PASSAGGERI, Rolandino
PASSAGGERI, Rolandino. – Figlio di Rodolfino passagerius, cioè esattore del dazio, doganiere, nacque a Bologna verso il 1215 e qui morì nel 1300; nulla si sa della madre.
Il padre Rodolfino, immigrato a Bologna dal territorio di Castel San Pietro, alla fine del XII o all’inizio del XIII secolo, esercitò per alcuni anni in città la professione di locandiere. Legato alla parte popolare, trasse vantaggi dalla rivoluzione che nel 1228 portò le Società d’arti e d’armi all’interno degli organi di governo del Comune. Rodolfino ottenne infatti dalla Società del Cambio, che ne aveva la gestione, l’appalto per l’esazione di dazi e gabelle; da quella professione gli venne il soprannome di Passagerius, attribuito in seguito anche ad altri esponenti della famiglia, fra cui il figlio Rolandino, che peraltro preferì presentarsi, nella professione notarile e negli scritti, con un’altra denominazione, quella di Rolandino di Rodolfino di Fioretta, riferita probabilmente al nome della nonna paterna, persona nota in città per aver gestito la locanda di famiglia. Unico altro parente di cui si abbia qualche notizia è Petrizzolo, anch’egli indicato con il soprannome di Passagerius e notaio, attivo in città verso la metà del secolo, figlio di una sorella di Rodolfino e dunque cugino di Rolandino.
Assai scarne anche le notizie sulla famiglia che Rolandino si costituì: poco prima del 1250 sposò Lamandina di Albertinello della Todesca e, alla sua morte, avvenuta nel 1286 dopo una lunga e invalidante malattia, si unì in seconde nozze a Iacopina di Deodato Mainitti. Dalle due mogli non ebbe figli. Ebbe invece, da una donna di cui ignoriamo il nome, una figlia naturale, Bartolomea, sua unica discendente, che prese il velo nel convento domenicano bolognese di S. Pietro Martire; a quest’unica figlia fu legato da tenero e costante affetto, più volte manifestato negli scritti (Tamba, in Rolandino e l’ars notaria..., 2002, pp. 79-90).
La vita pubblica di Rolandino Passaggeri si sviluppò attraverso fasi cronologiche ben scandite, in cui prevalsero, anche se non in modo rigoroso, aspetti diversi della sua attività e dei suoi interessi: professione notarile; insegnamento; attività politica; riflessione teorica sul notariato. Immatricolato all’arte dei notai nel 1234, avviò subito un’attività professionale intensa, sia per i privati sia per le istituzioni comunali, impegni destinati ad attenuarsi solo verso il 1251, quando l’insegnamento iniziò ad assorbirlo in modo prevalente. Gli atti rogati in questo periodo ci mostrano un notaio alle prese con varie tipologie contrattuali (compravendite, testamenti, donazioni) e con una clientela qualificata, in cui compaiono enti ecclesiastici ed esponenti delle maggiori famiglie cittadine. Si segnala tuttavia, ed è un elemento significativo che esprime scelte etiche e professionali precise, l’assenza pressoché totale di contratti espressamente o velatamente usurari, che rappresentavano invece la porzione di gran lunga prevalente del volume d’affari complessivo nella realtà bolognese dell’epoca. Impegni di prestigio, si diceva, ma non molto intensi, perché incarichi d’altro genere e più coinvolgenti incombevano nell’ambito della pubblica amministrazione. Già dal 1238 Rolandino era attivamente impegnato nella Cancelleria del Comune, ma nel 1245 fu nominato notaio dell’arte del cambio, che con quella dei mercanti esercitava allora un ruolo di guida politica della Società del Popolo e una sostanziale egemonia nella struttura organizzativa del Comune di Bologna. Come notaio dei cambiatori, ebbe il compito della redazione dei nuovi Statuti dell’arte, pubblicati appunto nel 1245. Si trattava di un ruolo di altissimo prestigio per un notaio appena trentenne, cui Rolandino seppe far fronte egregiamente, non solo per il risultato di coerenza giuridica ed efficacia normativa che i nuovi statuti raggiunsero, ma anche e soprattutto per il livello letterario e retorico del prologo, vero capolavoro di ars dictandi (Cencetti, 1961, p. 437).
In quel testo si inquadravano nell’ambito della teologia politica il sistema di governo del Comune e l’egemonia esercitata al suo interno dal ceto creditizio e da quello notarile, mettendo al servizio dell’ideologia popolare processi argomentativi che erano stati fino allora privilegio esclusivo dei poteri universali, spesso contrapposti, del papa e dell’imperatore. Muovendosi in un ambito retorico, quello dell’ars dictandi, che vantava a Bologna un’antica e consolidata tradizione di studi, Rolandino compì dunque un’operazione assai innovativa sul piano ideologico, al servizio delle istituzioni del Comune di Popolo. E non fu l’unica: nel 1249 Bologna si trovò a dover affrontare la crisi diplomatica prodotta dalla cattura e dalla prigionia di Enzo, figlio di Federico II, fatto prigioniero il 26 maggio alla battaglia della Fossalta e rinchiuso nelle stanze del nuovo palazzo pubblico, che da lui avrebbe preso il nome. Partì in quell’occasione dalla Magna curia federiciana una missiva perentoria, che fra lusinghe e minacce ingiungeva ai bolognesi di liberare immediatamente Enzo, pena la distruzione delle mura, destino che del resto, ricorda la lettera, la città aveva già vissuto ottant’anni prima per essersi opposta a Federico Barbarossa. La risposta del Comune, assai famosa e trascritta nelle più antiche cronache cittadine, che l’attribuiscono a Rolandino, è uno dei testi chiave del sentimento civico bolognese (Giansante, 2001, pp. 153-158). Il re Enzo, vi si dice in sostanza, l’abbiamo preso, lo teniamo e lo terremo finché ci parrà opportuno; le minacce dell’imperatore non ci impressionano: se vorrà riavere suo figlio, Federico dovrà venire a riprenderlo con le armi; con le armi allora lo affronteremo. La paternità rolandiniana della lettera bolognese è stata di recente messa in dubbio, in ragione dei suoi contenuti fieramente antimperiali, in evidente contrasto con la formazione e la sensibilità giuridiche di Passaggeri (Tamba, 1996, pp. 101-103). Occorre ricordare tuttavia che Rolandino ricopriva in quegli anni ruoli importanti nella Cancelleria comunale ed era quindi istituzionalmente coinvolto nella redazione di una lettera del genere; a parte questo, l’analisi stilistica del testo sembra confermare, sia pure con qualche cautela, l’attribuzione tradizionale. Il tessuto retorico e la solenne intonazione biblica della lettera sembrano infatti assai vicini a quelli del prologo del 1245, ma soprattutto è perfettamente consonante l’ispirazione ideologica dei due testi, l’esaltazione del sistema comunale come luogo della civile convivenza, contrapposta alla sopraffazione e al sistema di terrore del potere imperiale.
Non taceva del tutto, nel frattempo, l’attività professionale privata di Rolandino, che in quegli anni si valeva della collaborazione del cugino Petrizzolo, cui affidò in commissione la redazione di vari contratti. Nel 1251, però, redasse di sua mano il testamento di Zerra di Romeo Pepoli, personaggio di primo piano della vita politica ed economica cittadina. Fatalmente coinvolto nel peccato d’usura, come tutta la sua famiglia e gran parte del suo ceto, e quindi bisognoso di disporre un complesso piano di restituzioni testamentarie, Zerra trovò in Rolandino un professionista esperto e perfettamente in grado di rispondere alle sue esigenze etiche e patrimoniali (Rolandino 1215-1300, 2000, pp. 126 s.).
Dal 1251-1252 le notizie si fanno sempre più sporadiche e tutto induce a credere che, nel ventennio successivo, l’impegno preminente per Rolandino sia stato l’insegnamento.
Si era fatta più pressante, infatti, in quel periodo, la richiesta di personale notarile da impiegare in primo luogo nella sempre più complessa e articolata macchina comunale, e questo rendeva urgente il problema della formazione dei notai. A questa esigenza rispondevano le scuole che alcuni maestri avevano avviato in città, ispirandosi soprattutto alla lezione di Ranieri da Perugia. Nel 1251 l’intero settore fu riorganizzato dagli Statuti comunali, introducendo un maggior rigore nella definizione del corso di studi e dell’esame finale. Fulcro della procedura di accertamento della preparazione dei candidati fu la representatio, con cui il maestro presentava il proprio discepolo al collegio notarile che doveva esaminarlo. Questa prassi, documentata dal Liber sive matricula notariorum, in cui venivano iscritti i notai che erano stati approvati, ci consente di conoscere i maestri più attivi nel campo della formazione teorica e pratica del notariato.
La scena culturale bolognese era dominata, in questo ambito specifico, dalle due scuole di Rolandino Passaggeri e di Salatiele. Si trattava di un dominio assoluto, almeno fino al 1274: i due maestri rivali si confrontarono a lungo, sia sul piano dei contenuti dottrinali dell’insegnamento, sia su quello dell’ideologia politica. Fu proprio quest’ultima contrapposizione a risultare infine decisiva, quando la parte popolare e guelfa, cui aderiva Rolandino, ebbe il sopravvento costringendo all’esilio la parte ghibellina, in cui militava Salatiele, espulso anch’egli nel 1275 e morto, nel 1280, senza poter rientrare in patria.
Negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo, tuttavia, Salatiele contendeva efficacemente a Rolandino il primato nella formazione dei notai bolognesi: 140 candidati presenta all’esame quest’ultimo fra il 1259 e il 1261, mentre il rivale ne presenta nello stesso periodo 145. A questa intensa attività didattica Rolandino affiancò una ininterrotta riflessione scientifica, sulla quale ritornò in seguito negli anni della maturità, ripercorrendone le tappe con più meditata consapevolezza.
La sua vita di studi e di insegnamento si interruppe bruscamente, all’esplodere nel 1274 della lotta di fazione fra i guelfi Geremei e i ghibellini Lambertazzi, conflitto che proprio Rolandino contribuì a indirizzare verso un esito radicale.
In realtà, il giudizio storico sul ruolo che egli ebbe nelle lotte di parte della sua città è ancora piuttosto controverso. Alla valutazione autorevole e severa di Giorgio Cencetti, che contrapponeva ai grandi meriti culturali dell’uomo di studi la inesorabile e vendicativa faziosità del politico (Cencetti, 1950), è seguito in anni recenti un giudizio più incline ad apprezzare gli aspetti innovativi di un progetto, il cui fine non può essere riconosciuto nel tentativo di favorire il successo di una delle due parti, quella geremea, in cui era divisa l’aristocrazia urbana, ma piuttosto nel perseguire il rafforzamento complessivo del sistema comunale di governo, messo a grave rischio dalla rissosità endemica del ceto magnatizio (Pini, 1998, pp. 293-300).
In effetti, Rolandino non si limitò a guidare, nel 1274, la discesa in campo dei notai e delle società popolari, decidendo a favore dei Geremei, guidati da Alberto Caccianemici, lo scontro di piazza e mettendo fine così a una situazione di incertezza e tensione sociale, nociva per la città ed esiziale per il regolare andamento della vita universitaria e dei commerci urbani. Il suo progetto politico era ben più complesso e i suoi aspetti più interessanti si manifestarono certamente dopo la cacciata dei Lambertazzi del 1274 e, di nuovo, dopo quella del 1279, seguita al breve rientro degli esuli imposto dalla diplomazia pontificia. Un progetto che, chiusa la partita con l’aristocrazia ghibellina, intendeva sottomettere anche quella guelfa, rimasta in città, all’egemonia delle società d’arti e d’armi, dando così compimento al sistema del Comune di Popolo che aveva avviato il suo percorso con la rivoluzione del 1228.
Fu un’operazione assai articolata, che coinvolgeva strumenti e apparati diversi, efficacemente coordinati da Rolandino, in una situazione di potere personale, per certi versi, criptosignorile. Osteggiato all’interno dalle componenti aristocratiche della società comunale e non gradito neppure dalla diplomazia pontificia, per la sua spiccata ispirazione autonomista, il progetto politico rolandiniano richiese in primo luogo una capillare azione ideologica e propagandistica, capace di accendere i sentimenti patriottici del popolo bolognese e la sua compattezza sociale in chiave antimagnatizia. A questi temi Rolandino si era dedicato, come si è detto, già in età giovanile; ora, con un ruolo di ispiratore più che di autore diretto, si impegnò, prima, a favorire la diffusione di testi agiografici che rilanciavano in città la leggenda di s. Petronio e i suoi contenuti fieramente autonomisti, promuovendo poi, attraverso l’intensa produzione legislativa dei primi anni Ottanta, l’esaltazione del Comune di Popolo come luogo di compiuta espressione della civiltà del diritto.
Non meno importanti degli obiettivi ideologici erano i problemi di ordine pubblico e di controllo politico del territorio. Sotto la guida di Rolandino, il Comune li affrontò con decisione e metodi innovativi. Per risolvere la grave emergenza dell’ordine pubblico, attenuata solo parzialmente dalle espulsioni del 1274 e del 1279, Rolandino organizzò e guidò personalmente, con la carica di primicerius perpetuus, una milizia popolare, la Società della Croce, costituita da 2000 cittadini e impegnata in compiti di polizia politica. Il controllo politico e amministrativo delle varie categorie di soggetti pericolosi fu realizzato, invece, perfezionando il ‘sistema delle liste’, cioè la compilazione di elenchi ufficiali, continuamente aggiornati con inserimenti e cancellazioni, in cui venivano registrati i nomi di magnati e ghibellini, sottoposti a regimi di limitazione dei diritti civili e politici, più o meno stringenti in ragione del grado di pericolosità sociale dei diversi soggetti e del variare delle contingenze. Con la legislazione popolare degli anni 1282-85, poi confluita nei nuovi Statuti comunali del 1288, e con gli Statuti notarili di quello stesso anno, cui diede un contributo decisivo, si chiuse la fase dell’impegno politico di Rolandino, del resto ormai ultrasettantenne. L’ultimo periodo di vita (1285-1300) lo vide di nuovo prevalentemente impegnato nell’insegnamento, nello studio e nella produzione scientifica. Già nel 1285 aveva ricostituito la sua scuola, forse in locali annessi al convento di S. Domenico: ai frati domenicani, del resto, fu legato costantemente da rapporti di amicizia e devozione, che affiorano con evidenza dal testamento, dettato il 13 ag. 1297 nella sagrestia del convento (Rolandino 1215-1300, 2000, pp. 129-131), e sono testimoniati con grandiosa solennità dal monumento che lo accolse dopo la morte, avvenuta nel 1300.
Distrutta da un bombardamento nel 1943 e ricostruita nel 1950, l’arca di Rolandino tuttora campeggia davanti alla chiesa domenicana bolognese.
Degli ultimi anni di attività di Rolandino sono frutto alcune opere di ripresa, commento e perfezionamento delle opere giovanili. In effetti, all’autocommento della Summa, intitolato Aurora, egli si era accinto già nel 1273, interrompendosi però di lì a poco, travolto dalle emergenze politiche, quando era giunto appena al quinto capitolo del trattato. Alla ripresa dell’attività didattica, dopo il 1285, gli sembrarono più urgenti altri temi, come la materia testamentaria, cui dedicò il Flos testamentorum, pubblicato nei primi anni Novanta, e soprattutto gli parve necessario un aggiornamento della Collectio contractuum del 1255, che adeguasse quelle forme contrattuali alle esigenze dei tempi nuovi. Opera che pubblicò poco dopo il 1294 con il semplice titolo di Contractus, e che tuttavia non incontrò i favori della scuola bolognese di notariato, rimanendo pressoché sconosciuta per tutta l’età moderna. Completare l’Aurora, commento giudicato indispensabile per la valorizzazione didattica della Summa, fu dunque compito degli allievi: Pietro Boattieri, la cui Aurora novella, fu approvata, pare, dallo stesso Rolandino, e Pietro da Anzola, che poco dopo la morte del maestro pubblicò l’Aurora novissima.
La fama di Rolandino Passaggeri è certamente legata in primo luogo alla straordinaria fortuna della Summa totius artis notariae, che soppiantò, ancora vivente l’autore, ogni precedente compilazione. Si tratta di un’opera assai organica, anche se composita e stratificata. Al nucleo fondamentale del 1255, diviso in dieci capitoli e tre parti (contratti, testamenti, atti giudiziari), si aggiungono operette successive di contenuto monografico: il Tractatus de notulis, il De officio tabellionatus in villis e il Flos testamentorum. Con il corollario dei commenti, quello d’autore incompiuto, quello dell’allievo Pietro da Anzola e altri che la completano nelle edizioni a stampa – fondamentale la giuntina del 1546 – la Summa rappresenta un vero monumento della civiltà giuridica medievale, ma prima ancora fu, per le sue doti di coerenza strutturale, semplicità e chiarezza espositiva, un punto di riferimento costante per la teoria e la prassi notarile, fino al XVII secolo e oltre.
Fonti e Bibl.: Rolandini Rodulphini Bononiensis Summa totius artis notariae, Venetiis 1546, ripr. facs. Bologna 1977; Statuti delle società del popolo di Bologna, a cura di A. Gaudenzi, II, Società delle arti, Roma 1896, (alle pp. 57-60 lo Statuto dei cambiatori del 1245); Rolandini Passagerii Contractus, a cura di R. Ferrara, Roma 1983.
A. Palmieri, R. P., Bologna 1933; G. Cencetti, R. P. dal mito alla storia, in Rivista del notariato, IV (1950), pp. 373-387; Id., P. R., in Il notariato nella civiltà italiana. Biografie notarili dall’VIII al XX secolo, Milano 1961, pp. 436-443; G. Orlandelli, Genesi dell’‘ars notariae’ nel secolo XIII, in Studi medievali, VI (1965), pp. 329-366; Liber sive matricula notariorum comunis Bononie (1219-1299), a cura di R. Ferrara - V. Valentini, Roma 1980; G. Tamba, Il notariato a Bologna nell’età di Federico II, in Federico II e Bologna. Atti del convegno... 1995, Bologna 1996, pp. 85-105; A.I. Pini, Manovre di regime in una città-partito: il Falso Teodosiano, R. P., la Società della Croce e il “barisello” nella Bologna di fine Duecento, in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le province di Romagna, XLIX (1998), pp. 281-318; Rolandino 1215-1300. Alle origini del notariato moderno, a cura di G. Tamba, Bologna 2000; M. Giansante, Tradizione retorica e simbologia biblica nello scambio epistolare tra Federico II e il comune di Bologna per la cattura di re Enzo, in I Quaderni del M.Ae.S., IV (2001), pp. 135-160; R. e l’ars notaria da Bologna all’Europa. Atti del convegno internazionale di studi storici sulla figura e l’opera di Rolandino, Bologna... 2000, a cura di G. Tamba, Milano 2002 (in partic. A.I. Pini, Bologna nel suo secolo d’oro: da “comune aristocratico” a “repubblica di notai”, pp. 1-20; M. Giansante, R. e l’ideologia del comune di popolo. Dallo statuto dei cambiatori del 1245 a quello dei notai del 1288, pp. 49-74; G. Tamba, R. nei rapporti familiari e nella professione, pp. 75-118).