GUGLIELMI, Rodolfo Pietro (in arte Rodolfo Valentino)
Nacque a Castellaneta, presso Taranto, il 6 maggio 1895 da Giovanni e da Gabriella Barbin.
Il padre, ex capitano di cavalleria, esercitava la professione di medico veterinario; la madre era figlia di un medico francese.
Scolaro vispo e svogliato, il G. trascorse un'infanzia e una prima adolescenza serenamente borghesi a Castellaneta e poi a Taranto, fino alla prematura e traumatica scomparsa del padre; non rinunciando al progetto di garantire ai figli (c'erano anche Alberto e Ada) un'educazione decorosa, la madre lo iscrisse a un collegio di Sant'Ilario Ligure, dove, nel 1912, si diplomò in agraria. Non seguì, però, il definitivo ritorno a casa che la famiglia attendeva: il G., che i documenti di collegio definivano studente irrequieto, interessato soprattutto alle lezioni di ginnastica e al ballo, chiese e ottenne di tentare la fortuna nel Nuovo Mondo. Ci fu un intermezzo parigino, poi, alla fine del 1913, il G. s'imbarcava sulla motonave "Cleveland" diretta a New York.
Poco si conosce dei primi anni trascorsi dal G. nella metropoli: lavorò probabilmente come giardiniere a Long Island e successivamente come ballerino nei tango palaces.
Si trattava di sale da ballo sul filo dell'equivoco, dove signore della buona società newyorkese si concedevano il brivido di allacciarsi nei mulinelli e nei due-quarti a giovani ballerini a pagamento detti taxi-dancers. Il G. seppe sfruttare l'acerbo fascino latino e una naturale abilità nel ballo (probabilmente affinata a Parigi e nelle settimane sul "Cleveland") per procurarsi un nome nell'ambiente.
Liquidato l'anonimo e mal pronunciabile Guglielmi, divenne allora Rodolpho di Valentina e iniziò a lavorare nei teatri cittadini come partner di ballerine professioniste del rango di Bonnie Glass e Joan Sawyer.
Non tardarono ad arrivare per il G. problemi giudiziari a causa di una probabile relazione con Bianca de Saulles, moglie d'un notabile di Manhattan. Al G. fu contestata l'accusa di falsa testimonianza durante la causa di divorzio intentata dalla donna al marito, pure adultero; a cui seguì un'accusa di ricatto con il conseguente rischio di incarcerazione. Ulteriori implicazioni derivanti dall'omicidio di Jack de Saulles, per il quale fu indagata la moglie, indussero il G. a lasciare New York.
Una tournée di ballo gli offrì l'occasione di partire per Hollywood.
"Allora alzai lo sguardo e colsi il profilo della bellissima testa di Rudy. Immediatamente mi colpì la speciale qualità dei lineamenti perfetti, qualità che i francesi avrebbero chiamato fotogenia. Era il mio lavoro di regista cercare nuove facce e certo, se solo la recitazione del ragazzo si fosse mostrata all'altezza del suo profilo, mi trovavo davanti a una scoperta eccitante": questa testimonianza, datata 1916 e citata da D. Koszarski (There's a new star in heaven. Valentino, a cura di E. Orbanz, Berlin 1979, p. 42), appartiene a D.W. Griffith e sembra testimoniare l'incontro tra il padre fondatore del linguaggio cinematografico e l'attore in procinto di diventare la più durevole icona.
In realtà, al cinema il G. aveva cercato di affacciarsi già negli anni dei tango palaces, prestandosi come comparsa nelle scene di ballo di piccole produzioni newyorkesi della Reliance and Majestic, della Vitagraph, della Famous Players, film intitolati The battle of sexes, Seventeen, The foolish virgin. Apparve sempre come comparsa in Alimony (E.J. Flynn, 1917); ma fu solo con A married virgin (L'avventuriero), produzione indipendente e regia di J. Maxwell, che il G. nel 1918 si conquistò un ruolo di coprotagonista.
Commedia drammatica di costumi borghesi, A married virgin vedeva il G. nel ruolo laterale di un conte italiano, avventuriero, ricattatore, soldato di fortuna in quel campo di battaglie morali e sentimentali che è l'alta società, soprattutto seduttore: immagine sospesa tra dandismo e volgarità, vilain latino circonfuso di indubbio fascino ma anche esposto a un remoto disprezzo sociale.
A un profilo simile aderirono ancora i personaggi interpretati in molti film usciti lungo il 1919, nei quali il nome dell'attore non aveva ancora una grafia certa (da Rudolpho de Valentina a Rodolfo di Valentini a Rodolpho Valentino), ma si guadagnava sempre maggior rilievo nei credits: il G. era seduttore sedotto in The delicious little devil (La diva del tabarin) di R.Z. Leonard (con la diva smorfiosa Mae Murray), torvo malavitoso d'eleganza francese e apache in The rogue romance (Il ladro di perle) di J. Young, gigolò prezzolato in Eyes of youth di A. Parker (con la diva malinconica Clara Kimball Young), seduttore, ricattatore e destinato a una pessima fine in Stolen moments di J. Vincent. Altri film del biennio provarono a fare del G. una figura più borghese e yankee (A societysensation e All night, di P. Powell); ma fin dall'inizio fu chiaro che proprio la particolare bellezza mediterranea sarebbe stata il tratto distintivo del giovane attore.
La tipologia hollywoodiana dell'epoca stava proprio allora configurando un canone di seduzione esotica e preferibilmente latina, impersonato per esempio da R. Cortez e A. Moreno (primi partners di Greta Garbo), poi da R. Novarro, la cui carriera negli anni Venti si costruì in alternativa e a imitazione di quella del G. (mentre anche le loro vite private, secondo le voci della "Hollywood Babilonia", per qualche tempo s'intrecciavano strettamente), o persino da I. Novello, attore britannico di fisionomia mediterranea. A tali attori il cinema americano affidava personaggi d'amatore languido e più o meno ambiguo, assai lontani dal modello di schietta intraprendenza e romanticismo ingenuo incarnato da interpreti a pieno titolo americani, come R. Barthelmess o J. Gilbert.
Al giro degli anni Venti il tipo del seduttore straniero s'era già guadagnato a Hollywood una statura rispettabile, ma non era mai stato vero protagonista: fu dunque un piccolo terremoto culturale quello che, dopo soli due anni d'attività intensa ma di seconda fila, trasformò il venticinquenne G. nel divo d'un film di grande popolarità nonché d'ottimo esito artistico come The four horsemen of the Apocalypse (I quattro cavalieri dell'Apocalisse, 1921), tratto dal solenne romanzo d'amore e guerra di V. Blasco Ibáñez e diretto da R. Ingram. A questo punto il suo nome era diventato, e tale sarebbe rimasto nei cinque successivi anni di vertiginosa carriera, Rudolph Valentino (Rudolph tornò Rodolfo solo nella distribuzione italiana dei film, che non ebbe inizio prima del 1924).
A condurre il G. fino a un set di tale prestigio fu l'incontro decisivo della sua vita professionale, quello con la sceneggiatrice June Mathis, donna di enorme talento e potere nella Hollywood del tempo.
Mathis scoprì il G. vedendo Eyes of youth, ne restò folgorata, lo trovò perfetto per il personaggio di Julio Desnoyers, eroe romantico e sconfitto del romanzo che stava sceneggiando per Ingram e per la Metro Pictures: fu lei a imporlo alla produzione, a riscrivere il ruolo per lui attribuendogli maggior peso, e a dare avvio al mito di Valentino. Mitologica è già l'entrata in scena del G., nei Quattro cavalieri: in un fumoso locale da ballo dell'America latina, appare vestito da gaucho, pronto a incrociare frusta e coltello con un rivale per strappargli la donna e trascinarla in una memorabile, predatoria sequenza di tango. Per il G. era finita per sempre l'epoca dei secondi ruoli, dei comprimari malavitosi, dei nobiluomini corrotti e dei piccoli gangsters da strada: dopo Julio Desnoyers, quasi ogni personaggio che il G. interpretò rifulgeva di un'aura epica, fantastica, ultraromantica, sempre vistosamente "bigger than life", più grande e più emozionante d'ogni vita immaginabile dalle platee (soprattutto femminili) di quegli anni. Fu questo uno dei motivi per cui proprio il G., speciale ma non unico seduttore straniero, seppe conquistarsi un rilievo e un carisma senza precedenti e senza seguito nel cinema americano. Da una parte, l'assoluta fotogenia, che il G. seppe arricchire d'una personale, ben modulata carica allusiva. Dall'altra, una serie rapida e impetuosa di ruoli forse debitori alla cattiva letteratura, ma senz'altro ben riconoscibili come archetipi dell'immaginazione sentimentale e come altrettante maschere del desiderio erotico.
Intanto, non ancora diventato "l'ideale di una nazione" (la definizione è dello storico irlandese L. O'Leary), nel 1919 il G. aveva sposato Jean Acker, attrice graziosa ma di poca fortuna. Il matrimonio di fatto non sopravvisse alla prima notte: l'episodio, trascurato all'epoca e avidamente riesumato ai primi trionfi del G., diventò argomento buono ad alimentare i sospetti d'ambiguità sessuale che sempre pesarono sulla vita hollywoodiana del G., il quale comunque risultava ancora sposato quando incontrò Nataša Rambova: il nuovo matrimonio, celebrato nel maggio 1922, gli costò un'accusa di bigamia e qualche ora di carcere.
Nel 1921 il G., ormai sotto contratto alla Metro Pictures, fu protagonista prima di Uncharted seas di W. Ruggles, dove impersonava un romantico marinaio che salva una malmaritata dal consorte ubriacone (il film risulta attualmente perduto), poi d'una produzione di maggior respiro: The conquering power (La commedia umana).
Ancora diretto da Ingram per la coppia Rudolph Valentino - Alice Terry, era un adattamento modernizzato dell'Eugénie Grandet di H. de Balzac. Pur splendidamente fotografato da J. Seitz, nel ruolo dell'amoroso dandy Charles Grandet, il G. scivolava in secondo piano rispetto all'eroina, cui il film dedicava una vera apoteosi.
Sorte non troppo diversa lo attendeva sul set del film successivo, girato quasi contemporaneamente: il G. fu l'Armand Duval soggiogato da una eccentrica dama delle camelie in Camille (La signora delle camelie, 1921, di R.C. Smallwood), anche questo un adattamento moderno e spiccatamente déco del romanzo di A. Dumas figlio. La diva da adorare questa volta era Alla Nazimova; e proprio sul set di Camille il G. s'innamorò di Nataša Rambova, secondo il falso nome russo che aveva adottato.
Nata Winifred Shaughnessy a Salt Lake City, figliastra di un industriale della cosmetica, la ragazza poteva vantare tuttavia un'autentica educazione europea e un singolare talento; e avrebbe profondamente influenzato ogni futura scelta e stile di vita di Valentino.
Primo risultato del legame con l'ambiziosa Nataša fu per il G. la rescissione del contratto con la Metro e il passaggio alla Lasky-Paramount, che prometteva più denaro e maggior centralità divistica. E infatti, se in Camille Valentino era uno schiavo d'amore, ancora sottomesso alle performances della controparte femminile nel film che la Paramount allestì per lui, The sheik (Lo sceicco) incarnò invece la perfetta figura del protagonista.
Tratto da un romanzetto di Edith Maude Hull, diretto con spirito di routine da G. Melford, sceneggiato controvoglia dalla Mathis, che infine ritirò il proprio nome dai titoli, nell'autunno 1921 Lo sceicco fece del G. il primo divo del cinema americano, capace come nessun altro di agitare passioni e fantasmi esplicitamente rivolti al pubblico femminile (che già allora costituiva la netta maggioranza del pubblico cinematografico). Quella di sceicco diventò la più celebre delle sue interpretazioni: sfumata di passione romantica, d'esotismo e di virilità selvaggia. Si affermava qui per la prima volta, inoltre, quella pratica tipicamente valentiniana della vestizione-svestizione in scena (poi di nuovo presente in film successivi come Sangue e arena, Monsieur Beaucaire, Aquila nera, Il figlio dello sceicco), che bene indicava la natura di favolosa "mascherata" dei ruoli più celebri e al contempo poneva l'accento sul corpo del G. come oggetto d'un desiderio collettivo.
Da questo momento la stampa cominciò a occuparsi assiduamente di lui; si diffusero leggende sulla nobiltà delle sue origini o, al contrario, sulla sua infanzia povera e randagia, che lo stesso G. volle sfatare in alcuni articoli firmati di suo pugno (ma in realtà scritti da Elynor Glyn, eminenza rosa dei giornali dell'epoca); il matrimonio (rito civile) con Nataša Rambova fu accolto dai milioni di fan con delizia o disperazione; la lussuosa casa in cui presero dimora, Falcon Lair, appariva sulle riviste in servizi nei quali il G. posava volentieri vestito da gentiluomo di campagna; vennero pubblicate col titolo Day dreams poesie e canzoni che il G., scopertosi appassionato di metempsicosi, diceva di scrivere "in collaborazione" con R. Browning e W. Whitman. Per i fan Rudolph Valentino era diventato semplicemente Rudy. Lo star-system lavorava a pieno regime intorno al suo nuovo tesoro.
Seguirono tuttavia nel 1922 due film che rischiarono di deludere le attese suscitate dallo Sceicco: Beyond the rocks di S. Wood, melodramma adulterino con lieto fine interpretato accanto a Gloria Swanson, di cui poco si può dire poiché risulta perduto; seguì Moran of the Lady Letty (Il mozzo dell'Albatros), ancora firmato da Melford.
È questa una bella commedia e uno dei film migliori del G., che qui per la prima volta mostrava di aver trovato un proprio equilibrio di recitazione, e sembrava divertirsi nei panni moderni, dinamici e risoluti di un giovanotto qualsiasi che suo malgrado si ritrova avventuriero dei mari (canottiera bianca, basco obliquo e ciuffo sulla fronte, il G. offriva peraltro qui una più classica e compiuta immagine di virilità italiana).
Ma nessuno dei due film, troppo deprivati dell'eroismo e dell'erotismo che ci si attendeva, ebbe il vero successo, che invece si ripresentò clamoroso in quello stesso anno con Blood and sand (Sangue e arena), come I quattro cavalieri dell'Apocalisse tratto da un romanzo di Blasco Ibáñez e sceneggiato dalla Mathis, nonché diretto da un regista di prima levatura come F. Niblo.
Il G. fu un magnifico Juan Gallardo, torero giovane e proletario, immagine forte di una giusta aggressività sessuale correttamente controllata da codici etici ed etnici, culturali e cattolici; finché, nelle forme di Nita Naldi, non arriva la passione a corrodere, il malsano principio femminile a corrompere. Diviso tra due donne, la bella e velenosa peccatrice (tra le cui braccia muore di piacere) e la bella e santa sposa (tra le cui braccia muore davvero), il G. parlava qui a ogni fantasia di trasgressione o redenzione, a ogni desiderio del pubblico femminile.
Forse per dar conto d'una situazione di mania collettiva, o più probabilmente per alimentarla, i giornali cominciavano a riportare l'insofferenza del pubblico maschile d'America per il divo italiano, causa tra l'altro delle insinuazioni sulle sue vere preferenze sessuali. Nel luglio del 1922 la rivista Photoplay pubblicò il celebre e anonimo Song of hate, un canto di odio per Valentino. Proprio a questo punto il G. ebbe l'occasione di misurare la reale estensione del proprio potere e successo. Dopo un ultimo film di cui possediamo oggi solo un frammento, The young rajah (1922, P. Rosen) e ancora su istigazione della Rambova, il G. interruppe il contratto con la Lasky-Paramount (accusata di offrirgli solo copioni di bassa letteratura; in realtà, di non garantirgli percentuali adeguate all'enorme esito commerciale dei film). La trattativa per ridefinire il contratto fu durissima, il G. non cedette d'un passo e restò lontano dagli schermi per due anni, durante i quali, insieme con la moglie, si dedicò a tournées di tango promozionali (per una crema di bellezza). Fu questo anche il periodo del suo primo ritorno in Europa, dove il G. scoprì che mentre Inghilterra e Francia lo accoglievano come una celebrità internazionale, nell'Italia da poco fascista i suoi film erano pressoché sconosciuti (Mussolini non trovò il tempo di pranzare con lui, D'Annunzio invece volle incontrarlo), e, nell'estate del 1923, per Castellaneta Valentino restava ancora il ragazzo G. partito dieci anni prima.
Nel 1924 venne firmato l'accordo con la Paramount: il G. cominciava a impensierirsi per i crescenti debiti, la casa madre si piegava infine alle richieste d'un divo la cui prolungata assenza dallo schermo non aveva fatto registrare cali di popolarità. Il primo film del nuovo corso Paramount fu Monsieur Beaucaire, di tutti i film di Valentino il più chiaramente segnato dai gusti e dal controllo piuttosto perverso della Rambova.
Il materiale su cui si basava il film di S. Olcott non era di cattiva qualità, con un ben ritmato gioco di travestimenti che coinvolgeva un intemperante cortigiano della corte di Luigi XV; ma era destinata a suscitare sconcerto la nuova maschera del divo che trasformava il G. in una sorta di sinistro giullare, incipriato, con la parrucca bianca, i nei e la bocca a cuore (e nella rincorsa di travestimenti che il film proponeva non mancò nemmeno un passaggio del G. in abiti femminili).
Commedia tetra e ambiziosa che troppo evidentemente portava Valentino sull'orlo del ridicolo (è il film di cui G. Kelly avrebbe fatto la parodia in Cantando sotto la pioggia), Monsieur Beaucaire ebbe ottima accoglienza di critica e più modesta risposta di pubblico; e da qui cominciarono le prime crepe nel rapporto tra il G. e la moglie. La Rambova curò comunque ancora la supervisione di arredi e costumi per A sainted devil (Notte nuziale, 1924, di J. Henaberry; ancora un film perduto), girato per la Paramount prima di un'ulteriore e definitiva rottura, dramma della gelosia ambientato in Sudamerica nel quale Valentino ritrovò come partner la Naldi. Seguì un provvisorio passaggio alle produzioni Ritz-Carlton, cui la Rambova aveva strappato la promessa di far interpretare al marito un film epico ispirato alle vicende del Cid; il progetto naufragò e il G. si trovò a interpretare invece Cobra (1925, di J. Henaberry).
Una commedia sofisticata virata al drammatico dove, un poco come agli esordi, il suo ruolo fu quello d'un seduttore italiano, il cui destino era dominato da presenze femminili innocenti o distruttive.
Prima che il film raggiungesse gli schermi, nel novembre del 1925, il G. aveva posto fine col divorzio alla sua inquieta relazione con la Rambova.
Gli ultimi due film del G. furono piene riconferme del mito. Sapendolo libero da vincoli, e all'acme del successo popolare, J. Schenk della United Artists offrì all'attore un contratto da 10.000 dollari a settimana, per tre film l'anno: fu per il G. il primo trattamento economico da divo di prima grandezza. The eagle (Aquila nera, di C. Brown) che uscì nel dicembre 1925, restituiva all'eroe tutta la sua autorevolezza avventurosa, facendo del G. (nel doppio ruolo di un istitutore e del vendicatore Aquila nera) una sorta di Zorro della Russia zarista.
Lo stile del G., più atletico e convenzionalmente galante del solito, sembrava avvicinarsi un poco allo stile d'un D. Fairbanks. Tutta valentiniana, invece, la natura dei rapporti che il protagonista intrattiene con le donne: oggetto d'un desiderio femminile inappropriato e quasi morboso (anche se la risoluzione è prudentemente patetico-umoristica) da parte dell'anziana e corpulenta zarina interpretata da Louise Dresser, Aquila nera diventava una sorta di sceicco gentile per la delicata biondina Vilma Banky.
C'era in Aquila nera, diretto con eleganza e sicurezza da un ottimo cineasta come Brown, un'arditezza allegra che forse avrebbe potuto diventare un nuovo tratto vincente per il divo ancora giovane; ma il film successivo, che lo riportò al suo canone di grande amante esotico, sarebbe stato il film del congedo. The son of the sheik (Il figlio dello sceicco, 1926), firmato da G. Fitzmaurice, aveva come testo di partenza il seguito del romanzo della Hull, questa volta affidato alle cure di un'altra competente sceneggiatrice come Frances Marion.
L'esotismo del film riuscì a essere, rispetto a quello del primo Sceicco, più sfumato, suggestivo, d'eleganza astratta e onirica; il G. dimostrò di saper giocare con le proprie maschere dall'alto di una consapevolezza ormai perfettamente assorbita, quasi con ironia. Era lo sceicco giovane e, truccato nient'affatto male, era anche il padre di se stesso, il protagonista ora vecchio del primo film. Come in Aquila nera, sua partner era la Banky, scintillante ballerina del deserto; Valentino la ama di amour fou, si crede tradito da lei, viene catturato dai banditi e si trasforma in una sorta di Prometeo incatenato, sferzato, seminudo, macho smascherato e sofferente. In nessun altro film il G. aveva esibito così il proprio corpo, mostrandone a un tempo sensualità e fragilità; e Il figlio dello sceicco, fantasia di cartapesta orientale, risultò dunque il più moderno dei film di Valentino, anticipatore del profilo di futuri amanti hollywoodiani per cui tormento fisico e psicologico sarebbero stati parte d'un nuovo alfabeto seduttivo, e a cui il G. lasciava tutta un'eredità di sguardi e movimenti e allusioni.
Il 23 ag. 1926, a poche settimane dall'uscita del film, il G. moriva di peritonite acuta a New York, dopo sette giorni di degenza al Polyclinic Hospital.
L'accoglienza al Figlio dello sceicco assunse le forme del delirio necrofilo; la scossa che la morte improvvisa del G. produsse sul pubblico americano e mondiale fu enorme: il mito di Valentino ne risultò amplificato, e da subito cominciarono a prodursi leggende che alimentarono per molti anni il culto postumo tributato all'attore. Nella giornata successiva alla sua morte, novantamila persone resero omaggio alla salma presso la cappella mortuaria Frank E. Campbell, in un clima di sovreccitazione e disordine magnificamente descritto da J. Dos Passos in un testo intitolato Adagio dancer (in The big money, 1936; Tango lento [traduz. di C. Pavese], in Un mucchio di quattrini, Milano 1938). I funerali privati si svolsero il 30 agosto nella chiesa di St. Malachy, sulla Quarantanovesima Strada, secondo il rito cattolico e alla presenza dei massimi divi hollywoodiani: particolarmente affranta, ma anche particolarmente attenta ai fotografi, l'attrice Pola Negri, con cui si diceva il G. avesse recentemente intrecciato una relazione. Poi il treno con la salma del G. attraversò l'America e giunse a Los Angeles il 6 settembre, dove seguì un secondo rito funebre e la sepoltura al Hollywood Memorial Park Cemetery. Per molto tempo il luogo fu oggetto di pellegrinaggi devozionali quasi esclusivamente femminili; una leggenda diventarono le Dame in nero, misteriose vestali che fino a tutti gli anni Cinquanta portarono alla tomba il loro anonimo tributo, ultime custodi di una stagione perduta dell'immaginazione romantica.
Hollywood dedicò a Valentino due film biografici: Valentino (1951, di L. Allen), agiografico, vistosamente romanzato e interpretato da A. Dexter, attore di modesto talento ma di notevole somiglianza all'originale; e Valentino (1977, di K. Russell), interessante fantasmagoria kitsch nel quale il ruolo di G. era affidato al ballerino R. Nureyev.
Dopo un secolo di cinema, il G. rimane l'immagine più emblematica e al tempo stesso misteriosa del complesso fenomeno culturale e sociologico del divismo cinematografico; e rimane l'unico attore italiano che sia davvero riuscito a conquistare e dominare lo star-system americano.
Fonti e Bibl.: Due le biografie del G. uscite subito dopo la sua morte: quella di N. Rambova, che in Rudy, an intimate portrait, London 1926, si basava su memorie personali e, nell'ultima parte, sui messaggi che l'ex marito ormai deceduto le avrebbe inviato dall'aldilà; più attendibile, sia pur sempre basato sul punto di vista di un'amicizia personale, Valentino as I knew him del suo ex agente S.G. Ullman, New York 1927. Biografo dei suoi amori fu É. Ramond, La vie amoureuse de Rudolph Valentino, Paris 1926 (trad. it. La vita amorosa di Rodolfo Valentino, Verona 1926); paragrafi naturalmente corrosivi sono dedicati a Valentino in K. Anger, Hollywood Babylon, Paris 1959 (trad. it. Hollywood Babilonia, Milano 1960). Per trovare una seria e accurata biografia dell'attore occorre arrivare a Valentino di I. Shulman (New York 1967). Sul colore romanzesco si attestano ancora J. Scagnetti, The intimate life of Rudolph Valentino, New York 1975, N. Botham - P. Donnelly, Valentino, the love god, London 1976, e J. de Recqueville, Rudolph Valentino, Paris 1978, volumi ricchi di fantasiose varianti soprattutto su prima giovinezza e vita sentimentale del divo. Brillante e corretto è invece A. Walker, Rudolph Valentino, London 1976 (trad. it. Milano 1977), mentre un'analisi piuttosto documentata del rapporto affettivo e artistico con la Rambova è offerto nei capitoli centrali di M. Morris, Madame Valentino. The many lives of Natacha Rambova, New York 1991. Un ritratto biografico per capitoli tematici è offerto da V. Attolini, Rudolph e Rodolfo, la vita breve e felice di Valentino, Brindisi 1995. Un'analisi critica dei film di Valentino e della sua irripetibile avventura divistica, insieme con una dettagliata filmografia curata da V. Martinelli, appare in Valentino. Lo schermo della passione, a cura di P. Cristalli, Ancona 1996. Cenni biografici, filmografia, materiali critici d'epoca e la voce di Valentino che canta la sua unica incisione Kashmiri love song sono nel CD-rom Viaggio nel mito. Rodolfo Valentino, edito nel 1996 da AshMultiMedia e dal Museo Rodolfo Valentino di Castellaneta.