Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
In Gran Bretagna, dall’incontro tra l’eco dei movimenti giovanili statunitensi e quelli che prosperano intorno alle Art School inglesi nella prima metà degli anni Settanta, nascono due generi musicali: il progressive rock e il glam rock. Questi, pur essendo radicalmente diversi dal punto di vista estetico, sono però accomunati da una tensione verso l’integrazione della musica con altri linguaggi, che trova la sua migliore esemplificazione in una spiccata tendenza alla teatralità.
Nella prima metà degli anni Sessanta, l’ambiente studentesco britannico dell’Art School – dove ormai da un decennio jazz, arte d’avanguardia e poesie della beat generation nutrono l’immaginario di aspiranti artisti – si arricchisce con vari stimoli provenienti dagli USA. In musica ciò si traduce in un interesse per il movimento folk revival, incarnato da Bob Dylan, per la popular music nera statunitense e, più in generale, per le istanze controculturali, psichedeliche e hippy provenienti dalla California, che riconfigurano il campo della popular music precedentemente attestato sull’opposizione tra pop e rock. I termini rock e progressive entrano in uso proprio in questo periodo, per indicare un insieme eterogeneo di repertori, prevalentemente bianchi e maschili, accomunati da una poetica basata sulla presa di distanza dalla musica pop, accusata di essere “commerciale”, e sulla rivendicazione del proprio valore artistico fondato su un’estetica romantica e bohémienne imbevuta di valori quali artisticità, genio, sperimentazione, complessità, radici, autenticità e impegno sociale. Il rock si affianca presto al jazz nell’immaginario degli studenti dell’Art School e, in breve tempo, lo sostituisce. I giovani britannici, però, più intellettuali e meno interessati ai temi sociali dei giovani nordamericani, elaborano i vari stimoli di questo periodo in modo peculiare, dando origine a una scena psichedelica diversa da quella d’oltreoceano, anche e soprattutto nei suoi esiti.
Il momento d’oro della psichedelia britannica è noto come Swinging London (1966-1967). In questi anni, facendo perno sullo storico album dei Beatles Sgt Pepper’s Lonely Heart Club Band (1967), maturano le premesse poste nella prima metà del decennio. Anzitutto, mentre gruppi come Cream e Yardbirds propongono letture inedite del blues elettrico, nel movimento folk revival emergono sia figure ispirate a Bob Dylan (ad esempio, Donovan) sia, in generale, una rilettura delle musiche di tradizione britannica e irlandese. Intanto, alcuni studenti della Simon Langton School di Canterbury sperimentano una fusione tra jazz e beat che si rivelerà essere assai feconda, avviando la “Scuola di Canterbury”. A Londra, invece, suscitano particolare scalpore le performance avant-gard beat dei Pink Floyd all’UFO Club, dove si esibisce anche il gruppo più importante di Canterbury, i Soft Machine, fondati tra gli altri da Robert Wyatt. Infine, Moody Blues, Nice e Procol Harum cercano ispirazione nella musica di tradizione colta, aprendo quella che sarà la strada più seguita dal rock progressivo propriamente detto.
Nel triennio 1968-1970 esordiscono i gruppi che più incarnano le caratteristiche tipiche del progressive rock, destinati ad ampi riscontri di pubblico all’inizio degli anni Settanta: King Crimson, guidati da Robert Fripp, Van Der Graaf Generator e Genesis, caratterizzati dalla presenza di due front men, Peter Hammill e Peter Gabriel, destinati a lunghe carriere soliste, e poi ancora Jethro Tull, Yes, Emerson, Lake & Palmer, Gentle Giant, Renaissance, Traffic, Family e altri.
Pur conservando un certo eclettismo stilistico, molti di questi gruppi scelgono come principale modello di riferimento la musica barocca e classico-romantica, abbandonando la tipica “forma-canzone” e proponendo ampie composizioni, armonicamente e ritmicamente complesse, per le quali cominciano a circolare le definizioni di suite e poema sinfonico. Compaiono interi brani strumentali, in cui i musicisti fanno sfoggio di virtuosismi. A volte i riferimenti stilistici sono diretti e ben riconoscibili, altre sono uno degli elementi di una miscela in cui si riconoscono anche altri stilemi. Un’altra costante che accomuna questa corrente è l’esplorazione timbrico-sonora, evidente sia nell’uso di strumenti inusuali, mutuati dal repertorio colto o folk, sia nello sfruttamento delle nuove tecnologie sonore. I musicisti cominciano a utilizzare strumenti elettronici (Moog, Mellotron) e a sfruttare le possibilità dello studio di registrazione, cosa che porta le figure del produttore e del tecnico del suono in primo piano.
Per quanto riguarda i testi dei brani, questi mostrano un maggiore intento poetico e si arricchiscono di riferimenti letterari, mitologici, fantascientifici e religiosi, che spesso sono esplicitamente posti alla base delle composizioni, a mo’ di “programma”. Anche la parte visiva acquista rilievo, e non è certo un caso se i luoghi privilegiati di questa ricerca artistica diventano il long playing e il concerto dal vivo: il long playing libera il compositore dai ristretti limiti temporali del 45 giri, permettendo di adottare un più ampio respiro compositivo e di organizzare i brani di un album sulla base di un tema (concept album), nonché di includere un ricco apparato di testi, illustrazioni e grafica; il concerto permette invece di sviluppare ulteriormente l’apparato visivo, assumendo aspetti teatrali sempre più sofisticati e ambiziosi basati su scenografie imponenti e costumi stravaganti. Il progressive rock maturo fa dunque leva sulla relazione tra i vari linguaggi per evocare un suggestivo immaginario fantastico, mistico, ricco di simbologie esoteriche.
Come accennato, il progressive rock non è del tutto omogeneo: accanto alla via principale sopra tracciata vanno ricordate le sperimentazioni sulle pratiche d’improvvisazione dei gruppi della Scuola di Canterbury (Heatfield and the North e, più tardi, Henry Cow), nonché il ricco filone del folk revival (Strawbs, Renaissance). L’atteggiamento serio e impegnato, unito ai dichiarati intenti artistici, riesce comunque ad accomunare questa nutrita schiera di musicisti sotto l’etichetta “progressivo”. Questo movimento non esaurisce però il panorama britannico del periodo: proprio nel 1970 emerge il glam rock, con il successo dei Tyrannosaurus Rex di Marc Bolan, di David Bowie e dei Roxy Music di Brian Ferry, nel cui primo disco incontriamo l’eclettico Brian Eno. Si tratta di un successo improvviso e, in un certo senso, curioso, in quanto l’estetica glamour si oppone spavaldamente agli ideali del progressive rock ma, allo stesso tempo, ne condivide le radici nel movimento psichedelico e nell’ambiente dell’Art School.
Il glam rock nasce proprio perché, verso la fine degli anni Sessanta, alcuni artisti maturano un netto rifiuto nei confronti dell’estetica “progressiva” in voga e decidono di esprimerlo in modo provocatorio e ambiguo, anzitutto scegliendo di proporre nulla più che semplici canzoni che si muovono tra l’esuberanza del neonato filone metal e la frivolezza del pop, ovvero i generi più bistrattati dalla critica rock, perché ritenuti “commerciali”. Questa formula musicale acquista la sua specificità solo se collocata nel contesto di una proposta artistica complessa, dove l’insieme degli elementi musicali, visivi e verbali delineano un’estetica del camp basata sulla stranezza, sulla trasgressione, sull’eccesso, sul falso; un’estetica impregnata di un’atmosfera decadente che, giocando sul contrasto tra raffinatezza, sciatteria e ironia, si diverte a lanciare provocazioni beffarde e oltraggiose. Basti pensare alla conturbante teatralità degli artisti, che si presentano con costumi e trucchi stravaganti, esaltando omosessualità, ermafroditismo e travestitismo, o, al contrario, la mascolinità più becera, oppure celebrando l’esteriorità, il sintetico e l’avveniristico, spingendosi fino a ricongiungere, in una fitta trama di ambiguità e rimandi, l’immagine straniante dell’alieno a quella inquietante dell’androgino.
Nelle sue espressioni migliori, il glam rock, non ignaro della poetica della pop art, rimane in bilico tra il kitsch eccessivo e la raffinata provocazione dadaista, scatenando un’ambiguità che riesce a disorientare e a farsi beffe della critica rock; in altri casi – come per il filone del glitter rock di Gary Glitter, Slade e Sweet – è difficilmente distinguibile dal pop.
Se l’ideale “progressivo” si diffonde in Europa, soprattutto in Italia e in Germania (vedi il filone krautrock), lo spirito glamour incide invece profondamente nella scena internazionale, coinvolgendo artisti di varie estrazioni, dagli statunitensi Lou Reed, Alice Cooper, Jobritah e New York Dolls, agli inglesi Freddie Mercury ed Elton John. Nel 1976 il pubblico, stanco sia di pretenziosità che di mascheramenti, comincia a preferire l’immediatezza dell’emergente punk rock e delle ritrovate guitar bands, decretando l’esaurimento di due generi musicali che, in realtà, sono già in profonda crisi. Molti gruppi decidono di entrare nel circuito pop (Genesis, Yes, Roxy Music), oppure si sciolgono (Gentle Giant). Marc Bolan muore nel 1977. Ma in quegli anni molti degli artisti glam più raffinati e dei protagonisti del progressive meno afflitti dal complesso d’inferiorità per i “classici” hanno già intrapreso percorsi artistici diversi, che li portano anche a incontri precedentemente impensabili. Fin dal 1971, infatti, i progetti individuali e le collaborazioni, ad esempio, di Brian Eno, Robert Fripp, Robert Wyatt e, in seguito, di David Bowie, Peter Gabriel e Peter Hammill mostrano progressivamente un sempre maggior distacco di questi artisti dai movimenti che hanno contribuito a creare, un distacco che, con qualche eccezione, sarà mantenuto anche quando i termini “glam” e “progressive” saranno ripresi negli anni successi con vari intenti. Vale però la pena, in conclusione, rilevare che parte dei musicisti del progressive rock e del glam rock sono confluiti in un filone musicale particolare della popular music, basato su un atteggiamento di sperimentazione e di ricerca più o meno radicale a seconda delle personalità, un filone ancora oggi vivo, anche se inevitabilmente lontano dagli ampi riconoscimenti di pubblico degli anni Settanta.