MARCONI, Rocco
Figlio di ser Filippo e forse di una Caterina di cui non è noto il cognome, il M. è documentato per la prima volta nel settembre 1504 a Venezia con la qualifica di "depentor", quando compare tra i testimoni del rogito testamentario del lapicida Alvise di Matteo. Pur non essendo noti la data e il luogo di nascita, è stato più volte suggerito che il M. fosse un veneziano di origine bergamasca, in considerazione sia della diffusione del cognome tra i membri della comunità lombarda presenti in laguna tra XV e XVI secolo sia del fatto che nel 1515 egli era sicuramente in possesso della cittadinanza veneziana. A fronte di un'attività pittorica piuttosto florida, le notizie biografiche del M. (tutte pubblicate in Ludwig e riepilogate in De Vecchi) scarseggiano, riducendosi per lo più a rade comparse in atti testamentari, primo tra tutti quello della moglie Sebastiana che, prossima al parto, nel marzo 1511 lo nominò fidecommissario unico. La permanenza a Venezia - dove abitava in contrada S. Fosca - è confermata dalla sottoscrizione di un altro testamento, dettato nel dicembre 1514 da tale Caterina figlia di Giovanni Mezzabarba e moglie del ciabattino Dolfino. Tuttavia la sua prima commissione artistica nota venne registrata a Treviso, dove il 15 marzo 1515 il M., "civis venetus et pictor", firmò un contratto con la locale Scuola dei pellicciai per terminare la pala destinata al loro altare nella chiesa di S. Nicolò. Cominciato da Pier Maria Pennacchi e lasciato incompiuto dopo la sua morte, il dipinto raffigurava i Ss. Giovanni Battista, Teonisto e Leonardo, come riferito da Ridolfi. Il biografo rinsaldava ulteriormente il rapporto del M. con Treviso, non soltanto includendo tra le sue opere la pala con i Ss. Bartolomeo e Prosdocimo, un tempo collocata sopra l'altare della Confraternita dei muratori nella medesima chiesa, ma dicendolo addirittura nativo di quella città (tuttavia senza addurre prove concrete e perciò riscuotendo scarsa credibilità tra gli storici moderni). La perdita di entrambi i dipinti impedisce eventuali verifiche e ostacola la scansione cronologica del catalogo pittorico del M., che deve essere affidata esclusivamente a confronti più ampi con il contesto artistico veneziano di inizio secolo.
Punto di partenza per la ricostruzione della sua personalità è un gruppo di tavole firmate "Rocvs de Marchonib.[vs]" (Breslavia, Museo nazionale; Strasburgo, Musée des beaux-arts; Londra, vendita Sotheby's, 3 luglio 1991, già Zurigo, collezione Meissner), in cui viene riproposto - con minime variazioni limitate al paesaggio - il medesimo gruppo della Vergine col Bambino effigiato nella cosiddetta Madonna Northbrook, firmata da Giovanni Bellini (Atlanta, High Museum of art). La perfetta corrispondenza con il modello belliniano, normalmente avvicinato ai celebri esemplari di Detroit (Institute of arts) e Milano (Pinacoteca di Brera) recanti rispettivamente le date del 1509 e del 1510, pone immediatamente la questione di un rapporto di collaborazione tra il M. e il vecchio maestro sullo scadere del primo decennio. La figura monumentale e ieratica di Maria, colta frontalmente mentre sostiene il Bimbo con le mani e sulle ginocchia, rimanda ai modi di Bellini tardo, riscontrabili in opere nelle quali è stata talvolta ravvisata una possibile partecipazione del Marconi. Il caso più eclatante è rappresentato dall'imponente Compianto su Cristo Morto, originariamente collocato nella chiesa veneziana di S. Maria dei servi (ora Gallerie dell'Accademia), che già Boschini attribuiva interamente al M. e nel quale più volte la critica moderna, pur ascrivendone saldamente la responsabilità a Bellini per quanto riguarda l'impianto strutturale, ha rilevato il fare più secco, meno fluido nella resa cromatica e più statico nella definizione fisionomica, tipico del Marconi. Analoghe proposte sono state avanzate in merito all'Assunzione della Vergine (Murano, S. Pietro Martire), alla Madonna in trono col Bambino, i ss. Pietro e Marco e tre donatori (Baltimora, Walters Art Gallery) e al trittico con la Madonna in trono col Bambino, quattro santi e donatore (Düsseldorf, Kunstmuseum). Nel catalogo del M. vengono poi accolti a vario titolo altri dipinti devozionali di medio-piccolo formato, ancora improntati a moduli di chiara derivazione belliniana. Vanno senz'altro segnalate la Madonna col Bambino tra i ss. Giovanni Battista e Pietro, proveniente dalla collezione Giovanelli di Venezia (New Orleans, Museum of art), e la Madonna col Bambino tra i ss. Benedetto e Francesco (Venezia, chiesa del Redentore, sacrestia), nelle quali, pur con esiti formali differenti, il consueto prototipo della Madonna Northbrook viene affiancato da una coppia di santi. Ad analoga tipologia di formato allargato rimandano inoltre la Madonna col Bambino e i ss. Pietro, Girolamo e Giovannino (Ibid., Galleria Franchetti alla Ca' d'oro) e la Madonna col Bambino e i ss. Girolamo e Caterina (Ibid., Civico Museo Correr), tuttavia non sempre concordemente accettate tra gli autografi del Marconi.
Mentre le testimonianze pittoriche indicano un'adesione piena alla maniera belliniana matura, resta difficile stabilire, principalmente a causa degli scarsi appigli cronologici, se presso Bellini il M. avesse condotto l'apprendistato oppure se l'ingresso nella bottega del maestro sia da spostare a una fase più avanzata della sua attività. Analogamente risulta arduo situare il momento dell'affrancamento professionale, di cui il menzionato contratto del 1515 potrebbe essere un indizio. In ogni caso, la morte di Bellini nel 1516 costituisce un ideale spartiacque nella biografia del M., che nella restante produzione dimostra un contatto diretto con i modi di Palma il Vecchio (Iacopo Negretti) e un aggiornamento condotto sulle novità introdotte dalle correnti di derivazione giorgionesca e tizianesca. Nel febbraio 1517, morta evidentemente la prima moglie, il M., abitante ora nella parrocchia di S. Moisè, risulta sposato in seconde nozze con Gasparina figlia di Alvise de Morsis, la quale detta le sue ultime volontà alla presenza, tra gli altri, dell'indoratore Giovan Francesco Bonservi detto il Bologna. Nell'agosto dello stesso anno, inoltre, il M. fu in carica come "sindico" dell'arte dei pittori insieme con Vittore Belliniano e Sebastiano Zuccato, a riprova di un consolidamento della sua posizione nel panorama pittorico veneziano dopo l'uscita dallo studio di Giovanni Bellini. L'ipotesi di un successivo ingresso del M. nell'atelier di Palma il Vecchio (Lucco) si fonda sull'analisi di opere assorbite progressivamente nel catalogo del M. e collocabili per lo più nella seconda metà del secondo decennio.
Ne fanno parte alcuni dipinti ancora di soggetto devozionale, nei quali le fisionomie si avvicinano ai modelli palmeschi, i volumi corporei si distendono e il formato si amplia includendo porzioni di paesaggio alle spalle dei personaggi in primo piano, colti a tre quarti di figura. Il rapporto tra Madre e Figlio si fa più intimo, anche in virtù di un trattamento cromatico più fluido e pastoso che contribuisce a fondere tra loro gli elementi della rappresentazione. È questo il caso della Madonna col Bambino, i ss. Giovanni Battista e Giobbe (Civico Museo Correr) e della Madonna col Bambino, i ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista (Berlino, Staatliche Museen, Preussischer Kulturbesitz), accostate talora a opere quali la Sacra Famiglia con s. Caterina (Penrhyn Castle, Galles, collezione Lady J. Douglas Pennant) o la Sacra Famiglia con s. Orsola (Padova, Musei civici), e ancora alla Madonna col Bambino, i ss. Sebastiano, Pietro, Andrea e Rocco (già Venezia, collezione Giovanelli), tutte impostate secondo schemi condivisi da altri pittori della cerchia palmesca (Tempestini, 1974, 1976).
L'individuazione di questo nucleo di opere, che segnerebbero il distacco dalla fase belliniana, si appoggia anche sul confronto con alcune tele firmate che svolgono il tema di Cristo e l'adultera, da cui si ricavano confronti con numerose versioni non firmate, comprendenti anche esemplari di diverso soggetto ma di analogo impianto (Cristo fra Marta e Maria, Cristo e la vedova di Naim).
Si tratta di una sequenza di pitture dai connotati ben riconoscibili, collocabili variabilmente tra la seconda metà del secondo decennio e la prima del terzo, imperniate attorno alla "semplice giustapposizione paratattica di personaggi", che ha l'effetto di produrre "una coralità ampia e ritmicamente scandita, dove la differenziazione dei gesti e dei caratteri fisici e psicologici giunge a definire una poetica assolutamente peculiare" (Dal Pozzolo, p. 14). Al vertice della serie va collocata, per l'elevata qualità tecnica, la tela firmata con Cristo e l'adultera proveniente dal capitolo della chiesa di S. Giorgio Maggiore (ora Gallerie dell'Accademia), databile non molto oltre il 1516 (Engel). La composizione viene ripresa in due varianti anch'esse firmate: nella prima (già Saltsjöbaden, Svezia, collezione Ernst Wahren) l'apertura paesistica a sinistra è sostituita con un breve colonnato scorciato, mentre la seconda (Coral Gables, FL, Lowe Art Museum, Kress Collection) è una sorta di riduzione che rinuncia a buona parte del fondale architettonico per mettere in risalto le espressioni caricate dei personaggi. Problematico il raffronto con altre versioni recanti la firma del M. (Budapest, Museo di belle arti; Szekszàrd, Ungheria, Municipio) o da queste derivate (Roma, Galleria nazionale d'arte antica a Palazzo Corsini, cui è da collegarsi una tela di ubicazione ignota; Venezia, Gallerie dell'Accademia), ma vistosamente segnate da cadute di tono e da un complessivo impoverimento linguistico, addebitabile forse a una pratica di bottega se non al reimpiego di formule codificate da parte di seguaci dopo la morte del maestro (Dal Pozzolo). Analoghe considerazioni si possono formulare in merito al soggetto di Cristo fra Marta e Maria, trattato dal M. con la stessa predilezione per l'assembramento di personaggi in primo piano attorno alla figura cristologica, ma risolto con un effetto di schiacciamento contro il fondale reso più angusto dalla ridotta profondità spaziale. Anche questa raffigurazione, nota attraverso un esemplare firmato (San Pietroburgo, Ermitage) e riproposta in alcune repliche (Praga, Galleria del Castello) e varianti (già Venezia, collezione Giovanelli; Los Angeles County Museum of art), conosce una fioritura di copie dalla scarsa tenuta esecutiva (si vedano quelle di ubicazione veneziana: Pinacoteca Querini Stampalia; chiesa di S. Pantalon; già collezione Minerbio). Il medesimo assetto strutturale dà vita inoltre ad alcune versioni di Cristo e la vedova di Naim (già Padova, collezione Papafava; già Roma, Galleria Sterbini) che si richiamano a una nota redazione di Palma il Vecchio (Venezia, Gallerie dell'Accademia), scoprendo ancora un punto di contatto fra quest'ultimo e l'arte del Marconi. In conclusione questa produzione ramificata, alla quale si possono collegare direttamente alcune tele raffiguranti il medesimo prototipo di Cristo benedicente (in particolare: Padova, Musei civici; Venezia, S. Trovaso), testimonia di un'attività consistente del M., capace di specializzarsi in una produzione evidentemente riconosciuta dal pubblico e di ritagliarsi un ruolo di un certo spicco nel mercato artistico veneziano.
L'opera nella quale è maggiormente possibile verificare la sua maturazione, nella direzione fin qui tracciata, è la pala firmata raffigurante Cristo tra i ss. Pietro e Andrea (Venezia, Ss. Giovanni e Paolo, transetto destro), assegnata comunemente alla metà o alla fine del terzo decennio.
Concepita su larga scala, con le tre figure stagliate contro un alto paesaggio slontanante che dilata lo spazio, la tela è contraddistinta da morbidi passaggi cromatici e da una ritmica aggraziata delle forme, che denotano una rinnovata sensibilità verso gli effetti di fusione atmosferica e una prossimità a quella generazione di pittori che andavano rinnovando lo scenario veneziano a partire dal terzo decennio, quali Giovanni Busi detto il Cariani, Bonifacio de Pitati e Paris Bordone.
A lungo si è dibattuto intorno al ruolo del M. nel contesto artistico lagunare dopo la conclusione dell'esperienza belliniana, valutandone il grado di ricezione e di coinvolgimento rispetto alle tendenze sviluppatesi sotto l'impulso di Giorgione (Giorgio da Castelfranco) Tiziano e Sebastiano del Piombo (Sebastiano Luciani). A fronte di un giudizio complessivamente riduttivo delle capacità di adattamento del M. ai nuovi orientamenti, espresso da Ansaldi e Garas e ripreso da De Vecchi, che pure era da contestualizzarsi all'interno di una necessaria operazione disgiuntiva, giustificabile in reazione all'attitudine totalizzante dei cataloghi di Berenson (1907, 1932, 1957), la critica posteriore si è attestata su una posizione maggiormente propensa non soltanto a considerare il M. come uno dei più eccellenti allievi di Bellini (Gibbons; Tempestini, 1974 e 1976; Heinemann, 1962, 1991) ma anche ad apprezzarne la progressiva crescita nel mutato ambiente veneziano degli anni Venti. I tentativi, tuttavia, di ascrivergli altre pale d'altare nelle quali riecheggia una certa consonanza con la tela dei Ss. Giovanni e Paolo - tra cui Cristo fra i ss. Giovanni Battista e Pietro proveniente dalla chiesa di S. Maria Nova (ora Gallerie dell'Accademia), S. Nicola tra i ss. Giovanni Battista e Andrea (Monaco, Alte Pinakothek), S. Giovanni Battista tra i ss. Pietro, Marco, Girolamo e Paolo (Venezia, S. Cassian, altare degli Osti) - non hanno sortito esiti soddisfacenti, rimandando a ulteriori approfondimenti la verifica di un'eventuale attività di allievi o seguaci (si vedano le riflessioni di Dal pozzolo).
Le ultime esigue testimonianze documentarie intorno alla vita del M. forniscono poche informazioni: nel giugno 1521 fu testimone all'atto testamentario del "zimator" Bartolomeo, mentre nel gennaio 1526 prese parte al capitolo generale della Confraternita di S. Anna di Castello.
Non si conosce la data di morte del M., ma il termine ante quem si ricava da un atto pubblico del 13 maggio 1529, quando la vedova Gasparina intraprese la procedura legale per ottenere il riconoscimento dei beni dotali da parte dei giudici del proprio.
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