ROMA - Biblioteche
Per un insieme di cause storiche relativamente recenti la più importante biblioteca di conservazione di R., la Biblioteca Apostolica Vaticana, ha ormai assunto uno statuto extraterritoriale. Ciò non elimina il fatto che essa sia stata una presenza fortemente condizionante per la formazione delle principali raccolte librarie della città e spiega perché la più consistente raccolta di manoscritti di R., la Biblioteca Nazionale Centrale, abbia caratteri e dimensioni decisamente minori rispetto a quelli di altre grandi biblioteche nazionali europee, come la Bibliothèque Nationale de France di Parigi o la British Library di Londra.Sede alla fine dell'Antichità di grandi biblioteche pubbliche, e più tardi di cospicui fondi ecclesiastici, R. ha conosciuto una dispersione pressoché totale delle sue biblioteche medievali; in effetti, nessuna delle collezioni librarie romane può vantare una continuità storica anteriore al 16° secolo. L'istituzione della Bibl. Naz. è recentissima, legata alla stessa proclamazione dell'Italia unita. Il progetto di una biblioteca nazionale nacque nel 1870, ma prese forma solo nel 1876, quando, con la soppressione delle congregazioni religiose, nella biblioteca del Collegio Romano confiscata alla Compagnia di Gesù confluirono i fondi librari di ca. settanta istituzioni monastiche romane (Spotti, 1993). L'acquisizione, conclusa con molte difficoltà nell'arco di ca. due anni, portò alla costituzione di un corpus di ca. quattromilacinquecento manoscritti; a questi si sarebbero aggiunti i codici del fondo Vittorio Emanuele II, nato con l'istituzione della biblioteca, destinato ad accogliere gli esemplari provenienti da donazioni e acquisti effettuati sul mercato antiquario.I fondi latini della Bibl. Naz. sono essenzialmente tre: il Gesuitico (millesettecentocinquantadue manoscritti), pertinente all'originale biblioteca del Collegio Romano; il Sessoriano (cinquecentocinquantotto manoscritti), proveniente dalla basilica di Santa Croce in Gerusalemme; la raccolta dei fondi minori, a sua volta suddivisa in ventitré gruppi, ordinati in ragione della provenienza. A questi si devono aggiungere gli antichi cataloghi e le piccole raccolte di manoscritti greci, orientali e musicali. Il nucleo più importante di quest'insieme è senz'altro rappresentato dai manoscritti anticamente raccolti presso la biblioteca del Sessorium. Il fondo fu costituito intorno alla metà del sec. 17° da Ilarione Rancati (1594-1663), che radunò presso la casa romana dell'Ordine i più antichi manoscritti dei monasteri cistercensi italiani. Insieme a volumi di produzione cistercense, la collezione comprendeva diversi nuclei bibliotecari di origine più antica. Alla composizione mista del fondo contribuì in forma determinante una peculiarità tipica dell'irradiazione cistercense nella penisola italiana, dove molto spesso comunità d'osservanza cistercense sostituirono antiche e prestigiose fondazioni benedettine. Ciò giustifica la presenza di un consistente numero di manoscritti altomedievali - tra questi l'importante gruppo proveniente dall'abbazia di Nonantola - pertinenti alle fasi più antiche di queste fondazioni. Il Sessoriano è certamente il più noto e meglio studiato tra i fondi manoscritti della Bibl. Naz. (Palma, 1980; Jemolo, Palma, 1984), l'unico per il quale si disponga di una bibliografia capillare e aggiornata (Bibliografia, 1987). Non meno significativi, sotto il profilo storico-artistico, si rivelano alcuni corpora dei fondi minori, tra i quali la piccola ma interessante raccolta dei codici provenienti dall'abbazia di S. Maria di Farfa. Dal monastero, fondato intorno alla fine del sec. 7°, provengono poco più di trenta manoscritti, parte dei quali certamente prodotti nello scriptorium attivo all'interno dell'abbazia a partire dalla metà dell'8° secolo. Tra gli esemplari di maggiore interesse si segnalano i manoscritti riferibili a Gregorio da Catino (ca. 1060-1130), autore di una corposa opera storica, il Chronicon Farfense (1107-1119; Roma, Bibl. Naz., Farf. 1), ornata da un interessante repertorio di sigilli ricavati dai documenti allora presenti nell'archivio dell'abbazia.Presso la Bibl. Naz. è insediato ormai da qualche anno il Centro Naz. per lo studio del manoscritto, istituito nel 1989 e destinato a raccogliere, in forma microfilmata, l'intero patrimonio manoscritto delle biblioteche statali italiane. Allo stato attuale il fondo comprende ca. centomila microfilm, parte dei quali provenienti dalla raccolta già costituita presso l'Ist. Centrale per la patologia del libro.Peculiarità del panorama bibliotecario romano sono alcune importanti collezioni storiche, più o meno direttamente legate all'attività dei numerosi circoli intellettuali della R. del Seicento e Settecento. Il più antico di questi organismi è la Bibl. Angelica, annessa all'ex convento di S. Agostino in Trivio. Il nucleo originale risale quasi certamente al sec. 14°, con l'istituzione dello Studio generale annesso al monastero urbano dell'Ordine agostiniano. Tuttavia, i primi cataloghi relativi alla raccolta manoscritta datano solo al 15° secolo. Il più remoto di questi, compilato intorno al 1432, era articolato secondo moduli propri di una biblioteca monastica medievale, con una sezione a parte per i codici d'uso liturgico. Le testimonianze relative a questa fase restano lacunose, anche per quanto riguarda l'identificazione dei manoscritti che vi appartengono (Munafò, Muratore, 1989). Un passaggio chiave per la storia della biblioteca intervenne alla fine del Cinquecento; fu allora che, in ossequio alla disposizione testamentaria di uno dei suoi più importanti benefattori, la libreria conventuale, già nota come Bibl. Angelica, divenne una biblioteca 'd'uso pubblico'. La disposizione, imposta dal lascito di Angelo Rocca - uno dei molti intellettuali transitati all'interno dello Studio agostiniano - e confortata da un breve papale, diede origine a una delle più antiche biblioteche pubbliche della storia europea (1604).La raccolta manoscritta, già relativamente consistente, fu ulteriormente arricchita tra i secc. 17° e 18° grazie a donazioni e acquisti; particolarmente significative furono l'acquisizione della biblioteca personale di Lukas Holste (1661) e quella della collezione libraria del cardinale Domenico Passionei (1765), nella quale risultavano presenti, al momento dell'acquisto, ca. settecentocinquanta manoscritti greci e latini. Dopo il 1870, con la formazione dello Stato unitario, la Bibl. Angelica divenne una delle principali biblioteche statali di Roma. L'attuale fondo manoscritto comprende ca. duemilasettecento codici, molti dei quali di epoca umanistica. Tra quelli medievali si segnalano la più autorevole copia del De balneis Puteolanis di Pietro da Eboli (Roma, Bibl. Angelica, 1474), opera di una bottega italomeridionale della metà del sec. 13°, e un sacramentario (Roma, Bibl. Angelica, 477), per l'uso della basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, importante prodotto dell'artigianato librario di ambiente crociato del 1140 circa.La più nota e prestigiosa collezione manoscritta presente a R. è senz'altro quella conservata nella Casanatense, biblioteca istituita dal cardinale Girolamo Casanate (1620-1700) presso il Collegio domenicano di S. Maria sopra Minerva. Nominato bibliotecario di Santa Romana Chiesa al termine di una lunga e brillante carriera ecclesiastica, Casanate, una delle personalità più interessanti del Seicento romano, trascorse l'ultimo periodo della vita coltivando i suoi molti interessi di bibliofilo. La collezione libraria, legata nel 1698 al Collegio della Minerva, offre un'immagine piuttosto fedele della sua fortunata carriera di cardinale di Curia. Vi trovano spazio, insieme a un'interessante raccolta di manoscritti, Sacre Scritture, ma anche opere di diritto penale e canonico, rare edizioni dei secc. 16° e 17° e una discreta biblioteca 'moderna' di testi scientifici.
Nel secolo successivo alla fondazione (1700), la Casanat. mantenne un prestigio inalterato. Prova ne sia il fatto che durante la breve dominazione napoleonica (1798-1814) questa fosse l'unica istituzione bibliotecaria romana destinata a sopravvivere accanto alla Imperiale Biblioteca Vaticana. Divenuta proprietà dello Stato con l'incamerazione dei beni ecclesiastici, la Casanat. è la più importante biblioteca di conservazione di R., con un fondo manoscritto di ca. settemilatrecento volumi e uno a stampa di oltre trecentomila unità. Tra i documenti di maggior pregio presenti nella collezione manoscritta vanno ricordati i tre rotuli beneventani (Roma, Casanat., 724, già B.I.13/I-III), dei secc. 10° e 12°, pertinenti alla raccolta personale di Casanate, il trattato De chirurgia di Rolando da Parma (Roma, Casanat., 1382), opera salernitana del sec. 13°, e una Historia plantarum (Roma, Casanat., 459), proveniente dalla biblioteca di Mattia I Corvino e attribuita alla bottega di Giovannino de Grassi.La biblioteca Corsiniana, associata dal 1883 alla collezione libraria dell'Accademia dei Lincei con la denominazione di Bibl. dell'Accad. Naz. dei Lincei e Corsiniana, conserva in forma molto evidente le sue caratteristiche di biblioteca privata, nata intorno a un circolo culturale settecentesco. La collezione, sistemata tuttora nella sua sede e, in parte, nella disposizione originale, prese forma a opera del cardinale Neri Corsini, che radunò presso il nuovo palazzo della Lungara (1736) i libri raccolti da altri importanti prelati della famiglia; tra i volumi vi è anche la biblioteca personale dello zio, papa Clemente XII (1730-1740). La biblioteca era ordinata in sette sale tematiche, munita di una discreta collezione musicale e di un consistente fondo manoscritto, cui era riservato un ambiente ad hoc. La raccolta, aperta al pubblico dal 1754, fu offerta in dono allo Stato italiano in occasione dell'acquisto del palazzo destinato ad accogliere la nuova sede dell'Accad. dei Lincei (1883). Al momento della cessione, il fondo manoscritto contava poco meno di tremila volumi, parte dei quali classificati in un fondo a parte, derivante dalla biblioteca del filologo Nicola Rossi, acquistata dai Corsini nel 1786 (Pinto, 1956; Petrucci, 1977). Dotata di una ricca collezione di codici umanistici, la Bibl. dell'Accad. Naz. dei Lincei e Corsiniana possiede anche manoscritti medievali di un certo interesse: tra questi una copia dei Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana (Roma, Bibl. dell'Accad. Naz. dei Lincei e Corsiniana, 369/40.E.6), opera spagnola del sec. 12°, e un'edizione illustrata del Roman de la Rose (Roma, Bibl. dell'Accad. Naz. dei Lincei e Corsiniana, 1275/55.K.4.) di scuola francese del 14° secolo.Legata alla storia di un Ordine 'moderno' è infine l'origine della Vallicelliana, biblioteca annessa all'oratorio filippino della Chiesa Nuova. Il nucleo originale della raccolta è costituito dalla libreria personale di Achille Stazio, che ne fece dono per legato testamentario (1581) al Collegio insediato da s. Filippo Neri presso la chiesa di S. Maria in Vallicella. La raccolta era composta di ca. duemila unità tra manoscritti e opere a stampa. Il corpus, assai vario, rifletteva i molti interessi dell'umanista portoghese, educato a Évora e poi a Lovanio, dove aveva conseguito il titolo di dottore in teologia. Non a caso, tra i manoscritti della sua biblioteca figuravano un prezioso esemplare della Bibbia (Roma, Vallicell., B. 6), di epoca carolingia, e un evangeliario bizantino (Roma, Vallicell., B. 133), dell'11° secolo. Nel corso del Seicento la biblioteca si arricchì notevolmente; giunsero in questo periodo il fondo manoscritto dell'abbazia umbra di S. Eutizio in Val Castoria, fondata intorno alla fine del sec. 10°, e i libri personali di Cesare Baronio.Compresa tra le biblioteche statali dal 1873, la Vallicell. ha un fondo manoscritto particolarmente ricco di testimonianze per la storia del libro decorato, in special modo dell'area romana. Tra i documenti di maggior pregio sono da ricordare due importanti manoscritti altomedievali: la Collectio canonum (Roma, Vallicell., A. 5), di scuola carolingia, e il codice di Gioveniano (Roma, Vallicell., B. 252), opera romana del 9° secolo. A questi si aggiunge un evangeliario (Roma, Vallicell., E. 16), della fine del sec. 11°-inizi 12°, proveniente da Farfa, la cui decorazione è giustamente considerata un capitolo fondamentale nella storia della miniatura umbro-laziale di epoca romanica.Il panorama delle biblioteche di conservazione presenti a R. è ben più vasto di quello qui prospettato. È opportuno ricordare che fondi manoscritti di entità più o meno vasta sono conservati anche presso l'Arch. di Stato di R., la Bibl. Alessandrina, le biblioteche del Pontificio Collegio Armeno e del Pontificio Collegio Greco di S. Atanasio, la Bibl. del Senato della Repubblica e negli archivi della basilica di S. Paolo f. l. m. e di S. Giovanni in Laterano. Infine, non può essere dimenticata, per la natura della collezione e per la presenza di alcuni preziosi fondi storici, la Bibl. dell'Ist. Naz. di Archeologia e Storia dell'Arte, che ha sede in palazzo Venezia. Bibl.: E. Pinto, La biblioteca Vallicelliana in Roma (Miscellanea della Società romana di storia patria, 8), Roma 1932; V. Carini Dainotti, La Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele al Collegio Romano, Firenze 1956; O. Pinto, Storia della Biblioteca Corsiniana e della Biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei (Collana di monografie delle Biblioteche d'Italia, 3), Firenze 1956; A.M. Giorgetti Vichi, S. Mottironi, Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Vallicelliana, Roma 1961; G. Barone, A. Petrucci, Primo non leggere. Biblioteche e pubblica lettura in Italia dal 1861 ai nostri giorni, Milano 1976; E. Esposito, Biblioteca Nazionale Centrale ''Vittorio Emanuele II'', Ravenna 1976; A. Petrucci, Catalogo sommario dei manoscritti del fondo Rossi: sezione corsiniana, Roma 1977; T. Bonadonna-Russo, La Biblioteca Vallicelliana in Roma, Studi romani 26, 1978, pp. 14-34; M. Palma, Sessoriana. Materiali per la storia dei manoscritti appartenuti alla biblioteca romana di S. Croce in Gerusalemme, Roma 1980; E. Bottasso, Storia della biblioteca in Italia, Milano 1984; V. Jemolo, M. Palma, Sessoriani dispersi: contributo all'identificazione di codici provenienti dalla biblioteca romana di Santa Croce in Gerusalemme (Sussidi eruditi, 39), Roma 1984; Bibliografia dei manoscritti sessoriani, Roma 1987; P. Munafò, N. Muratore, La Biblioteca Angelica, Roma 1989 (con bibl.); Biblioteche d'Italia. Le biblioteche pubbliche statali, Gaeta 1991; A. Petrucci, Medioevo da leggere, Torino 1992; A.A. Cavarra, Biblioteca Casanatense, Firenze 1993; V. De Gregorio, La Biblioteca Casanatense di Roma, Napoli 1993 (con bibl.); I fondi, le procedure, le storie. Raccolta di studi della Biblioteca, a cura di P. Veneziani, Roma 1993; A. Spotti, Guida storica ai fondi manoscritti della Biblioteca Nazionale Centrale, Vittorio Emanuele II di Roma, ivi, pp. 5-31; I luoghi della memoria scritta, a cura di G. Cavallo, cat., Roma 1994; P. Veneziani, La Biblioteca Vittorio Emanuele al Collegio Romano, Roma moderna e contemporanea 3, 1995, pp. 693-725; Catalogo delle biblioteche d'Italia, VII, Lazio, Roma-Milano 1996 (con bibl.); V. Romani, Biblioteche romane del Sei e Settecento (Bibliografia, bibliologia e biblioteconomia, collana di studi e testi, studi, 3), Manziana 1996; V. De Gregorio, Casanatense e dintorni: saggi su biblioteche e cultura particolarmente a Roma nel XVII secolo, Napoli 1997.
L. Speciale
Biblioteca Apostolica Vaticana. - In un breve del 1451, Niccolò V (1447-1455) aveva espresso il desiderio di fondare una biblioteca pontificia "pro communi doctorum virorum commodo". Con l'aiuto di Giovanni Tortelli (ca. 1400-1466), egli era riuscito a raccogliere più di un migliaio di codici. Il suo successore, Callisto III (1455-1458), li fece inventariare; anche sotto Pio II (1458-1464) e Paolo II (1464-1471) la biblioteca papale si arricchì di nuove accessioni, ma il progetto di una nuova biblioteca, con sede e amministrazione autonome, non fece progressi. Ancora Pio II destinò la propria biblioteca alla sua famiglia, che la fece trasportare a Siena. Il 13 novembre 1471 Giovanni Andrea Bussi, nella sua prefazione al primo volume dell'edizione di Niccolò di Lira (ca. 1270-1349), che aveva preparato per gli editori Sweynheym e Pânnartz, rivolse una supplica a papa Sisto IV (1471-1484), di cui era il bibliothecarius, per convincerlo a realizzare il progetto di Niccolò V e a istituire una biblioteca nel palazzo Apostolico. Sisto IV prese alcune prime decisioni già un mese dopo, il 17 dicembre 1471. Ma il progetto avanzò effettivamente soltanto dopo la morte di Bussi (4 febbraio 1475) e la nomina del suo successore, Bartolomeo Sacchi detto il Platina. Il giorno stesso della sua nomina (28 febbraio 1475), il Platina aprì un registro di prestito dei manoscritti conservati nel palazzo.Vero e proprio fondatore della Biblioteca fu Sisto IV. Con una bolla del 15 giugno 1475, il papa assegnò a questa nuova istituzione una duplice funzione culturale, a un tempo teologica e profana, ossia "ad decorem militantis Ecclesiae, fidei augmentum", come viene sottolineato nell'incipit della bolla, e "ad eruditorum quoque ac litterarum studiis insistentium commodum et honorem", secondo un'espressione che riprendeva letteralmente il programma di Niccolò V.Sisto IV concesse alla nuova istituzione quattro aule al piano terreno del palazzo di Niccolò V, con ingresso sul cortile del Pappagallo e prospetto su quello del Belvedere. La loro organizzazione risulta ultimata il 14 settembre 1481, con il primo inventario ufficiale, terminato pochi giorni prima della morte del Platina, vittima della peste. Le prime due sale formavano la biblioteca pubblica (dove i codici furono suddivisi per lingua: latini e greci), la terza, la biblioteca secreta (per i codici più preziosi), la quarta, infine, la biblioteca pontificia (per i registri della Cancelleria pontificia). Nella biblioteca pubblica, Sisto IV fece dipingere il suo stemma insieme a quello di Niccolò V, sottolineando così la continuità tra il progetto precedente e la nuova istituzione.Le sale furono decorate da pittori famosi, Domenico e Davide Ghirlandaio, Melozzo da Forlì e Antoniazzo Romano. In questo primo periodo della storia della Biblioteca, curialisti e membri della Corte pontificia poterono ricevere in prestito codici e libri a stampa. Si è conservato il registro di prestito per gli anni 1475-1547. In questa prima sede, cui il nipote di Sisto IV, papa Giulio II (1503-1513), aggiunse altre sale, la Biblioteca dimorò ca. un secolo, fino a quando, tra il 1586 e il 1589, Sisto V (1585-1590) fece erigere dalle fondamenta una nuova e più ampia sede, affidandone l'esecuzione all'architetto pontificio Domenico Fontana. L'edificio, che ancora ospita la Biblioteca, fu eretto sulle scale che dividevano il cortile del Belvedere da quello della Pigna. La Biblioteca fu insediata nel piano più alto, in due aule: nella più grande (lunghezza m 70, larghezza m 15), il salone Sistino, a due navate, erano conservate le raccolte, in appositi armadi disposti lungo i muri e le colonne centrali; la più piccola, il Vestibolo, era riservata ai custodi e agli scrittori. Nel piano sottostante fu collocata la tipografia vaticana, istituita per pubblicare i testi corretti della Sacra Scrittura, dei Padri della Chiesa, dei decreti conciliari, delle leggi canoniche.Sotto il pontificato di Niccolò V, la biblioteca pontificia possedeva trecentocinquanta codici latini e alcuni codici greci ed ebraici. Nel 1475, i codici erano duemilacinquecentoventisette; nel 1481, il loro numero era salito a tremilacinquecento circa.Al momento dell'istituzione della Biblioteca Apostolica Vaticana, la tradizione medievale era stata mantenuta: la Biblioteca dipendeva, cioè, anche amministrativamente, dal palazzo Apostolico (una situazione che vige tuttora). Le sue collezioni non contenevano soltanto codici e libri a stampa, ma anche i registri della Cancelleria. Paolo V (1605-1621), nel 1614, aveva attribuito nuovi locali a quello che fu allora definito l'Archivio della Libreria; ma Urbano VIII (1623-1644), nel 1630, separò completamente gli Archivi dalla Biblioteca. Da allora, le due istituzioni ebbero un'amministrazione autonoma.Dai primi decenni del Seicento, fino ai tempi più recenti, la storia della Biblioteca Apostolica Vaticana è stata segnata da un continuo afflusso di intere biblioteche, sovente di grandi dimensioni, la maggior parte delle quali conservò, fino a tuttora, le segnature di origine. Nel sec. 17°, tre biblioteche principesche giunsero in Vaticano: nel 1622, la biblioteca dei conti Palatini di Heidelberg, preda bellica del duca di Baviera Massimiliano I (1597-1651) e donata a Gregorio XV (1621-1623) in riconoscimento degli aiuti ottenuti dalla Santa Sede durante la guerra dei Trent'anni; nel 1658, su ordine di Alessandro VII (1655-1667), la biblioteca dei duchi di Urbino (il fondo Urbinate), una delle più celebri e belle del Rinascimento italiano, raccolta da Federico da Montefeltro (1444-1482), duca di Urbino; nel 1689, la straordinaria collezione di codici latini e greci della regina Cristina di Svezia (1644-1689), frutto di lunghe appassionate ricerche, soprattutto in Francia. Alcuni codici Reginenses furono riservati alla biblioteca Ottoboni e affluirono nei fondi della Biblioteca soltanto nel 1748, allorché Benedetto XIV (1740-1758) acquistò la biblioteca Ottoboni, che conteneva, tra l'altro, la collezione di codici del cardinale Sirleto, che aveva potuto acquistare codici già appartenuti a papa Marcello II Cervino (1555), per anni il protettore della Biblioteca Apostolica Vaticana. Verso la metà del Settecento, i codici avevano raggiunto la cifra di oltre quindicimila unità.Oltre a intere biblioteche, la Biblioteca accolse, fin dalla fine del sec. 15°, collezioni di codici appartenute a umanisti, studiosi ed eruditi: nel Quattrocento, per es., i codici di Jean Jouffroi e di Gaspare di Sant'Angelo; nel secolo successivo, i codici di Angelo Colocci, Onofrio Panvinio e Aldo Manuzio il Giovane; nel Seicento, quelli di Fulvio Orsini; sotto Clemente VIII (1592-1605), quelli di Antonio Carafa, Guglielmo Sirleto, Lelio Ruini, Aloisio Lollini, Prospero Podiani e Giovanni Battista Bandini; nel Settecento, i codici di Giovanni Giustino Ciampini; nell'Ottocento, i manoscritti di Francesco Cancellieri, Angelo Mai e Giambattista Mazzucchelli; nel Novecento, la raccolta di legature di Tammaro de Marinis e la collezione di manoscritti persiani e copti di Enrico Cerulli.L'acquisto, nel 1898, da parte di Leone XIII (1878-1903), della collezione dei codici della famiglia Borghese, contenente manoscritti che nel sec. 14° erano appartenuti ai papi di Avignone, deve essere messo in relazione con l'allora nascente interesse per la filosofia tomistica e scolastica. I codici erano stati scoperti e identificati da Franz Ehrle (1845-1934), che seppe valutarne subito l'estrema importanza per lo studio della filosofia duecentesca e trecentesca. Tra la fine dell'Ottocento e la prima guerra mondiale, i fondi manoscritti triplicarono: nel 1902 entrò, grazie ad acquisto da parte di Leone XIII, l'intera biblioteca dei principi Barberini, comprendente oltre diecimila codici latini, cinquecentonovantacinque greci, centosessanta orientali e trentaseimila libri a stampa; nello stesso anno entrò la biblioteca Borgia di Propaganda Fide (il fondo Borgiano), ricchissimo di manoscritti orientali; sempre durante l'intenso pontificato di Leone XIII, giunse il fondo della cappella Sistina; sotto Pio XII (1939-1958) quello della cappella Giulia; nel 1921 fece il suo ingresso la stupenda biblioteca del collezionista e bibliofilo Giovan Francesco de Rossi (1796-1854), comprendente millecentonovantasei codici, seimila stampati rari e duemilacinquecento incunaboli; quello stesso anno furono versati ca. mille codici di carattere letterario, appartenenti alle collezioni dell'Archivio Segreto Vaticano; nel 1923 il governo italiano, quale gesto di riconciliazione con la Sede Apostolica, donò al Vaticano la biblioteca Chigiana, di proprietà dello Stato italiano fin dal 1918; nel 1926 entrò la biblioteca Ferrajoli, che costituì appunto il fondo Ferrajoli, di grande interesse per la storia letteraria italiana ottocentesca. Durante il sec. 20°, e soprattutto durante il pontificato di Pio XII, i fondi manoscritti della Biblioteca si arricchirono anche grazie ai depositi di fondi manoscritti appartenenti a conventi e chiese, soprattutto romani (Collegio Romano, Assisi, S. Michele di Murano, Archivio del Capitolo di S. Pietro, S. Maria Maggiore). Di queste ultime, la Biblioteca conserva, generalmente, anche i depositi antichi di documenti di archivio. Più recentemente, è stata accolta la collezione libraria di Federico Patetta (1867-1945), ricca di codici letterari e di materiali archivistici riguardanti la storia del Piemonte.Verso la fine del sec. 16°, la Biblioteca ricevette un nuovo ordinamento dei fondi, che non subì successivamente modifiche sostanziali. Nei vari fondi, chiamati Vaticani, confluirono i codici scritti nelle diverse lingue: latini, greci, eccetera. Nel 1620, la descrizione dei codici consisteva in sei volumi e due indici, opera dei fratelli Ranaldi. Giuseppe Simonio Assesami e suo nipote Stefano Evodio, che furono successivamente custodi della Biblioteca, progettarono un inventario completo dei codici in venti volumi in-folio. Il primo volume fu dato alle stampe a R. nel 1756; il secondo nel 1758 e il terzo nel 1759. Gli esemplari del quarto, relativo ai manoscritti arabi, e dei volumi sui manoscritti ebraici e siriaci furono distrutti nel 1768 da un incendio. Soltanto nel 1831 le iscrizioni inedite dei manoscritti orientali furono pubblicate a cura del cardinale Angelo Mai. Nel 1923 Pio Franchi de' Cavalieri e Giovanni Mercati inaugurarono, con la descrizione della prima parte dei codici greci (1-329), un nuovo inventario scientifico dei manoscritti vaticani, confermando così che la Biblioteca era riuscita a raggiungere, e per certi aspetti, persino a sorpassare, l'alto livello raggiunto dall'erudizione europea tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Oltre a Franz Ehrle, vero e proprio fondatore della Biblioteca Apostolica Vaticana moderna, diedero un forte impulso agli studi eruditi del rango di Achille Ratti, prefetto dal 1914 fino alla sua elezione a pontefice nel 1922 con il nome di Pio XI (m. nel 1939), Giovanni Mercati, prefetto dal 1919 al 1936 e cardinale bibliotecario, dal 1936 al 1957, Ciro Giannelli, André Wilmart, Auguste Pelzer, Giorgio Levi Della Vida, Jeanne Bignami Odier, Anneliese Maier, Stefan Kuttner.Al momento della sua istituzione, la direzione della Biblioteca fu affidata a un bibliotecario, il Platina (1475-1481), poi affiancato da un custode, Demetrio Guazzelli (1481-1510). Paolo IV (1555-1559) nominò per primo al governo della Biblioteca un cardinale, con il titolo di cardinale bibliotecario, Roberto de Nobili (1555-1559). Contemporaneamente crebbe l'importanza amministrativa e culturale della funzione del custode - Federico Ranaldi (1555-1594), Domenico Ranaldi (1594-1606) -, distinta, dal 1606 (Giuseppe Ranaldi), in un primo e secondo custode. Isidoro Carini (1843-1895) fu l'ultimo a ricoprire la carica di primo custode. Dal 1910, la direzione effettiva della Biblioteca è affidata a un prefetto (il primo fu Franz Ehrle), affiancato dal 1912 in poi da un vice prefetto (Achille Ratti, futuro Pio XI). Il cardinale bibliotecario ha funzione di protettore. Bibl.: Cataloghi e inventari di manoscritti. - Catalogue des manuscrits grecs de l'Archivio di San Pietro, a cura di P. Canart (Studi e testi, 246), Città del Vaticano 1966; Codices Barberiniani Graeci 1-163, a cura di V. Capocci, Città del Vaticano 1958; Codices Barberiniani Latini 1-150, a cura di S. Prete, Città del Vaticano 1968; H.G. Jones, Hispanic Manuscripts and Printed Books in the Barberini Collection (Studi e testi, 280), 2 voll., Città del Vaticano 1978; Codices Burghesiani Bibliothecae Vaticanae, a cura di A. Maier (Studi e testi, 170), Città del Vaticano 1952; Capellae Sixtinae codices, a cura di J.M. Llorens (Studi e testi, 202), Città del Vaticano 1960; I codici Capponiani della Biblioteca Vaticana, a cura di G.S. Cozzo, Città del Vaticano 1897; Codices Graeci Chisiani et Borgiani, a cura di P. Franchi de' Cavalieri, Città del Vaticano 1927; Codices Ferrajoli, a cura di F.L. Berra, 3 voll., Città del Vaticano 1939-1960; Codices manuscripti Graeci Ottoboniani, a cura di E. Feron, F. Battaglini, Città del Vaticano 1893; Codices manuscripti Palatini Graeci, a cura di E. Stevenson senior, Città del Vaticano 1885; Codices Palatini Latini, a cura di E. Stevenson iunior, Città del Vaticano 1886; Codices manuscripti Graeci Reginae Suedorum et Pii PP. II, a cura di E. Stevenson senior, Città del Vaticano 1888; Codices Reginenses Latini 1-500, a cura di A. Wilmart, 2 voll., Città del Vaticano 1937-1945; Codices Urbinates Graeci, a cura di C. Stornajolo, Città del Vaticano 1895; Codices Urbinates Latini, a cura di C. Stornajolo, 3 voll., Città del Vaticano 1902-1921; Codices Vaticani Graeci 1-329, a cura di G. Mercati, P. Franchi de' Cavalieri, Città del Vaticano 1923; Codices 330-603, a cura di R. Devreesse, 1937; Codices 604-866, a cura di R. Devreesse, 1950; Codices 867-932, a cura di P. Schreiner, 1988; Codices 1485-1683, a cura di C. Giannelli, 1950; Codices 1684-1744, a cura di C. Giannelli, P. Canart, 1961; Codices 1745-1962, a cura di P. Canart, 2 voll., 1970-1973; Codices 2162-2254, a cura di S. Lilla, 1985; Codices Vaticani Latini 1-678, a cura di M. Vattasso, P. Franchi de' Cavalieri, Città del Vaticano 1902; Codices 679-1134, a cura di A. Pelzer, 1931; Codices 1135-1266, a cura di M.H. Laurent, 1958; Codices 1135-1266. Indices, a cura di M.M. Lebreton, 1958; Codices 1461-2059, a cura di B. Nogara, 1912; Codices 2060-2117, a cura di C. Leonardi, 1987; Codices 2118-2192, a cura di A. Maier, 1961; Codices 9734-9782, a cura di M. Buonocore, 1988; Codices 9852-10300, a cura di M. Vattasso, E. Carusi, 1920; Codices 10301-10700, a cura di M. Vattasso, E. Carusi, 1920; Codices 10701-10875, a cura di G.B. Borino, 1947; Codices 10876-11000, a cura di G.B. Borino, 1955; Codices 11266-11326, a cura di M.M. Lebreton, L. Fiorani, 1985; Codices 11414-11709, a cura di J. Ruysschaert, 1959. Repertori bibliografici. - P. Canart, V. Peri, Sussidi bibliografici per i manoscritti greci della Biblioteca Vaticana (Studi e testi, 261), Città del Vaticano 1970; M. Buonocore, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1968-1980) (Studi e testi, 318-319), 2 voll., Città del Vaticano 1986; M. Ceresa, Bibliografia dei fondi manoscritti della Biblioteca Vaticana (1981-1985) (Studi e testi, 342), Città del Vaticano 1991. Letteratura critica. - E. Müntz, P. Fabre, La Bibliothèque du Vatican au XVe siècle, Paris 1886 (rist. anast. Amsterdam 1970); E. Müntz, La Bibliothèque du Vatican au XVIe siècle, Paris 1886 (rist. anast. Amsterdam 1970); H. Ehrensberger, Libri liturgici Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, Hildesheim 1887 (rist. 1985); F. Ehrle, Historia bibliothecae Romanorum pontificum tum Bonifatianae tum Avenionensis, I, Roma 1890; M. Vattasso, I codici Petrarcheschi della Biblioteca Vaticana (Studi e testi, 219), Città del Vaticano 1908; J. Bignami Odier, Guide au département des manuscrits de la Bibliothèque du Vatican, MAH 51, 1934, pp. 205-239; A. Pelzer, Addenda et emendanda ad Francisci Ehrle Historiae bibliothecae Romanorum pontificum tum Bonifatianae tum Avenionensis, Roma 1947; A. 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Carboni, Incipitario della lirica italiana dei secoli XIII e XIV (Studi e testi, 277, 288), 2 voll., Città del Vaticano 1977-1980; P. Canart, Les Vaticani graeci 1487-1962. Notes et documents pour l'histoire d'un fonds de manuscrits de la Bibliothèque Vaticane (Studi e testi, 284), Città del Vaticano 1979; D. William, Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d'Avignon, I, Paris 1980; F. Carboni, Incipitario della lirica italiana dei secoli XV-XX (Studi e testi, 297-299, 321), 4 voll., Città del Vaticano 1982-1986; A. Paravicini Bagliani, La provenienza 'angioina' dei codici greci della Biblioteca di Bonifacio VIII. Una revisione 'critica', Italia medioevale e umanistica 26, 1983, pp. 27-69; Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di M. Siponta de Salvia, A.M. Stickler, L.E. 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A. Paravicini Bagliani