CAPRAIA, Rodolfo da
Figlio, forse secondogenito, del conte Guido (che era detto anche Guido Borgognone), nacque negli ultimi decenni del secolo XII. La prima notizia documentata che abbiamo su di lui risale all'anno 1203, quando lo troviamo in lotta contro Inghirame di Porcari e vassallo del Comune di Lucca. L'anno seguente, col fratello Anselmo e il padre Guido, occupò Capraia e passò dall'alleanza con i Pistoiesi (4 luglio) a quella con i Fiorentini (29 ottobre).
Della pace con i Fiorentini (che portava a Guido Borgognone e ai suoi figli anche il vantaggio del loro riconoscimento quali signori di Capraia, castello occupato con la forza), il C. appare in un certo senso il protagonista. Non è provato, ma è alquanto probabile, che una parte del prezzo per l'accordo fosse che egli divenisse podestà di Firenze, cosa che in effetti avvenne nell'anno successivo. Oltre a ciò, i Fiorentini si fecero probabilmente a loro volta mediatori di un accordo tra i conti di Capraia e i conti Guidi, che si erano fino ad allora fronteggiati e fra i quali sussistevano dissapori anche per i possessi limitrofi in Valdarno e in Valdelsa. Arra di quest'accordo deve essere stato il matrimonio tra Beatrice figlia del C. e Marcovaldo dei Guidi di Dovadola.
La podesteria del C. a Firenze nel 1205 è nota soprattutto per l'arrivo della reliquia del braccio dell'apostolo Filippo dalla Terrasanta. L'accoglienza trionfale che le fu riservata costituiva forse la "risposta" ortodossa alle forti spinte eretiche che si stavano facendo sentire in città e che preoccupavano lo stesso Innocenzo III, come fa fede una sua lettera del 5 marzo 1206; certo all'arrivo della reliquia fece seguito un appesantimento delle misure antieretiche, senza che si possa dire quale parte abbia in ciò avuto Rodolfo.
Comunque, con quest'esperienza egli aveva trovato per qualche tempo la sua strada: come molti altri membri della nobiltà messa in crisi dal crescere economico e politico dei centri cittadini, si dette alla "professione" del podestà. Fu ancora una volta reggitore a Firenze nel 1212, poi a Ferrara dove parteggiò per Salinguerra Torelli nella lotta che questi sosteneva contro gli Estensi. Coprendo ancora l'ufficio podestarile, a Bologna, nel 1214, non fu probabilmente estraneo alla chiamata in quella città di un suo famoso congiunto, il medico Ugo Borgognoni.
Lo troviamo da allora inpoi per alcuni anni impiegato in un'area, e inun partito precisi: Salinguerra, il suo amico di Ferrara, era a sua volta alleato degli Ezzelini, che la parentela con gli Alberti legava alla lontana alla figlia di Rodolfa. Come podestà di Treviso fra il 1214 e il 1215, Salinguerra vi aveva contribuito all'affermazione dei da Romano. Vediamo il C. a sua volta podestà in Treviso fra il 1217 e il 1218 e possiamo seguirne l'attività politica filoezzeliniana pur attraverso una serrata opera di pacificazione cittadina. La sua azione partigiana non dovette tuttavia dar frutti duraturi, perché il podestà che gli successe, Guglielmo Pusterla, era un fiero antiezzeliniano; meno effimera invece la sua fatica di legislatore, talché il suo nome è in effetti legato a una antica compilazione statutaria trivigiana.
Nuovamente in Toscana, nel 1218 cedeva insieme col fratello Anselmo al Comune di Lucca la parte loro spettante del castello di Monsummano; e, a suggellare il ribadito legame d'amicizia e d'ossequio per quella città, ve lo troviamo podestà nel 1219-20. In tale veste riceveva addirittura le lagnanze di un procuratore della comunità di Montevettolini contro le vessazioni del suo stesso padre; e sempre in tale veste intervenne all'incoronazione di Federico II in Roma. Molteplici legami lo tenevano avvinto all'imperatore svevo, dei cui sostenitori doveva a lungo essere un rappresentante cospicuo. Già dal '17 circa aveva preso contatti in Sardegna con suo cognato Ubaldo di Eldito Visconti, del quale anche Guido Borgognone era sostenitore a Pisa e in Sardegna; li riallacciò nel '28, quando questi - nonostante la scomunica papale - corse la Toscana alla ricerca di amici e di sostenitori della sua causa in Sardegna. Nella lotta fra Pistoia - che nel '27, attaccando alcuni castelli imperiali nella Valdinievole, si era compromessa agli occhi di Federico - e la lega di Fiorentini, Pratesi, Lucchesi, parteggiò per quest'ultima e ottenne nel 1228 che la vittoriosa Firenze fungesse da arbitra per le questioni che opponevano i suoi interessi territoriali e quelli della città sconfitta. Collaborò nel frattempo con il vicario imperiale di Tuscia Gebhard von Arnstein; lo troviamo suo ambasciatore, insieme con Ranieri degli Uberti, nel giugno 1231 a Montepulciano che si era ribellata a Siena e sotto la podesteria del guelfo fiorentino Ranieri Zingani de' Buondelmonti si era alleata a Firenze. Ma l'ambasceria non servì a modificare le scelte di quel Comune, e al vicario non restò che fulminare il bando imperiale contro di esso.
A questo punto il C. dovette rendersi conto che la Toscana non era la terra più adatta a facili conquiste e facili guadagni. Le guerre vi erano dure, continue, l'esito di esse incerto sempre, anche in caso di successo magre le prospettive. La vita dei signori feudali era resa sempre più difficile dall'incalzare delle città: ancora tra il marzo e l'aprile del 1233 egli, con i fratelli Anselmo e Sanguigno, si era trovato a dover chinare la testa di fronte al vescovo di Lucca, cedergli in una questione di giuspatronato, rendergli omaggio per una porzione del castello di Montecatini. Stabilì allora ch'era ormai venuto il momento di tentare la fortuna e di trasferirsi in Sardegna, dove già erano tanti suoi familiari e consorti.
Nell'isola era in atto il tentativo di conquista di Ubaldo di Lamberto Visconti, giudice di Gallura e proclamatosi rector calaritanus per proteggere i diritti del cugino Giovanni di Ubaldo Visconti su quella terra. Tanto il giovane Ubaldo che Giovanni - ancora minorenne - erano nipoti del C., il quale pertanto dal 1233 prese a impegnare le sue armi e le sue sostanze e per sostenere la loro causa, incorrendo anche nella scomunica che il pontefice riservava a chi contro la sua volontà si ingerisse nelle cose del Cagliaritano. Nel campo opposto, a tutela dei diritti dell'erede dei marchesi di Massa sul giudicato di Cagliari, scese Ranieri di Bolgheri: la rivalità tra Visconti e Gherardeschi scoppiava così drammaticamente anche nell'isola. Vi furono scontri per terra e per mare: il C. ci rimise, nel 1234, un'intera nave carica di cavalli e provvigioni che fu attaccata in uno scalo isolano da Guelfo di Donoratico. Scomunicato e cacciato dal Cagliaritano per l'incalzare dei Gherardeschi e dei loro alleati, egli continuò nondimeno ad appoggiare Ubaldo il quale nel frattempo, grazie alla moglie Adelasia, aveva messo le mani anche sui diritti al giudicato logudorese.
Ma insieme con la situazione militare, quella finanziaria si appesantiva a vista d'occhio. Nel luglio del '33 Ubaldo si riconosceva debitore del C. per 50 libbre di denari genovini piccoli; esse erano già 1900 nell'agosto del 1235 e, non riuscendo Ubaldo a saldare il suo debito, doveva impegnarsi a restituire l'intera somma gravata di 100 libbre d'interessi entro il maggio seguente. Un Doria e tre Sighelmi si facevano mallevadori per l'intero debito, che sarebbe stato raddoppiato se non fosse stato saldato entro i termini stabiliti.
La durata e il costo del conflitto nuocevano però alla causa di Ubaldo e consigliavano un riavvicinamento al pontefice. Adelasia se ne fece protagonista e ne approfittò anche per invocare l'intervento papale nella questione del debito; e in effetti Gregorio IX si affrettò a ordinare alla giudichessa di non versare un soldo allo scomunicato Rodolfo, mentre affidava lei stessa alle cure dei vescovi di Firenze e Pistoia e del priore di S. Frediano di Lucca.
Per dirimere la controversia sarda, che minacciava sempre più di trasformarsi in cronico conflitto civile tra Visconti e Gherardeschi con rispettivi alleati e consorti, il Comune di Pisa provvide a organizzare un lodo ai cui preliminari, il 5 apr. 1237, il C. figurava come procuratore dei Visconti. Raggiunta la pace generale si ottenne, il 7 novembre di quell'anno medesimo, un accordo separato fra il C. e Ranieri di Bolgheri: in forza di esso il Comune si accollava il debito dei Visconti e s'impegnava a versare in tre rate al C. 4.000 libbre di denari piccoli pisani mentre Ranieri, a parte, prometteva di risarcire il C. e suo nipote Bertoldo dei danni fatti loro subire nell'assalto del '34 alla nave.
Ma la morte successiva di Ubaldo Visconti e il nuovo matrimonio di Adelasia con Enzo figlio di Federico II, che metteva in forse l'egemonia pisana sull'isola, fecero sì che il Comune non si sentisse più soverchiamente interessato alla liquidazione delle faccende sarde, e il risarcimento non venne. S'inserì a questo punto nella vicenda il podestà di Firenze Rubaconte da Mandello, il quale promise al C. l'appoggio di Firenze, inviò a Pisa ambasciatori che ne sostenessero i diritti e indusse alla fine Rodolfo stesso a dichiararsi cittadino fiorentino. Non essendo i metodi diplomatici approdati a niente di concreto, Rubaconte promise a lui e alla figlia Beatrice - cui egli aveva ceduto parte dei suoi crediti - il diritto di rappresaglia contro persone e merci pisane fino al raggiungimento della somma in causa, più i dovuti interessi.
Quale cittadino di Firenze, il C. continuò a svolgere mansioni politiche e rappresentative: non è però chiaro se e fino a che punto egli si lasciasse coinvolgere nella lotta tra Rubaconte e il vescovo Ardingo (aprile-giugno 1238) in cui l'imperatore appoggiava il secondo. Certo egli era ancora un fedele di parte ghibellina, e lo vediamo collaborare col vicario Gebhard von Arnstein. Ma verso la fine degli anni Trenta la sua posizione politica cominciò a mostrare segni di instabilità. Ne fu probabilmente una delle prime ragioni la caduta in disgrazia di Gebhard, sostituito nell'estate del 1239 nelle funzioni vicariali da Enzo re di Sardegna che, come marito di Adelasia e alleato di Pisa, non doveva certo più entrare nelle simpatie del C. dopo la faccenda dei crediti non soddisfatti. Inoltre pesò certo sul suo spostamento verso l'area guelfa l'essere nonno del più prestigioso condottiero della pars Ecclesiae, quel Guido Guerra ch'era appunto figlio della contessa Beatrice e di Marcovaldo di Dovadola.
All'atto della fallita insurrezione dei guelfi di Firenze, nel 1248, il C. era chiaramente schierato con loro. I rapporti con i familiari pisani erano spezzati. Il castello di Capraia fu uno dei capisaldi della resistenza antimperiale nella parte occidentale del contado fiorentino, mentre ad est operavano Guido Guerra e il fratello Ruggero occupando Montevarchi.
Capraia era già assediata dalle truppe di Federico d'Antiochia e dei ghibellini toscani fino dal febbraio-marzo del '49; nella primavera giunse l'imperatore stesso e si stabilì a Fucecchio. Il 25 aprile il castello cadeva e i difensori più illustri (tra cui lo stesso C. col fratello Anselmo e Ranieri Zingani de' Buondelmonti) venivano trascinati a Napoli. Qui il C., nonostante l'età avanzata e i servigi resi in passato alla causa sveva, fu accecato e fatto annegare. La data della sua morte è anteriore al 12 marzo 1250, giorno in cui siamo informati che la figlia Beatrice, sua unica discendente, adiva con beneficio d'inventario all'eredità.
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