DELL'ISOLA (de Insula), Roffredo
Abate di Montecassino e cardinale, apparteneva a una nobile famiglia che verso la metà del secolo XII teneva in feudo, dai signori di Aquino, Isola del Liri (prov. di Frosinone). Il nome de Insula, attribuito al D. dagli Annales Casinenses, è quindi di origine toponimica.
Nel Catalogus baronum (n. 1011) è ricordato tra i signori di Aquino un Roffredo de Insula;tuttavia l'ipotesi formulata dal Marchetti Longhi che la famiglia del D. appartenesse a un ramo collaterale dei signori di Aquino appare poco probabile e non è suffragata dalle fonti. Dei parenti del D. è noto suo fratello Gregorio, mandato nel 1191 come ostaggio presso il duca di Spoleto e nel 1193 in Germania, a garanzia della lealtà del D. nei confronti dell'imperatore Enrico VI. Gregorio, grazie all'insistente intervento del D., fu poi eletto nel 1202 vescovo di Trani, ma rinunciò ancora nello stesso anno, perché non ottenne la conferma pontificia della sua elezione. Una sorella, di cui si ignora però il nome, fu data in sposa dal D. a Erveo, figlio di Roberto de Apolita, il quale venne insediato nel 1191 dal D. come castellano a Roccaguglielma. Questo matrimonio illustra anche la posizione sociale della famiglia del D.: i de Apolita infatti, cresciuti all'ombra dei principi di Capua, erano una delle famiglie più eminenti di Aversa; un Lamberto (de Apolita?) nel 1192 sembra essere stato addirittura vescovo della città.
Un altro parente (consobrinus) del D., il milite Pietro de Aymon, nel 1191 fu insediato dal D. come castellano a Rocca d'Evandro. Verso il 1175 questo stesso Pietro risulta proprietario di terre residente a Sora e probabilmente era uno di quei parenti del D. in questa città di cui parla Riccardo di San Germano ricordando la conquista di Sora nel 1208 (p. 26b). Non è chiaro se il D. fosse imparentato anche con il suo predecessore, l'abate Pietro (II), ricordato con l'appellativo de Insula in un manoscritto degli Annales Casinenses della metà del sec. XIII (cod. Cas. 851) e in un diploma di Federico Il del 1226, inserito nella cronaca di Riccardo di San Germano (Regesta Imperii, V, n. 1687), ma in entrambi i casi potrebbe trattarsi di un errore. Infine non sappiamo da quali fonti sia tratta l'arma del D. (un leone rosso rampante verso destra in campo bianco) riprodotta dal Ciaconius (p. 1160), che la desume dal libro di B. Clavellus, De antiquitatibus Arpini, Napoli 1623. Conosceva personalmente il D. il notaio e cronista Riccardo di San Germano che rogò alcuni atti dell'abate. A dubbio invece se Stefano di Parigi, che gli dedicò un commento alla regola di s. Benedetto (scritto verso il 1191-95) lo abbia incontrato o se invece la dedica fosse indirizzata al D. soltanto in quanto allora abate. Stefano infatti aveva soggiornato a Montecassino all'inizio degli anni Sessanta, cioè più di vent'anni prima che il D. fosse eletto. I vescovi Gregorio di Aquino, Ottone di Penne e Riccardo di Trivento erano stati monaci a Montecassino al tempo del Dell'Isola.L'elezione del D., avvenuta il 9 luglio 1188, mise fine a una vacanza di due anni seguita alla morte dell'abate Pietro nel 1186. Nello stesso 1188 Clemente III nominò il D. cardinale cori il titolo dei Ss. Marcellino e Pietro, continuando la lunga serie di abati di Montecassino che sin dai tempi della riforma pontificia avevano fatto parte del Collegio cardinalizio come membri "esterni". Nulla di preciso si sa della carriera del D. prima della sua elezione ad abate di Montecassino; certo è che non si distinse in alcun modo sul piano letterario. Nel 1180 sottoscrisse, con la qualifica di Casinensis camerarius un documento riguardante S. Pietro di Avellana, un altro il 3 febbr. 1186. Questa circostanza fa pensare che egli in precedenza fosse stato preposito di S. Pietro di Avellana (ricordato per l'ultima volta nel giugno 1181) e che il passaggio a Montecassino fosse avvenuto non troppo tempo prima: nel gennaio 1178 ancora era camerarius Pandolfo (Regesto di Tommaso..., p. 33). Già nel febbraio 1187 comunque la carica di camerario non era più tenuta dal D. ma da Pietro Comes, il futuro abate (Fabiani, II, p. 135).
Nel periodo immediatamente successivo alla sua elezione il D. si preoccupò di registrare e assicurare l'esistente. Il monastero aveva attraversato un periodo di grave decadenza economica nella seconda metà del secolo XII, una crisi che si era acuita ulteriormente verso la fine del secolo e dalla quale Montecassino non si sarebbe risollevato neanche al tempo di Federico II. Il D. fece quindi redigere un inventario della sagrestia e confermare da Clemente III i privilegi del monastero. Egli stesso rilasciò un privilegio a favore dell'abate di S. Matteo di Castello ed assistette personalmente, nella curia maior di San Germano, ad una seduta del tribunale presieduta dall'avvocato del monastero.
Ma fu presto trascinato nei conflitti politici seguiti alla morte di re Guglielmo II di Sicilia (nov. 1189). Per precauzione rinsaldò i rapporti con i signori feudali vicini, ma poi assunse un atteggiamento di attesa nei confronti di Tancredi di Lecce, eletto re dalla nobiltà di corte siciliana contro la legittima erede Costanza, figlia di Ruggero II e moglie di Enrico VI di Svevia. Alla fine però si avvicinò a Tancredi e gli prestò il giuramento di fedeltà, sollecitato forse dal conte Riccardo di Acerra, cognato di Tancredi. Questi, in compenso, gli concesse i castelli di Rocca d'Evandro e di Roccaguglielmina affidati immediatamente alla custodia di due parenti, i già ricordati Pietro de Aymon e Roberto de Apolita. Nel febbraio 1190 il D. confermò agli abitanti di Pontecorvo e di Sant'Angelo in Theodice i loro vecchi diritti e le consuetudini. Si trattava indubbiamente di una misura cautelativa, in vista dei conflitti che si andavano profilando. Nel settembre l'abate svolse le funzioni di giudice delegato di Clemente III in una causa matrimoniale.
Mentre si stava avvicinando l'imperatore, il D. fu colpito da una grave malattia (ma potrebbe essersi trattato anche di un semplice pretesto). Enrico VI, comunque, consapevole dell'importanza di Montecassino, posto nel territorio di confine tra il Regno e l'Impero, cercò di attirarlo dalla sua parte con un grande privilegio a favore del monastero, la cui narratio illustra bene come Enrico giustificasse sul piano giuridico le sue rivendicazioni sul Regno di Sicilia (Regesta Imperii, IV, 3, n. 152). Come pegno per il suo atteggiamento amichevole il D. consegnò all'imperatore alcuni ostaggi, tra cui il fratello Gregorio, di cui non si sa bene se facesse parte della comunità del monastero; insieme con i suoi vassalli accompagnò l'imperatore fino a Napoli. Tuttavia quest'ultimo, quando si vide costretto a rinunciare all'assedio della città, pensò bene di prendere le sue precauzioni: tornando in Germania portò infatti con sé, come ostaggio, non solo il fratello del D., ma anche il D. stesso; l'imperatore aveva vinto la partita nei confronti di Montecassino. Il sostituto dei D., il decano Adenolfò, nel i 191 fu scomunicato da Celestino 111 e il monastero sottoposto a interdetto, perché non volevano sostenere il partito di Tancredi. Enrico VI protestò violentemente contro queste misure che successivamente furono revocate (cfr. Regesta Imperii, IV, 3, n. 206).
Nulla si sa di preciso del soggiorno del D. in Germania. Nel marzo 1192 fu tra i testimoni di un diploma imperiale rilasciato a Hagenau, dove deve aver visto anche il re inglese Riccardo Cuor di Leone, che vi era tenuto prigioniero. Nel giugno 1192 tornò in Italia, insieme con l'esercito imperiale comandato da Bertoldo di Künsberg, ma senza il fratello. A Ceprano, insieme con altri cardinali mandati da Celestino III, incontrò l'imperatrice Costanza, rilasciata da Tancredi in vista delle trattative per il concordato dì Gravina. Non si conoscono i particolari di questo incontro che ha fatto sorgere varie supposizioni. Costanza, comunque, in seguito, si recò direttamente in Germania senza incontrarsi con il papa, come questi avrebbe voluto.
Quindi il D. cercò di sottomettere, con l'aiuto delle truppe tedesche, gli avamposti di Tancredi nel territorio di Montecassino: prese Comino e altre località, devastò i dintorni di Atina, distrusse le mura di Cancello e conquistò Gallinaro, contribuendo in tal modo a rafforzare le posizioni imperiali in Terra di Lavoro. Quando Enrico VI tornò in Italia, egli lo accolse solennemente. Munito di poteri speciali, precorse l'esercito dell'imperatore cercando di convincere i baroni pugliesi ad arrendersi senza lotta. Il suo zelo fu ampiamente ricompensato: il giorno stesso dell'incoronazione a re di Sicilia, celebrata il 25 dic. 1194 a Palermo, ricevette dall'imperatore - unico tra i suoi fedeli - tre grandi privilegi nei quali Enrico VI, seguendo l'esempio di Lotario III, esaltava Montecassino come "specialeni imperii nostri cameram specialius commendatani" (RegestaImperii, IV, 3, n. 389).
Di particolare importanza era la concessione dell'alta giurisdizione (iussanguinis) nel territorio del monastero, che illustra nel modo migliore la posizione di favore goduta da Montecassino al tempo di Enrico VI; ma quando Federico II eliminò una dopo l'altra tutte le immunità di alta giurisdizione, ne fu privata nel 1221 anche Montecassino. 1 castelli e le città concessi dall'imperatore - Malvito, Rocca Albani, Roccaguglielmina, Atina - dovevano però ancora essere conquistati. Per questo il D. cercò di portare dalla sua parte i castellani, affidando loro altri castelli dietro giuramento di fedeltà. Alcuni castelli furono presi con le armi e puniti per la loro resistenza, altri premiati con la conferma dei loro privilegi. Non restò quindi al D. molto tempo per i suoi compiti spirituali. Le circostanze dell'epoca richiedevano del resto anche a un abate soprattutto qualità militari. È significativo che nessuna bolla pontificia rechi la sottoscrizione del D. come cardinale.
Nel 1196 il D. si trovò al seguito del legato imperiale, il vescovo Corrado di Hildesheim, quando questi fece radere al suolo le mura di Napoli e di Capua. Nello stesso anno l'arcivescovo Anselmo di Napoli decise a favore del D. una lite con il vescovo di Teano riguardante i diritti parrocchiali a Rocca d'Evandro. Che anche il monastero di Montecassino subisse gravi danni economici a causa della guerra, è dimostrato da un documento del D. a favore dell'infirmarius del monastero, al quale dovettero essere assegnati nuovi fondi per il mantenimento dei monaci infermi. L'anno seguente un provvedimento analogo fu preso a favore del vesterarius.
La morte di Enrico VI, avvenuta il 28 sett. 1197, indusse il D. a un cambiamento radicale della sua politica. Se fino ad allora si era adoperato zelantemente per gli interessi imperiali, ora divenne un sostenitore altrettanto fervido della politica pontificia. La donazione exdevotione didue candelieri d'argento al monastero da parte di Celestino III è forse il primo indizio di tale cambiamento. Il D. fu premiato per il nuovo atteggiamento con una serie di privilegi pontifici. Nell'estate del 1198 il nuovo papa Innocenzo III lo pregò di accogliere nel monastero un vescovo che era stato legato in Oriente e nel novembre confermò una sentenza contro i chierici di S. Paolo di Castro pronunciata dal D. in qualità di giudice delegato. Un mese prima aveva però esortato l'abate ad osservare più scrupolosamente la disciplina monastica.
Tuttavia, anche negli anni seguenti il D. rimase coinvolto nelle questioni della grande politica. Nel i 199 Marquardo di Annweiler, cacciato dal Regno dopo la morte di Enrico VI, tornato nel Molise chiese al D. il giuramento di fedeltà che questi aveva già prestato a Innocenzo III. Su richiesta del D. il papa mandò truppe in suo aiuto, ma l'abate riuscì comunque ad allontanare Marquardo pagando una forte somma di denaro. L'anno seguente fu però costretto a fuggire da San Germano, con il fratello Gregorio, davanti a Dipoldo di Acerra anche se, con il supporto di mercenari e di arcieri assoldati con denari racimolati in Marsia, riuscì poi ad indurre Dipoldo a ritirarsi. Nondimeno il D. preferì fortificare Rocca Ianula, situata nei pressi del monastero.
Nel giugno del 1201 si unì a Gualtieri di Brienne, incaricato dal papa di sostenere gli interessi pontifici nel Regno. Insieme con Malgerio Sorello il D. bruciò Venafro, difesa da Dipoldo, prese Aquino e riconquistò nello stesso anno anche Castelnuovo e Fratta. Nell'ottobre 1201, capeggiato da Dipoldo e dal cancelliere Gualtieri di Pagliara, il partito tedesco subì una bruciante sconfitta a Canne ad opera del D. e del Brienne. Nel 1202 Innocenzo III mandò quindi il D. come legato in Sicilia per completare la vittoria dei partito pontificio. Occorreva infatti liberare il giovane Federico II, tenuto prigioniero a Palermo da Marquardo di Annweiler, e riallacciare eventualmente i contatti con la corte aragonese stabiliti già da Costanza, in vista di un matrimonio del giovane re con una principessa aragonese. Ma la morte di Marquardo, sopravvenuta nello stesso 1202, mise prematuramente fine alla legazione del Dell'Isola.
L'anno successivo, con l'aiuto di Innocenzo III, il D. intraprese un'azione per il recupero dei beni alienati, senza però riuscire a migliorare in modo sensibile la pessima situazione economica del suo monastero. Nel febbraio 1206 il cardinal legato Benedetto regalò a Montecassino il monastero di S. Maria de Virgiottis, situato davanti a Costantinopoli. Nel 1207 il D. rilasciò un privilegio a favore degli abitanti di Fella in Calabria e confermò l'acquisto di alcune terre operato dal decano Pietro Comes. Nello stesso anno fu incaricato da Innocenzo III della restituzione dei beni alienati alla chiesa di Venafro. All'inizio del 1208 partecipò per l'ultima volta ad un'azione militare: insieme con, i baroni vicini conquistò Sora difesa da Corrado di Marlenheim, l'ultima roccaforte dei Tedeschi. La vittoria del papa era completa, e alla fine di giugno il D. e i monaci accolsero solennemente Innocenzo III a San Germano. Nell'assemblea ivi convocata il papa intendeva riordinare le faccende del Regno, ma ne approfittò anche per visitare il monastero. I suoi rilievi dimostrano ancora una volta, quanti danni esso avesse subito durante gli anni di guerra. Innocenzo III ordinò che fossero restituiti i beni alienati e concesse altre entrate per sopperire alle necessità più urgenti.
Nel marzo del 1209 il D. funse da giudice delegato del papa in una lite tra il monastero cistercense di Casamari e la Chiesa di Marsi; nel luglio rinnovò a San Germano un contratto di livello. Fu toccato per l'ultima volta dalla grande politica quando Federico II gli illustrò in una lunga lettera le misure da lui prese contro alcuni ribelli, segno di quanta influenza si attribuisse al D. anche alla corte di Palermo.
Il D. morì il 30 maggio 1210a San Germano e fu sepolto nell'abbazia di Montecassino. Gli successe nella carica di abate il decano Pietro Comes.
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