la diagnosi, la riabilitazione, la prostetica, l’assistenza rivolta a persone diversamente abili e anziani. Nell’ambito della chirurgia, la ricerca robotica si propone principalmente di ridurre il grado di invasività degli interventi chirurgici, garantendo al contempo una precisione elevata, paragonabile o anche superiore a quella dell’operatore umano. Analogamente, in ambito diagnostico si progettano sistemi robotici sia per esplorare parti del corpo umano difficilmente accessibili in altro modo sia per ridurre l’invasività degli interventi esplorativi condotti con l’ausilio di strumenti diagnostici più tradizionali, alleviando di conseguenza lo stato di disagio fisico e psicologico del paziente. Nel settore della riabilitazione, i sistemi robotici in grado di affiancare o di sostituire gli operatori umani sono proposti come strumenti per fronteggiare la richiesta crescente di risorse umane ed economiche da destinare alle terapie riabilitative, per introdurre protocolli riabilitativi più efficaci e per ridurre la fatica del personale che somministra le terapie. Anche l’invecchiamento della popolazione comporta un incremento senza precedenti nella domanda di risorse umane ed economiche da destinare all’assistenza domiciliare e ospedaliera agli anziani. I sistemi robotici possono contribuire in modo rilevante a fronteggiare questa domanda svolgendo direttamente alcune funzioni di assistenza, soprattutto in relazione all’esecuzione di compiti ripetitivi e ben strutturati. Infine, la robotica mette a disposizione della prostetica tecnologie per il coordinamento percezione-azione e sistemi avanzati di controllo con lo scopo di restituire capacità perdute di interazione con l’ambiente a soggetti che hanno subito amputazioni o che sono affetti da forti limitazioni percettive e motorie.
La robotica medica contribuisce dunque a estendere e a migliorare le possibilità di intervento in tutti questi settori della medicina – anche potenziando direttamente le capacità percettive, cognitive e motorie del medico – attraverso lo sviluppo di dispositivi nei quali confluiscono capacità sensoriali, motorie e di elaborazione dell’informazione.
La robotica medica è un campo d’indagine multidisciplinare che richiede la convergenza di competenze specifiche di robotica, medicina e informatica, sia nella fase di individuazione delle funzionalità richieste sia nelle varie fasi in cui si articola il processo di progettazione, sviluppo e valutazione dei sistemi robotici. In tutte queste fasi, insieme alle problematiche di carattere scientifico e tecnico, bisogna affrontare rilevanti questioni di carattere etico, politico ed economico, che spaziano dai temi del consenso informato e dell’attribuzione di responsabilità morale e oggettiva ai temi dell’equità e della giustizia distributiva nell’assegnazione di risorse tecnologiche avanzate per la sanità. Pertanto, la descrizione di applicazioni significative nei vari settori della robotica medica sarà accompagnata nei paragrafi seguenti da considerazioni sui vantaggi attesi e sulle motivazioni soggiacenti, sulle sfide scientifiche e tecnologiche che attendono i ricercatori e sui problemi di carattere etico, politico ed economico che richiedono l’elaborazione di soluzioni partecipate e condivise.
Robotica e chirurgia
Applicazioni
Un sistema robotico può ricoprire vari ruoli funzionali in sala operatoria (Jacob, Gagner 2003; Taylor, Menciassi, Fichtinger, Dario 2008). Anzitutto, può fornire un supporto esterno all’azione del chirurgo. AESOP (Automated Endoscopic System for Optimal Positioning), il primo robot chirurgico a essere stato approvato (nel 1994) dalla statunitense Food and drug administration, consentiva di posizionare un endoscopio all’interno del corpo del paziente mediante un braccio robotico guidato da comandi vocali impartiti dal chirurgo. Robot dotati di funzioni analoghe possono costituire il nucleo di sistemi per la ricostruzione tridimensionale degli organi sui quali effettuare l’intervento. Inoltre, la disponibilità di collegamenti a banda larga per la trasmissione di dati apre la possibilità di sviluppare dei ‘consulenti’ robotici per l’intervento chirurgico: un medico esperto che non si trova sul luogo dell’intervento può telecomandare un robot mobile posto all’interno della sala operatoria, allo scopo di interagire in videoconferenza con l’équipe medica presente in sala, di collegarsi alle apparecchiature e di osservare in diretta le immagini endoscopiche (RemotePresence-7, sviluppato dalla società statunitense InTouch health, è un esempio di consulente robotico che svolge proprio queste funzioni). Infine, un sistema robotico può prendere parte diretta all’intervento: può, per es., manovrare strumenti pesanti o poco maneggevoli, come quelli impiegati in operazioni di trapanazione e limatura delle ossa. Scenari applicativi particolarmente interessanti sono costituiti dagli interventi, non solo ortopedici, nei quali il sistema robotico si sostituisce al chirurgo, ne estende le capacità, oppure ne vincola opportunamente i movimenti. Sistemi dotati di queste funzionalità sono stati progettati sia per interventi specifici, come Probot (sviluppato presso l’Imperial college di Londra e usato nelle operazioni di rimozione della prostata) o PAKY-RCM (Percutaneous Access to the KidneY-Remote Center of Motion, sviluppato principalmente presso la statunitense Johns Hopkins university, in grado di eseguire iniezioni di precisione), sia per eseguire una gamma più ampia di interventi, come Zeus (sviluppato dalla società statunitense Computer motion) oppure da Vinci (commercializzato dalla società statunitense Intuitive surgical). Questi ultimi sono dotati di vari bracci, telecomandati da un operatore situato a una certa distanza dal paziente, sui quali sono montati endoscopi, pinze, forbici e altri strumenti chirurgici. Sistemi come CyberKnife (sviluppato dall’azienda statunitense Accuray) svolgono un ruolo centrale negli interventi radiochirurgici: dotati di bracci che si muovono automaticamente in una regione esterna al corpo del paziente, irradiano con alta precisione le aree affette da patologie tumorali.
Aspettative e sfide per la ricerca
Alcuni vantaggi che possono derivare dall’impiego di robot nella sala operatoria sono specificamente legati alle tecnologie chirurgiche minimamente invasive (TMI). Le TMI, che comprendono strumentazione chirurgica ed endoscopica miniaturizzata introdotta nel corpo del paziente attraverso piccole fessure, permettono di diminuire l’invasività dell’intervento e, di conseguenza, di ridurre il dolore postoperatorio e i tempi di convalescenza. L’ampia diffusione delle TMI negli ultimi anni del 20° sec. ha sollevato al contempo nuove aspettative e nuovi problemi da risolvere. In primo luogo, la miniaturizzazione degli strumenti chirurgici ha comportato, almeno inizialmente, una loro minore funzionalità. In secondo luogo, il meccanismo di controllo degli strumenti riproduce, e talvolta perfino amplifica, il tremore naturale della mano del chirurgo. Nel caso della telecamera endoscopica, il tremore della mano che controlla l’endoscopio si riflette in un’immagine instabile che può influire sull’accuratezza dell’intervento. Infine, le TMI impongono movimenti non sempre naturali da parte del chirurgo. Molti strumenti utilizzati in questo ambito sono controllati attraverso tubi lunghi e sottili, che fanno perno sul punto di incisione nel corpo umano: i movimenti della mano del chirurgo hanno quindi direzione opposta ai movimenti dello strumento.
La robotica ha contribuito e può ulteriormente contribuire a risolvere queste difficoltà. Molti robot chirurgici, tra i quali da Vinci, comprendono strumenti chirurgici dotati di un elevato grado di libertà, superiore comunque a quello degli strumenti tradizionalmente utilizzati nell’ambito delle TMI. Inoltre, i collegamenti tra i movimenti della mano del chirurgo e quelli degli utensili sono mediati da sistemi di controllo elettronico. Tramite l’elaborazione del movimento del chirurgo è possibile cancellare il tremore, ottenendo quindi movimenti fluidi e precisi. In sistemi come Zeus e da Vinci non insorgono problemi relativi al tremore dell’endoscopio, poiché quest’ultimo è generalmente controllato da un braccio meccanico che agisce in base a comandi vocali. Infine, i sistemi robotici sono in grado di garantire una maggiore ‘naturalezza’ nel controllo degli strumenti: attraverso l’elaborazione dei movimenti del joystick manovrato dal chirurgo risulta possibile ripristinare la corrispondenza tra i movimenti di quest’ultimo e quelli dello strumento. La precisione nell’esecuzione dell’intervento è incrementata dalla possibilità di variare il rapporto tra l’ampiezza dei movimenti del chirurgo e l’ampiezza dei movimenti dell’utensile. In operazioni che richiedono particolare cautela, il chirurgo può impostare il robot in modo tale da far corrispondere movimenti ampi del joystick a micromovimenti dell’utensile. Il fattore di scala può essere variato durante l’intervento dal chirurgo, garantendo quindi una notevole flessibilità dello strumento. Alcuni sistemi robotici permettono inoltre di ricalibrare in corso d’opera la relazione tra lo spazio operativo del chirurgo e lo spazio operativo dell’utensile. Se, per es., per controllare uno strumento l’operatore è costretto a raggiungere posizioni innaturali o poco confortevoli, il movimento dello strumento può essere arrestato e ripreso dopo aver ricollocato il joystick in una posizione naturale.
Pertanto, l’impiego di tecnologie robotiche può contribuire significativamente a migliorare le applicazioni chirurgiche delle TMI. Ma vi sono numerosi altri vantaggi che possono derivare dall’utilizzazione di robot nel corso di un intervento chirurgico. Per es., è stato già ricordato che un robot può maneggiare con la necessaria precisione strumenti troppo pesanti o poco maneggevoli per l’operatore umano. Inoltre, un sistema robotico può svolgere un ruolo cruciale nella fase preoperatoria di pianificazione dell’intervento e nella fase successiva di esecuzione del piano. Per illustrare questa possibilità si consideri il seguente scenario di interazione tra chirurgo e robot. Si effettua anzitutto una ricostruzione approfondita (in due o tre dimensioni) dell’organo interessato dall’intervento e delle parti circostanti; il chirurgo fornisce informazioni al sistema delimitando, con l’ausilio del monitor collegato al robot, le aree sulle quali intervenire e quelle da lasciare intatte; sulla base di queste e di altre informazioni, il sistema pianifica ed esegue le varie fasi dell’intervento chirurgico, mentre il chirurgo procede a monitorare l’attività del robot, eventualmente interrompendo l’esecuzione del compito o variandone alcuni parametri, come la velocità di esecuzione. Un meccanismo di questo tipo è implementato nel già citato Probot che è stato specificamente progettato per la chirurgia prostatica.
Un altro vantaggio è indubbiamente rappresentato dalla teleoperazione a distanza, una delle potenzialità applicative più ampiamente discusse in relazione alla chirurgia robotica: la disponibilità di un collegamento a banda larga (tramite cavi o tecnologie senza fili) offre a chirurghi situati lontano dalla sala operatoria la possibilità di controllare in remoto il sistema robotico. Questa opportunità è stata messa in atto nel 2001, quando un chirurgo ha eseguito da New York una colecistectomia su una paziente che si trovava a Strasburgo, controllando a distanza un robot Zeus. In linea di principio, la teleoperazione lascia intravedere la possibilità di eseguire interventi a distanza in contesti poco accessibili (per es., in uno scenario bellico o a bordo di una navetta spaziale). Analogamente, un ospedale dotato di un robot teleoperato può ricorrere a un chirurgo esperto senza richiederne la presenza sul posto. Infine, le tecnologie robotiche permettono di ridurre il personale richiesto in sala operatoria non solo in virtù di applicazioni teleoperative, ma anche attraverso la sostituzione di assistenti umani con assistenti robotici. Il già citato sistema AESOP, controllato tramite comandi vocali, era stato progettato per fare le veci di un operatore umano addetto al controllo di un endoscopio. Spingendo all’estremo il processo di sostituzione, e supponendo che le relative sfide scientifiche e tecnologiche possano essere vinte, si potrebbe ipotizzare un chirurgo completamente automatico, eventualmente sottoposto a controllo a distanza, in grado di pianificare ed effettuare interventi anche quando la disponibilità di personale sia ridotta al minimo.
Alle frontiere della ricerca nel settore della robotica chirurgica si colloca la nanorobotica, che si propone di costruire robot di dimensioni estremamente ridotte in grado di effettuare interventi a livello delle singole cellule. I nanorobot sarebbero costituiti da ‘macchine molecolari’, ovvero da strutture molecolari il cui movimento può essere controllato sulla base delle loro proprietà chimiche ed elettriche. Robot di questo tipo potrebbero essere impiegati, per es., per la ricostruzione di tessuti danneggiati oppure per l’identificazione e la distruzione di cellule cancerogene. Si ritiene che la ricerca nel settore della nanorobotica sia destinata a svilupparsi estesamente nel corso del 21° sec. (Drexler 2004).
Problemi e sfide per la società
Le potenzialità applicative della robotica in chirurgia sono molteplici, ed è ragionevole supporre, almeno in linea di principio, che il supporto di un sistema robotico possa contribuire in modo significativo a migliorare l’efficienza dell’intervento, riducendo al tempo stesso invasività e tempi di convalescenza. Gli scenari applicativi così prospettati sollevano alcuni problemi di carattere etico, politico ed economico relativi sia allo sviluppo sia all’utilizzazione di queste tecnologie innovative.
Vi sono problematiche legate al costo delle tecnologie robotiche per la chirurgia. Non si tratta solamente del costo delle apparecchiature stesse (che, nel caso di sistemi robotici complessi e accurati come da Vinci, sono elevati), ma anche delle spese legate sia all’impiego sia alla loro manutenzione. È stato calcolato che la colecistectomia transatlantica effettuata nel 2001 è costata complessivamente diverse decine di milioni di dollari. Se, da un lato, lo sviluppo di robot teleoperati che siano dotati di elevata destrezza e precisione può contribuire, entro certi limiti, a ridurre il personale medico necessario (rendendo quindi queste tecnologie potenzialmente adatte alle sale operatorie situate in Paesi che non sono in grado di sostenere spese elevate per il personale sanitario), dall’altro è poco plausibile che si possa fare a meno di personale tecnico in loco con compiti di monitoraggio e manutenzione dell’apparato. Se i costi legati a produzione, impiego e manutenzione dei robot chirurgici permangono elevati, allora i potenziali vantaggi di precisione e riduzione dei disagi per i pazienti richiedono un’attenta valutazione e devono essere considerati nel contesto più ampio di un uso equo delle tecnologie robotiche in condizioni di disponibilità limitata di risorse per i servizi sanitari.
Altre problematiche etiche e giuridiche sono strettamente legate alla limitata capacità di prevedere e controllare il comportamento di alcuni sistemi robotici da parte di progettisti, produttori e operatori, e ai conseguenti problemi di attribuzione di responsabilità morale e oggettiva. Si consideri il caso di robot chirurgici semiautonomi come Probot, che sono in grado di eseguire una pianificazione preoperatoria sulla base dei dati forniti dall’operatore e di altre conoscenze di fondo. L’operatore è in grado di interrompere l’esecuzione del piano e modificarne certi parametri, ma eventuali errori di programmazione nel sistema di pianificazione o il verificarsi di circostanze esterne poco prevedibili che perturbino il comportamento del robot possono ovviamente avere conseguenze indesiderate. Problemi di questo tipo devono essere affrontati anche in relazione ai recenti progetti di ricerca dedicati alla costruzione di minirobot chirurgici, in grado di entrare nel corpo umano attraverso i suoi orifizi naturali senza bisogno di ulteriori incisioni, e di eseguire interventi in modalità semiautonoma. Non sono esenti da problemi di prevedibilità e controllabilità nemmeno i robot teleoperati, come da Vinci, spesso (ma erroneamente) ritenuti sistemi puramente telecomandati e completamente vincolati dalle scelte dell’operatore.
In effetti, è plausibile assumere che sistemi di teleoperazione includano moduli tali da richiedere al sistema di adattarsi all’operatore umano mediante un processo di addestramento, per il quale è necessaria l’applicazione di algoritmi di apprendimento. Ciò accade, per es., nel caso dei sistemi di controllo vocale, quando bisogna calibrare il sistema in base alle caratteristiche della voce dell’operatore. È opportuno notare a tale proposito che i metodi di apprendimento automatico consentono di limitare l’incidenza statistica di errore del sistema, ma non di escluderne completamente la possibilità. È poi necessario considerare che una teleoperazione efficiente degli strumenti chirurgici può difficilmente prescindere dalla presenza di un riscontro sensoriale sulle caratteristiche del tessuto su cui ha luogo l’intervento. Sistemi di questo tipo potrebbero includere meccanismi di percezione aptica, mediante i quali la rigidezza e altri parametri motori del joystick vengono controllati per ricreare artificialmente, nell’operatore, sensazioni tattili che corrispondono al contatto diretto con il tessuto. In mancanza di sistemi di questo tipo, gli operatori di robot come da Vinci sono costretti a stimare le caratteristiche di rigidezza dei tessuti soltanto sulla base delle informazioni visive.
Lo sviluppo di dispositivi aptici è una precondizione cruciale per la realizzazione di sistemi chirurgici efficaci. Inoltre, le dimensioni e la stessa conformazione di un robot come da Vinci rendono difficoltosa la comunicazione tra membri dell’équipe chirurgica. Nel da Vinci il chirurgo è completamente immerso nella console di comando ed è generalmente impossibilitato a osservare dall’esterno il funzionamento del robot, mentre la conformazione dei bracci del robot non permette al personale di intrattenersi nelle vicinanze del paziente. È infine logico supporre che vi sia un limite alla distanza dalla quale è ragionevole teleoperare un robot: qualsiasi sistema di teleoperazione è naturalmente soggetto a tempi di latenza, dovuti alla velocità di trasmissione del segnale e alla necessità di algoritmi che ne preservino la qualità nonostante i disturbi lungo la linea; la latenza, che aumenta in funzione della distanza tra l’operatore e il robot, può rivelarsi eccessiva in contesti in cui sia necessaria un’elevata capacità reattiva rispetto a eventi imprevisti; può rendere inoltre poco naturale la coordinazione tra percezione e azione nel chirurgo, dato il ritardo che intercorre tra l’esecuzione dei comandi e il riscontro visivo sulle loro conseguenze.
Nel complesso, il dispiegamento di un sistema robotico per la chirurgia richiede in via preliminare l’individuazione di fattori di rischio specificamente associati al sistema e un’attenta analisi costi-benefici. Dal punto di vista dell’etica applicata, bisogna affrontare le problematiche collegate alla protezione e alla promozione dell’autonomia del medico e del paziente, all’individuazione di criteri appropriati per l’attribuzione di responsabilità morale e oggettiva, alla distribuzione equa delle risorse tecnologiche. È opportuno ricordare, in relazione all’autonomia del paziente sottoposto a un intervento di chirurgia robotica, la sentenza emessa nel 2007 da un tribunale tedesco, con la quale è stato concesso un risarcimento a un paziente operato con l’ausilio del sistema Robodoc, per difetto di informazione e di relativo consenso in merito ai rischi specificamente derivanti dall’utilizzazione della tecnologia robotica. Per quanto riguarda il medico, a fronte di un’aspettativa di maggiore precisione e minore invasività, bisogna considerare la possibile riduzione di autonomia decisionale dovuta al controllo condiviso dell’azione con il sistema robotico, tenendone conto nella formulazione di criteri appropriati per l’attribuzione di responsabilità, e identificare le controversie giurisdizionali che possono insorgere nel caso di teleoperazioni che coinvolgono squadre di medici e apparecchiature dislocati in più Paesi.
Robotica e diagnosi medica
Applicazioni
Sono stati sviluppati vari tipi di sistemi robotici per il supporto alla diagnosi medica (Taylor, Menciassi, Fichtinger, Dario 2008). Alcuni di questi sistemi consistono in bracci robotici che controllano i movimenti di sensori posti nelle vicinanze o a contatto con la pelle, senza comportare l’inserimento di strumenti all’interno del corpo del paziente. Rientrano in questa categoria i sistemi robotici ecografici, in grado di spostare la sonda sotto il diretto controllo del medico, o di generare movimenti in maniera semiautonoma in funzione sia di conoscenze pregresse sia dell’elaborazione dei dati acquisiti durante la diagnosi stessa. Altri sistemi sono in grado di controllare (anche in modalità semiautonoma) i movimenti di sonde inserite nel corpo del paziente. In alcuni casi (come in quelli dei già citati sistemi Zeus e da Vinci), la sonda viene spinta dall’esterno del corpo del paziente attraverso i movimenti di un braccio robotico. È possibile inoltre dotare la sonda di sistemi propri di locomozione, che le permettano di procedere nell’esplorazione interna senza la necessità di spinte impartite dall’esterno del corpo del paziente. Alcuni di questi sistemi di locomozione sono basati su piccole ruote che aderiscono alle pareti interne. Altri sistemi sfruttano strategie simili a quelle utilizzate da insetti o animali: l’avanzamento della sonda può essere determinato, come nel caso di un sistema ideato per la colonoscopia, dalla compressione ed espansione ritmica di una struttura composta da piccoli anelli, simile a quella che sta alla base della locomozione di vermi anellidi come i lombrichi. Sistemi di questo tipo sono stati ideati e sviluppati presso il Centro di ricerca in microingegneria della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa (si veda, per es., Quirini, Menciassi, Scapellato et al. 2008). Di particolare interesse è la possibilità di includere batterie e sistemi di trasmissioni senza fili all’interno dell’endoscopio, in modo tale da potere fare a meno di collegamenti fisici tra quest’ultimo e i dispositivi esterni di analisi e di controllo.
Aspettative e sfide per la ricerca
Con l’ausilio di un sistema robotico semiautonomo il medico può fare a meno di eseguire controlli che comportano movimenti ripetuti per lungo tempo, l’assunzione di posizioni scomode e l’uso di sonde poco maneggevoli. I meccanismi di locomozione semiautonoma delle sonde endoscopiche possono inoltre contribuire ad alleviare le sofferenze del paziente, poiché permettono (almeno in linea di principio) una navigazione più morbida e adatta alle caratteristiche locali del condotto interessato dalla diagnosi. Tecnologie endoscopiche per la diagnosi interna, come quelle utilizzate nel da Vinci, permettono di minimizzare l’invasività dell’intervento diagnostico, diminuendo conseguentemente il disagio del paziente. Come già discusso a proposito di altri settori della robotica medica, una forte spinta allo sviluppo di queste tecnologie deriva dalla prospettiva della teleoperazione (Martinelli, Bosson, Bressollette et al. 2007): il controllo dei movimenti dello strumento e l’analisi dei dati potrebbero essere effettuati in tempo di esecuzione da un medico situato a grande distanza dalla clinica in cui si trova il paziente.
La possibilità di interventi diagnostici a distanza solleva alcuni problemi di carattere tecnologico condivisi con la robotica chirurgica, come quello della miniaturizzazione dei componenti robotici, e problemi più specifici del settore, come quelli legati alla realizzazione dei sistemi di alimentazione delle sonde robotiche, fondamentali per sviluppare sistemi robotici diagnostici in grado di produrre effettivi vantaggi rispetto ai metodi tradizionali.
Problemi e sfide per la società
Si ripropongono in questo contesto molte delle questioni elencate a proposito della robotica chirurgica, che comprendono l’autonomia del medico e la controllabilità dell’apparato diagnostico, i costi e l’utilizzazione equa delle tecnologie avanzate, i rischi derivanti specificamente dalla diagnosi in casi di teleoperazione e le questioni giurisdizionali connesse.
Robotica e riabilitazione
Applicazioni
Soggetti che abbiano subito danni al sistema nervoso centrale o periferico a seguito, per es., di infarti cerebrali o lesioni spinali possono soffrire di gravi limitazioni nel controllo dei movimenti. Talvolta è possibile sfruttare i meccanismi di adattamento plastico all’opera nel sistema nervoso centrale o periferico per ripristinare, in una certa misura, le funzionalità originarie. Alla base dei processi di adattamento plastico sta il cambiamento a lungo termine delle proprietà elettrofisiologiche dei neuroni e della loro connettività, che può essere innescato da adeguati esercizi motori svolti con l’ausilio di un terapista, il quale muove gli arti coinvolti dalla lesione oppure chiede al paziente di eseguire movimenti nei limiti delle sue capacità residue.
Le tecnologie robotiche possono fornire un utile supporto a terapie riabilitative di questo tipo (Van der Loos, Reinkensmeyer 2008). Sono stati sviluppati sistemi robotici per il recupero delle funzionalità degli arti superiori e inferiori, alcuni dei quali trovano larga diffusione nelle cliniche riabilitative. I robot per la riabilitazione degli arti superiori consistono generalmente in bracci robotici a più gradi di libertà, la cui estremità è impugnata o collegata in altro modo alla mano o al braccio del paziente (un sistema pionieristico in questo settore è stato Manus, sviluppato presso il Massachusetts institute of technology). Generalmente l’utente può seguire sullo schermo di un computer una rappresentazione dei movimenti del robot. L’interazione tra movimento del paziente e movimento del robot può avvenire in vari modi. Il robot può guidare completamente i movimenti dell’arto del soggetto, senza alcuna partecipazione attiva da parte di quest’ultimo; oppure si può richiedere una maggiore partecipazione all’utente, che deve sforzarsi di effettuare il movimento. L’utente deve svolgere in prevalenza compiti di posizionamento: deve cioè spostare il braccio robotico in modo che la sua posizione nello spazio, rappresentata graficamente sullo schermo del computer, vada a coincidere con una posizione desiderata, anch’essa indicata sotto forma di ‘bersaglio’ sullo schermo. Il compito del robot, in questi casi, è quello di vincolare in maniera più o meno rigida il movimento del paziente, per es. applicando leggere resistenze in caso di deviazioni rispetto alla traiettoria desiderata, oppure di applicare leggere spinte se il paziente ha difficoltà a iniziare o proseguire il movimento. L’utilità di questi sistemi robotici (anche in relazione a strategie riabilitative non robotiche) è chiaramente indicata da numerosi studi clinici.
I sistemi robotici per il recupero delle funzionalità motorie degli arti inferiori (come Lokomat, prodotto dalla società svizzera Hocoma e correntemente utilizzato nelle strutture sanitarie) sono generalmente esoscheletri, ovvero strutture in grado di guidare il movimento dei vari giunti delle gambe del paziente. Sistemi di questo tipo prevedono di solito un’imbracatura che mantiene il soggetto in posizione eretta. Il ruolo del sistema robotico è quello di impartire al paziente movimenti che corrispondono ad andature ‘corrette’, con varie modalità di interazione più o meno partecipativa da parte dell’utente.
È opportuno menzionare anche le ricerche relative all’uso dei robot nella riabilitazione cognitiva, spesso mirate alla terapia di soggetti autistici. Lo scopo è quello di costruire robot dotati di interfacce comunicative semplici e intuitive, e spesso di meccanismi per la simulazione di espressioni facciali, allo scopo di sollecitare il soggetto a interagire e comunicare le proprie emozioni. Questi robot vengono spesso dotati di forme animaloidi (come il robot-foca Paro, sviluppato presso il National institute of advanced industrial science and technology di Tokyo) o umanoidi (come FACE, Facial Automation for Conveying Emotions, sviluppato presso il Centro interdipartimentale di ricerca E. Piaggio dell’Università di Pisa).
Aspettative e sfide per la ricerca
La crescita demografica e l’aumento dell’età media della popolazione in molti Paesi del pianeta comportano un rapido incremento della percentuale di persone bisognose di terapie riabilitative. Gli esercizi riabilitativi volti a innescare meccanismi di plasticità cerebrale impongono sforzi considerevoli al terapista, che deve monitorare o impartire movimenti ripetuti, per lungo tempo, mantenendo un elevato livello di attenzione e precisione. Il controllo della postura e dei movimenti del paziente richiede spesso un notevole impegno fisico. Un sistema robotico riabilitativo, in grado di far eseguire all’utente movimenti ripetuti e allo stesso tempo precisi per lungo tempo, può fornire un considerevole supporto all’operatore sanitario e migliorare la qualità della terapia impartita.
È inoltre opportuno menzionare la possibilità, già discussa a proposito della robotica chirurgica, di effettuare riabilitazioni a distanza: il terapista controlla i vari parametri di movimento del robot riabilitatore e ne osserva i risultati, tramite connessioni a banda larga, senza la necessità di trovarsi nello stesso luogo in cui si trova il paziente. Tecnologie di questo tipo potrebbero permettere a un maggiore numero di persone, anche collocate in zone difficilmente accessibili, di usufruire dell’intervento di un riabilitatore esperto.
Vi sono sfide specifiche di carattere scientifico e tecnologico per la ricerca robotica riabilitativa. L’utilità terapeutica dei robot è legata alla possibilità di costruire sistemi robotici sempre più leggeri, e in grado di adattarsi in maniera sempre migliore ai movimenti dell’utente. Qualora il robot partecipi attivamente all’esecuzione del compito motorio, i suoi movimenti non devono imporre vincoli rigidi alle azioni del paziente, ma devono accompagnare in maniera ‘morbida’ l’arto dell’utente lungo la traiettoria desiderata. Lo sviluppo di algoritmi di controllo cedevole dei sistemi robotici costituisce un’area di ricerca (notevolmente sviluppata in Italia anche grazie alle ricerche condotte presso il PRISMA Lab dell’Università di Napoli Federico II) che assume grande rilevanza nella progettazione di robot riabilitatori efficienti (Siciliano, Sciavicco, Villani, Oriolo, 20083, cap. 9).
Vi è inoltre un quesito scientifico di più ampio respiro: in che modalità e in quali circostanze è opportuno consentire al robot di partecipare direttamente al controllo delle azioni del paziente? La scelta di appropriate procedure terapeutiche basate sull’intervento attivo del sistema robotico richiede una profonda comprensione dei meccanismi di coordinazione percezione-azione, dell’effetto di lesioni centrali o periferiche sulle capacità motorie, e infine dei meccanismi che sovrintendono all’adattamento plastico del sistema nervoso.
Problemi e sfide per la società
Per valutare l’effettiva utilità delle tecnologie robotiche in riabilitazione è necessario tenere in considerazione i costi legati all’acquisto, all’installazione, alla manutenzione e al monitoraggio di queste tecnologie. Il fattore costo deve essere preso in considerazione anche come possibile causa di un aggravamento del divario tecnologico, poiché le cliniche situate in zone povere di risorse economiche potrebbero non essere in grado di installare e mantenere in funzione un sistema di teleriabilitazione. È altresì necessario valutare l’accettabilità di questi sistemi da parte dei pazienti e analizzare le possibili conseguenze della loro introduzione sull’occupazione, in relazione sia alla trasformazione dei compiti lavorativi sia a un’eventuale riduzione degli addetti alle terapie riabilitative.
Robotica e protesi per il ripristino funzionale
Applicazioni
Vi sono tecnologie bioniche che consentono di interfacciare il sistema nervoso centrale degli esseri umani con un computer e, attraverso questo, con vari dispositivi informatici o robotici (Lebedev, Nicolelis 2006). Si tratta delle interfacce cervello-computer (ICC), note anche come brain-computer interfaces o BCI. Le ICC sono dette di ingresso se forniscono segnali afferenti al sistema nervoso, di uscita se il segnale prodotto dal sistema nervoso dell’utente viene registrato ed elaborato dalla ICC al fine di controllare un sistema informatico o robotico. I primi esemplari di ICC di uscita sono stati sviluppati con lo scopo principale di consentire il recupero di alcune capacità motorie e di comunicazione in soggetti affetti da gravi lesioni al tratto spinale, da sclerosi laterale amiotrofica e da altre distrofie muscolari fortemente invalidanti, che arrivano a impedire completamente il controllo muscolare volontario (soggetti locked-in). Questi sistemi, che si collegano a manipolatori robotici, carrozzelle robotiche e programmi di videoscrittura, consentono di desumere un intento dell’utente (selezionare un’azione di presa di un braccio robotico, una direzione di movimento della carrozzella, una lettera dalla videotastiera) in base all’analisi dei correlati neurali delle sue attività di pensiero, provvedendo poi a pianificare in ogni dettaglio ed eseguire l’azione corrispondente.
Un passo fondamentale nella progettazione di una ICC di uscita riguarda la scelta del tipo di segnale nervoso da utilizzare. Per motivi contingenti di efficienza, economicità e decodificabilità, i primi sistemi di ICC di uscita hanno fatto prevalentemente uso di segnali elettrici. Un’altra caratteristica importante in base alla quale condurre un’analisi costi-benefici e valutare le opportunità di impiego di una ICC è costituita dal suo grado di invasività. Gli elettrodi usati per rilevare i segnali elettrici possono essere posizionati sullo scalpo, come nel caso dell’elettroencefalografia (EEG), sulla superficie della corteccia cerebrale, o persino all’interno del tessuto cerebrale. Uno studio pionieristico ha permesso a un soggetto locked-in, nel 2006, di controllare elettrodomestici, interagire con un programma di videoscrittura, e pilotare i movimenti di un arto robotico mediante una ICC che utilizzava elettrodi inseriti nella corteccia motoria del soggetto (Hochberg, Serruya, Friehs et al. 2006). Le ICC non invasive basate sull’EEG si prestano allo sviluppo di applicazioni rivolte a una classe più ampia di utenti potenziali. Il processo di interazione di un sistema ICC con l’utente si articola in diverse fasi. Nella fase di acquisizione il segnale viene rilevato, amplificato e digitalizzato; nella successiva fase di elaborazione l’ICC viene addestrata mediante un processo di apprendimento automatico a estrarre dal segnale digitalizzato specifiche componenti che sono poi associate a comandi di alto livello per le periferiche dell’ICC; nella fase ulteriore di attuazione, l’ICC pianifica in modo dettagliato ed esegue l’azione corrispondente al comando. Infine, dalla percezione degli effetti dell’azione eseguita (generalmente in modalità visiva, ma anche tattile o uditiva) l’utente ottiene vari elementi utili per correggere le proprie attività mentali allo scopo di controllare con efficacia sempre maggiore gli effettori robotici e le altre periferiche collegate alla ICC.
Altre applicazioni prostetiche si basano su interfacce invasive e non invasive con il sistema nervoso periferico. Una soluzione non invasiva, spesso adottata, consiste nel rilevare lo stato di attivazione dei muscoli tramite elettrodi posizionati sulla pelle (eseguendo quella che viene chiamata elettromiografia). Il soggetto può così controllare i movimenti dell’arto robotico azionando i propri muscoli residui. Una soluzione di questo tipo è stata adottata nella progettazione della mano robotica Michelangelo (prodotta dalla società tedesca Otto Bock HealthCare), che è stata commercializzata con successo. È inoltre possibile realizzare vari tipi di interfacce invasive con il sistema nervoso periferico, inserendo degli elettrodi sottocutanei nelle vicinanze o a diretto contatto con i nervi. Entrambi i tipi di collegamento permettono la realizzazione di sistemi prostetici anche in ingresso. Nel caso non invasivo, i segnali acquisiti dai sensori collocati sul dispositivo prostetico provocano l’applicazione di stimolazioni meccaniche alla pelle del soggetto, producendo così sensazioni tattili che possono essere utilizzate dall’utente come riscontro sensoriale delle attività del dispositivo. Le interfacce invasive permettono invece di applicare stimolazioni elettriche direttamente sui nervi (Warwick 2003).
Aspettative e sfide per la ricerca
I sistemi prostetici non robotizzati sviluppati nella seconda metà del 20° sec. erano generalmente provvisti di un numero molto limitato di gradi di libertà, che spesso l’utente doveva controllare uno per uno in maniera poco intuitiva. La robotica apre invece la prospettiva di controllare il funzionamento di protesi mediante comandi di alto livello, che determinano il movimento simultaneo e coordinato dei vari gradi di libertà del dispositivo. L’utente impartisce al dispositivo comandi semplici (posizionamento nello spazio, oppure apertura o chiusura della mano) e il sistema si fa carico del calcolo dei movimenti che i vari giunti devono compiere per eseguire correttamente il compito. Inoltre, l’integrazione diretta con il sistema nervoso può indurre nel soggetto una percezione del sistema robotico non più come un dispositivo esterno, bensì come una parte di sé stesso. I meccanismi di plasticità neurale citati a proposito delle terapie neuroriabilitative hanno un ruolo importante nell’integrazione della protesi con il soggetto: come è stato mostrato in numerosi studi sperimentali, il sistema nervoso (soprattutto laddove sia disponibile un qualche riscontro sensoriale delle attività del dispositivo) è in grado di adattarsi gradualmente alla presenza della protesi robotica, imparando a esercitare su di essa un controllo progressivamente sempre più accurato.
Numerose sono le sfide di carattere tecnologico in questo settore: le protesi robotizzate devono essere leggere e facilmente indossabili, ma allo stesso tempo robuste; devono essere dotate di sistemi di alimentazione in grado di assicurarne il funzionamento corretto per periodi estesi; l’interfaccia con il sistema nervoso del soggetto deve garantire un’acquisizione dell’attività neurale stabile e accurata nel tempo. Tutte queste caratteristiche sono fondamentali per un sistema prostetico da utilizzare nelle attività quotidiane e in assenza di supporto tecnico esterno.
Nel caso particolare delle ICC, alcune sfide fondamentali riguardano una maggiore capacità del canale di comunicazione, soprattutto per i sistemi non invasivi, e lo sviluppo di procedure di addestramento, possibilmente on-line, che siano più rapide, accurate nei risultati e stabili nel tempo.
Lo sviluppo di protesi robotiche efficienti solleva inoltre problemi di controllo percezione-azione, che spesso rimandano a importanti quesiti neuroscientifici. Quali interfacce tra macchina e segnale del sistema nervoso è opportuno utilizzare? E quali algoritmi di decodificazione? Quali sono i meccanismi di adattamento plastico del sistema nervoso e come possono essere utilizzati per assicurare una sempre maggiore integrazione tra dispositivo esterno e soggetto? Quali tipologie di riscontro sensoriale è opportuno che la protesi fornisca al soggetto? La ricerca di risposte adeguate a tali quesiti fondamentali non può che procedere di pari passo con il progredire della comprensione dei meccanismi di coordinazione percezione-azione nel sistema nervoso.
Problemi e sfide per la società
La robotica prostetica solleva questioni relative ai costi e alla giustizia distributiva in campo sanitario, che non differiscono da quelle già considerate in relazione ad altri settori della robotica medica. In questo settore, però, emergono con particolare evidenza problemi di autonomia e di responsabilità, poiché il recupero di funzioni motorie proprie della vita quotidiana è legato a un trasferimento parziale del controllo dell’azione dall’essere umano alla macchina. Prendiamo il caso delle ICC collegate a un dispositivo robotico, dove il trasferimento del controllo richiede che l’ICC sia addestrata a classificare le intenzioni di azione dell’utente. Come è stato già rilevato a proposito della robotica chirurgica, la possibilità di una classificazione errata da parte di un sistema sottoposto a un processo di apprendimento automatico può essere statisticamente ridotta con opportuni accorgimenti, ma non può essere del tutto eliminata. Se le caratteristiche del processo di apprendimento non consentono di escludere che una ICC dia un’interpretazione errata delle intenzioni motorie del proprio utente, chi sarà ritenuto responsabile dei danni eventualmente causati da un dispositivo robotico controllato mediante ICC? E se un soggetto locked-in si servisse di un sistema di videoscrittura controllato da una ICC per dare il suo consenso informato a una terapia medica oppure per stilare un testamento, in base a quali elementi si può ritenere il testo prodotto come un’emanazione autentica della volontà dell’utente?
Sono questi alcuni problemi concreti di responsabilità e autonomia che bisogna analizzare ed eventualmente regolamentare in relazione agli sviluppi delle ICC (Tamburrini 2009). A tale scopo bisogna tener presente che, nel caso delle ICC, il problema di garantire la stabilità delle prestazioni nel tempo è reso particolarmente difficile dalle dinamiche di adattamento reciproco tra il cervello dell’utente e la macchina: dopo la fase iniziale, nella quale la macchina si adatta all’utente imparando a classificare correttamente i correlati neurali delle attività di pensiero, subentra una fase di riscontro sensoriale relativo all’azione eseguita dalla macchina, durante la quale l’utente impara a modulare la propria attività cerebrale per controllare con maggiore efficacia il dispositivo; inoltre, con la ripetizione e l’acquisizione di una maggiore familiarità relativa all’esecuzione di un compito mentale, si verificano cambiamenti ‘spontanei’ del segnale cerebrale.
È opportuno notare che le protesi robotiche possono essere utilizzate, almeno in linea di principio, non solo per recuperare funzionalità motorie (come nel caso di soggetti amputati o affetti da lesioni al sistema nervoso), ma anche per potenziare le capacità di soggetti normodotati. In questo caso, la problematica etica verte intorno a un possibile conflitto tra la decisione individuale di potenziare le proprie capacità motorie, la salvaguardia dell’integrità fisica e psichica del soggetto e la protezione dei diritti di coloro che non hanno subito interventi di potenziamento.
Robotica e assistenza personale
Applicazioni
Lo scopo complessivo della ricerca robotica nel settore dell’assistenza a persone anziane o diversamente abili è quello di costruire robot in grado di aiutare l’utente a svolgere le operazioni della vita quotidiana e che siano dotati di un grado di autonomia sufficiente per operare in contesti domestici senza l’intervento tecnico di terzi. Sono stati sviluppati sistemi per l’assistenza alla manipolazione di oggetti e alla deambulazione dell’utente. Il supporto alla manipolazione degli oggetti è in genere fornito da bracci robotici che vengono installati in pianta stabile su scrivanie o banchi appositi, in grado di porgere oggetti (per es., cibo o strumenti per l’igiene personale) o di interagire fisicamente con altri dispositivi. Un sistema di questo tipo è il già citato Manus, che può essere installato su carrozzelle. Sono stati infine elaborati sistemi per la manipolazione che sono in grado di navigare in maniera semiautonoma nell’ambiente, spostandosi nell’abitazione dell’utente e svolgendo compiti di vario tipo (Dario, Guglielmelli, Laschi 2001).
Tecnologie di controllo robotico sono state applicate anche al potenziamento dei sistemi di assistenza alla deambulazione e alle carrozzelle. Il sistema NavChair (sviluppato presso la University of Michigan) consiste in una carrozzella dotata di un meccanismo di controllo della locomozione che fa capo a sensori di posizione, ed è in grado di muoversi autonomamente lungo i muri e di evitare ostacoli. Il supporto alla deambulazione può anche essere fornito da robot che guidano l’utente mentre cammina. Robot di questo tipo (come PAM-Aid, Personal Adaptive Mobility, sviluppato presso il Trinity college di Dublino) vengono effettivamente spinti dall’utente, ma sono in grado di eseguire autonomamente deviazioni o frenare in caso di ostacoli imprevisti.
Aspettative e sfide per la ricerca
L’innalzamento della durata della vita e il conseguente aumento del numero di persone bisognose di assistenza forniscono forti motivazioni per la ricerca in quest’area. I sistemi robotici per l’assistenza personale possono, almeno in linea di principio, permettere all’utente anziano o diversamente abile di rendersi autonomo nell’esecuzione di compiti di carattere quotidiano, risparmiando al contempo le spese legate all’assistenza di un operatore umano.
Un problema particolarmente rilevante in relazione ai robot per l’assistenza personale è quello dell’autonomia del sistema, ovvero della possibilità di realizzare robot in grado di interagire con l’utente senza la mediazione o il supporto di personale tecnico. Le ricerche condotte negli ultimi decenni nel settore del controllo robotico hanno permesso di sviluppare robot dotati di un certo livello di autonomia nell’esecuzione di compiti motori in ambienti realistici. Tuttavia la strada che conduce allo scenario spesso prospettato dai ricercatori in quest’area, con la diffusione di assistenti robotici autonomi in ambienti domestici (che presentano spesso eventi difficilmente prevedibili in grado di perturbare il comportamento del sistema robotico e innescare azioni indesiderate), sembra ancora lunga e ricca di interessanti sfide scientifiche e tecnologiche.
Problemi e sfide per la società
L’accettabilità delle tecnologie robotiche da parte dei soggetti varia da settore a settore, con punte positive nella fisioterapia riabilitativa e maggiori difficoltà di carattere psicologico legate all’interazione uomo-macchina nella prostetica o nella robotica di assistenza. Quali caratteristiche dovrebbero avere il sistema robotico e l’interfaccia di comunicazione perché il paziente si affidi volentieri alla loro assistenza? I criteri che determinano l’accettabilità dei robot variano in relazione allo sfondo culturale della comunità di riferimento. In Giappone prevale la tendenza a sviluppare assistenti robotici dotati di fattezze umane, ma i progettisti evitano accuratamente di raggiungere livelli di somiglianza tali da scatenare la cosiddetta reazione da uncanny valley ipotizzata da Masahiro Mori (Bukimi no tani, «Energy», 1970, 7, 4, pp. 33-35; trad. ingl. The uncanny valley, http//:www.androidscience.com/ theuncannyvalley/proceedings2005/uncannyvalley. html, 31 marzo 2010): l’accettabilità di un robot aumenta in funzione del grado di somiglianza del sistema con gli esseri umani, ma crolla improvvisamente se la somiglianza diventa così marcata da collocarsi in una zona incerta di confine tra l’umano e il non umano, arrivando a evocare l’idea di un cadavere o addirittura di uno zombi. La somiglianza con gli esseri umani è invece spesso un fattore deterrente in Europa e negli Stati Uniti. L’accettabilità del robot è tuttavia determinata anche dalle caratteristiche dell’interfaccia di comunicazione, che deve essere semplice e intuitiva e deve permettere pure a utenti dotati di limitate capacità fisiche e cognitive di ottenere il comportamento desiderato.
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