ROLANDO da Piazzola
ROLANDO da Piazzola. – Nacque a Padova intorno alla metà del XIII secolo, certo entro il 1265: il 10 marzo 1285 fu ascritto al Collegio dei giudici di palazzo del Comune, per i quali l’età minima era di vent’anni. Il padre, Guido, membro del Consiglio maggiore nel 1254, era vivo nel 1275, mentre risulta morto dieci anni dopo. La madre era sorella di Lovato Lovati.
Vi è notizia di cinque figli: Guido, ascritto nel 1301 al Collegio dei giudici; Rolando, Aicarda, Bartolomeo e Francesco. Come testimonia il sarcofago sul sagrato della basilica di S. Antonio a Padova, tre (Guido, Aicarda e Rolando) gli premorirono, Guido probabilmente non molto dopo il 1301, visto che nell’epigrafe funeraria è detto «iuvenis». Bartolomeo e Francesco erano ancora in vita nel 1333. Il censimento padovano del 1320 parla anche di un non meglio precisabile nepos.
Pare infondata la notizia che lo vuole professore e membro del collegio dei dottori giuristi dell’Università. La sua attività di giudice del Comune è attestata con regolarità e nel 1301, 1306, 1310 fu gastaldo del collegio. Come era consueto nella Padova dell’epoca, al suo ruolo di giudice si unì un’importante attività politico-diplomatica, che lo vide coinvolto in decisioni cruciali per la vita del Comune. Tra il 1302 e il 1303 fu a Roma, probabilmente per un’ambasceria presso Bonifacio VIII. Dalla fine di ottobre del 1311 all’inizio del 1312 fu a Genova, membro di una legazione presso Enrico VII, alla quale partecipava anche l’amico Albertino Mussato.
Il risultato della missione fu interlocutorio e nulla tolse ai timori padovani sulle mire egemoniche di Cangrande della Scala. Al ritorno a Padova, i legati espressero al Consiglio maggiore opinioni divergenti. Rolando si fece promotore della ribellione della città all’imperatore; opposta fu invece la posizione di Mussato. La proposta di Rolando passò a larga maggioranza.
Sarebbe da legare a questa prima divergenza tra i due l’epistola in versi che Mussato indirizzò a Rolando «amicus suus sibi conciliandus de contentione inter se habita de rebus publicis», in cui Albertino blandisce l’amico e ricorda con commozione Lovato, «flendus pater» del circolo preumanistico (epistola III, rubrica e v. 31).
Quando, più di un anno dopo, il 16 maggio 1313, a seguito della decisione di Padova di ribellarsi all’Impero, Enrico VII emise un bando contro la città, anche Rolando fu nella lista dei condannati che seguì l’editto. Frattanto era continuato il suo impegno politico. Nel dicembre del 1312 fu inviato, con Marsilio Polafrisana, a tentare senza successo un’estrema mediazione con il nobile magnate Niccolò da Lozzo, titolare di un’importante signoria di castello, il quale si era ribellato al Comune. Un altro sfortunato ruolo di mediazione lo coinvolse nell’aprile del 1314. Il Consiglio degli Otto, istituito nel 1311 per difendere la città dopo la perdita di Vicenza, aveva decretato il bando di dodici ghibellini, tra cui Niccolò e Obizzo da Carrara. Giacomo e Ubertino da Carrara tentarono invano di ottenere una riforma della decisione, «Rolando de Placiola et A. Muxato multa perorantibus» (A. Mussato, De gestis Henrici VII..., a cura di L.A. Muratori, 1727, col. 609). È questa la prima volta in cui è testimoniata l’azione di Rolando in relazione ai Carraresi, a cui da qui in avanti risulta molto legato. Un infausto tentativo di recuperare Vicenza nel settembre del 1314 ebbe per i padovani drammatiche conseguenze: molti furono fatti prigionieri, tra cui Rolando. Nel 1317, altro anno difficile per Padova, Rolando risulta podestà di Monselice, e Mussato lo ricorda tra i membri della factio guidata da Giacomo da Carrara che, a differenza dello stesso Mussato, era favorevole a trattare di nuovo la pace con lo Scaligero. Quando, all’inizio del 1318, la prospettiva di un attacco di Cangrande era incombente, Rolando fu inviato con altri a intavolare trattative per la pace, ratificata infine il 14 marzo.
Il legame tra il da Piazzola e Giacomo da Carrara ebbe il suo episodio più importante nel luglio di quello stesso anno: Rolando fu infatti tra i promotori dell’elezione di Giacomo a capitaneus e dominus generalis. Secondo Mussato la sua orazione fu decisiva per convincere il Consiglio cittadino.
Tra il 1320 e 1321, dopo che era stato concluso un fragile accordo con Cangrande, fu di nuovo impegnato come ambasciatore. Accompagnò il legato di Federico il Bello in Padova, Ulrico di Walsee, a Treviso (insieme a Ubertino da Carrara) per un colloquio con il conte di Gorizia. Quindi, con Niccolò da Carrara, si recò a Bolzano e poi a Judenberg per incontrare Federico. Con la Corte reale e il resto della legazione padovana, si spostò di nuovo a Bolzano, dove era stato fissato un incontro tra il sovrano, Cangrande e i padovani.
Il solido legame con i Carraresi è confermato dal fatto che, nel primo semestre del 1322, Rolando fu vicario di Niccolò da Carrara, allora podestà di Bologna. Nella primavera del 1323 fu, insieme a Marsilio da Carrara, presso il duca di Carinzia per esporgli le condizioni della pace tra intrinseci e fuoriusciti padovani. Il 14 giugno 1324 fu tra i testimoni dell’investitura di alcuni possessi del monastero veneziano di S. Cipriano a Obizzo da Carrara. Come dimostra una postilla autografa nel ms. Wolfenbüttel, Herzog August-Bibliothek, Gudiano lat. 2, era a Padova il 21 di quello stesso mese, quando entrò in città Enrico di Carinzia. Sono queste le ultime testimonianze note di Rolando in vita. In un atto del 5 marzo 1326 risulta infatti già morto.
Lo zio Lovato gli dedicò il perduto De conditionibus urbis Padue et peste Guelfi et Gibolengi nominis, l’amico Mussato il Contra casus fortuitos. Testimoniano il suo interesse per i classici due codici, il già citato Gud. lat. 2 e il Vat. lat. 1769. Il primo, una ricca raccolta di opere di Cicerone, fu realizzato nel secondo decennio del XIV secolo e decorato dal miniatore Nerio. Rolando ne fu con ogni probabilità il committente; nel manoscritto sono di sua mano le rubriche iniziali e finali delle opere e un certo numero di postille. Alcuni dei marginalia rimandano alla lettura di opere di Aristotele; altri confermano i rapporti di amicizia con Mussato.
Probabilmente realizzato nello stesso periodo, il Vat. lat. 1769, anch’esso decorato da Nerio, è una monumentale edizione degli opera omnia di Seneca. Anche qui Rolando vergò rubriche iniziali e finali, alcune glosse, e interventi filologici sui testi. Di sua mano è la titulatio della nota di Lovato sui metri di Seneca, tràdita alla c. 246v. Ivi Rolando annota anche di aver visto a Roma «apud ecclesiam Sancti Pauli» un’epigrafe antica relativa a Lucano. Concordemente ritenuta spuria dal XVII secolo, l’iscrizione è considerata da Guido Billanovich un falso di Rolando (e di Mussato). Si segnala che Georg Fabricius, sul finire del XVI secolo, dichiarò di averla letta nella dimora di Giovanni Colocci, nella cui cospicua raccolta epigrafica non mancavano per altro molti falsi.
Fonti e Bibl.: A. Mussato, Historia Augusta Henrici VII et alia quae extant opera, Venetiis 1636; Id., De gestis Henrici VII Cesaris, De gestis Italicorum, I-VII, in RIS, X, 2, a cura di L.A. Muratori, Mediolani 1727, coll. 9-686; G. Verci, Storia della marca Trivigiana e Veronese, VIII, Venezia 1788; A. Gloria, Monumenti dell’Univer-sità di Padova (1222-1318), Venezia 1884, pp. 299-303; L. Padrin, Sette libri inediti del “De gestis Italicorum” di A. Mussato, Venezia 1903; Constitutiones et Acta Publica Imperatorum et Regum (1298-1313), ed. J. Schwalm, in MGH, Leges, IV, 2, Hannoverae-Lipsiae 1906-1911, n. 982; F. Ferreti, Le opere, a cura di C. Cipolla, I-II, Roma 1908-1914; G. Cortusi, Chronica de novitatibus Padue et Lombardie, a cura di B. Pagnin, in RIS2, XII, 5, Bologna 1941-1975.
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