ROMA - Iconografia
Un'iconografia della città di R. - intesa come immagine che si proponga, attraverso morfologie figurative di matrice diversa, di significare la città - nacque in età tardoantica e si sviluppò seguendo precise direttrici ideologiche nella prima età cristiana e attraverso tutto il Medioevo.Già nel sec. 4° R. era raffigurata con un'effigie di forte valenza emblematica nella Tabula Peutingeriana (un rotolo lungo quasi m 7 e largo cm 34), nota attraverso un esemplare probabilmente duecentesco (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 324; Miller, 1916; 1962; Tabula Peutingeriana, 1976; Levi, Levi, 1978, Bosio, 1983; Dilke, 1987, pp. 238-257; Maddalo, 1990, pp. 79-82, 85-86; Nuti, 1996, p. 49). In essa una figura femminile inscritta in un doppio cerchio concentrico, incoronata e coperta di clamide purpurea, è seduta in trono, nella mano destra tiene un globo e nella sinistra uno scettro, mentre lo scudo è poggiato al suo fianco. La forma circolare suggerisce il riferimento alle monete imperiali, sul cui rovescio R., se pure ripresa sempre di profilo, esibiva il globo e, nella mano sinistra, alternativamente la lancia, lo scettro o la vittoria alata (Cohen, 1930, n. 74; Toynbee, 1953, tavv. 64-65; Mattingly, 1965-1966), e richiama inevitabilmente alla mente il ruolo di caput mundi svolto dalla città nel mondo antico e ancora, senza soluzione di continuità, se pure con diverse motivazioni ideologiche e storico-politiche, per tutto il Medioevo. Non è un caso, infatti, che dal cerchio dove è inscritta l'immagine 'all'antica' di R. si diparta il tracciato delle dodici vie consolari che collegano la città a tutto l'orbe e che una di queste, la via Triumfalis, conduca alla basilica paleocristiana di S. Pietro, la cui presenza allude a evidenza al nuovo ruolo di centro della cristianità svolto da R. in quanto sede del papato.L'effigie miniata sulla Tabula Peutingeriana rappresenta il capostipite di una tradizione iconografica che ebbe grande fortuna, grazie proprio a questa duplice funzione simbolica, attraverso i secoli del Medioevo. Non troppo dissimile doveva essere l'immagine incisa e "forma rotunda Romanae urbis figurata" su una delle tre mense argentee possedute, come narra Eginardo (Vita Karoli Magni), da Carlo Magno, che di R. esaltava la grandezza del passato classico ma anche la presenza dei luoghi santi, resi venerabili dalle reliquie degli apostoli e dei martiri.Alcuni secoli più tardi, un modello iconografico analogo (ma segnato da alcune diversità di rilievo) era ripreso, sempre sotto la spinta di forti pulsioni ideologiche, in diversi contesti figurativi. La personificazione di R. caput mundi, seduta su di uno scranno affiancato da due leoni, vestita di clamide purpurea, incoronata e qualificata dalla palma nella mano destra (emblema della sua funzione pacificatrice) e dal globo nella sinistra (l'orbe tripartito) e fatta oggetto dell'omaggio di Gallia (l'Europa) e di India (l'Oriente), è protagonista di una miniatura a piena pagina realizzata alla fine del sec. 13°, forse su di un archetipo più antico, nel volgarizzamento del Liber Ystoriarum Romanorum (Amburgo, Staats- und Universitätsbibl., 151 in scrinio, c. 97v; Brands, Pächt, 1975; Frugoni, 1984, p. 9; Maddalo, 1990, pp. 56-60; 1997, pp. 128-130), alla cui origine è stata individuata la suggestione dell'immagine improntata in quello stesso torno di anni sul dritto delle monete senatorie, come per es. quelle coniate durante il governo (1252-1255) di Brancaleone degli Andalò (Monaci, 1920, p. CIII; Maddalo, 1990, pp. 59-60), così come sui sigilli del Comune di R. degli ultimi anni del secolo (Capobianchi, 1896, pp. 348, 351). Occorre peraltro sottolineare che, inscrivendo l'intera raffigurazione in un arco trilobo sovrastato da un 'ideogramma' di R. (un recinto murario merlato, interrotto da porte e torri), il miniatore sembra richiamarsi anche a un'altra tradizione figurativa, quella, pure di forte spessore simbolico, di S. Pietro rivestito delle insegne del suo magistero ecclesiastico (le chiavi, il libro e la croce astile, in luogo del globo e della palma), seduto su una sedia curule (signum imperiale, adottato per evidenziare il ruolo 'politico' del papato medievale) e ospitato all'interno di un'arcata merlata, cui fa corona Roma. Tale modello iconografico, adottato per es. nel Liber floridus di Lambert de Saint-Omer (Gand, Bibl. van de Rijksuniv., 92, c. 168v; primi decenni del sec. 12°) e nei Gesta Romanorum pontificum (Parigi, BN, lat. 8865, c. 91r; sec. 13°), ebbe una notevole fortuna tra Medioevo alto e centrale.La stessa effigie di R. veniva scelta, qualche decennio più tardi, nel 1347, da Cola di Rienzo, che la faceva rappresentare sul gonfalone della città "nello quale staieva Roma e sedeva in doi leoni, in mano teneva lo munno e la palma" (Anonimo Romano, Cronica), come in un manifesto politico, insieme ad altre insegne della tradizione imperiale romana e di quella medievale (Miglio, 1984, p. 80; Romano, 1995a, p. 339), e serviva anche a illustrare la Polistoria de virtutibus et dotibus Romanorum di Giovanni Cavallini de' Cerroni (1345-1347), in un perduto esemplare fatto trascrivere negli ultimi decenni del sec. 14° (già Novara, Arch. Storico Diocesano, XLII, c. 69v), con una miniatura raffigurante una giovane donna, assisa su un alto seggio cuspidato a guisa di gâble gotico, coronata, abbigliata regalmente e avvolta in un manto foderato di vaio, che tiene lo scettro e il globo, come nella Tabula Peutingeriana. L'effigie svelava, attraverso tali attributi e attraverso gli stemmi del Comune di R. e della famiglia Capogalli posti sulle terminazioni laterali del trono, la propria identità e quella del committente e insieme le ragioni ideologiche del testo cavalliniano e della lettura che ne veniva data nel manoscritto esemplato (Maddalo, in corso di stampa).Si tratta comunque, per tutti gli esempi proposti, di immagini paradigmatiche di Roma. E immagini simboliche sono anche la "Roma edificata a muodo de lione" del Liber Ystoriarum Romanorum (c. 107v), dove la forma data al circuito murario è emblema del municipio romano e dove i monumenti scelti a rappresentare la città sono tutti laici (Militie, therme Antoniane, palatium Maius, theatrum), e ovviamente il leone improntato, ancora a significare R., sul rovescio della moneta senatoria di Brancaleone degli Andalò.Sono sempre immagini paradigmatiche della città quelle che nascono come veicolo di valori ideologico-politici e morali, sia nel caso che R. si evochi con un'effigie emblematica - la donna, velata e armata di lancia e scudo, che personifica R. nella Prima Bibbia di Carlo il Calvo o Bibbia di Viviano (Parigi, BN, lat. 1, c. 3v), eseguita intorno all'846 (Frugoni, 1983, p. 16, fig. 19); la lupa con i gemelli su cui, in una valva del dittico di Agintrude (Roma, BAV, Mus. Sacro), databile intorno al 900 (Settis, 1986, p. 436, fig. 401), si erge, come per un disegno provvidenziale, il Crocifisso; le teste degli apostoli Pietro e Paolo, separate dal tracciato del Tevere in un manoscritto dei Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana del sec. 11° (Burgo de Osma, Catedral, Bibl., 1, cc. 34v-35r); la R. vidua del Dittamondo di Fazio degli Uberti (Parigi, BN, ital. 81, c. 18r, datato al 1447; Maddalo, 1990, pp. 115-123); una figura regale oppure lo stesso leone passante - sia che a rappresentarla venga offerto uno dei suoi aspetti più rilevanti, in special modo un luogo della città e uno (o alcuni) dei suoi monumenti, resi in forme più o meno riconoscibili.Fra questi particolare rilievo hanno le mura, che di per se stesse rappresentarono una delle formule più spesso usate nel Medioevo per sintetizzare in generale l'idea di città (Frugoni, 1983, pp. 3-33; Maddalo, 1990, pp. 63-64), e altrettanto interesse rivestono i monumenti e i resti della R. antica, come per es. il Colosseo - scelto, nel graduale di Prüm, del sec. 10° (Parigi, BN, lat. 9448, c. 54v; Maddalo, 1990, p. 64, fig. 23), per ambientare sulla via Sacra, nei pressi del tempio di Romolo, la vicenda apocrifa del Volo di Simon Mago - o la meta Romuli, e quelli della R. antica cristianizzata (il Pantheon/S. Maria ad Martyres e la Mole Adriana/Castel Sant'Angelo), della R. papale (S. Pietro) e della R. municipale (il Campidoglio). I luoghi-simbolo di R. (le mura, il Pantheon, forse la torre campanaria della basilica petrina, forse le torri del palazzo Senatorio) sono mirabilmente sintetizzati in uno schizzo tracciato velocemente, al lato dello specchio scrittorio, in una carta della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (Parigi, BN, lat. 6802, c. 266v; Maddalo, 1990, pp. 40-43, nn. 4-5, fig. 7) probabilmente da Francesco Petrarca (1304-1374), che ne fu possessore e che vergò, con gli stessi sentimenti di meraviglia e ammirazione che riecheggiano nella sua opera letteraria, la legenda all'immagine: "Roma sola mirabilis / toto orbe terrarum". Quei luoghi ricompaiono, espressi con ben altri intenti illustrativi, nelle Croniche di Giovanni Sercambi, degli inizi del Quattrocento (Lucca, Arch. di Stato, Guinigi L266; Giovanni Sercambi, 1978; Maddalo, 1990, pp. 60-62; 1997, pp. 131-133), dove una città di torri e campanili, racchiusa in una cinta muraria merlata e turrita e disseminata di presenze monumentali dotate di un notevole coefficiente di perspicuità visiva (la Mole Adriana, il Pantheon, il palazzo Senatorio, la meta Romuli, il Colosseo), accoglie il primo pellegrinaggio giubilare (c. 29r), e poi quelli per i giubilei del 1350 (c. 50v) e del 1400 (c. 351r), e apre le porte all'ingresso dei seguaci dei Colonna (c. 343v).L'importanza di R. come soggetto iconografico attraverso tutto il Medioevo - importanza che corrispose al rilievo del ruolo storico della città - è testimoniata dalla costante presenza di una sua immagine, o meglio di un ideogramma estremamente schematico e semplificato che condensa la sua immagine insieme a quella delle capitali del mondo antico, Gerusalemme, Costantinopoli, Babilonia, Troia, Cartagine, quale punto di riferimento delle coordinate geografiche di mappae mundi e planisferi, quasi sempre resi con la forma dell'orbe tripartito (Maddalo, 1990, pp. 85-94), come per es. in una mappa mundi tracciata su due pagine affrontate nel De rerum natura di Isidoro di Siviglia (Roma, BAV, Vat. lat. 6018, cc. 63v64r; sec. 8°), dove una sorta di castrum, un rettangolo in proiezione orizzontale, evoca R. e l'Italia; un ideogramma di estrema essenzialità, ma più articolato - con una cinta muraria a pianta circolare e al suo interno un edificio stretto tra due torri campanarie - e a proiezione verticale, è scelto a richiamare R. nel Bellum Iugurthinum di Sallustio (Roma, BAV, Reg. lat. 1574, c. 72v; sec. 12°).Se dalle rappresentazioni cartografiche - in cui l'identità di R. è esplicitata, oltre che da alcuni caratteri ricorrenti (la cinta muraria merlata e turrita, il Tevere, i signa cristiani), anche dalla presenza di scritte esplicative - si passa alle rappresentazioni topografiche, bisogna rilevare che si datano non prima della metà del sec. 13° le più antiche piante sino a oggi note della città, anche se si ipotizza che fosse corredato di una pianta circolare l'Itinerarium Einsidlense, scritto alla fine del sec. 8° presso il monastero di Reichenau (Hülsen, 1907; Frugoni, 1984, p. 40). Nella prima, la carta di Ebstorf, distrutta nel 1943 (già Hannover, Niedersächsisches Hauptstaatsarch.), che illustrava gli Otia imperialia di Gervasio di Tilbury (inizi del sec. 13°), R. aveva forma ellittica, mura merlate interrotte da torri, sette chiese ed era attraversata dal Tevere; la figura del leone passante e la scritta in littera textualis, "Secundum formam leonis inchoata Roma", che riprende peraltro un passo degli stessi Otia imperialia e si ispira al De imagine mundi di Onorio Augustodunense (prima metà del sec. 12°), esaltavano per allegoria il ruolo preminente della R. cristiana (Frugoni, 1984, p. 68; Maddalo, 1990, pp. 94-96). La seconda, tracciata su un supporto membranaceo cucito alla mappa che correda i Chronica maiora di Matthew Paris (Londra, BL, Royal 14.C.VII, c. 4r; Cambridge, C.C.C., 16, c. IIIr; metà del sec. 13°), pone in relazione R., evocata attraverso i luoghi santi e le porte che la collegano al N e al S della penisola, con l'itinerario dei pellegrini provenienti dall'Europa settentrionale e diretti verso la Terra Santa (Belli Barsali, 1973, p. 468; 1985, pp. 218-220; Szabó, 1997, pp. 73-76, figg. 3-4).Le prime vere rappresentazioni in pianta della R. tardomedievale sono, tuttavia, i disegni acquarellati che corredano la Chronologia magna di Paolino Veneto (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, lat. Z. 399 [1610], c. 98r, del 1323 ca.; Parigi, BN, lat. 4939, c. 27r) e, dello stesso frate veneziano, la Satyrica historia (Roma, BAV, Vat. lat. 1960, c. 270v, del 1330-1340), scritte e illustrate nei primi decenni del Trecento (Maddalo, 1990, pp. 45-52, nn. 10, 14, figg. 9-11; Nuti, 1996, pp. 105-111). Si tratta di tre versioni diverse di una mappa ellittica orientata E-O (quella del codice parigino, forse incompiuta, propone solo la linea del circuito murario e il tracciato del Tevere e, come uniche presenze monumentali, il castrum Sancti Angeli e la porta Petri), che rivela lo sforzo di offrire una visione complessiva della città, con le sue caratteristiche orografiche, i tracciati viari, l'assetto edilizio e i suoi monumenti. Le numerose inesattezze, il modo diseguale con cui gli edifici romani sono espressi e le concessioni a una fantasia di matrice popolare pongono le piante di Paolino sulla linea e nello spirito della tradizione letteraria dei Mirabilia urbis Romae, nei quali la trascrizione della realtà si coniuga con il racconto fantastico.Le due mappe rappresentano, tuttavia, gli incunaboli delle piante prospettiche di R. che, nel secolo successivo, con la traduzione dell'opera di Tolomeo e, quindi, con la ritrovata conoscenza dei metodi di rappresentazione geografica e topografica del mondo antico, avrebbero rispecchiato un diverso modo di proporsi nei confronti della topografia e della realtà monumentale della città (Maddalo, 1990, pp. 107-134). La rotazione di 180° dell'asse di orientamento, che differenzia le piante prospettiche quattrocentesche, caratterizzate dal N in basso, da quelle di Paolino Veneto, sembra coniugare gli effetti di una rivoluzione scientifica, cui è improntata peraltro tutta la cartografia umanistica, con il dettato degli stessi Mirabilia urbis Romae, dei racconti di pellegrini e viaggiatori, dei cerimoniali papali e imperiali, che registravano l'arrivo a R. da N, dalla via Trionfale, e il primo impatto con la città dall'alto di Monte Mario, proiettando spesso un'immagine letteraria di straordinaria efficacia (Miglio, 1997, pp. 91-95).Le piante e le vedute di R. concepite secondo tali principi riflettono anche l'adesione a un modello autorevole, il sigillo aureo di Ludovico il Bavaro del 1328 (Monaco, Bayer. Hauptstaatsarch.), in cui R., contenuta in una doppia cornice anulare inscritta con il celebre verso leonino ROMA CAPVT MVNDI REGIT ORBIS FRENA ROTVNDI, è ripresa da N, con Castel Sant'Angelo e la città papale in primo piano, e presenta alcuni dei suoi monumenti chiave (il Colosseo, il Pantheon, il palazzo Senatorio, una colonna coclide, la meta Romuli e la meta Remi, le basiliche, un arco trionfale) raffigurati con estrema precisione e secondo una corretta organizzazione topografica (Maddalo, 1990, pp. 109-110, 129-134; Nuti, 1996, pp. 43-49). Il sigillo, oltre a condizionare la successiva iconografia di R., rappresenta il capostipite di una tradizione figurativa che si esplicò in una serie, breve ma di estremo interesse, di splendidi episodi (tutti riconducibili alla prima metà del sec. 15°) e si esaurì nel giro di qualche decennio (Nuti, 1996, pp. 45-46; Maddalo, 1997, pp. 130-131). Il primo, la veduta dipinta da Taddeo di Bartolo (1413-1414) nel Palazzo Pubblico di Siena, nel soprarco di passaggio dall'anticappella, affrescata con le Virtù e gli Uomini illustri, alla cappella con scene della Vita della Vergine, si ricollega forse direttamente al sigillo imperiale (certo noto nella ghibellina Siena), più probabilmente, data la notevole distanza cronologica, attraverso la mediazione di immagini miniate. Si può pensare che uno dei rappresentanti più rilevanti di tale tradizione, la pianta prospettica a corredo del Dittamondo di Fazio degli Uberti (Maddalo, 1990, pp. 115-122, tavv. XII-XIII), una sorta di compendio enciclopedico composto intorno al 1350-1360, fosse esemplata direttamente sull'archetipo trecentesco o su un esemplare intermedio di poco più tardo, che risultavano più prossimi cronologicamente al modello aureo.Se le piante prospettiche (raffiguranti cioè gli edifici in una prospettiva verticale), se pure attraverso la riproposta di schemi iconografici ai quali la tradizione forniva l'auctoritas, sembrano sviluppare un notevole interesse per la realtà topografica e monumentale di R., un'altra tipologia iconografica, quella delle c.d. vedute compendiarie (Maddalo, 1990, p. 98), fece la sua apparizione nel sec. 12°, spesso a opera di artefici che raffigurarono la città, non visitata ma solo immaginata e attingendo a un repertorio di conoscenze letterarie e figurative, con il ruolo di quinta al racconto di eventi storici o alla esibizione di personaggi. La città in queste vedute è evocata attraverso un tratto di mura o l'intero circuito murario addensato di torri, campanili e facciate (come in una copia dei Factorum et dictorum memorabilium libri di Valerio Massimo, del sec. 14°; Parigi, BN, lat. 5941, c. 1r; Maddalo, 1990, fig. 44), oppure con l'ausilio di un edificio significativo (il Pantheon, la meta Romuli, la Mole Adriana), capace di suggerirne immediatamente l'identità, come nel caso di un'altra copia dell'opera di Valerio Massimo, del sec. 13° (Parigi, BN, lat. 5840, c. 1r; Maddalo, 1990, fig. 49).In questa tipologia si può far rientrare una serie di esempi offerti dalla pittura monumentale tra gli ultimi decenni del sec. 13° e la prima metà del 14°, che si connotano tuttavia, in linea con le contemporanee ricerche spaziali e prospettiche e i nuovi interessi per le scienze naturali, per un interesse diverso nei confronti della città, innervato da una presa di contatto diretto con la sua realtà monumentale, se pure mosso comunque da spinte ideologiche. Tale criterio di verosimiglianza è sotteso, forse per la prima volta con rilevante organicità, all'immagine dell'Italia/R., dipinta da Cimabue agli inizi degli anni ottanta del Duecento nella vela dell'evangelista Marco nella basilica superiore di Assisi. In essa gli edifici assemblati all'interno del circuito murario (Castel Sant'Angelo, la basilica vaticana, la meta Romuli, il Pantheon, il palazzo Senatorio, la torre delle Milizie) sono scelti in ragione della loro rilevanza monumentale e della connessione con la R. orsiniana e descritti con un'eccezionale messa a fuoco sui particolari (Andaloro, 1984), da parte di un artista che aveva avuto un'iterata frequentazione con la città. Un'analoga trama ideologica, se pure espressa con minore perspicuità visiva e con diversa sensibilità per le relazioni topografiche tra le varie emergenze, traspare dallo sfondo paesaggistico (in cui da sinistra a destra si susseguono la basilica vaticana, Castel Sant'Angelo, la meta Romuli, il palazzo Senatorio sul colle capitolino) della Crocifissione di s. Pietro, dipinta nello stesso torno di anni nella cappella del Sancta Sanctorum da un artista romano, come è stato di recente dimostrato (Romano, 1995b, p. 60).Al modello compositivo dell'Ytalia cimabuesca si ispirò forse (ma distaccandosene per minore realismo) l'anonimo maestro che, sullo scorcio del Duecento, dipinse nella cappella Minutolo del duomo di Napoli una veduta di R. come sfondo alla scena del Quo vadis? (Bologna, 1969, p. 82): è l'immagine di un fitto addensarsi di edifici serrati nelle mura merlate e interrotte da una sequenza ravvicinata di torri, tra i quali - nonostante la scritta, Roma iteru(m) crucifigi, tracciata sull'apertura della monumentale porta per cui si accede all'interno della città, enfatizzi il rinnovarsi nella R. cristiana del sacrificio di Cristo, attraverso il sacrificio degli apostoli e dei martiri - sono riconoscibili soltanto alcune emergenze della città antica, il Pantheon (provvisto di impluvium, quindi proposto come monumento pagano), una colonna coclide (Maddalo, 1997, p. 126, fig. 6) e, sullo sfondo, forse, la meta Romuli.Ben più aderenti al vero, e caratterizzate dal rilievo che vi assume una precisa realtà monumentale, sono due opere a fresco connesse alla fortuna iconografica dell'arcangelo Michele. Nella prima, affrescata da collaboratori di Ambrogio Lorenzetti sulla base di disegni del maestro, nella cappella di S. Galgano a Montesiepi (Borsook, 1969, pp. 17-19), l'Apparizione di s. Michele a Galgano era ambientata, come sembrano suggerire le splendide sinopie, in un'ampia veduta di R., di cui purtroppo il grave stato di degrado consente di individuare con certezza soltanto una parte, quella più significativa, con il tratto della cerchia muraria leonina che racchiude la basilica vaticana e la meta Romuli, e in primo piano Castel Sant'Angelo. Protagonista monumentale dell'evento narrato, la Mole Adriana è raffigurata con una sorprendente aderenza realistica, sin nella resa del paramento murario a bugnato piatto dei tre ordini decrescenti verso l'alto. Ancora Castel Sant'Angelo domina la seconda immagine, raffigurante l'Apparizione dell'arcangelo Michele a papa Gregorio, affrescata nell'abside di S. Michele a Paganico presso Grosseto (Freuler, 1986; Gatta, 1997; Maddalo, 1997, pp. 127-128), e appare tanto significativo come referente iconografico e così caratterizzato come presenza 'reale' da rendere superfluo, con la sua stessa presenza (e con quella della meta Romuli, richiamo alla R. pagana oltre che dato topografico), il ricorso a una contestualizzazione narrativa, sempre presente nella tradizione figurativa di tale soggetto, e anche a una più ampia 'messa a fuoco' sulla città. Bibl.: Fonti. - Tabula Peutingeriana, Cod. Vindobonensis 324, a cura di E. Weber, 2 voll., Graz 1976; Eginardo, Vita Karoli Magni, a cura di G.H. Pertz, G. Waitz, in MGH.SS rer. Germ., XXV, 1880⁴, pp. 24-25, 30; Anonimo Romano, Cronica, a cura di G. Porta, Milano 1979, p. 149. Letteratura critica. - V. Capobianchi, Immagini simboliche e stemmi di Roma, Archivio della R. Società romana di storia patria 19, 1896, pp. 347-389; C. Hülsen, La pianta di Roma dell'Anonimo Einsidlense, MemPARA 9, 1907, pp. 1-47; K. Miller, Itineraria Romana, Stuttgart 1916 (rist. anast. 1964); E. Monaci, Storie de Troja et de Roma, altrimenti detto Liber Ystoriarum Romanorum (Miscellanea della Socità Romana di Storia Patria), Roma 1920; H. Cohen, Description historique des monnaies frappées sous l'Empire Romaine, Leipzig 1930; J.M.C. Toynbee, Rome and Constantinople in Late Antique Art from 365 to Justin II, in Studies Presented to D.M. Robinson, St. Louis 1953, II, pp. 261-277; K. Miller, Die Peutingeriana Tafeln, Stuttgart 1962; H. Mattingly, Coins of the Roman Empire in the British Museum, I-II, London 1965-1966; F. Bologna, I pittori alla corte angioina di Napoli 1266-1414, Roma 1969; E. Borsook, Gli affreschi di Montesiepi, Firenze 1969; I. Belli Barsali, Contributo alla topografia medioevale di Roma, Studi romani 21, 1973, pp. 451- 468; T. Brands, O. Pächt, Historiae Romanorum. 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