PELLONE, Rocco
PELLONE, Rocco. – Nacque a Ramponio, in Val d’Intelvi, presso Como, intorno al 1553 da Bartolomeo (Belloni, 1988, p. 15). Seguendo il tradizionale flusso delle maestranze lombarde, «da giovine si portò in Genova» (Soprani, 1674, p. 332) e giunse a perfezionarsi soprattutto nella decorazione marmorea di quadratura.
Un apprendistato presso il compaesano Rocco Lurago, titolare di una bottega a Genova, è solo supposto (Belloni, 1988, p. 15). Già Raffaele Soprani, benché lo avesse definito «Scoltore Lombardo», ricordava i suoi «modelli di palazzi, Chiese & altro» (1674, p. 332), mentre Carlo Giuseppe Ratti precisava che fu «un Architetto, che le parti tutte, le quali concorrono ad ornare le fabbriche, come i piedistalli, i capitelli, gli arabeschi, i festoni, egregiamente seppe e volle da per se scolpire» (in Soprani - Ratti, 1768, p. 435).
Una serie di documenti attesta lo stretto legame con la famiglia Orsolino, in particolare con lo scultore Tommaso, di cui fu fideiussore, testimone, perito e locatore (Alfonso, 1985, pp. 53, 69, 89, 108, 138). A sua volta Tommaso lo nominò, insieme al cugino Giovanni, nel proprio testamento del febbraio 1637, come beneficiario dello sfruttamento di due cave di alabastro nella zona di Genova Sestri Ponente (p. 55).
Il primo lavoro di Pellone è restituito da un documento del 1616, nel quale, come «scolpellino» e unitamente al collega Antonio Zenino, lo scultore viene remunerato per una porzione del pavimento della cattedrale genovese di S. Lorenzo (p. 79). Nel 1621, quando era console della Corporazione degli scultori di Nazione lombarda insieme a Battista Casella, prese parte al progetto di decoro della cappella dedicata all’Arte nella chiesa di S. Sabina, fornendo «due nudi e due basi di colonne di marmo e fattura» (pp. 15, 269). Entro il 1624 (data che compare sul fregio) portò a compimento, sempre in cattedrale, il paramento, con marmi scolpiti e intarsi policromi, della zona presbiterale, «riuscito di tutta perfettione» (Soprani, 1674, p. 332) e condotto con un repertorio di motivi tipici della tarda maniera; scopo di tale lavoro era la collocazione entro nicchie delle preesistenti sculture di Gio Giacomo Della Porta, Giovanni Maria De Passallo e del Montorsoli (Banchero, 1855; Salvi, 1932, p. 914).
In occasione della tassazione straordinaria, indetta dalla Repubblica nel 1630 per l’edificazione della nuova cinta muraria, contribuì con la cifra di 40 lire, una tra le più elevate tra quelle elargite, a indicare un reddito notevole (Alfonso, 1985, p. 98; Belloni, 1988, p. 15). Del resto già nel 1618, alla morte del padre, Rocco aveva suddiviso con i due fratelli – tra i quali Giovanni Maria, che si ritrova nella tassazione citata come membro della Corporazione degli scultori – un ingente patrimonio di beni immobili posseduti in città (Belloni, 1988, p. 16).
Nel marzo 1630 ricevette l’incarico di edificare un altare, dedicato alla Vergine, nella collegiata di Novi Ligure, ancora esistente. Nel 1636 rispose al bando, emanato da Giannettino Spinola, per il decoro del presbiterio della chiesa di S. Siro, cui presero parte anche Giuseppe Ferrandina e Giovanni Pincellotti, Tommaso e Giovanni Orsolino, Tommaso Carlone e Domenico Casella (Belloni, 1975, pp. 63-68).
Della progettazione, poi assegnata alla prima coppia di scultori, rimangono i bozzetti acclusi al capitolato, che mostrano, per mano di Pellone, una decorazione esuberante, comprensiva di colonne «concertate con Tommaso Orsolino», rilievi in bronzo e sculture (Belloni, 1988, p. 16).
Nell’agosto 1637 assunse l’incarico del rinnovamento, in termini architettonici e decorativi, della cappella dedicata alla Madonna del Rosario entro la chiesa di S. Domenico, in seguito distrutta, ma definita «mirabile» da Soprani (1674, p. 333).
Il biografo lo indica esecutore della partitura architettonica, dell’ornato marmoreo e delle numerose colonne alabastrine, in realtà fornite da Tommaso Orsolino e sottoposte al giudizio di Pellone (Alfonso, 1985, pp. 137 s.; Franzone, 1997-1999). I pagamenti per l’impegno, che prevedeva anche l’apertura di quattro nicchie nelle pareti laterali, si protrassero fino al 1643, mentre nel 1639 lo stesso Pellone si espresse sugli ornamenti pittorici e in stucco della cappella stessa affidati a Bartolomeo Basso (Alfonso, 1985, pp. 138, 279-283; Piastra, 1970).
Nel 1640 Maddalena Spinola, nel suo codicillo testamentario dettato il 10 luglio, dava disposizioni circa il decoro della propria cappella nella chiesa di S. Maria Maddalena (l’attuale seconda a sinistra dall’ingresso), citando il contratto di commissione steso lo stesso giorno con Pellone (Belloni, 1975, pp. 163, 165): nel rifacimento della chiesa i marmi andarono dispersi.
Nel 1642 venne pagato da Ansaldo Pallavicino per aver fatto «con bell’ordine e maestria l’ornamento della facciata della Chiesa di San Siro», (Boccardo, 1988, p. 199; Galassi, 1988, p. 81), complesso che prevedeva anche la statua «di marmo, grande» raffigurante il committente (Soprani, 1674, p. 333), i quattro rilievi con i Novissimi, il cartiglio centrale e due erme ai lati della nicchia. Già Ratti ricordava che Pellone, per quel lavoro, «diede il disegno […] e di sua mano eseguillo», eccetto la statua ritratto «formata da non so qual Maestro suo compatriota» (Ratti, in Soprani - Ratti, 1768, p. 436). Si trattava probabilmente di Tommaso Orsolino, al quale furono affidate da Ansaldo Pallavicino, nel 1661, modifiche sostanziali della facciata con lo spostamento della statua del padre e la collocazione, nella nicchia centrale, della scultura effigiante S. Pietro (Zanelli, 2004).
In questi decenni, probabilmente, realizzò la partitura decorativa, ricordata da Soprani (1674, p. 333; Soprani - Ratti, 1768, p. 436), della zona presbiterale di tre chiese appartenenti a ordini monastici femminili: Ss. Giacomo e Filippo (distrutta), S. Brigida (distrutta) e S. Marta, quest’ultima modificata.
Nel gennaio 1645 fu remunerato per «tutti li lavori di marmo […] dati per uso e ornamento del coro della chiesa di Santa Maria dei Servi», su commissione di Nicolò Castiglione (Alfonso, 1985, pp. 138, 283). L’opera, oggi distrutta, segnò l’avvio della società con Giovanni Battista Ferrandino. I due scultori progettarono, con impegno ufficializzato il 10 settembre 1647, l’alzata dell’altare maggiore, «seu icona», della chiesa conventuale di S. Chiara nel quartiere genovese di Albaro, una struttura ancora in loco, dotata di uno sviluppo fortemente verticale, con colonne binate in verde di Polcevera e cornice in mischio rosso di Francia (p. 120). Infine, con il socio sottoscrisse, nel febbraio 1650, il contratto per il completamento del grande altare, dedicato a s. Ignazio, nella crociera della chiesa del Gesù; lavoro che i due artisti avrebbero dovuto terminare, modificando il precedente progetto, entro tre anni, per ridurre la cappella «come quella dei SS.ri Duratii» posta specularmente (p. 124).
Pellone non ebbe tuttavia la possibilità di mettere mano all’impresa dal momento che il 5 aprile 1650 morì e fu sepolto il giorno successivo nella chiesa di S. Brigida (Belloni, 1988, p. 17).
Il dato va a emendare la notizia riportata dai biografi circa il decesso avvenuto durante la pestilenza del 1657 (Soprani, 1674, p. 333; Soprani - Ratti, 1768, p. 436). Sono noti cinque testamenti (1627, 1638, 1641, 1646, 1650), da cui emerge uno stretto legame con svariati colleghi marmorari (Belloni, 1975, pp. 160, 162, e 1988, p. 17).
Dalla moglie Maddalena Caterina, di Martino Carlone, ebbe Francesca, Margherita, che sposò lo scultore Carlo Orsolino, Bartolomeo Francesco e Carlo Stefano, che sposò una figlia del pittore Domenico Fiasella (Belloni, 1975, p. 163, e 1988, p. 15).
Carlo Stefano, ancora minorenne nel testamento del dicembre 1627, «per qualche tempo attese alla professione del Padre» ma, affiancando Domenico Fiasella per averne sposato la figlia, divenne pittore (Soprani, 1674, p. 333). Tuttavia, dopo la morte della moglie, lasciò entrambe le professioni e si trasferì in Lombardia, dove «d’immatura morte finiì li suoi giorni» (pp. 253, 333; Soprani - Ratti, 1768, pp. 237 s.). La tela raffigurante S. Carlo Borromeo, destinata alla chiesa di S. Agostino a Savona, gli fu attribuita da Tommaso Torteroli (1847) che la vide nella sala del Vescovato. Nel dicembre 1651 compare tra i consiglieri dell’Arte degli scultori, mentre l’assenza, dall’anno successivo, lascia ipotizzare un eventuale suo trasferimento (Belloni, 1974).
Fonti e Bibl.: R. Soprani, Le vite de’ pittori, scoltori et architetti genovesi…, Genova 1674, pp. 253, 332 s.; R. Soprani - C.G. Ratti, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti genovesi, I, Genova 1768, pp. 237 s., 435 s.; T. Torteroli, Monumenti di pittura, scultura e architettura della città di Savona, Savona 1847, p. 122; G. Banchero, Il duomo di Genova illustrato e descritto, Genova 1855, p. 166; G. Merzario, I maestri comacini, II, Milano 1893, pp. 216, 234; M. Labò, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, Leipzig 1932, p. 370, ad nomen; G. Salvi, La cattedrale di Genova. S. Lorenzo, Torino 1932, p. 914; W. Piastra, Storia della chiesa e del convento di S. Domenico in Genova, Genova 1970, pp. 45, 228; V. Belloni, Pittura genovese del Seicento, II, Maestri e discepoli, Genova 1974, p. 92; Id., Caröggi, crêuze e möntae, Genova 1975, pp. 62-74, 159-163, 165; L. Alfonso, Tommaso Orsolino e altri artisti di ‘Natione Lombarda’ a Genova e in Liguria dal secolo XIV al XIX, Genova 1985, passim; V. Belloni, La grande scultura in marmo a Genova (secoli XVII e XVIII), Genova 1988, pp. 15-18; P. Boccardo, Un exemplum: la controfacciata della chiesa di S. Siro, in La scultura a Genova e in Liguria, II, Dal Seicento al primo Novecento, Genova 1988, pp. 199 s.; M.C. Galassi, R. P., ibid., pp. 81 s.; M. Franzone, Il cantiere artistico della cappella del Rosario in S. Domenico a Genova, in Studi di storia delle arti, 1997-1999, n. 9, pp. 335-342; G. Zanelli, in L’Età di Rubens (catal., Genova), a cura di P. Boccardo, Milano 2004, pp. 518-520 n. 136; C. Cavelli Traverso, Il monastero dei Ss. Giacomo e Filippo, in Monache domenicane a Genova, a cura di C. Cavelli Traverso, Roma 2010, pp. 27-58; E. Gavazza - L. Magnani, Monasteri femminili a Genova tra XVI e XVIII secolo, Genova 2011, pp. 156, 167, 312; P. Boccardo, in La cattedrale di S. Lorenzo a Genova, Modena 2012, pp. 373-375, nn. 578-579.