ALIDOSI, Roderigo
Nacque probabilmente in Firenze intorno al 1545 da Elena di Rodrigo de Mendoza e da Ciro, signore di Castel del Rio e gentiluomo della corte medicea. Anche l'A. visse presso la corte granducale come gentiluomo di camera e sposò la fiorentina Lucrezia Concini, sorella di Concino Concini, potentissimo alla corte di Francia. Da questo matrimonio ebbe quattro figli: Ciro, Mariano, Isabella ed Elena. Alla morte del padre, nel 1589, assunse la signoria di Castel del Rio e ottenne nello stesso anno dal granduca Ferdinando I la commenda stefaniana del "baliato di Romagna", istituita dal padre nel 1566 e dotata di beni posseduti dalla famiglia nelle diocesi di Imola e Cesena. Nel 1590 rinnovò col granducato di Toscana le antiche accomandigie di Castel del Rio con la Repubblica di Firenze.
Ferdinando I lo ebbe in grande stima e gli affidò numerose missioni diplomatiche, a Monaco nel 1590, in Spagna nel 1602, a Varsavia nel 1605 per presentare l'omaggio dei Medici a Sigismondo III di Polonia in occasione della conquista della Livonia e del matrimonio del re con l'arciduchessa d'Austria Costanza. A Varsavia l'A. iniziò anche trattative con l'ambasciatore del granduca Demetrio di Moscovia "per ottenere a' mercanti fiorentini la facoltà di commerciare in Moscovia co' medesimi diritti e privilegi dei Polacchi" (Ciampi). Tra il 1605 e il 1607 soggiornò a Praga come rappresentante dei Medici presso l'imperatore Rodolfo II. In occasione delle trattative per le nozze di Cosimo, primogenito del granduca, e Maddalena, figlia dell'arciduca Carlo di Austria, compilò per Ferdinando I una relazione sulla situazione dell'Impero, esaminandone accuratamente gli ordinamenti civili e militari e dando notizie sulla famiglia imperiale e su vari personaggi influenti della corte e dello stato: la Relazione di Germania e della Corte di Rodolfo II imperatore negli anni 1605-1607, fatta da R. A. ambasciatore del Granduca di Toscana Ferdinando I fu edita a cura di G. e C. Campori a Modena nel 1872.
Al suo ritorno in Italia, nel 1607, l'A. condusse con sé un giovane protestante boemo, tale Anchristoforo, che ospitò in Castel del Rio. Questo episodio dette origine a una macchinazione contro l'A. e la sua signoria: Andrea Mazzoni, curato di Castel del Rio e vicario del S. Uffizio per lo stesso territorio, irritato per la gravosa pressione tributaria esercitata dall'A. sui beni ecclesiastici sottoposti alla sua signoria, lo accusò segretamente all'inquisitore di Romagna, alla cui giurisdizione l'A. per il suo baliato era sottoposto, di condotta violenta e immorale verso i sudditi e, soprattutto, di eresia in complicità con l'Anchristoforo.
Le autorità pontificie erano da tempo alla ricerca di un'occasione per intervenire negli affari di Castel del Rio: questa signoria, situata ai confini della legazione di Romagna, era stata per il passato ed era ancora con l'attuale signore ospitalissimo rifugio ai banditi dello Stato della Chiesa, disponendo gli Alidosi con molta larghezza del diritto di asilo.
Gli ultimi gravi episodi, la concessione fatta dall'A. al popolo di Castel del Rio il 24 maggio 1603 di ospitare in sua assenza i banditi senza denunziarli e la "grazia" concessa dalla moglie dell'A. a Dionisio della Valle da Conselice, condannato a morte dalle autorità pontificie, spinsero queste a intervenire decisamente per togliere la signoria agli Alidosi e incorporare Castel del Rio nella legazione di Romagna. Questo programma, che fu effettivamente realizzato nel 1638, durante la signoria di Mariano, figlio dell'A., indusse l'inquisitore ad accogliere con grande interesse la denunzia del Mazzoni.
Il 4 luglio del 1608, trovandosi l'A., ignaro di tutto, in Borgo di Rossignano, territorio pontificio, l'inquisitore di Romagna ne ordinò la cattura: ma l'A., avvertito dal domenicano Vincenzo Blondi di Mordano, riuscì a fuggire e a rifugiarsi a Firenze. Qui il granduca Ferdinando I nell'agosto 1608, per ottenere che il processo venisse trattato al S. Uffizio di Firenze, fece imprigionare l'A., ma, nello stesso tempo, intendendo le effettive ragioni dell'atteggiamento pontificio, inviò un centinaio di armati dal Mugello e da Firenzuola ad occupare Castel del Rio. Grande scalpore fece in Firenze la vicenda dell'A., e perché era generalmente diffusa l'opinione della sua innocenza, e perché sembrava a tutti "un gran che ritener un ambasciatore", come scrisse il residente veneziano Francesco Morosini. Da parte sua l'A. contava su potenti protettori: lo stesso Ferdinando I intervenne in sua difesa presso il pontefice Paolo V attraverso il ministro a Roma e il nunzio apostolico a Firenze; ma, soprattutto, il cognato dell'A., Concino Concini, e la moglie di questi, Eleonora Galigai Concini, la famosa Marescialla d'Ancre, indussero il re di Francia Enrico IV a scrivere in favore dell'A. direttamente al papa. A tali intercessori Paolo V non poté non assicurare il proprio benevolo intervento nella vicenda.
Del resto, andavano moltiplicandosi in favore della buona condotta morale e religiosa dell'A, le testimonianze di personaggi ragguardevoli: tra tutte di particolare importanza fu quella di fra' Luca Nardi, commissario provinciale di Boemia dell'Ordine dei minori conventuali, il quale dichiarò da Praga, il 26 ott. 1608, che mai l'A. aveva avuto durante il suo soggiorno in Boemia contatti sospetti con i protestanti. Anche il Consiglio degli uomini e Comunità di Castel del Rio attestò il 22 sett. 1608, non si sa quanto spontaneamente, l'innocenza e la bontà dell'Alidosi.
Tutte queste pressioni non potevano rimanere senza risultato, e l'A., che, nel novembre 1608, era stato liberato dal granduca, rimanendo a disposizione del S. Uffizio nella sua casa fiorentina, il 23 luglio 1609 fu praticamente assolto dall'inquisitore generale di Firenze, p. Cornelio da Milano dei minori conventuali, che gli inflisse soltanto lievissime pene disciplinari. Appena poté tornare nella sua signoria l'A. si affrettò ad annullare le leggi di Imola, che vi vigevano, e ad introdurre quelle toscane (1610). Riprese, quindi, l'attività diplomatica, inviato in Lorena nel 1610 dal nuovo granduca Cosimo II. Al suo ritorno l'instancabile Mazzoni lo accusò nuovamente all'inquisitore di Romagna, questa volta di essere il mandante di un attentato compiuto da un suo nipote, Giovan Francesco Albizzi, contro tale Annibale delle Vigne, che era stato testimone avverso al processo di Firenze. L'interesse della Curia si destò nuovamente e il cardinale Mellini sollecitò l'inquisitore di Romagna di una approfondita inchiesta, ma, forse per intervento dello stesso pontefice, la cosa non ebbe seguito. L'A., del resto, era stato del tutto estraneo all'attentato. Per la terza volta, nel 1616, si tentò di incriminarlo, quando il cardinale Rivarola ne chiese l'arresto con una nuova accusa di empietà; ma il granduca Cosimo troncò il tentativo sul nascere, facendosi personalmente garante dell'ortodossia dell'Alidosi. Nel 1618 l'A. cedette in affitto ai Medici per 2000 scudi gli allodiali e le giurisdizioni della propria signoria e rinnovò per altri cinque anni il contratto nel 1621. Fondò a Firenze la cappella di S. Elena nella chiesa del Carmine.
Nel 1623, mentre a Roma si stavano preparando scritti che rivendicavano alla Chiesa il possesso di Castel del Rio, l'A. morì, trasmettendo la signoria al figlio Mariano.
Fonti e Bibl.: Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, III, Bari 1916, p. 141; P. P. Ginanni, Memorie storiche della antica, ed illustre famiglia Alidosia, Roma 1714, pp. 108-111; S. Ciampi, Bibl. critica… antiche corrispondenze dell'Italia con la Russia..., Firenze 1839, II, p. 127; G. F. Cortini, Storia di Castel del Rio, Imola 1933, pp. 85-90 e passim; P. Nalli, R. A., Signore di Castel del Rio e il S. Uffizio, in Atti e Mem. d. R. Acc. di scienze, lettere e arti di Modena, s. 5, III (1938), pp. 107-140; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato, Roma 1953,p. 127; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle Bibl. d'Italia, XLII, p. 136.