MONDOLFO, Rodolfo.
– Nacque a Senigallia il 20 ag. 1877, da Vito e da Sigismonda Padovani, in una famiglia ebraica benestante. Dopo gli studi liceali si trasferì a Firenze dove, dal 1895 al1899, frequentò la sezione di filosofia e filologia dell’Istituto di studi superiori e pratici.
L’atmosfera della prima formazione del M. può considerasi, lato sensu, positivista: uno fra i suoi punti di riferimento, P. Villari, indubbiamente positivista, era tuttavia, nella impostazione del suo pensiero, lontanissimo dalla rappresentazione di maniera di quel movimento: nel saggio La storia e la scienza (1891) Villari articola un impianto metodologico sostanzialmente aperto, per nulla coincidente con lo «scientismo» storiografico. Un terreno poi, quello di Villari, certamente contiguo, in qualche punto addirittura compenetrato, con quello che contemporaneamente venivano arando studiosi che cercavano di coniugare la «storia come scienza» con il socialismo militante, proprio attraverso il riferimento privilegiato alla concezione materialistica della storia; terreno su cui anche il M. si sarebbe trovato. Lato sensu soprattutto perché il suo maestro di filosofia, F. Tocco, con il quale discusse la tesi di laurea su Ė. Bonnot de Condillac, nel 1899, maestro anche di G. Gentile, filosofo speculativo principe dell'idealismo italiano, difficilmente può essere considerato positivista.
Gli anni fiorentini furono importanti nella formazione politica del M.; tramite il fratello, Ugo Guido, di due anni più anziano, entrò in contatto con un gruppo di studenti e giovani laureati che si riunivano nella casa di Ernesta Bittanti, futura moglie di Cesare Battisti. Si formò così, insieme con A. Galletti, G. Salvemini, G. Mondaini, lo stesso Battisti, una comunità in cui studio e passione politica convivevano alimentandosi vicendevolmente, portando il M., agli inizi del secolo, a un'intensa collaborazione con la Critica sociale di F. Turati, la più importante rivista del socialismo italiano.
La collaborazione del M. – proseguita fino alla chiusura del periodico, nel 1926, e ripresa nel secondo dopoguerra – toccò i più vari argomenti: dai temi direttamente politici a questioni concernenti il mondo dell’insegnamento e della laicità della scuola, dalle recensioni a questioni relative alla morale sessuale.
Contemporaneamente il M. passava dall’esperienza di insegnante nei licei (Potenza, Ferrara e Mantova) a quella di insegnante universitario: dapprima (1904) a Padova, come incaricato a sostituire R. Ardigò, poi (1910-14) come titolare di storia della filosofia a Torino, e infine, dal 1914, a Bologna, sempre sulla cattedra di storia della filosofia.
Il salto di qualità del M. nel dibattito filosofico italiano si ebbe nel contesto della teorizzata fine del socialismo (Croce, 1911) e della collocazione «in soffitta» del marxismo (Giolitti, 1911). In realtà proprio in quel lasso di tempo era in corso un’operazione dallo spessore teorico tutt’altro che irrilevante, di cui il M. fu protagonista, tesa a una «ricostruzione» del marxismo come «filosofia del socialismo».
La riflessione del M. sul marxismo come «filosofia del socialismo» partiva non tanto dall’ambito del positivismo, quanto piuttosto dall’atmosfera di crisi del positivismo: «Il viaggio dall’illuminismo al marxismo, da Hobbes a Engels – avverte Garin (Tra due secoli…, p. 223) –, non fu per Mondolfo una pacifica passeggiata nel mondo delle idee sotto la guida di Roberto Ardigò. Fu un’esigenza emergente dalle lotte politiche e dal travaglio socialista alla vigilia della guerra italo-turca che lo portò ad affrontare il chiarimento teorico delle posizioni di L.A. Feuerbach, K. Marx, Fr. Engels e F. Lassalle, e questo nella ormai comune atmosfera di crisi del positivismo, ovunque diffusa».Vi sono alcuni aspetti di questo viaggio, per lo meno di quello nel «mondo delle idee», che sono in grado di fornire utili indicazioni sulla qualità del suo «integralismo marxista». Ardigò, «guida» cui egli fa riferimento, gli permette di «integrare» idealismo e positivismo in un «realismo», offrendogli così una risposta al problema della duplicità della conoscenza. Questo meccanismo di «integrazione» il M. lo avrebbe utilizzato nella costruzione della sua «filosofia del socialismo», che non a caso ebbe un carattere di compattezza e di sistematicità in gran parte assente, per esempio, nella elaborazione di A. Labriola. La «ricostruzione» mondolfiana del marxismo cominciò, infatti, con l’«integrazione» in quel processo del «vero» Feuerbach, da lui sottratto al materialismo. E lo stesso Engels, che pure nell’AntiDühring ha usato le espressioni più assolute di monismo materialistico, a parere del M. non può davvero considerarsi materialista: Engels, per il M., ha usato solo una «terminologia» materialistica, ma la sua opposizione all’«idealismo speculativo» si determina per quella «filosofia della praxis» che è la negazione di ogni filosofia materialista. E soprattutto la dialettica, «forma e condizione della intellegibilità del reale» anche per Engels, dovrebbe essere di per se stessa antidoto principe contro ogni forma di materialismo. Quindi, «integrazione», come elemento di «costruzione sistematica», «dialettica» come negazione di «materialismo» caratterizzano un progetto filosofico che intende dare risposte ai problemi posti da una stagione della storia del socialismo nei suoi rapporti con la società e la cultura italiane.
Di fatto però, il periodo dal 1908 al 1912, durante il quale il M. elaborò il nucleo centrale della propria lettura marxista, non può considerarsi del tutto omogeneo: il passaggio da una prospettiva di crescita (1908), a una di crisi (1911) spiega, per lo meno in parte, come nell’oscillazione del M. tra una teoria del socialismo basata su «analisi economico-sociale e analisi storico-empirica» e una riflessione basata su una «coscienza puramente filosofica», sia infine quest’ultima a prevalere. Vi è tuttavia un aspetto di «omogeneità» che trascende il periodo considerato e che fa meglio comprendere anche l’importanza del progetto del M. e della sua realizzazione. Quando, nel 1908, il M. intervenne su Critica sociale dopo che il congresso di Firenze del Partito socialista italiano (PSI) ebbe sancito l’egemonia dei riformisti sul partito, lo fece soprattutto per esorcizzare quella «fine del marxismo» evocata allora non solo dal Corriere della sera, ma soprattutto tacitamente accettata in molti ambienti del riformismo.
A ragione N. Bobbio sostiene che, per il M., «lo studio del pensiero filosofico di Marx e di Engels fu un modo di fare i conti col revisionismo in entrambe le sue dimensioni» e che «dal punto di vista teorico, Mondolfo non appartiene alla storia del revisionismo» (Introduzione a R. Mondolfo, Umanesimo di Marx, pp. XXX, XXXII). Forse sarebbe più giusto definire quella del M. come la «filosofia del riformismo», ma proprio quel marxismo «integrale» di cui si è detto, così caratteristico della sua «filosofia del socialismo», rende problematica anche quella definizione.
Per il M. nel socialismo si riscontra «l’assenza di un’anima teorica, di una direttiva filosofica», c’è dunque «bisogno di un orientamento filosofico» (R. Mondolfo, Rovistando in soffitta), questa chiara affermazione programmatica apparve sulla Critica sociale nel 1911, ma ci sono scarsi dubbi che tale impostazione non fosse anche alla base del suo primo importante studio «ricostruttivo» di un «orientamento filosofico» marxista: La filosofia del Feuerbach e le critiche del Marx (Prato 1909). La struttura analitica della «filosofia del socialismo» fu, dunque, delineata nel breve periodo che corre dal 1909 al 1912, ed ebbe ai suoi estremi le opere teoriche più significative del M.: appunto il saggio su Feuerbach e quello su Engels (Il materialismo storico in Federico Engels, Genova 1912).
L'«orientamento filosofico», secondo il M., è necessario tanto ai riformisti quanto ai rivoluzionari: i primi hanno ritenuto «la teoria superata nella pratica» e dunque hanno disdegnato di rifar mai i conti con la filosofia, mentre i secondi non hanno mai davvero riflettuto su quella «filosofia volontaristica» alla quale pure dicevano d’ispirarsi. E allora «nessuna tendenza, vecchia o nuova, che sorga nel partito socialista, potrà mai prescindere da quella necessità preliminare che Marx ed Engels per i primi sentirono: la necessità di fare i conti con la filosofia» (cfr. Socialismo e filosofia, in L'Unità, 1913). L’«integralismo» metodologico del M. risponde anche alla necessità di una ricollocazione delle «tendenze» tradizionali di fronte alla nuova esigenza di teoresi che dovrà informare la filosofia per tutto il socialismo.
Questo nucleo forte della «filosofia del socialismo» elaborato negli anni 1908-13, originale approccio alla teorica marxiana, venne ripreso, sviluppato, e messo a confronto con i nuovi problemi a partire dalla crisi del primo dopoguerra. Non casualmente già nel 1919 il M. raccolse in volume i suoi studi marxisti degli anni prebellici (Sulle orme di Marx, Bologna) poi ristampato nel 1923 in edizione accresciuta per la «Biblioteca di studi sociali», collana diretta dallo stesso M. per l’editore Cappelli.
Questa nuova edizione del libro (la terza: ne era uscita una seconda nel 1920) è la dimostrazione dell’interesse intorno a una sistematica teorica che si confronta con il nuovo della crisi postbellica, mantenendo il nucleo analitico originale. Di particolare interesse e attualità risultano l'analisi della rivoluzione russa e dell’inizio dell’esperienza sovietica: il M., il quale pure aveva costruito un’interpretazione antideterministica del marxismo, che aveva messo l’accento sulle possibilità creative della praxis, è nettissimo nel condannare, proprio in nome di Marx, quello che considera il volontarismo assoluto di Lenin. In Russia, per il M., non era presente alcuna fra quelle condizioni necessarie per una trasformazione rivoluzionaria così come Marx le aveva indicate. «L’azione rivoluzionaria di Lenin [spezzava] bruscamente il legame dialettico tra condizioni oggettive e coscienza soggettiva [scindeva] la coscienza rivoluzionaria dal senso storico (Bobbio, cit., pp. XXXIX-XL)». Il giovane A. Gramsci era intervenuto con veemenza nel dibattito fin dalla prima edizione del libro (cfr. L’Ordine nuovo, 15 maggio 1919) accusando il M. di «marxismo professorale», di «amore grammaticale» per la rivoluzione: in sostanza di voler sottoporre i grandi sconvolgimenti storici alla pietra di paragone del «senso filologico dell’erudito». Non c’è dubbio che la tendenza a sottoporre gli «slittamenti» della storia nel letto di Procuste della correttezza secondo testi, nella linearità di una teoria da quei testi desunta, si dimostri euristicamente sterile. Non c’è dubbio, altresì, che, nel giudizio storico sui settant'anni dell’esperienza sovietica, il percorso del M. dietro le Orme di Marx debba comunque essere tenuto in attenta considerazione.
La «Biblioteca di studi sociali» si configurò, in quel periodo, come il luogo privilegiato dove assumevano maggiore spessore riflessivo gli intensi dibattiti di quel dopoguerra. Il M. interveniva non solo nella Critica sociale di Turati, ma anche su L’Unità di Salvemini, Energie nuove e poi La Rivoluzione liberale di P. Gobetti, Quarto Stato di P. Nenni e C. Rosselli. Tale ampio sistema di relazioni, aperto a tutti i contributi critici, si rispecchiava appunto nella «Biblioteca di studi sociali», un vero e proprio carrefour di itinerari. Esemplarmente, tra gli ultimi titoli della collana figurano La rivoluzione liberale di Gobetti e i Saggi intorno alla concezione materialistica della storia di A. Labriola curati da L. Dal Pane: una coniugazione tra rigore teorico e apertura ai problemi nuovi che l’affermazione definitiva del regime fascista cancellò dal discorso pubblico italiano.
Dopo il 1926 e fino al 1938, il M. fu, ovviamente, impossibilitato a continuare quel tipo di discorso pubblico; non chiuse però la riflessione sui temi del marxismo e del socialismo pubblicando in sede accademica alcuni lavori di messa a punto storico-critica su tali questioni. In particolare fu piuttosto intensa la sua collaborazione con l’Enciclopedia italiana.
Tra le altre redasse voci che potevano risultare politicamente impegnative, come Materialismo storico, Comunismo, Socialdemocrazia, Socialismo, Labriola. Il tutto in quell’atmosfera impregnata di nicodemismo, asetticità scientifica, legami di amicizia personale, fraindendimenti voluti, che caratterizzò le iniziative culturali del fascismo di cui furono protagonisti tanto Gentile che G. Volpe.
Nello stesso periodo, tuttavia, prendeva forma una nuova fase della biografia intellettuale del M.: quella dello studioso del «pensiero antico» a un livello di eccellenza; assai probabile che questa nuova fase fosse strettamente legata a un clima politico che non permetteva, se non nei limiti di cui si è detto, di coltivare il «pensiero moderno» nei termini nei quali il M. l’aveva praticato per venticinque anni. Certo la monumentale Storia del pensiero antico (Roma 1929), costruita con testi greci e latini appositamente tradotti dall’autore, è dimostrazione di un rapporto con il mondo classico non esploso all’improvviso; piuttosto, quello che può far considerare la pubblicazione un «nuovo inizio» è il fatto che da allora la dimensione dell’antichistica divenne il luogo primo dell’impegno intellettuale del Mondolfo.
Nel 1932 e nel 1938 uscirono, curati dal M., i due grossi volumi sul pensiero antico di E. Zeller (Origini, caratteri e periodi della filosofia greca, Firenze); mentre nel 1935 fu pubblicata la chiarificazione metodologica del M. (I problemi del pensiero antico, Bologna); contemporaneamente apparve una lunga serie di articoli sugli autori oggetto delle grandi monografie.
Nel 1938 le leggi razziali costrinsero il M. all’emigrazione oltreoceano, e questo suo «secondo inizio» contribuì in maniera non secondaria a introdurlo nell’insegnamento universitario argentino; ottenne, infatti, la cattedra di greco antico presso l’Università di Córdoba, dove si trattenne dal 1940 al 1948; dal 1948 al 1952 insegnò storia della filosofia antica all’Università di Tucumán.
Dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra, il M. iniziò una fase di pendolarismo tra Italia e Argentina. Fu reintegrato nel ruolo dei professori universitari e nella cattedra di storia della filosofia dell'Università di Bologna, ma non vi ristabilì la propria residenza. Mantenne, in quegli anni, una operosità impressionante.
Tra il 1950 e il 1960 uscirono una ventina di volumi in italiano e in spagnolo e qualche decina di articoli. Insieme con nuovi studi di storia della filosofia antica, curò la riedizione di vecchi lavori rimettendo in circolo i suoi antichi studi marxisti. Riprese e continuò fino a tardissima età la sua collaborazione a Critica sociale.
Il M. morì a Buenos Aires il 16 luglio 1976.
Per una bibliografia di riferimento degli scritti del M. dal 1899 al 1975 (465 titoli) si rimanda a Bibliografía completa de los escritos de R. M., in appendice a R. M. maestro insigne de filosofía y humanidad, Tucumán 1992, pp. 71-94. Per le più recenti raccolte, si veda: Umanesimo di Marx. Studi filosofici 1908-1966, a cura e con introduzione di N. Bobbio, Torino 1968; R. M. interprete della coscienza moderna. Scritti 1903-1931, con Introduzione (pp. IX-LVI) e per cura di R. Medici, Bologna 1991; Educazione e socialismo, a cura di T. Pironi, Manduria-Bari-Roma 2005.
Fonti e Bibl.: Al momento della partenza per l’esilio argentino, il M. consegnò le sue carte al militante socialista Enrico Bassi, alla cui morte, nel 1987, l'archivio passò a Firenze, presso la Fondazione di studi storici Filippo Turati: il fondo è inventariariato in S. Vitali, Il Fondo Enrico Bassi presso la Fondazione «Filippo Turati» di Firenze, in Rass. degli Archivi di Stato, LIII (1993), 2-3, pp. 275-293; le carte del periodo posteriore sono a Milano, Università degli studi, Biblioteca del dipartimento di filosofia, Fondo R. M. Per il complesso archivistico, si vedano: Le carte di R. M. nell'Archivio Bassi, a cura di S. Vitali, in Fondazione di studi storici Filippo Turati, Firenze; Università degli studi di Milano, Dipartimento di filosofia Arch. R. M., Inventari, a cura di S. Vitali - P. Giordanetti, Roma 1996, pp. 1-290, 503-639.
Pressoché tutta la letteratura sul socialismo e sul marxismo italiani dedica al M. spazi più o meno ampi. In questa sede si fa riferimento solo ai lavori nei quali il M. è l’oggetto principale di studio: L. Vernetti, R. M. e la filosofia della prassi, Napoli 1966; Critica sociale, 20 dic. 1967 (numero monografico dedicato al M.); D.F. Prò, R. M., I-II, Buenos Aires 1967-68 (con bibl. estesa sul M. di 490 voci); E. Bassi, R. M. nella vita e nel pensiero socialista, Bologna 1968; G. Marramao, Marxismo e revisionismo in Italia (dalla «Critica sociale» al dibattito sul leninismo), Bari 1971, passim; E. Garin, Filosofia e marxismo nell’opera di R. M., Firenze 1979; Pensiero antico e pensiero moderno in R. M., a cura di A. Santucci, Bologna 1979; M.P. Falcone, Individuo e società: l’itinerario filosofico del primo M., in Trimestre, XIV (1981), pp. 271-281; E. Garin, R. M., in Id., Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l’Unità, Bari 1983, pp. 204-234; R. Medici, R. M.: forza e violenza nella storia (1915-1923), in Filosofia e scienza a Bologna tra il 1860 e il 1920, a cura di G. Oldrini - W. Tega, Bologna 1990, pp. 225-244; M. Pasquini - G. Del Vecchio, Il kantismo giuridico e la sua incidenza nell'elaborazione di R. M., Citta di Castello 1999; R. M.: 1877-1976, a cura di G. Crinella, Urbino 2006; R. M.: 1877-1976, Fabriano 2006; C. Calabrò, Il socialismo mite: R. M. tra marxismo e democrazia, Firenze 2007; Il movimento operaio italiano, Dizionario biografico, III, sub. voce.