FARNETI, Rodolfo
Nacque a Chiesina, frazione di Lizzano in Belvedere (Bologna) il 17 febbr. 1859, da Luigi e da Maria Miglianti. Non seguì studi regolari ma si dedicò fin da ragazzo all'osservazione del circostante ambiente naturale nel tentativo di interpretarne le molteplici manifestazioni: in particolare incentrò la sua attenzione sugli organismi del mondo vegetale - dai funghi e muschi, di, cui divenne discreto speciografo, alle fanerogame ed alle malattie che le colpiscono - con occhio di morfologo attento anche agli ambienti di crescita. Frequentò qualche corso universitario, a Bologna, con maestri quali L. Bombicci Porta e G. Capellini; nel 1886, a 27 anni, fu chiamato dall'istituto botanico dell'università di Pavia, sede anche del laboratorio di botanica crittogamica, fondato nel '71 da S. Garovaglio, ove gli fu affidato l'incarico di conservatore delle collezioni e dell'erbario. I suoi lavori, caratterizzati da felici intuizioni ed originalità di proposte, trattavano in particolar modp delle malattie delle piante, ed erano conosciuti e apprezzati anche all'estero tanto che l'università di Pavia gli conferì per soli titoli la libera docenza in patologia vegetale. Con la qualifica di libero docente in quella stessa università in cui svolse poi tutta la sua attività fino alla morte tenne qualche corso monografico su vari argomenti di botanica e di micologia in particolare.
La sua produzione scientifica, compendiata in una cinquantina di lavori sperimentali, eseguiti quasi tutti presso l'università di Pavia, può essere suddivisa in briologia, patologia vegetale e micologia.
Iniziò con lo studio dei muschi presenti nella zona di Pavia, di cui diede un catalogo ragionato di oltre trecento specie, che fu in grado di raccogliere e di determinare, alcune nuove per la zona ed altre nuove per la briologia europea; descrisse anche forme fossili ritrovate nelle torbiere del Ticino rinvenendovi specie interessanti in rapporto ad alcune tuttora esistenti. Alle epatiche dedicò la sua attenzione e si affermò in questo campo per le osservazioni di carattere morfologico e biologico mentre allo studio della flora fanerogamica contribuì con lavori di sistematica e di fitogeografia sulla flora pavese. Fu particolarmente competente in biologia fiorale del riso di cui indagò la possibilità di fecondazione artificiale (Intorno alla cleistogamia e alla possibilità della fecondazione incrociata artificiale nel riso: Oryza sativa, in Atti d. Istit. bot. d. Univ. di Pavia, XII [1915], pp. 351-362).
Stabilì stretti rapporti di collaborazione con G. Briosi - nel 1883 succeduto al Garovaglio nella direzione del laboratorio crittogamico che portò a grande prestigio - con il quale pubblicò un Atlante botanico (2 ed. Milano 1899) con fini didattici e divulgativi, ed altri lavori quali: Intornoall'avvizzimento dei germogli del gelso, in Atti d. Ist. bot. d. Univ. di Pavia, s. 2, VII (1901), pp. 127-170; Intorno ad un nuovo tipo di licheni a tallo conidifero, che vivono sulla vite, finoraritenuti per funghi, ibid., VIII (1902), pp. 103-119; Sull'avvizzimento dei germogli del gelso, ibid., XVII (1920), pp. 185-202.
Ma i settori in cui il F. profuse maggiormente energie ed attenzione furono quelli della patologia vegetale e della micologia, secondo gli intendimenti del maestro Briosi.
In patologia vegetale, oltre alla descrizione di malattie crittogamiche, della comparsa di alcuni insetti dannosi alle piante e di alcune avversità di natura non parassitaria, si occupò dettagliatamente dei rapporti ospite-parassita e dell'azione predisponente alle malattie della chioma dovuta a lesioni o ad alterazioni delle radici. Condusse indagini per identificare i patogeni di alcune malattie come quella delle albicocche, che chiamò eczema, dovuta all'infezione da Stigmina briosiana, del "mal del piede" dei cereali dovuto a diversi patogeni tra i quali l'Ophiobolus graminis, dell'avvizzimento delle piante di cocomero e di crisantemo, dell'oidio della quercia e di altre latifoglie forestali (Oidium quercium), del nerume delle pere causato da Macrosporium sidowyanum, della cancrena delle "zampe d'asparago" e di alcune malattie delle piante foraggere che causano malattie al bestiame che se ne ciba con alterazione del latte e dei derivati.
Si occupò altresì di alcune malattie crittogamiche della vite e della diffusione della filossera anche per mezzo di larve ibernanti nelle galle fogliari della vite, che aveva rinvenuto ancora vitali nelle foglie secche (Di un nuovo mezzo di diffusione della filossera per opera di larve ibernanti, in collaborazione con G. Pollacci, ibid., s. 2, X [1905], pp. 95-102). Condusse ricerche sul polimorfismo e lo sviluppo di Botrytis hormini, parassita della salvia, da cui trasse importanti'spunti per gli studi successivi sull'avvizzimento dei germogli di gelso dovuto a Gibberella sp. ed a Fusarium sp. Studiando questa ultima malattia indicò come una stessa specie potesse essere contemporaneamente parassita o saprofita a seconda delle condizioni di sanità della pianta e delle sue caratteristiche individuali di resistenza.
La minaccia ad uno dei più importanti prodotti agricoli della Lomellina, il riso, era costituita da una grave malattia detta "brusone", che comprometteva seriamente il raccolto. Del problema si interessò il F. con l'ipotesi che causa della malattia fossero organismi patogeni quali Piricularia, Helmintosporium, Cladosporium, accomunandoli però in un'unica specie che appariva con diverse manifestazioni dato che nelle piante ammalate erano presenti sempre tutti questi diversi patogeni. Alcuni decenni dopo fu individuato l'unico patogeno Piricularia oryzae quale agente del brusone del riso.
Al mal dell'inchiostro del castagno, malattia che all'inizio del secolo provocò gravissime epidemie nei castagneti italiani ed europei, il F. dedicò non poche energie e vivo interesse di studioso. Ne descrisse accuratamente la sintomatologia, le modificazioni anatomo-istologiche da essa indotte nella pianta, sostenne che non nelle radici ma nella parte aerea della pianta fosse localizzato il patogeno che identificò nel Coryneum perniciosum e suggerì anche dei criteri di lotta, diretta e indiretta; tra questi ultimi indicava l'introduzione del castagno giapponese come varietà resistente. Riuscì anche a riprodurre artificialmente la malattia utilizzando appunto come patogeno il Coryneum perniciosum.
Infine si occupò di malattie minori come la muffa grigia della rosa causata da Botrytis vulgaris, la malattia della pianta del caffè, sviluppatasi in piantagioni messicane, ed anche dei danni da fumo emesso dalle locomotive ferroviarie sulle foglie delle piante.
Come micologo il F. dette validi contributi alla tassonomia degli Imenomiceti con la costituzione di una specie nuova di Boletus, il B. briosianum Farn.: ne promosse la divulgazione con la stampa di un atlante descrittivo sui Funghi mangerecci e velenosi (Milano 1892). Inoltre lasciò la descrizione di un centinaio di microfunghi rinvenuti nella provincia di Cremona (Nuovi materiali per la micologia lombarda. Funghi della provincia di Cremona, in Atti d. Ist. bot. d. Univ. di Pavia, VI [1900], pp. 95-108) partecipando così a quella feconda attività esplorativa che alcune scuole micologiche italiane condussero anche come lavoro preparatorio alla pubblicazione della grande Flora Italica cryptogama (di autori vari, Rocca San Casciano 1905-1943) e individuò una nuova specie, la Stigmina briosiana n. sp., che volle dedicare, come il precedente boleto, al suo maestro Briosi.
Morì il 18 febbr. 1919 a Vidiciatico (altra frazione di Lizzano in Belvedere).
Opere, oltre a quelle citate nel testo: Muschi della provincia di Pavia. Seconda centuria, in Atti d. Ist. bot. d. Univ. di Pavia, s. 2, I (1888), pp. 325-357; Terza centuria, ibid., II (1891), pp. 175-206; Quarta centuria, ibid., III (1892), pp. 63-81; Ricerche di briologia paleontologica nelle torbe del sottosuolo pavese appartenenti al periodo glaciale, ibid., V (1896), pp. 47-73; Ricerche sperimentali ed anatomiche-fisiologiche intorno alla influenza dell'ambiente e della concimazione sulla diminuita o perduta resistenza al brusone del riso bertone e di altre varietà introdotte dall'estero, in Rivista di patol. veg., II (1906), pp. 1-11; Il brusone del riso, ibid., pp. 17-42; Sulla moria dei castagni (mal dell'inchiostro), prima nota, in collaborazione con G. Briosi, in Atti d. Ist. bot. d. Univ. di Pavia, s. 2, XIII (1908), pp. 291-307; Intorno alla causa della moria dei castagni (mal dell'inchiostro) ed ai mezzi per combatterla: seconda nota preliminare, ibid., XIV (1909), pp. 47-51; Il mal bianco delle quercie minaccia anche i castagni ed i faggi, in Rivista di pat. veg., IV (1909), pp. 241-272; Riproduzione artificiale della moria dei castagni, mal dell'inchiostro, in Rend. d. R. Acc. d. Lincei, classe di scienze fis., mat. e nat., XX (1911), pp. 628-633; Norme pratiche per combattere la malattia dell'inchiostro dei castagni, in Rivista di pat. veg., VI (1913), pp. 33-41; La resistenza del castagno giapponese alla malattia dell'inchiostro, in collaborazione con E. Lissone-L. Montemartini, ibid., VI (1913), pp. 1-7.
Fonti e Bibl.: Necrol. in Rivista di biologia, I (1919), p. 160; P. A. Saccardo, La botanica in Italia, Venezia 1895, I, p. 71; L. Montemartini, R. F. (con bibliografia), in Atti d. Ist. bot. d. Univ. di Pavia, s. 2, XVIII (1921), pp. I-VI; G. Lazzari, Storia della micologia italiana, Trento 1973, pp. 276 s., 280.