Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
In polemica col barocco, lo stile rocaille adotta un tono meno aulico e fastoso. Gli appartamenti, oltre a ricevere una destinazione più precisa, hanno sale più piccole e più curate dal punto di vista dell’arredo e del mobilio. L’arredamento degli interni è concepito come un insieme organico cui concorrono in ugual misura stucchi, specchi, pannelli lignei, mobili, soprammobili, rivestimenti di stoffa e oggetti di oreficeria.
Nel 1715, alla morte di Luigi XIV, il nipote designato alla successione è ancora minorenne.
La reggenza viene allora affidata a Filippo d’Orléans che, come prima mossa, decide di abbandonare lo sfarzoso isolamento della reggia di Versailles e riportare la corte a Parigi. Il trasferimento nella capitale accende una gara di emulazione tra le famiglie aristocratiche impegnate nel restauro e nell’ammodernamento dei palazzi parigini e degli hôtels particuliers, abbandonati a se stessi per tutto il mezzo secolo trascorso nel dorato domicilio coatto imposto dal Re Sole. Il gusto del reggente è orientato verso un’arte meno aulica, meno imponente e fastosa di quella patrocinata da Luigi XIV che aveva usato monumenti e immagini come espressione del suo potere assoluto. Agli architetti e agli artisti si chiedono ora una bellezza e un fascino più sottili; l’arte della reggenza non vuole imporsi alle masse con la forza eroica delle forme, delle immagini e dei colori, essa vuole dilettare l’occhio e sedurre lo spirito di un’élite raffinata. Non si commissionano più dipinti di storia nel grande formato, per riempire vasti saloni di rappresentanza, ma quadretti piccoli o medi, in assonanza con le nuove strutture edilizie. Gli appartamenti hanno infatti sale più piccole, più curate dal punto di vista dell’arredo e del mobilio. Nel palazzo secentesco barocco pochi ambienti avevano una destinazione unica e ben definita: i saloni erano, in genere, polifunzionali e adattabili alle esigenze del momento.
Il nuovo stile settecentesco dell’abitare precisa la destinazione delle stanze, distingue con chiarezza il salotto, la sala da pranzo, la biblioteca e la stanza da letto. Tanto per fare un esempio, prima del 1740 non esiste una salle à manger, non è previsto un locale destinato in modo esclusivo alla funzione conviviale. In occasione dei festini, quando si invitano dei commensali, nei saloni vengono allora allestite grandi tavolate montate su cavalletti coperti da tovaglie; a fine ricevimento, poi, smontati gli apparati effimeri, il salone viene restituito alla sua generica destinazione di rappresentanza. Negli altri giorni i pasti vengono direttamente serviti negli appartamenti privati. Durante il lungo regno di Luigi XV, nella reggia di Versailles si provvede soltanto a ridistribuire lo spazio interno: gli ampi saloni secenteschi, voluti dal magniloquente predecessore, vengono ridisegnati e ridotti in tanti ambienti più piccoli e più intimi. Le nuove esigenze vengono affrontate con nuovi criteri; l’arredamento degli interni è ormai visto come un insieme organico, alla cui unità concorrono in ugual misura stucchi, specchi e pannelli lignei, come pure mobili e rivestimenti in stoffa, caminetti, soprammobili e oggetti di oreficeria. Negli anni della reggenza e di Luigi XV, l’età del rococò, un trionfo di curve lega i mobili alla decorazione delle pareti: la curva è la cifra stilistica che dà armonia a un’arte dinamica, messa in moto dalla vitalità dei motivi ornamentali. In questo tempo vige il principio della convenance, dell’accordo, dell’equilibrio tra spazi interni e decorazione, convenance che si ottiene più facilmente quando la figura dell’architetto coincide con quella dell’arredatore. Gabriel-Germain Boffrand, uno dei maggiori architetti-decoratori del tempo, in un suo Livre d’architecture afferma che il costruttore deve tener sempre conto dello “stile di vita del secolo”, delle abitudini e dei gusti dei clienti.
Nel 1716 Filippo d’Orléans affida a Gilles-Marie Oppenordt la sistemazione del Palais Royal, sua residenza cittadina. In una delicata cromia dominata dall’oro e dal bianco, le sale vengono ricoperte di pannelli dipinti, lungo le cui cornici si intrecciano riccioli, arabeschi e volute di ispirazione fitomorfica. L’arte rocaille rivela un’attrazione sensuale per la bella materia, per il colore, le luci e le superfici specchianti: i colori dei rivestimenti sono scelti nelle tonalità più tenui dell’azzurrino, del giallo chiaro e del rosa, a contrasto con lo splendore dell’oro e dell’argento usati nelle cornici, nelle profilature lignee e negli stucchi.
Mentre nei saloni barocchi lo specchio doveva provocare la meraviglia del riflesso illusorio dello spazio reale, nelle piccole sale settecentesche gli specchi occupano gran parte delle pareti, per riflettere la luce e potenziarla. Al pesante velluto, al raso e al damasco si preferiscono i più lievi tessuti in calicò o in chintz, per tende, rivestimenti e parati; in estate divani e sedie vengono foderati con il fresco taffettà. Alla pittura si ricorre nelle soprapporte, sulle superfici incorniciate dei panneaux, nelle lunette di raccordo tra parete e soffitto, mentre negli spazi vuoti si incastrano tele dipinte o arazzi che, grazie alle nuove tecniche di tessitura, raggiungono finezze cromatiche inusitate. Trionfano le decorazioni in legno, le boiseries, cornici intagliate e decorate o, meglio ancora, pannelli variamente lavorati, rifiniti e dipinti.
Negli interni progettati da Oppenordt, da François-Antoine Vassé, da Nicolas Pineau e da Juste-Aurèle Meissonier, le esuberanti e fantasiose cornici inquadrano tavole in cui i maggiori artisti del tempo – Watteau, Audran, Gillot – dipingono scene galanti, pastorellerie, grottesche, cineserie e allegorie di stagioni. Un perfetto connubio tra decorazione e pittura è ottenuto nelle sale del Palais Royal, nella galleria dorata dell’Hôtel del duca di Tolosa (Vassé, 1719) e nell’anticamera dell’Hôtel Matignon (Pineau, 1731). Nei petits appartements di Versailles il fiammingo Jacob Verberckt scultore e decoratore – ornamentiste, si diceva allora – esegue le elegantissime e trasparenti boiseries della sala della Pendola (1738) e, dopo una decina di anni, i pannelli con trofei musicali nella sala di musica di Madame Adelaïde. Gli stucchi sono ricoperti di patine dorate e di tessuti colorati, di lacche e di vernice Martin, ottenuta da una casa francese specializzata nell’imitazione di prodotti orientali.
Il gusto rococò rende squisiti e confortevoli anche gli ambienti riservati all’intimità familiare: i petits cabinets, le stanze da lavoro, le biblioteche e gli studioli.
Epicentro della vita sociale e della comunicazione verbale, il salone viene arredato con poltrone, sedie, tavoli grandi e piccoli. Addossati alle pareti per tenere sgombro lo spazio centrale, i mobili concorrono al progetto decorativo. La stanza della padrona di casa, il boudoir, è attrezzato in modo da accogliere, la mattina attorno al tavolo da toletta, gli amici che arrivano per scambiare due chiacchiere e qualche pettegolezzo, i corteggiatori impegnati in galanti schermaglie amorose, i fornitori che offrono la loro merce, gli artisti con le opere da fare ammirare e da vendere. Grazie alla descrizione fornita dal duca di Luynes nei Memorie sulla corte di Luigi XV conosciamo la camera da letto di Madame de Mailly, prima favorita del sovrano. Nell’alcova dei due amanti, allestita nel Castello Reale di Choisy, la seta azzurra della tappezzeria è tessuta dalla stessa Madame de Mailly; le pareti, le sedie e il letto sono ricoperti di un moiré azzurro e bianco, mentre in un angolo è collocata un’encoignure, un armadietto con uno sportello laccato in azzurro e bianco, su cui Jean-Henry Riesener dipinge, dopo la prematura morte della favorita, un poetico paesaggio lacustre con piante acquatiche, cigni e uccelli svolazzanti.
Della stanza dei piaceri regali oggi rimane soltanto l’angoliera. Qualche salone delle regge e dei grandi palazzi si è conservato quasi integro, ma per il resto gli interni più intimi e familiari non hanno resistito al trascorrere del tempo e all’evoluzione del gusto. Un’attendibile documentazione visiva è offerta dai dipinti di François Boucher, il pittore prediletto di Madame de Pompadour, onnipotente favorita di Luigi XV. Nel dipinto La colazione (1739; Parigi, Louvre), questa viene servita in un ambiente tipicamente rocaille, nell’appartamento del pittore: sulla stanza inondata dal sole incombe un’alta specchiera, la cui cornice sagomata è colorata di lacca verdolina e intagliata con motivi a forma di conchiglie e di foglie di acanto; alla parete è sospeso un orologio a cartel, una pendola murale in bronzo dorato e cesellato, e delle asimmetriche appliques con le candele sono inserite nella cornice dello specchio. La statuetta di Buddha in porcellana, conservata nel mobile pensile, documenta la diffusione del gusto esotico e l’amore per le chinoiseries condiviso da Boucher con il suo tempo. Anche nel pittoresco disordine dello spogliatoio in cui una Donna si allaccia la giarrettiera (1742; Collezione Thyssen-Bornemisza), un disegno orientale con fiori e uccelli coloratissimi si snoda nelle ante del paravento, motivi cinesi illeggiadriscono il parafuoco e il servizio da tè. E ancora in un ritratto della moglie, Madame Boucher (1743; New York, Frick Collection), che mostra la giovane e avvenente Marie-Jeanne Buzeau sdraiata su una chaise longue all’ultima moda, l’étagère alla parete sostiene un Buddha e un servizio cinese da tè e il paravento ai piedi del divano è decorato con fiori e uccelli nel gusto dominante delle cineserie.
Nel periodo di maggior voga, idoli cinesi si appollaiano su tutti i mobili portaoggetti e persino sugli orologi a pendolo che, in tal caso, esibiscono nel quadrante numeri orientali di pura fantasia. Manca, in realtà, un senso critico che permetta di distinguere tra cineserie vere e inventate; e oggetti autentici provenienti dall’Oriente vengono adattati al gusto europeo. Appesantiti con l’aggiunta di volute in metallo dorato, i vasi di celadon verde somigliano, più che a un oggetto cinese, ai boccaloni tedeschi di birra. Nei parchi, edifici, pagode, padiglioni e chioschi vengono rivestiti di pannelli intagliati e dipinti, di arazzi, trafori e statuette che, secondo le intenzioni degli arredatori, devono trasformarli in raffinate maisons chinoises. Un capolavoro di cineseria rococò sono gli arazzi tessuti nel 1742 a Beauvais sulla scorta dei bozzetti preparati da Boucher. Nei dieci arazzi, Les tentures chinoises, voluti da Luigi XV quale dono da inviare a Kien-Long, imperatore della Cina, il pittore si è servito dei disegni di un gesuita francese residente a Pechino, padre Attiret de Dôle, ma nonostante questa traccia le scene “all’orientale” conservano un sapore occidentale, tipicamente parigino e rococò.
Nelle scene di genere Boucher offre preziose indicazioni su arredamenti e costumi della prima metà del secolo. In un piccolo dipinto, La modista (1746) conservato a Stoccolma al Nationalmuseum, una signora nel boudoir sceglie i nastri, i merletti e le trine che le servono per coltivare i nuovi passatempi femminili: il cucito, il ricamo, la maglia; a sinistra una semplice toilette regge lo specchio e gli accessori del trucco. Il mobile a fianco, con tre cassetti sostenuti dalle esili gambe unite da un ripiano più basso, è una tricoteuse, un tavolino destinato al lavoro a maglia: una variazione della chiffonnière inventata dai grandi mobilieri del primo Settecento; anche la poltrona è un modello recente, una bergère in cui i sostegni dei braccioli sono stati spostati all’indietro rispetto all’attacco delle gambe, per dare agio alle signore di disporre meglio sul sedile le enormi gonne “a paniere” venute di moda a partire dal 1718. La migliore ebanisteria rococò coniuga la bellezza con la comodità; con i termini commode e de commodité vengono, infatti, chiamati due mobili – un cassettone e una poltrona dallo schienale pieghevole – belli e pratici nello stesso tempo.
L’eleganza delle forme, la fantasia delle decorazioni e l’equilibrio delle proporzioni caratterizzano il gusto dell’epoca, ma la funzione di rappresentanza è sempre accoppiata a una funzione pratica.
Nelle commodes e nelle angoliere, nei sécretaires, nelle consoles e nelle varie versioni della chiffonnière, i cassetti e i ripiani permettono di conservare o di esporre oggetti d’uso e di arredamento, mentre linee curve, gambe a capriolo e piedi a riccio arricchiscono i modelli. Un’asimmetria discreta e appena accennata, curve intrecciate, fianchi a serpentina immettono movimento e dinamismo nelle forme; la superficie acquista varietà, grazie alle impellicciature, ai tasselli, alle lacche e alle guarnizioni bronzee e per i rivestimenti si usano legnami pregiati, quali il palissandro, il mogano e il legno di Cayenne. Artisti di primo piano disegnano le applicazioni in bronzo cesellato che qualificano la destinazione dell’oggetto, mentre nei modelli più eleganti e costosi le decorazioni bronzee ricoperte dalla patina d’oro danno risalto agli angoli, agli spigoli e alle cornici. Prive di rivestimento sono le guarnizioni dei mobili di minor pregio.
Nati e cresciuti in Francia, l’architettura e l’arredamento rococò si diffondono in Europa insieme alla lingua francese, alla sua letteratura e al suo teatro. Il nuovo gusto trova applicazione non tanto nei palazzi di città o nei castelli, quanto nelle più raccolte dimore destinate al diporto e ai piaceri. Tale destinazione è rivelata dai nomi, tutti francesi, delle nuove costruzioni: “Monrepos”, “Sanssouci”, “Bagatelle”, “Monbijou”, “Solitude”, “Favorite”. Nel corso del secolo tutte le corti dei principi e degli elettori tedeschi si emancipano dall’influsso dell’arte italiana e si convertono alle novità in arrivo da Parigi. Per decorare l’interno del castello di Sansouci a Potsdam, per esempio, Federico II di Prussia chiama dalla Francia uno dei fratelli Martin, inventori delle famose vernici laccate. Botteghe artigiane ambulanti di alto livello, famiglie intere di stuccatori, di intagliatori e di tappezzieri mettono a disposizione di tutti le invenzioni formali e tecniche del rocaille francese. Così a Monaco di Baviera, nel parco del Nymphenburg, il padiglione di caccia progettato da François de Cuvilliés, l’Amalienburg ha magnifici stucchi di Johann Baptist Zimmermann e sculture di Joachim Dietrich. Nata come Lusthaus, “casa di delizie”, la palazzina è concepita come successione di ambienti caratterizzati da un partito decorativo sempre diverso: scandito dal ritmo regolare delle finestre e degli specchi, il salone centrale circolare è trasfigurato in un gioco di ornamenti leggeri, di superfici riflettenti e delicate tinte pastello; un piccolo “gabinetto cinese” ha alle pareti piccoli affreschi e lacche cinesi del Seicento; mentre le pareti della cucina sono rivestite di piastrelle policrome di Delft. Un capolavoro di eclettismo rococò.
Meno eclettico, il rocaille inglese si identifica con lo stile di Thomas Chippendale. Buon disegnatore e abilissimo imprenditore, nel 1754 Chippendale pubblica un testo, The Gentleman and Cabinetmaker’s Director, che – spiega il sottotitolo – presenta un’“ampia collezione dei più eleganti disegni di mobili domestici nel gusto gotico, cinese e moderno”. Il libro comprende un repertorio completo delle invenzioni di questo geniale ebanista, tra cui le French elbow chairs, poltrone con gambe a capriolo e piede a sfera artigliata a imitazione di zampa d’aquila, e ancora sedie a traforo, il fretwork, oppure a intaglio con spalliere a traliccio. Un capitolo a parte è dedicato al chinese style che ha il suo capolavoro nella stanza da letto disegnata per la Badminton House del duca di Beaufort, oggi ricostruita al Victoria and Albert Museum di Londra. Cinese sino alla stravaganza, infine, è il letto laccato in rosso e oro con un baldacchino a pagoda, concluso agli angoli da draghi alati.
I forti legami con la stagione del barocco secentesco hanno indotto a chiamare “barocchetto” la risposta italiana al rococò europeo. Durante il Settecento nel Piemonte, nel Veneto e nel Regno delle due Sicilie si producono mobili e oggetti che, per capriccio inventivo e decorativo, poco hanno da invidiare ai modelli stranieri.La contiguità geografica con la Francia, la presenza di un architetto come Filippo Juvarra e di un ebanista come Pietro Piffetti danno al Piemonte dei Savoia un posto di primo piano nell’affermazione del rocaille italiano. È su iniziativa di Vittorio Amedeo II di Savoia, infatti, che si ammoderna l’arredamento del Palazzo Reale di Torino, si costruisce la palazzina di Stupinigi e si rinnovano i castelli di Rivoli e Moncalieri. Nel palazzo della capitale Juvarra arreda la stanza delle lacche con pannelli cinesi animati da uccelli, fiori e scene di vita orientale; l’effetto cromatico è molto suggestivo: sulla parete vermiglione i riquadri spiccano grazie al fondo nero, animato dalle delicate nuances blu, rosso e oro della lacca. Nella palazzina di caccia del parco di Stupinigi, il grande architetto mette poi a profitto gli studi giovanili di scenografia: l’interno è pensato come un teatro a più scene, corrispondenti alle stanze e ai salottini attorno al grande salone centrale, punto di vista prospettico dell’insieme.
Gli ebanisti della Repubblica veneta acquistano fama universale per merito della smagliante cromia ottenuta con la cosiddetta “lacca povera”, una vernice applicata con velature successive su stampe incollate al legno. Le vivaci tinte prescelte – il giallo paglierino, il rosso, il blu, il rosa – appagano infatti l’occhio dei committenti veneziani, cresciuti in una città ricca dei colori dei monumenti e del cromatismo della scuola pittorica locale. I “depentori” di mobili veneziani si ispirano alla pittura contemporanea, accordando grande spazio alle scenette arcadiche, alle vedute, al paesaggio e alle cineserie; nel momento del massimo splendore a Venezia sono attive più di trecento botteghe artigiane. Lo scultore in legno Andrea Brustolon costruisce mobili di forme più pesanti rispetto a quelle dei falegnami francesi e tedeschi; mentre il cassettone “bombato”, tipico della produzione veneziana, ha il piano frontale e le fiancate incurvati come i prototipi d’oltralpe. Più vivaci e originali sono i colori dei legni e delle lacche e i rilievi decorativi che vengono applicati anche su porte, paraventi, ventagli e ninnoli di ogni sorta. Impareggiabili oggetti di vetro escono poi dalle officine di Murano, in particolare i coloratissimi lampadari ramificati in tanti bracci che reggono candele e cespi di fiori vitrei, a imitazione della porcellana.
Nel Regno delle due Sicilie l’attività di Carlo III di Borbone ha, nel campo delle arti, l’intervento più benemerito con la fondazione della Real fabbrica di porcellana nel parco di Capodimonte (1742). Le doti della materia prima, un’argilla calabrese priva di caolino, permettono ai tecnici di ottenere una porcellana che non ha niente da invidiare a quella prodotta a Sèvres, a Meissen o al Nymphenburg. La manifattura viene poi smantellata nel 1759, quando Carlo si trasferisce a Madrid per occupare il trono di Spagna, più prestigioso di quello napoletano.
Nello stesso anno viene portata a compimento la decorazione del gabinetto di porcellana nel Palazzo Reale di Portici, un magnifico complesso oggi conservato a Capodimonte. Tremila pezzi modellati dai fratelli Gricci compongono un disegno fitto di nastri annodati, di festoni floreali, di sontuosi trofei e strumenti musicali. Dal soffitto coperto di stucchi pende un lampadario in porcellana sostenuto dalle zampe di una scimmietta. Nell’insieme, un capolavoro di fantasia, di buongusto ed eleganza e il maggior contributo italiano al rocaille europeo.