ROGERIO
– Fu attivo nei decenni centrali del XII secolo. Il vero nome di questo giurista, che Hermann Kantorowicz – ribaltando il giudizio negativo ripetuto dalla storiografia precedente – indicò tra i più originali e penetranti fra i glossatori civilisti, doveva essere Frogerius benché egli stesso preferisse la variante Rogerius.
A lungo se ne è data per sicura l’origine italiana. Dubbia era solo la città natale: scartata l’ipotesi Benevento, nata dalla confusione della sigla di Rogerio con quella del beneventano Carlo di Tocco, rimanevano quali candidate più accreditate Piacenza (indicata da Cino da Pistoia) o Modena (suggerita da Guglielmo Durante). Non molti anni fa, l’italianità di Rogerio è stata però revocata in dubbio da André Gouron che ha creduto piuttosto a un’origine provenzale.
Non è solo in Provenza, tuttavia, che Rogerio potrebbe aver maturato quel gusto per lo stile elegante e ricercato e quell’attitudine alla forma dialogica che caratterizzano le sue opere (l’attenzione per lo studio della grammatica e della retorica non era infatti esclusiva delle scuole provenzali del trivium, rinvenendosi anche in ambienti lombardi o emiliani, come ha messo in luce Ennio Cortese, 1995, pp. 105 ss.).
Quanto alla sua formazione di giurista, si deve credere che Rogerio abbia frequentato a Bologna le lezioni degli allievi di Irnerio: di Bulgaro in particolare, come credette Eduard Meijers, ma anche di Martino Gosia, dal quale, come notò Kantorowicz, Rogerio sembra essere particolarmente influenzato (va detto che la contrapposizione tra le scuole dei due maggiori allievi di Irnerio non era certo, in origine, così netta come poi la disegnarono i maestri delle generazioni successive). È possibile che a Bologna, negli anni Quaranta del secolo, Rogerio abbia anche cominciato a insegnare, dedicandosi in particolare alla stesura degli estesi apparati di glosse ai testi giustinianei che ancora si riconoscono nei manoscritti preaccursiani. Nemmeno però si possono escludere suoi periodi d’insegnamento in altri centri extrabolognesi dove pure si studiava il diritto romano (Piacenza, appunto, o Modena, come suggeriva Friedrich Carl von Savigny). Se mai furono suoi allievi (e c’è motivo per pensarlo), Piacentino e Alberico di Porta Ravennate potrebbero aver ascoltato le sue lezioni proprio in Italia.
Al di là comunque dei luoghi in cui nacque, si formò ed esordì come docente, Rogerio pare essere effettivamente legato alla Provenza. Costituisce già un indizio in questo senso l’unico riferimento cronologico sicuro della sua biografia, se si eccettua una sua glossa al Codice giustinianeo che può essere datata al 1158. Rogerio avrebbe infatti difeso i provenzali conti di Baux nell’importante controversia giudiziaria che, nell’agosto del 1162, a Torino, li vide avversari dei conti di Barcellona di fronte al Barbarossa. Secondo il racconto di Azzone (Lectura in Cod., 5.16.10), o forse meglio del suo reportator Alessandro di Saint Gilles, in quell’occasione Rogerio sarebbe riuscito a prevalere sul suo antico maestro Bulgaro il quale sosteneva le ragioni dei catalani.
Del resto, già per gli anni successivi al 1150 Gouron ha convincentemente ricondotto l’attività di Rogerio come giurista pratico proprio in Provenza, e in particolare nel vivacissimo ambiente culturale – ricco di buoni conoscitori del diritto romano – che circondava ad Arles il vescovo Raymond de Montredon (1142-60). Risulta quindi credibile che proprio ad Arles o nei dintorni egli tenesse scuola negli stessi anni. Lì potrebbe averlo ascoltato, tra gli altri, anche il futuro canonista (e anche legista) Raymond des Arènes, noto come Cardinalis.
Sempre alla Francia meridionale si riconnette pure la stesura della sua opera di maggiore impegno: quella Summa Codicis cui attese nell’ultima parte della vita e che lasciò incompiuta (a metà di C. 4.58) morendo non molto dopo il 1162 (Kantorowicz, 1938, pp. 125-127; Gouron, 1992, pp. 314 s.).
All’epoca, quello delle grandi summae alle Istituzioni o al Codice di Giustiniano costituiva un genere letterario non ancora praticato in Italia. Di contro, sicura origine provenzale hanno sia la più antica Summa Trecensis (che Rogerio prese a modello, ma che certamente non è la prima versione della Summa Rogerii come credette Kantorowicz), sia Lo Codi (da cui pure Rogerio attinse). Provenzali sono anche la Summa Tubingensis (un tentativo di completare l’opera di Rogerio aggiungendo i corrispondenti titoli della Trecensis) e la Summa Codicis del Piacentino.
Quest’ultimo racconta di essersi cimentato, su invito degli studenti transalpini, nel tentativo di portare a compimento il lavoro di Rogerio, prima di decidersi a redigere ex novo una sua summa: è quanto ci si aspetterebbe da un allievo. Abbia o meno ascoltato le sue lezioni, tutto porta comunque a credere che Piacentino si sia recato in Francia proprio per sostituire lo scomparso Rogerio, e che gli studenti cui fa riferimento fossero appunto quelli che Rogerio aveva lasciato, per dir così, orfani. La Summa del Piacentino oscurò presto quella di Rogerio che pure continuò per qualche tempo a circolare in Francia, sia mutila sia nella versione integrata della Tubingensis (versione nella quale l’opera di Rogerio fu pubblicata in età moderna da Giovanni Battista Palmieri sotto il titolo di Summa Codicis Rogerii).
Rogerio non manca di proporre soluzioni originali. Nel caso delle varianti allo schema introduttivo ereditato da Bulgaro, si tratta invero di novità di poco significato che rivelano al più una certa qual propensione per la speculazione. In altri casi, però, Rogerio si rivela curioso e interessato ai problemi nascenti dal contemporaneo sviluppo delle autonomie cittadine e del fisco in particolare.
Oltre al lavoro sul Codice, di Rogerio ci rimangono vari altri scritti. Anzitutto le glosse, riconoscibili grazie alle caratteristiche sigle r e R, che egli appose copiose ai libri di Giustiniano: al Codice, a tutte le parti del Digesto (e in particolar modo all’Infortiatum di cui, secondo Odofredo, Rogerio sarebbe stato il primo glossatore), alle Istituzioni, ai Tres libri (vedi però Menzinger, 2014) e all’Authenticum (da ricercare nei mss. El Escorial, Real Biblioteca del Monasterio, S.I.9; Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, lat. 2130 e 2261; Würzburg, Universitätsbibliothek, M. p. j. f. 4). Colpiscono, nelle glosse di Rogerio, sia la cura filologica (molte di queste segnalano varianti testuali e i successivi glossatori talvolta ricordano le lezioni particolari contenute nel corrispondente liber Rogerii) sia la loro estensione. Ne è stato edito solo un numero esiguo, ma lo studio dei manoscritti preaccursiani suggerisce che gli apparati di Rogerio, presto rielaborati da Alberico (Codice e Novelle) e da Cipriano (Tres libri), abbiano costituito la base di lavoro per i successivi maestri dell’esegesi bolognese. Rogerio è ricordato 920 volte nella Glossa di Accursio (più di Bulgaro e Martino messi insieme) e, soprattutto, in ben 436 occasioni, nelle glosse all’Infortiatum (Schrage, 1992, p. 49).
In un prezioso codice londinese Kantorowicz rinvenne tre opere di Rogerio di minor mole. Le prime due – Enodationes quaestionum super Codice e Quaestiones super Institutis – sono senz’altro da inserire tra i capolavori della prima esegesi dei glossatori. Esse contengono una serie di quaestiones legitimae e si contraddistinguono per l’uso della forma dialogica, così caratteristica dell’ambiente culturale provenzale: una formula tanto accattivante quanto efficace, ripresa poco più tardi dall’autore delle Questiones de iuris subtilitatibus, il quale, almeno idealmente, appartiene di certo all’ambiente culturale dominato dalle figure di Rogerio e poi di Piacentino e Pillio (Cortese, 1995, p. 111; Id., 2013, p. 1716). Con la medesima tecnica, Rogerio compose anche la seconda parte della terza operetta: un trattato De praescriptionibus (nell’edizione che ne diede il Nicolaus Rhodius nel 1530, le due parti di cui è composto appaiono in forma separata; Fowler-Magerl, 1984, pp. 167-170). Il trattato, non limitandosi alle prescrizioni in senso stretto, ma comprendendo ogni forma di opposizione processuale basata sullo scorrere del tempo, costituisce la prima esposizione di un tema di grande rilevanza per la pratica ed ebbe ampio successo tra i giuristi successivi. Fu poi completato da un Catalogus praescriptionum che nelle edizioni va sotto il nome di Rogerio, ma che è da ascrivere a un suo allievo.
Dubbia, e probabilmente da scartare, è finalmente la paternità rogeriana di una collezione di Distinctiones (segnalate da Gustav Pescatore, ma rimaste inedite) e di una delle raccolte di Dissensiones dominorum.
Fonti e Bibl.: F.C. von Savigny, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, IV, Heidelberg 18502, pp. 194-224 e 518-30 (trad. it. Torino 1854, II, pp. 105-119); G. Pescatore, Verzeichnis legistischer Distinktionen mit Angabe des Verfassers, in Zeitschrift der Savigny Stiftung - Rom. Abt., XXXIII (1912), pp. 493-510 (in partic. pp. 502 ss.); H. Kantorowicz, Studies in the glossators of the roman law, Cambridge 1938 (rist. con add. e corr. di P. Weimar, Aalen 1969, pp. 122-180, 271-293); P. Weimar, Die legistische Literatur der Glossatorenzeit, in Handbuch der Quellen und Literatur der neueren europäischen Rechtsgeschichte, a cura di H. Coing, I, München 1973, ad ind.; L. Fowler-Magerl, Ordo iudiciorum vel ordo iudiciarius, Frankfurt a. M. 1984, pp. 167-170; G. Dolezalek, Repertorium manuscriptorum veterum Codicis Iustiniani, Frankfurt a. M. 1985, pp. 491-493, 494, 890-893, 941; E. Conte, Tres Libri Codicis, Frankfurt a. M. 1990, pp. 50-54; A. Gouron, Sur les traces de Rogerius en Provence, in Études offertes à P. Jaubert, a cura di G. Aubin, Bordeaux 1992, pp. 313-326; E. Schrage, Utrumque Ius, Berlin 1992, ad ind.; E. Cortese, Il diritto nella storia medievale, II, Il basso medioevo, Roma 1995, pp. 105-112, 136-138; L. Loschiavo, Summa Codicis Berolinensis, Frankfurt a. M. 1996, pp. 45-50; H. Lange, Römisches Recht im Mittelalter, I, Die Glossatoren, München 1997, pp. 192-200; E. Cortese, R., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), Bologna 2013, pp. 1716 s.; S. Menzinger, Pagare per appartenere, in Quaderni storici, XLIV (2014), 3, pp. 687-690.