EDLING, Rodolfo Giuseppe
Nacque a Gorizia, primo dei cinque figli di Giacomo e di Elisabetta dei conti Cobenzl; fu battezzato il 1° ag. 1723.
La famiglia, di lontana origine sveva, apparteneva al patriziato goriziano dagli inizi del secolo XVI; ripetutamente distintasi al servizio dei sovrani asburgici, nel 1697 fu elevata dall'imperatore Leopoldo I alla dignità comitale.
Compiuti i primi studi nel collegio gesuitico di Gorizia, l'E. fu presto indirizzato alla carriera ecclesiastica, come il fratello Venceslao, che sarebbe più tardi diventato canonico della cattedrale di Vienna. L'11 sett. 1740 ricevette a Udine gli ordini minori dal patriarca d'Aquileia Daniele Dolfin; si trasferi quindi a Roma, dove completò la propria formazione presso il collegio Germanico-ungarico e all'università Gregoriana. Il 4 sett. 1746 nel collegio Germanico ricevette l'ordinazione sacerdotale; due giorni dopo si laureò in filosofia e in teologia, difendendo tesi rispettivamente sul De coelo di Aristotele e sul concetto di predestinazione in s. Tommaso. Già in questo periodo cominciò a distinguersi nell'oratoria sacra: predicò anche nella cappella papale, alla presenza di Benedetto XIV.
Ritornato in patria, l'E. ottenne il 6 febbraio 1748 un canonicato nella chiesa patriarcale d'Aquileia; soppressa nel 1751 questa sede, il titolo gli fu trasferito presso il nuovo capitolo metropolitano di Gorizia, di cui il 2 febbr. 1752 venne fatto decano. In questa carica egli si applicò particolarmente nella cura d'anime e nell'assistenza alle case religiose; fu anche molto zelante nella predicazione: ogni giorno festivo nella chiesa di S. Giovanni di Dio teneva sermoni sia in italiano sia in sloveno. Il primo arcivescovo di Gorizia, Carlo Michele d'Attems, lo volle ben presto tra i suoi più stretti collaboratori, come elemosiniere segreto; nel 1768 lo propose al governo quale proprio coadiutore. La richiesta fu accolta; seguirono lunghe trattative tra Vienna e Roma e alla fine la nomina fu confermata da Clemente XIV nel concistoro del 20 nov. 1769, con la designazione della sede titolare di Cafarnao. Il 5 febbr. 1770 l'E. veniva consacrato vescovo a Gorizia dallo stesso Attems.
Come coadiutore egli sostitui il titolare, ormai in cattiva salute, nelle visite pastorali all'immensa diocesi, che andava dalla Carinzia ai confini dell'Ungheria e della Croazia, e comprendeva oltre 400 parrocchie e vicariati. Mantenne ottimi rapporti col clero regolare della provincia, sia maschile sia femminile (una sorella divenne superiora delle orsoline di Gorizia); lo colpi pertanto dolorosamente la soppressione della Compagnia di Gesù nel 1773, con la conseguente chiusura del collegio cittadino, che gli era carissimo. Incontrò invece serie difficoltà col clero secolare, a cominciare dagli aristocratici membri del capitolo metropolitano, che fin dall'inizio si mostrarono riluttanti a riconoscere la sua autorità.
L'Attems mori il 18 febbr. 1774: il 22 maggio l'imperatrice Maria Teresa designava l'E. suo successore. Corse tuttavia voce che per la carica era stato in origine prescelto un ecclesiastico austriaco d'alta nobiltà, deceduto improvvisamente nel frattempo. Clemente XIV confermò la nomina nel concistoro del 27 giugno: la relativa bolla non venne però emanata, probabilmente per la malattia del pontefice, che mori nel settembre di quell'anno. Fu Pio VI a perfezionare il provvedimento, il giorno stesso della propria incoronazione (il 22 febbr. 1775), conferendo all'E. il pallio di metropolita: cosicché egli il 14 maggio 1775 poté finalmente prendere possesso della diocesi, che per oltre un anno era stata governata da un vicario capitolare.
Anche come arcivescovo l'E. si dedicò in primo luogo alla cura d'anime: confessava fino a tre ore al giorno e prosegui regolarmente l'attività di predicazione. Abbondò sempre in elargizioni ed elemosine. Ogni anno visitava di persona un distretto della grande diocesi, cosicché nel giro di quattro anni l'aveva percorsa integralmente. Curò l'aggiornamento pastorale del clero e provvide a proprie spese all'ampliamento del seminario, istituendovi quegli insegnamenti che prima erano impartiti nel soppresso collegio gesuitico.
Austero e riservato, l'E. godeva di scarsa popolarità in ambienti importanti della sua città. I nobili non apprezzavano la sua vita appartata, che lo portava a circondarsi soltanto di religiosi, tra cui alcuni ex gesuiti. Il clero secolare era infastidito dalle severe norme da lui impartite: tra l'altro vietò agli ecclesiastici di frequentare i teatri e gli spettacoli mondani. Subito difficili furono i rapporti dell'arcivescovo con le autorità governative, per quanto nel 1779 fosse insignito del titolo di principe del Sacro Romano Impero. Già nel giugno 1778, nella prima relatio ad limina presentata a Roma, egli lamentava le continue ingerenze del potere civile sulla vita della Chiesa. Particolarmente aspro era il dissidio col vescovo di Lubiana, il potente Karl von Herberstein (molto ascoltato a corte), che non solo negava alla sede di Gorizia ogni privilegio di metropolitana, ma anche aveva proposto al governo di togliere all'arcidiocesi duecento parrocchie in Carniola, per passarle sotto la propria giurisdizione, facendo cosi coincidere i confini religiosi con quelli politici.
I rapporti dell'E. con Vienna ebbero un brusco peggioramento allorché Giuseppe Il assunse la piena responsabilità del governo, dopo la morte di Maria Teresa (29 nov. 1780), emettendo subito una lunga serie di provvedimenti restrittivi delle prerogative ecclesiastiche, in particolare nei confronti di conventi e fondazioni sacre. Nell'autunno del 1781, soprattutto su iniziativa di J. K. von Herberstein, vescovo di Lubiana, fu studiato un piano di ristrutturazione delle sedi vescovili dell'Austria interna, che prevedeva un radicale ridimensionamento dell'arcidiocesi goriziana, fino a configurare la sua soppressione. Nell'ottobre dello stesso anno Giuseppe II promulgò l'editto che concedeva nei propri Stati piena tolleranza ai culti non cattolici. L'E. rifiutò decisamente di pubblicare l'ordinanza, e non volle neppure darne notizia alle parrocchie sottoposte alla sua giurisdizione: si rivolse invece al papa per avere istruzioni precise su come comportarsi di fronte all'intera legislazione imperiale in materia religiosa. Agli inizi del 1782 il nunzio a Vienna G. Garampi riferiva a Roma che ormai l'arcivescovo era in aperto conflitto con le autorità statali: ma proprio in quelle settimane si preparava l'evento eccezionale del viaggio di Pio VI alla corte austriaca e la Curia pontificia si astenne da ogni intervento che potesse inasprire la già difficile situazione politica.
Il 21 febbraio all'E. venne intimato dal governo di pubblicare entro 24 ore i decreti imperiali cui si opponeva e di presentarsi subito a Vienna per giustificare il proprio operato; altrimenti avrebbe dovuto immediatamente dimettersi. Il 13 marzo l'arcivescovo si pose in viaggio, non essendogli stata concessa alcuna dilazione nemmeno di fronte all'arrivo a Gorizia del pontefice, atteso il giorno seguente: in sua assenza il cancelliere della curia arcivescovile Michele Godina provvedeva a notificare al clero della diocesi le norme controverse. Il 21 marzo, presentatosi davanti alla Cancelleria imperiale, l'E. veniva formalmente censurato quale "suddito ingrato e disobbediente"; dovette pagare una multa di 2.500 fiorini e ricevette l'ordine di attenersi in futuro alle risoluzioni sovrane senza riserve né ritardi. sotto pena di immediate dimissioni. Il giorno seguente era rimandato a Gorizia, nuovamente senza poter incontrare Pio VI.
Ritornato in sede, l'E. dovette affrontare l'ostilità tanto dei rappresentanti statali quanto dei suoi stessi collaboratori in curia.
Tra il 1782 e il 1783 le riforme giuseppine portarono nel Goriziano alla soppressione di numerose istituzioni religiose, compresi l'antico monastero benedettino di Aquileia e il seminario. L'E. non manifestò più la sua opposizione in modo palese, limitandosi a far pubblicare i vari decreti sovrani dal cancelliere Godina, cui in sostanza fu affidato il governo della diocesi. Questo atteggiamento venne giudicato da molti eccessivamente remissivo: il 19 ott. 1783 il nunzio Garampi scriveva sul suo conto a Roma che "la paura gli aveva tolto ogni più prudente coraggio".
Dalla primavera del 1782 Giuseppe II aveva sottoposto l'E. a un rigoroso controllo: la corrispondenza ufficiale in arrivo dalla Curia papale veniva sequestrata dal governo e al destinatario era inoltrata solo una copia. Nel settembre del 1783 gli fu nuovamente intimato di rinunciare alla propria carica, perché le autorità di Vienna avevano deciso di trasferire l'autorità metropolitana di Gorizia a una diversa diocesi austriaca (prima a Graz, di cui era progettata l'erezione, e poi a Lubiana). Al prelato era destinata una pensione annua di 10.000 fiorini, in verità superiore alle sue rendite precedenti. Il 24 settembre egli inviava al pontefice la rinuncia: Pio VI, con un breve del 23 novembre, respingeva però le dimissioni, perché prive di una motivazione canonica.
A Gorizia sia le autorità politiche sia il clero capitolare giudicarono che la rinunzia fosse in ogni caso effettiva e la sede vacante. Nel marzo 1784 Giuseppe II dispose la soppressione dell'arcidiocesi, di cui la parte occidentale, congiuntamente ai territori già sotto la giurisdizione di Trieste, avrebbe costituito la nuova diocesi di Gradisca, sotto la guida di Francesco Filippo Inzaghi, vescovo di Trieste. Il titolo metropolitano passava a Lubiana, nella persona dell'Herberstein. I beni della Chiesa goriziana venivano messi sotto sequestro e trasferiti all'amministrazione civile. Questa volta sia l'E. sia l'Inzaghi si opposero, pretendendo che decisioni così gravi fossero sottoposte all'approvazione papale. L'E. per proprio conto dichiarò d'essere tuttora in carica, essendo state respinte le sue dimissioni: e si rifiutò di presentarle nuovamente. La mediazione del cardinale Franz Herzan, ambasciatore imperiale presso la S. Sede, fece si che in giugno l'arcivescovo potesse partire per Roma. Qui le pressioni del diplomatico, che era riuscito a suscitare la diffidenza della Curia papale nei suoi confronti, lo spinsero a rinunciare per la seconda volta alla carica, con la motivazione formale dell'età avanzata. Nel concistoro del 13 ag. 1784 Pio VI accolse ufficialmente le dimissioni.
L'E. si stabili a Roma e il 28 giugno 1785 venne nominato vescovo assistente al soglio pontificio. Anche nella nuova residenza si distinse per le opere di carità e per l'attività di predicatore. Le sue traversie tuttavia non erano finite. La Curia pontificia non intendeva ancora approvare la ristrutturazione ecclesiastica dell'Austria interna promossa da Giuseppe II: veniva in particolare giudicato inammissibile che salisse al rango di metropolita l'Herberstein, acceso illuminista, più volte censurato per le sue idee progressiste in materia di religione. L'imperatore attribui queste resistenze alle manovre dell'antico arcivescovo di Gorizia e nel febbraio 1787 gli fece intimare di lasciare Roma per trasferirsi nei domini austriaci, sotto pena della perdita di ogni rendita concessagli. L'E. obbedi e scelse di soggiornare a Lodi, dove si recò in maggio, prendendo alloggio nel convento dei padri filippini. L'anno seguente, morto l'Herberstein, Pio VI dava l'assenso alla creazione della diocesi di Gradisca e al trasferimento del titolo metropolitano a Lubiana.
A Lodi l'E. continuò a dedicarsi alle opere di carità, impiegando in esse tutte le sue rendite: una parte notevole delle sue elargizioni rimase destinata a Gorizia. Ben presto acquistò fama di santità in tutta la Lombardia. Dal punto di vista politico si mantenne sempre fedele alla casa d'Austria, senza mai avvicinarsi ai Francesi, nonostante che Napoleone in persona si recasse a rendergli omaggio. Tra il 1798 e il 1801 sostitui nell'ufficio episcopale il vescovo lodigiano G. A. Della Beretta, costretto all'esilio: la sua attività non di rado sollevò i sospetti dei rappresentanti della Repubblica Cisalpina.
Mori a Lodi (prov. Milano) l'8 dic. 1803 e fu sepolto nella chiesa di S. Filippo: solo nel 1958 le spoglie furono traslate a Gorizia. Un processo canonico di beatificazione, iniziato subito dopo la sua morte, non fu più proseguito.
Fonti e Bibl.: Gorizia, Archivio arcivesc., Liber ordinatorum, busta 14, fasc. III-V; Ibid., Arch. capitolare, Sessiones capitulares, II, cc. 252256; Ibid., Bibl. del Seminario teologico, Fondo Attems-De Grazia, busta VIII, nn. 1435.1456; Roma, Arch. segr. Vaticano, S. Congregazione concistoriale, Processus consistoriales, 57, pp. 125-134; 166, pp. 171-179; Ibid., S. Congregazione del Concilio, Relationes, n.368 (all'anno 1778); Ibid., Nunziatura di Germania, bb. 406, 408-409, 413-415, 709; Ibid., Nunziatura di Vienna, busta 135, cc. 120-172; Ibid., ibid., Processi canonici dei vescovi, nn. 507, 522; Archivio di Stato di Trieste, Imperial regio governo, Atti amministrativi di Gorizia, serie 1754-1783, buste 465-467; serie 1783-1791, buste 2-4, 7, 33-34.
Per l'eco in Italia della vertenza con Giuseppe II, cfr. Gazzetta universale, 1782, nn.24 s., 35, 38; Notizie del mondo, 1782, nn. 23, 30; Carteggiodi P. e A. Verri, XII, a cura di G. Seregni, Milano 1942, pp. 227-230, 245 s.; [C. Morelli di Schönfeld], Istoria della Contea di Gorizia [1790 c.], III, Gorizia 1855 (ristampa, Gorizia 1972), pp. 249 s.; L. Valdani, In morte di sua altezza reverendissima R. G. de' conti e signori d'E., Milano 1804 (con ritratto); G. D. Della Bona, Osservazioni e aggiunte sopra alcuni passi dell'"Historia dellaContea di Gorizia" di C. Morelli, Gorizia 1856 (ristampa, Gorizia 1972), pp. 278-283, 314-317; S. Brunner, Die theologische Dienerschaft am HofeJoseph II., Wien 1868, pp. 100-109, 144-161, 415-419 (utilizza documenti degli archivi di Vienna); H. Schlitter, Die Reise des Papstes Pius VI. nachWien, Wien 1892-94, ad Indicem; P. Ferrari, Biografia di R. di E., in Arch. stor. per la città e comuni del circondario di Lodi, XXII (1903), pp. 122-135, 161-177 (segnala fonti manoscritte lodigiane); J. R. Kušei, Joseph II. und die äussere Kirchenverfassung Innerösterreichs, Stuttgart 1908, adIndicem; F. Furlan [F. Spessot], La consacrazioneepiscopale di mons. E., in Ce fastu?, VIII (1932), pp. 187-191; G. Soranzo, "Peregrinus Apostolicus". Lo spirito pubblico e il viaggio di Pio VI aVienna, Milano 1937, pp. 129 s., 265 ss.; R. Klinec. L'attuazione della legislazione ecclesiastica diGiuseppe II nell'arcidiocesi di Gorizia, Gorizia 1942, pp. 30-52, 67-76, 177-182, e passim; F. Maass, Der Josephinismus, II-III, Wien 1953-1956, ad Indices (anche sub voce Görz); DerSchriftenverkehr zwischen dem päpstlichen Staatssekretariat und dem Nuntius am Kaiserhof Antonio Eugenio Visconti, 1767-1774, a cura di I. L. Pozza, Wien-Graz 1970, ad Indicem; R. Klinec, in Primorski Slovenski Biografski Leksicon, Gorizia 1977, pp. 327 ss.; X. Toscani, Ilclero lombardo dall'Ancien Régime alla Restaurazione, Bologna 1979, pp. 216 s.; D. Menozzi, La patente di tolleranza in Italia (1781-1790), in Mitteilungen desOesterreichischen Staatsarchivs, XXXV (1982), p. 61; P. Schmidt, Das Collegium Germanicum in Rom und die Germaniker, Tübingen 1984, p. 237; F. Venturi, Settecento riformatore, IV, 2, Torino 1984, p. 669; C. Wurzbach, Biographisches Lexicon des Kaiserthums Oesterreich, pp. 429 s.; R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentiorisaevi, VI, Patavii 1958, pp. 145, 227, 451; L. Tavano, in Die Bischöfe der deutschsprachigenLänder, 1648-1803. Ein biographisches Lexicon, Berlin 1990, pp. 86 ss.