SIVIERO, Rodolfo.
– Nacque a Guardistallo, nella Maremma pisana, il 24 dicembre 1911. Primogenito del sottufficiale dei carabinieri veneziano Giovanni (1875-1971) e della senese Caterina Bulgarini (1889-1961), ebbe una sorella, Imelde, detta Rina (1913-1999).
Nel 1924 Siviero era a Firenze, dove il padre si era trasferito con la famiglia (Catalogo del Museo Casa..., 2003, pp. 3 s.). Una carriera scolastica accidentata lascia pensare che abbia studiato in casa, forse senza conseguire il diploma. Dal 1931, tuttavia, quando abitava in via Fiesolana 40 seguiva corsi universitari a carattere umanistico. Fu allora che cominciò a tenere alcuni diari, oggi custoditi nell’Archivio dell’Accademia delle Arti del disegno di Firenze (Bottari, 2013, pp. 8 s., 19 s., note 4-7), nei quali si descriveva come seduttore, fascista e idealista, appassionato di arte e poeta in cerca di un editore. Una lettera del 1935 (p. 34, nota 11) attesta che dal 1929 era iscritto al Partito nazionale fascista di Firenze e collaborava al giornale del Partito. Tra il 1930 e il 1937 entrò in contatto con gli intellettuali delle Giubbe rosse e lavorò presso alcune testate come critico artistico-letterario. Nel 1936 uscì per Le Monnier la raccolta di sue liriche dal titolo La selva oscura.
Grazie alla conoscenza delle lingue Siviero cercò contatti con alte cariche del regime, compiendo alcuni viaggi a Roma e Milano, per intraprendere la carriera diplomatica o entrare in istituti italiani di cultura.
Nel 1937 ottenne una borsa di studio in storia dell’arte in Germania. Dai diari (p. 46, nota 21) si intuisce che era la copertura per un incarico di informatore presso il Servizio investigativo militare, attivo dal 1925 al 1943. La missione segreta si sarebbe svolta a Erfurt tra la fine del 1937 e il 1938. A suo dire, l’incarico gli fu dato dal generale Alberto Pariani, sottosegretario alla Guerra e coordinatore delle azioni segrete sotto copertura, per raccogliere informazioni sull’annessione dell’Austria alla Germania.
Il servizio spionistico è uno dei punti più oscuri e secretati della biografia di Siviero e comportò, a posteriori, dubbi mai sopiti sul suo passato. Nel dicembre del 1938 fu espulso dalla Germania come «persona non gradita» (Hofacker, 2004, p. 28) e rientrò a Firenze, dove i fascisti cominciarono a tenerlo d’occhio. Nel suo curriculum manoscritto del 1964, custodito nell’archivio della sua casa-museo fiorentina, appuntò di aver preso i primi contatti in Germania con i servizi alleati e poi in Italia con i movimenti antifascisti che controllavano gli acquisti illegali di opere d’arte (Bottari, 2013, pp. 46 nota 22, 48 nota 26).
A Firenze fu caro amico del collezionista e critico ebreo Giorgio Castelfranco e della moglie Matilde Forti. Nel villino in Lungarno Serristori, dove la coppia abitava, Siviero frequentò intellettuali e artisti come Giorgio De Chirico e Pietro Annigoni, e iniziò a collezionare opere d’arte. La dimora, poi acquistata in due riprese nel 1944 e nel 1961 dallo stesso Siviero, divenne dal 1943 la centrale operativa del suo nucleo clandestino. Del suo ruolo come trait d’union tra i gruppi antifascisti e il comando alleato per la sorveglianza delle razzie, furono testimoni il figlio di Castelfranco, Paolo (L’autoritratto con colonna, 2010, p. 13, nota 42), memore di ricordi paterni, e alcuni preziosi ricordi di amici partigiani (Bottari, 2013, pp. 83, 115).
Dal 1938 la politica antisemita di Adolf Hitler costrinse Castelfranco a lasciare il lavoro e poi, nel 1942, a fuggire, cedendo il villino a Siviero e ai compagni dell’organizzazione segreta. Nel dopoguerra Giorgio collaborò con loro nell’azione di recupero.
Tra il 1938 e il 1943 le mire dei nazisti sull’arte italiana si erano concretizzate in una serie di acquisti, non convintamente ostacolati dal ministero dell’Educazione nazionale e perlopiù favoriti dai gerarchi fascisti. In deroga alle leggi di tutela e alle circolari emanate dal ministro Giuseppe Bottai, furono acquisite da raccolte private ed esportate migliaia di opere, tra le quali il Discobolo Lancellotti e la Madonna dell’umiltà di Masolino. Ma il saccheggio sistematico ai danni del patrimonio pubblico fu intrapreso a partire dal 1943 durante l’occupazione tedesca, quando il gruppo di partigiani organizzati da Siviero era già attivo (La difesa delle opere d’arte..., 1976, pp. 8-11). Tra le loro operazioni più note, quella di scongiurare il prelevamento dei quadri di casa De Chirico da parte dei nazisti, fingendosi ufficiali repubblichini. In un’altra occasione fornirono copertura alla soprintendenza per porre in salvo l’Annunciazione del Beato Angelico del monastero di San Giovanni Valdarno, che Hermann Göring voleva in Germania per ‘tutelarla’.
Il quartier generale degli espropri aveva sede a Roma e a Firenze, nell’edificio del Kunstschutz, un servizio della Wermacht addetto alla ‘salvaguardia’ del patrimonio, di cui Siviero descrisse esattamente la struttura organizzativa (L’arte e il nazismo..., a cura di M. Ursino, 1984, pp. 28-33). Dal villino egli coordinava il gruppo di partigiani, affidando loro – e svolgendo talvolta in prima persona – missioni temerarie. Nel frattempo accumulava documenti e dati sulle alienazioni pubbliche e private, confluiti dopo la sua morte in due cataloghi, fondamentali per ricostruire le sue imprese e proseguire il lavoro di recupero (L’opera ritrovata..., 1984; L’opera da ritrovare..., 1995).
Nell’ottobre del 1943 si consumò il primo trafugamento di beni pubblici, quando la divisione Hermann Göring prelevò i capolavori dei musei napoletani nascosti nell’abbazia di Montecassino, per condurli in Vaticano. All’arrivo a Roma mancavano due camion, già partiti alla volta della Germania, ma le spie angloamericane e quelle italiane di Siviero erano sulle tracce dei mezzi scomparsi e nel 1948 lui stesso fu protagonista del recupero.
Nella primavera del 1944 Siviero fu imprigionato e torturato dalla banda di Mario Carità in villa Triste a Firenze, dalla quale riuscì a fuggire in maniera romanzesca (L’arte e il nazismo..., cit., pp. 39-41, 59) e secondo alcuni storici poco credibile (Nicholas, 1994, p. 437; Hofacker, 2004, p. 30). In quei mesi i nazisti cominciarono a svuotare i depositi che proteggevano le opere dei musei toscani, mentre le intelligences angloamericana e italiana ne sorvegliavano le mosse.
Nel giugno dello stesso anno Siviero raggiunse le truppe partigiane sull’Amiata per ottenere un collegamento con gli alleati e scendere fino a Roma, dove cominciò a collaborare con i monuments men angloamericani, benché la storiografia straniera non ne abbia messo in piena luce il ruolo (specialmente Nicholas, 1994; più equilibrata l’analisi di Hofacker, 2004). In agosto rientrò in Firenze liberata e tornò al villino Serristori, per proseguire l’attività documentaria e le incursioni clandestine.
Nell’autunno del 1944 Siviero collaborò a Firenze col servizio informazione del comando alleato (tessera 1157), ma a causa dei suoi trascorsi gli americani avviarono su di lui un’indagine segreta (documenti ora editi da Bottari, 2013, pp. 70-85, nota 70, 129-135, note 112-115). Allora si firmava «Capo ufficio recuperi» senza averne ancora il titolo (Hofacker, 2004, p. 30), poiché l’ufficio venne istituito solo il 14 aprile 1945.
Il carattere scontroso e i modi investigativi senza scrupoli lo resero inviso a molti, soprattutto a Carlo Ludovico Ragghianti, avversario fin dall’epoca della lotta partigiana, che più volte sollecitò la chiusura dell’ufficio.
Dal maggio del 1945 i ricoveri altoatesini in cui i tedeschi avevano nascosto i tesori italiani cominciarono a essere esplorati, e i funzionari del ministero, gli alleati e lo stesso Siviero se ne attribuirono il merito principale.
Nel frattempo Siviero indagava sugli acquisti privati. In agosto sequestrò alcuni dipinti impressionisti della collezione parigina Rotschild che nel 1942 erano stati merce di scambio tra Göring e un mercante fiorentino. Malgrado le investigazioni poco ortodosse (documenti ora editi da Bottari, 2013, p. 153, note 135 s.), l’impresa fu un successo e i quadri furono restituiti alla Francia nel marzo del 1946. In quell’occasione emersero le abilità diplomatiche di Siviero e a novembre fu varata una legge su proposta degli Affari esteri, elaborata dal suo ufficio, che disponeva la restituzione dei beni culturali stranieri rinvenuti sul territorio italiano. Di conseguenza si pretese il rimpatrio delle opere acquisite in trattative private prima dell’8 settembre 1943, prerogativa rivendicata da Siviero.
Le restituzioni da lui messe a segno furono da quel momento assai numerose. Cominciò a godere del favore del comando alleato e dell’appoggio di cariche istituzionali, tanto che il 2 aprile 1946 gli fu affidato il primo ufficio interministeriale per il recupero, accreditato presso i collecting points istituiti a Monaco e Wiesbaden dalle autorità americane di occupazione. Lì convergevano i beni trafugati in Europa. Come capo della delegazione italiana, Siviero doveva esaminare ogni caso e avviarne la procedura di richiesta per la riconsegna.
Il 1° agosto 1947 ottenne la restituzione di capolavori sottratti dai musei di Napoli, Firenze e Venezia, già nascosti nelle miniere altoatesine. Siviero ne curò personalmente la prima esposizione a palazzo ducale a Bolzano e la successiva nella villa Farnesina, a Roma. Le missioni gli garantirono riconoscimenti, ma mai la conferma del suo ufficio interministeriale.
Il maggiore traguardo di Siviero si realizzò nel 1948, quando gli fu concessa la modifica dell’articolo 77 del trattato di pace firmato dalle potenze europee, grazie alla quale l’Italia poté negoziare la restituzione dei beni acquisiti dai nazisti prima dell’armistizio. Era divenuto un’autorità riconosciuta e temuta e aveva al suo attivo decine di capolavori recuperati. Nel 1949 aveva i requisiti per divenire direttore generale di quarto grado, ma non gli fu accolta l’istanza (Hofacker, 2004, p. 41).
L’ufficio romano di Siviero era in via degli Astalli 3, al pianterreno di palazzo Venezia, dove si trovavano l’archivio e la collezione di armi; talora vi teneva in custodia alcune delle opere ricondotte in Italia, accanto alle quali si faceva fotografare. Pochi i collaboratori ammessi e nessuno di essi, tranne il fido Vincenzo Coltella, godeva del suo totale credito.
Nel 1948 il recupero di trentanove capolavori ceduti durante il regime fascista – tra i quali il Discobolo e altre opere di rilevanza eccezionale – rese Siviero un eroe popolare. Malgrado la precarietà dell’incarico e gli ostacoli del mondo politico, tra il 1950 e il 1951 egli stesso organizzò a palazzo Venezia una grande mostra dei beni riportati in Italia (poi replicata a Palazzo Vecchio a Firenze), con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tutela del patrimonio culturale nazionale.
Grazie alla sua azione diplomatica, il 27 febbraio 1953 il cancelliere tedesco Konrad Adenauer e il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi firmarono a palazzo Chigi un accordo per istituire due delegazioni per la restituzione delle opere d’arte, in ottemperanza all’articolo 77: a capo di quella italiana, trasferita dal ministero dell’Istruzione a quello degli Affari esteri, fu nominato Siviero con la carica di ministro plenipotenziario, ma il Senato procrastinò di due anni il finanziamento al suo lavoro. Le trattative per le restituzioni si svolsero proficuamente per sette anni in diverse località italiane e tedesche, tuttavia alcuni atteggiamenti di Siviero, come quello di non invitare la delegazione tedesca alla mostra dei recuperi allestita alla Galleria Borghese, non favorirono un clima disteso e collaborativo.
Sulla base del primo accordo siglato nel dicembre del 1953 Siviero riportò in Italia altre quaranta opere. All’appello ne mancavano ancora alcune centinaia ed egli cominciò a investigare sui capolavori nascosti nella Germania Est; l’indagine lo condusse nella Russia di Krusciov (Viaggio nella Russia di Krusciov, 1960), dove ne rinvenne solo alcuni e dovette tornare a rivolgersi al governo della Germania comunista. Dagli anni Sessanta incontrò difficoltà sempre maggiori lavorando in isolamento nel suo ufficio romano, coadiuvato da una rete di informatori e mediatori, con procedure giudicate poco trasparenti dalle istituzioni.
Per Siviero le delusioni si alternavano ai riconoscimenti. Nel 1961 l’Accademia dei Lincei lo insignì di una medaglia e l’anno seguente i media riecheggiarono la notizia del ritrovamento da parte sua in America di due tavolette del Pollaiolo. Nel luglio del 1965 l’Università di Cagliari avanzò per lui la proposta di una laurea honoris causa, ostacolata però dal ministro degli Affari esteri Amintore Fanfani.
Nel 1966 con alcuni amici artisti e intellettuali Siviero fondò il Partito europeo, tracciandone personalmente la linea politica e lo statuto. Il progetto ebbe due anni di vita.
Nei primi mesi del 1968 rinvenne un efebo magnogreco trafugato dalla criminalità organizzata nel 1962 a Castelvetrano (Trapani).
Gli anni Settanta si aprirono con alcuni episodi di intimidazioni e minacce che egli annotò nei diari. Nel 1971 assunse la direzione dell’Accademia delle Arti del disegno di Firenze, dove restò fino alla morte, promuovendo una politica espositiva e di ricerca che lo portò a ricevere dal mondo della cultura gli apprezzamenti tanto attesi.
Intanto le sue imprese continuavano a destare l’ammirazione dell’opinione pubblica. Nel 1973 Siviero ritrovò a Monaco due opere di Hans Memling e Masaccio rubate a Palazzo Vecchio, che lui stesso aveva già recuperato. Nell’estate del 1975 riconsegnò alla chiesa di Visso (Macerata) una croce tardogotica sottratta nel 1973 e già fuori confine.
Negli ultimi anni di vita Siviero perseguì il desiderio di istituire un organismo trasversale per la salvaguardia del patrimonio culturale e dell’ambiente. Ma il suo sogno primario era quello di fondare in Palazzo Vecchio a Firenze un museo delle opere recuperate, per il quale aveva ottenuto nel 1976 l’assenso del ministero per i Beni culturali, ma che non vide mai la luce.
Siviero si spense per un tumore il 26 ottobre 1983 a Firenze. Non si sposò, né ebbe figli.
Soltanto dopo la sua morte, il governo italiano gli concesse la pensione di anzianità e la sua delegazione fu sciolta quattro anni dopo. Dal 1998 la sua casa in Lungarno Serristori divenne un museo pubblico, per il lascito dello stesso Siviero alla Regione Toscana.
Se la ricostruzione della sua biografia lascia ancora qualche zona d’ombra per la complessità del personaggio e il ruolo contraddittorio nelle vicende dei primi ritrovamenti postbellici, resta indiscusso il merito del suo lavoro di recupero.
Opere. La selva oscura, Firenze 1936; Sulle opere d’arte italiane recuperate in Germania, Roma 1948 (estratto da Rendiconti dell’Accademia nazionale dei Lincei, s. 8, II (1947), 11-12); Seconda mostra nazionale delle opere d’arte recuperate in Germania (catal., Roma), Firenze 1950 (curatore); Catalogo della seconda mostra nazionale delle opere d’arte recuperate, Firenze 1952 (curatore); Viaggio nella Russia di Krusciov, Firenze 1960; La difesa delle opere d’arte. Testimonianza su Bruno Bècchi, Firenze 1976; L’arte e il nazismo. Esodo e ritorno delle opere d’arte italiane: 1938-1963, a cura di M. Ursino, Firenze 1984.
Fonti e Bibl.: Documentazione di e su Siviero si conserva a Firenze, nell’Archivio dell’Accademia delle Arti del disegno e nell’archivio della casa-museo Rodolfo Siviero; a Roma, Archivio storico del ministero degli Affari esteri, Delegazione italiana per le restituzioni.
Mostra delle opere recuperate in Germania (catal.), a cura di L. Banti - G. Castelfranco, Roma 1947; L’opera ritrovata. Omaggio a R. S. (catal.), a cura di B. Paoloni Strozzi - F. Scalia, Firenze 1984; L.H. Nicholas, The rape of Europa. The fate of Europe’s treasures in the third Reich and the second World War, New York 1994, pp. 272, 436-440; L’opera da ritrovare. Repertorio del patrimonio artistico italiano disperso all’epoca della seconda guerra mondiale, a cura di L. Morozzi - R. Paris, Roma 1995; Catalogo del Museo Casa Rodolfo Siviero di Firenze. La raccolta novecentesca, a cura di A. Sanna, Firenze 2003; E.C. Hofacker, Rückführung illegal verbrachter italienischer Kulturgüter nach dem Ende des 2. Weltkriegs. Hintergründe, Entwicklung und rechtliche Grundlagen der italienischen Restitutionsforderungen, Berlin 2004, pp. 26-48; L’autoritratto con colonna di De Chirico e la raccolta Castelfranco (catal.), a cura di A. Tori, Firenze 2010; F. Bottari, R. S. Avventure e recuperi del più grande agente segreto dell’arte, Roma 2013 (con bibliografia completa); L. Scarlini, S. contro Hitler. La battaglia per l’arte, Ginevra-Milano 2014.