Rodopea
. Fillide, chiamata R. dal monte Rodope (cfr. Ovid. Her. II 1 " Rhodopeia Phyllis ") presso il quale abitava, era figlia di Sitone (o, secondo altre versioni del mito, di Filleo o di Ciaso o di Licurgo), re di una terra situata sulla costa della Tracia, all'imboccatura dello Strimone.
Come si legge in Ovidio (Her. II), la fanciulla si era innamorata di Demofoonte (secondo altri di Acamante, figlio, come Demofoonte, di Teseo e di Fedra), sbattuto da una tempesta sulle rive della Tracia mentre ritornava dalla guerra di Troia, il quale giurò di sposarla non appena tornato da Atene, dove doveva regolare alcuni affari. Poiché giunto il tempo stabilito Demofoonte non ritornava, Fillide, della quale si dice che in un sol giorno si fosse recata ben nove volte sulla riva del mare (onde il nome Ἐννέα ὁδοί) per spiare l'arrivo del suo amato (cfr. Ovid. Her. II 98 " Phylli, face exspectes Demophoonta tuum "), dapprima s'illuse cercando di giustificare il ritardo (vv. 11-22 " Saepe fui mendax pro te mihi; saepe putavi / alba procellosos vela referre notos... / Denique fidus amor quidquid properantibus obstat / finxit et ad causas ingeniosa fui "), poi cominciò a sospettare al punto da desiderare di morire (vv. 135-136 " Ad tua me fluctus proiectam litora portent / occurramque oculis intumulata tuis "), infine, ritenutasi ingannata, pose fine ai suoi giorni impiccandosi (vv. 147-148 " Phyllida Demophoon leto dedit, hospes amantem; / ille neci causam praebuit, ipsa manum "). Fu mutata in un albero di mandorlo senza foglie. Demofoonte, ritornato e venuto a conoscenza del fatto, abbracciò il tronco dell'albero che, quasi sentisse la presenza dello sposo, si coperse di foglie (φύλλα).
Non mancano presso altri autori latini menzioni di questa antica favola: cfr., per es., Virgilio Buc. V 10 (e Servio, ad l.), III 78; Orazio Carm. IV XI 3; Marziale X 81, XII 65; Igino Fab. 243; Sidonio Apollinare XI 70 (in connessione con Didone).
Nel cielo di Venere, il terzo, si manifesta a D. l'anima di Folchetto di Marsiglia, che, ragionando dei suoi falli d'amore, confessa di essere stato ardente di passione, finché si convenne all'età, più che Didone per Enea, Fillide per Demofoonte, Ercole per Iole: ché più non arse la figlia di Belo, / noiando e a Sicheo e a Creusa, / di me, infin che si convenne al pelo; / né quella Rodopëa che delusa / fu da Demofoonte, né Alcide / quando Iole nel core ebbe rinchiusa (Pd IX 100). Il concetto di giovinezza come età conveniente all'amore è attinto, come nota il Sapegno, dal repertorio ovidiano. Per dare un'idea dell'ardore amoroso di Folchetto D. ricorda tre drammatiche storie d'amore, tra cui quella di Fillide, che egli chiama Rodopea riecheggiando Ovidio (Her. II 1) e sottolineando col suo consueto potere di sintesi in delusa l'elemento caratterizzante di tutta la vicenda. Singolare l'interpretazione dell'Ottimo: " Pare ch'egli voglia intendere, che Folco indifferentemente amò maritate, e vergini, e vedove, e gentili, e popolesche; vedove per Dido, vergini per Phillis, gentili per le predette, e popolesche per Iole ", la quale ultima in verità era figlia di Eurito, re di Tessaglia.
La favola di Fillide è ricordata da Giovanni del Virgilio, in Eg III 44-46 (" O si quando sacros iterum flavescere canos / fonte tuo videas et ab ipsa Phillide pexos, / quam visando tuas tegetes miraberis uvas ! "), dove Fillide simboleggia forse Firenze.