ROFFREDO DA BENEVENTO
Al di là della tradizione beneventana che lo vuole discendente dal longobardo Rofrit, vissuto intorno al sec. IX, congiunto di Atenolfo conte di Capua, o della famiglia degli Epifani che vantava un Dauferio, abate di Montecassino col nome di Desiderio, salito al soglio pontificio come Vittore III, è lo stesso giurista a darci qualche scarna notizia autobiografica. A questo proposito, se nelle Quaestiones Sabbatinae è lo stesso R. a dichiararsi nativo di Benevento, città del Sannio ("ego Roffredus beneventanus iuris civilis professor"; 1968, p. 433), ignota ne resta la data di nascita, collocata dalla tradizione intorno al 1170.
Le prime notizie certe dell'attività del giurista non sono legate a Benevento e all'ambiente meridionale ma a Bologna, dove R. è attestato allievo delle scholae di alcuni dei più accreditati maestri. Le indagini di Manlio Bellomo (1986, pp. 159-160) hanno, peraltro, ridimensionato il numero dei maestri di R. proposto da Friedrich Karl von Savigny (Azzone, Ugolino, Ottone, Cipriano, Giovanni Bassiano, Piacentino, Carlo di Tocco), escludendo il Piacentino, Bassiano e Cipriano e mantenendo, a parte Ugolino, ipotesi dubitative circa gli altri. A proposito di Carlo di Tocco, Federico Patetta, nel curare alla fine dell'Ottocento l'edizione della Summula de pugna, aveva ritenuto un'interpolazione l'espressione "ut audivi a Carulo" (1892, p. 80). Giuliana D'Amelio (1977, p. 306), invece, ha ritenuto di potere annoverare Carlo di Tocco fra i maestri di R. sulla base della testuale citazione, da parte di R., nella rubrica "utrum libellus possit mutari", della tesi sostenuta dal longobardista (indicato dal giurista beneventano come "dominus et praeceptor") circa il soggetto che non può essere "instructus in actione mutata sicut in prima fuit", testimoniata dal ms. parigino 4546 (Parigi, Bibliothèque Nationale, Lat. 4546, pt. I, c. VIIb), seppure la stessa studiosa abbia sottolineato come R. non conoscesse, pur essendone stato discepolo, "l'opera longobardistica di C.".
È lo stesso R. ad informarci che a Bologna, dove scrisse alcune delle sue opere, fu anche avvocato e maestro. Il rapporto con la città emiliana non dovette comunque essere sereno, se il doctor iuris non perdeva occasione di sottolineare l'imperizia degli avvocati bolognesi o di condannare come "durum et miserabile statutum" lo statutum civitatis in tema di diritti dei creditori. Un atteggiamento, riferibile non soltanto a Bologna ma anche ad altre realtà urbane del Centro-Nord, che è stato letto come espressione della fedeltà di R. nei confronti di Federico II. È certo, comunque, che la parentesi bolognese era destinata a chiudersi e lo stesso giurista narra di avere intrapreso un'attività di insegnamento ad Arezzo "post transmigrationem Bononiae", a partire dall'ottobre del 1215 ("cum essem Aretii ibique in cathedra residerem […] anno Domini MCCXV mense octobris"; Quaestiones Sabbatinae, 1968, p. 433). Nella città toscana, nella quale, egli notava, "scholae non sunt ampliate", compose le Quaestiones Sabbatinae, rimanendovi fino al 1217. Nel 1218 il pontefice Onorio III lo nominava "in civitate beneventan[a] iudicem ordinarium", riconoscendolo "idoneum […] ad iudicis officium exercendum" (Ferretti, 1908-1911, p. 276). Negli anni immediatamente successivi il giurista si tratteneva ancora in Toscana, esercitando l'avvocatura a Pisa e a Pistoia (1219) e, probabilmente, giocando anche un ruolo non trascurabile nella pace stipulata fra pistoiesi e bolognesi proprio in quell'anno.
Si concludeva così, nel 1220, una parentesi che aveva portato R. a stretto contatto con l'esperienza politica e istituzionale dei comuni italiani del Centro-Nord, che egli giudicava caratterizzata da "summa servitute", sebbene "ipsi dicant quod summa libertas est apud eos" (ibid., p. 241). Una tappa del suo percorso, sia umano che professionale, che influenzò profondamente, come è stato sottolineato di recente, anche la sua produzione scientifica. È stata infatti posta in relazione al "contatto più o meno frequente con l'ambiente dell'Italia centrale" la sensibilità mostrata dal giurista per le tematiche inerenti ai rapporti di dipendenza che fornivano spunto di interessanti riflessioni sia nei Libelli iuris civilis che nelle Quaestiones Sabbatinae (Tavilla, 1993, p. 28).
Se, probabilmente, ancora all'inizio del 1220 egli si trovava a Pistoia e forse anche a Lucca, alla fine di quell'anno è attestata la sua presenza a Roma, in occasione dell'incoronazione imperiale di Federico II. È lo stesso giurista a ricordare quel momento così importante, che doveva peraltro rappresentare una svolta significativa del suo percorso professionale ("qualiter vidi iurare principes domino Imperatori, et episcopos Lombardiae et alios prelatos et milites et comites et barones, quando veni cum domino meo imperatore Frederico ad coronandum"; Ferretti, 1908-1911, p. 251). A partire da quell'anno, infatti, R. compare in alcuni documenti con il titolo di "iuris civilis professor et imperialis et regalis curie magister et iudex" a testimonianza del nuovo ruolo assunto, nonché del favore che dovette godere presso la corte sveva (ibid., p. 279).
Giovanni Ferretti mette in dubbio l'impegno del giurista quale doctor legens presso lo Studium napoletano, fondato o rifondato da Federico II nel 1224. Posizione respinta da Eduard Maurits Meijers, sulla scorta di talune glossae "che danno la prova lampante d'essere state scritte durante il suo professorato a Napoli" (1924, p. XXIV), oltre che delle licterae nelle quali il re-imperatore manifestava la volontà di destinare allo Studio partenopeo, fra gli altri "fideles nostros civilis scientie professores magistrum R. de Benevento judicem" (Historia diplomatica, II, 1, p. 451). Di recente, suffragando l'ipotesi con la testimonianza di un manoscritto pragense che riproduce un apparatus recollectus contenente gruppi di glossae di R. riferibili a periodi diversi, documentandone l'attività didattica fra il 1220 e il 1233, Bellomo ha affermato che "non è plausibile escludere [...] un insegnamento di Roffredo […] per gli anni intorno alla fondazione dello Studium di Napoli" (1986, p. 170). Una circostanza che, come lo stesso Meijers aveva sottolineato, sarebbe comprovata non soltanto dal fatto che gran parte delle glossae attestate dai codici cassinese e laurenziano, che contengono testimonianza dell'attività didattica napoletana, appaiono chiuse con la formula "secundum Dominum meum Roff.", ma anche dai costanti riferimenti alla concreta realtà istituzionale e agli uffici burocratico-amministrativi del Regnum (camerarius, iuratus), poco giustificabili al di fuori di quello specifico contesto. Nuovi studi condotti su manoscritti di ambiente meridionale rafforzano, peraltro, l'ipotesi dell'insegnamento napoletano di R. (Martino, 1986, p. 29).
Peraltro, l'analisi del manoscritto pragense ha permesso a Bellomo di ipotizzare, alla luce del contenuto di talune glossae, un probabile insegnamento 'romano' del giurista, dedicato alla lettura del Codex, da collocarsi fra il 1229 e il 1233, "in una scuola di modeste dimensioni, non necessariamente 'fondata' da atti ufficiali né necessariamente incardinata nelle strutture della corte pontificia" (1986, p. 170).
Il favore di Federico II nei confronti del doctor iuris beneventano si concretizzava anche nell'affidamento di delicati incarichi politici. Nel gennaio del 1226, in una lettera da Rieti di papa Onorio III a Federico, R. è indicato quale nuntius della corte sveva (Ferretti, 1908-1911, p. 281). Ed era ancora in R., probabilmente anche per l'esperienza maturata negli anni bolognesi e toscani, che Federico II individuava, nel medesimo anno, la persona più adatta per tentare di risolvere i non lievi contrasti "rectoribus communitatis Lombardie" (ibid.). Nel 1231 il giurista era a Roma, latore, insieme a Giacomo vescovo di Capua, di lettere con le quali Federico manifestava al pontefice Gregorio IX il proposito di recarsi in Terrasanta (ibid., p. 282).
La permanenza di R. nella città natale si può collocare fra il 1222 e il 1233, anche se non senza interruzioni. Nel 1222 egli vi acquistava, per la considerevole somma di 76 onze d'oro, una casa e una torre (ibid., p. 279). Nel 1233, insieme alla moglie Tuccia, fondava una chiesa dedicata a S. Domenico, riservandosene il patronato. Da questo, come da poca altra documentazione indiretta, si possono ricostruire scarne notizie relative alla sua vita privata. Furono probabilmente figli del giurista un Bartolomeo "domini iudicis Roffridi" e tale Sibilla, sposa di Francesco de Morra.
A partire dal 1234 il legame fra R. e la corte sveva sembrerebbe spezzarsi e contestualmente aprirsi per il giurista una nuova fase che lo portava nuovamente lontano da Benevento, impegnato presso la Curia pontificia con incarichi di primo piano. Una circostanza, come ha sottolineato Ferretti, forse determinata anche dalla temporanea sottomissione di Benevento al potere temporale del papa. Il giurista compare infatti con la qualifica di advocatus "domini papae" in una sentenza del 1235 (ibid., p. 284), mentre l'anno successivo è attestato al seguito di Gregorio IX a Viterbo.
La riconquista di Benevento da parte di Federico II, nel 1241, chiudeva definitivamente il soggiorno romano del giurista, 'recuperato' dal re-imperatore fra i propri fideles, e scomparso di lì a poco, intorno al 1243.
L'opera di R. appare profondamente influenzata dalle molteplici esperienze vissute a contatto con ordinamenti e con realtà istituzionali assai diverse (i comuni, il Regnum, il papato).
Si è già accennato alle tematiche riguardanti i 'rapporti di dipendenza'. Altrettanto vivo appare l'interesse del giurista per le problematiche relative agli eretici. Una circostanza che ha fatto osservare come "fra i Glossatori che fiorirono nel XIII sec., Roffredo fu certamente quello che assistette più da vicino alla formazione delle nuove norme contro l'eresia in quanto ebbe stretti rapporti tanto con Federico II quanto con la curia romana" (Ruffino, 1973, p. 67). In particolare recenti indagini hanno sottolineato come, se nella lectura al Codex (databile tra il 1220 e il 1233) R. aveva sostenuto la possibilità per l'eretico 'minore' di lasciare in eredità i beni ai propri figli ortodossi, escludendo tale facoltà per coloro che seguissero dottrine particolarmente pericolose come quella manichea, nei Libelli iuris civilis (e segnatamente nel V composto dopo il 1233) il giurista, mostrando di avere accolto pienamente le posizioni antiereticali di Federico II, espresse tanto nella Constitutio in basilica beati Petri (1220) quanto nel Liber Constitutionum (1231), mutava orientamento negando recisamente agli eretici, indipendentemente dalla gravità dell'eresia da essi praticata, di potere istituire eredi i figli, ancorché di fede ortodossa (Bellomo, 1986, p. 170; Maceratini, 1998, p. 622-623).
I Libelli iuris civilis, iniziati ad Arezzo fra il 1215 e il 1218, "ad preces et instantiam sociorum meorum nobilium de partibus Tusciae", come testimonia lo stesso R. ("cum essem in civitate curialissima nobili aretina ausus sum opus de libellis et ordine iudiciorum componere"; 1968, p. 3), e rimaneggiati per almeno un quindicennio, si inseriscono nell'ambito di quella nuova sensibilità verso il problema della formazione dei libelli processuali che, introdotta dal Piacentino e da Giovanni Bassiano, doveva fare "delle esposizioni de libellis un nuovo genere letterario di una certa rilevanza" (Cortese, 1995, p. 128). Proprio R., secondo Ennio Cortese, avrebbe portato "questo filone letterario alle vette più alte" sia con i Libelli iuris civilis che con i Libelli iuris canonici, composti intorno al 1236 ("forma decreti erit talis, In nomine Domini anno Dominice incarnationis MCCXXXVI"; Libelli iuris canonici, 1968, p. 339).
Agli anni dell'insegnamento aretino sono legate anche le celebri Quaestiones Sabbatinae. Un genere del quale lo stesso giurista, al di là della polemica che lo contrapponeva a Pillio da Medicina, sottolineava l'utilità didattica in quanto riferibili a casi "de facto emergentes". Peraltro è stato sottolineato come nelle Quaestiones di R. si evidenzi in maniera significativa un fenomeno del quale si erano manifestate tracce già nelle questioni di Pillio: l'interesse per gli iura propria e l'inizio del loro studio, attraverso le Quaestiones, nelle aule accademiche (Cortese, 1995, p. 173).
Sintomatica dell'importanza, e del successo, delle Quaestiones di R. era la circostanza che, negli statuti dello Studio bolognese, "il prezzo per il quaderno delle Quaestiones di Roffredo salì da tre soldi (statuti del 1317-1347) a cinque soldi (nel 1432), mentre invariato rimase ‒ nello stesso periodo ‒ il prezzo delle Quaestiones di Pillio" (Caselli, Introduzione a Quaestiones Sabbatinae, 1968, nr. 6, p. VIII).
Fonti e Bibl.: edizioni delle opere di R.: Summula de pugna, a cura di F. Patetta, in Scripta anecdota antiquissimorum glossatorum, a cura di A. Gaudenzi et al., Bononiae 1892, pp. 76-83; Libelli iuris canonici, a cura di G.C. Caselli, in Corpus glossatorum juris civilis, VI, a cura di M. Viora, Augustae Taurinorum 1968, pp. 332-431 (Avenione 1500); Libelli iuris civilis, ibid., pp. 3-332 (ivi 1500); Quaestiones Sabbatinae, ibid., pp. 433-483 (ivi 1500). Historia diplomatica Friderici secundi, II, 1, p. 451. G. Panziroli, De claris legum interpretibus libri quatuor, Lipsiae 1721, pp. 118-119; M. Sarti, Memorie istoriche della città di Benevento, Roma 1764, pt. II, pp. 49 ss.; F.C. von Savigny, Storia del diritto romano nel Medio Evo, a cura di E. Bollati, I-III, Torino 1854-18572: I, p. 618; II, p. 325; III, pp. 330-335; J.F. von Schulte, Die Geschichte der Quellen und der Literatur des Canonischen Rechts von Gratian bis auf die Gegenwart, III, Stuttgart 1875, pp. 75-79; G. Ferretti, Roffredo Epifanio da Benevento, "Studi Medievali", 3, 1908-1911, pp. 230-287 (al quale si rimanda per l'indicazione dei repertori più antichi); E.M. Meijers, Iuris interpretes saec. XIII, Neapoli 1924, pp. XIII-XXV; G.M. Monti-A. Zazo, Da Roffredo di Benevento a Francesco De Sanctis. Nuovi studi sulla storia dell'insegnamento superiore a Napoli, ivi 1926, pp. 33-35; F. Calasso, Origini italiane della formula 'rex in regno suo est imperator', "Rivista di Storia del Diritto Italiano", 3, 1930, p. 243; Th. Diplovatatius, De claris legum iuris consultis pars posterior, in Studia Gratiana X, a cura di G. Forchielli-A.M. Stickler, Bononiae 1968, pp. 114-118; F.L. Berra, Roffredo da Benevento, in Novissimo Digesto Italiano, XIV, Torino 1969, col. 251; O. Ruffino, Ricerche sulla condizione giuridica dell'eretico nel pensiero dei Glossatori, "Rivista di Storia del Diritto Italiano", 46, 1973, in partic. pp. 67-68; M. Bellomo, Legere, repetere, disputare. Introduzione ad una ricerca sulle "Quaestiones" civilistiche, in Aspetti dell'insegnamento giuridico nelle Università medievali, I, Le 'quaestiones disputatae', Reggio Calabria 1974, ad indicem; G. D'Amelio, Carlo di Tocco, in Dizionario Biografico degli Italiani, XX, Roma 1977, pp. 304-310; M. Bellomo, Intorno a Roffredo Beneventano: professore a Roma?, in Scuole, diritto e società nel Mezzogiorno medievale d'Italia, a cura di Id., I, Catania 1985, pp. 135-181; F. Martino, Testimonianze sull'insegnamento del diritto a Napoli nei secoli XIII-XIV. Il manoscritto ambrosiano E.29. inf., ibid., II, ivi 1987, pp. 25-38; P. Erdö, Cause sui diritti dei primati nella pratica di Roffredo da Benevento, "Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Kan. Abt.", 72, 1986, pp. 362 ss.; I. Baumgartner, Was muß ein Legist vom Kirchenrecht wissen? Roffredus Beneventanus und seine Libelli de iure canonico, in Monumenta iuris canonici Series C, VIII, a cura di P. Linehan, Città del Vaticano 1988, pp. 223 ss.; C.E. Tavilla, Homo alterius: i rapporti di dipendenza personale nella dottrina del Duecento. Il trattato De hominiciis di Martino da Fano, Napoli 1993, ad indicem; E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, II, Roma 1995, ad indicem; A. Errera, Arbor actionum. Genere letterario e forma di classificazione delle azioni nella dottrina dei glossatori, Bologna 1995, p. 359; R. Maceratini, Il pensiero di Roffredo intorno all'eretico, "Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte. Kan. Abt.", 94, 1998, pp. 619-625.