ROMA - Miniatura
Tra i secc. 5° e 6° R. rappresenta un fondamentale centro di produzione e concentrazione libraria, sia per gli ateliers in essa ancora attivi sia per il ricco patrimonio di rotuli e codici ereditati dalla Tarda Antichità. Ne sono testimonianze preziose i resti del Virgilio vaticano (Roma, BAV, Vat. lat. 3225) e del Virgilio romano (Roma, BAV, Vat. lat. 3867), databili il primo agli inizi e il secondo alla fine del sec. 5°, manoscritti il cui apparato illustrativo deriva per intero da modelli tardoantichi. Nel caso del Virgilio vaticano, inoltre, sono state più volte sottolineate somiglianze di stile con i mosaici della navata della basilica di S. Maria Maggiore, frutto della committenza di papa Sisto III (432-440). Allo stesso milieu figurativo del Virgilio vaticano appartiene il frammento (sei fogli dal Libro dei Re) detto Quedlinburg Itala (Berlino, Staatsbibl., Theol. lat. fol. 485), le cui miniature sono le più antiche illustrazioni della Bibbia conservatesi.Alla fine del sec. 6° risale l'Evangeliario di s. Agostino (Cambridge, C.C.C., 286) - che la tradizione vuole donato da papa Gregorio Magno (590-604) a s. Agostino di Canterbury in procinto di evangelizzare le popolazioni della Britannia -, opera di un artista a evidenza formatosi su modelli romani ma sicuramente a conoscenza anche di codici orientali. L'immagine dell'evangelista Luca (c. 129v) è saldamente impostata, ma priva di risalto plastico, entro una nicchia con quattro colonne, negli spazi tra le quali sono raffigurate scene della Vita di Cristo; queste sono caratterizzate da intenti sinteticamente narrativi, frutto della trasposizione in forma di illustrazione libraria dei cicli monumentali presenti nelle basiliche dell'Urbe. Un'altra immagine (c. 125r) presenta una miniatura tabellare suddivisa in dodici riquadri con le scene iniziali della Passione, dall'Ingresso a Gerusalemme fino all'Andata al Calvario. L'Evangeliario di s. Agostino mostra forse le tracce delle tendenze stilistiche elaborate nell'ultimo - per l'Alto Medioevo - scriptorium papale, di cui si è ipotizzata l'individuazione nel contesto della biblioteca del Laterano.Alla metà del sec. 9° ca., e più precisamente all'età di papa Leone IV (847-855), si colloca la Regula pastoralis di s. Gregorio Magno (Roma, BAV, S. Maria Maggiore 43), eseguita a R., che mostra una sostanziale impermeabilità alle tendenze della produzione libraria carolingia, con il frontespizio e le altre pagine miniate - tra cui una che mostra l'immagine del santo (c. 1v) - racchiuse entro cornicette decorative ancora echeggianti temi della miniatura insulare. In effetti, l'arrivo di preziosissimi codici provenienti dall'ambito miniatorio carolingio, culminato con la donazione della Bibbia di S. Paolo (Roma, S. Paolo f.l.m., Bibl. dell'abbazia) da parte di Carlo il Calvo nell'878, non aprì la strada all'uso nell'Urbe della littera carolina: fino alla seconda metà del sec. 9° i manoscritti continuarono ancora a essere vergati in onciale. Come nel caso del codice di Gioveniano (v.), destinato forse alla basilica di S. Lorenzo in Damaso ed eseguito nei primi decenni del secolo (Roma, Vallicell., B. 252), la cui decorazione presenta evidenti parallelismi con la coeva pittura monumentale e qualche apertura a influssi nordeuropei negli ornati fitozoomorfi di alcune iniziali.Una Collectio canonum (Roma, Vallicell., A.5) databile intorno all'ultimo quarto del sec. 9°, la cui decorazione non fu purtroppo portata a termine, dà invece testimonianza del verificarsi a R. di tentativi indirizzati a riprodurre tipologie ornamentali di marca carolingia, come dichiarato dalle pagine purpuree e dalle figure degli evangelisti intenti a scrivere, richiamanti esempi di area franco-tedesca (Mütherich, 1976).La produzione miniatoria romana dei secc. 10°-11°, di cui peraltro restano non amplissime testimonianze, appare sempre strettamente collegata alle opere monumentali. Qualche tangenza con la produzione di Montecassino si individua in un evangeliario per S. Maria in Trastevere (Londra, BL, Add. Ms 6156), comunque inserita in un contesto più ampio di rapporti con il mondo ottoniano.Dalla seconda metà del sec. 11° si afferma a R. - e poco più tardi anche in Umbria - una tipologia libraria che costituisce un settore ben definito e autonomo nel panorama miniatorio centroitaliano; si tratta delle c.d. bibbie atlantiche, che costituiscono forse il contributo più originale dell'Urbe alla storia dell'illustrazione dei manoscritti. I più antichi esemplari risalgono all'ultimo quarto del sec. 11° (Ginevra, Bibl. publique et univ., lat. 1; Admont, Stiftsbibl., C e D; Bibbia Palatina, Roma, BAV, Pal. lat. 3, 4, 5; Bibbia di S. Cecilia, Roma, BAV, Barb. lat. 587; Genova, Civ. Bibl. Berio, R.B. 2554.2) e presentano già i caratteri distintivi della tipologia: grandi iniziali a decorazione geometrizzante, tavole dei canoni dalla salda impostazione architettonica e corpose immagini dei personaggi della storia sacra inquadrate dalle iniziali.La Bibbia di S. Cecilia, donata al monastero di St Magnus a Füssen verso il 1095, è da considersi una sorta di prototipo di questa particolare tipologia e l'inizio di una sistematica illustrazione del testo biblico. Essa fu eseguita con tutta probabilità prima del 1097, data che appare sul margine inferiore di c. 307r (Berg, 1965; per un datazione al primo quarto del sec. 12°: Garrison, 1953-1962, I, p. 58ss.), nello scriptorium attivo presso il monastero di S. Cecilia in Trastevere, il cui prodotto più antico conservatosi è il Commentario alle Lettere di Paolo compilato da Remigio di Auxerre (Oxford, Bodleian Lib., Add. D. 104), datato 1067 (Garrison, 1957-1962, II, p. 17ss.). L'apparato illustrativo della Bibbia, attualmente composto da ventisei miniature, si deve a diversi maestri, forse cinque; vi compaiono dodici figure intere e sei scene che presentano evidenti tangenze con la coeva pittura monumentale, nel caso specifico con gli affreschi dell'abside di S. Pietro a Tuscania (Aggiornamento scientifico, 1988, p. 256ss.).Alla prima metà del sec. 12° appartengono altri manoscritti che presentano un più complesso apparato illustrativo tra cui vanno ricordate alcune bibbie (Roma, Bibl. Angelica, 1273; Perugia, Bibl. Augusta, L. 59), insieme alla Bibbia del Pantheon (Roma, BAV, Vat. lat. 12958). Quest'ultimo codice, vero monumento della miniatura romana, fu eseguito in uno scriptorium cittadino probabilmente tra il 1125 e il 1140, con il concorso di quattro diversi miniatori, la mano del secondo dei quali si ritrova anche in un omiliario-passionario probabilmente riferibile allo stesso scriptorium (Roma, BAV, Vat. lat. 6074). La Bibbia del Pantheon, la più riccamente decorata tra quelle conservatesi, presenta quarantotto illustrazioni, due delle quali a piena pagina - sette scene della Creazione e del Peccato originale (c. 4v) e Storie dell'Arca (c. 60v) -, impostate in termini saldamente monumentali e sicuramente da porre in relazione con i cicli veterotestamentari delle basiliche romane, in particolare con quello di S. Paolo fuori le mura.Alla fine del sec. 12° o ai primissimi anni del successivo si data la decorazione del codice c.d. del cardinale Laborante, una Compilatio Decretorum redatta dal cardinale stesso nel 1182 (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, C. 110), che si ispira direttamente a modelli francesi fornendone una 'traduzione' stilistica eminentemente romana (Iacobini, 1991, p. 299).I registri di Innocenzo III (1198-1216; Roma, Arch. Segreto Vaticano, Reg. Vat. 4, 5, 7), in particolare il Reg. Vat. 4, presentano una ricca decorazione a penna e inchiostro azzurro con tratti in carminio, che svolge libere e fantasiose variazioni sul tema della drôlerie, di un gusto marcatamente linearistico che rimanda ancora alla miniatura gotica francese degli ultimi decenni del 12° secolo. Allo stesso pontificato risale un ricco sacramentario (Madrid, Bibl. Nac., 730), forse usato nella cappella papale del Sancta Sanctorum, che, nelle due miniature a piena pagina raffiguranti la Maiestas Domini e la Crocifissione, presenta motivi decorativi legati alla produzione miniatoria e orafa della regione franco-mosana.La miniatura romana nel corso del Duecento appare fortemente orientata verso le più aggiornate tendenze della cultura gotica europea, ma è comunque difficile, per la eterogeneità del materiale noto, individuare una ben definita linea di tendenza stilistica. Alcuni manoscritti spiccano per finezza di esecuzione e ricchezza del corredo illustrativo: vanno almeno ricordati tra gli altri il Sacramentario di Anagni (Roma, BAV, Chigi C. VI. 174), firmato da un certo magister Nicolaus cui si associano altri due codici, un Boezio (Parigi, BN, lat. 16595) e le Decretali (Napoli, Bibl. Naz., ex Vind., lat. 41), tutti databili entro il terzo quarto del secolo (Avril, Gousset, Rabel, 1984; Pace, 1985). Da segnalare anche un ulteriore manoscritto (Parigi, BN, lat. 2688) opera di diversi miniatori, almeno due, databile alla seconda metà del secolo e contenente l'Evangelium de infantia Salvatoris dello pseudo-Matteo e la Historia de sudario Domini dello pseudo-Abgar, oltre ad altri testi, che presenta singolari tangenze con la pittura pisana. Qualche somiglianza con questo codice presenta pure il Martirologio di s. Usuardo (Montecassino, Bibl., 871), già appartenuto all'abbazia cistercense dei Ss. Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane, che conferma l'apertura della miniatura romana di tardo Duecento nei confronti della produzione gotica francese (Speciale, 1998).Prodotto eccezionale della cultura libraria romana all'apertura del sec. 14° sembra essere il famoso manoscritto con le Deche I-III-IV di Tito Livio, il Bellum Troianum di Ditti Cretese, la Bellorum Romanorum epitoma di Floro (Parigi, BN, lat. 5690), fatto copiare a Chartres da Landolfo Colonna, canonico di Notre-Dame, e poi acquistato da Francesco Petrarca ad Avignone nel 1351. L'individuazione della località di origine di questo manoscritto, la cui decorazione si deve a quattro diversi artisti, oscilla, per l'appunto, tra R. (Billanovich, 1959; Avril, Gousset, Rabel, 1984), dove risiedette dal 1303 al 1306 il committente dell'opera, l'Italia meridionale, dove sarebbe stata miniata una parte del codice, e Avignone, dove la decorazione sarebbe stata portata a termine (Bologna, 1969).A R., negli anni intorno al 1302-1303, vennero eseguiti alcuni manoscritti commissionati dal cardinale Jacopo Stefaneschi che fu testimone e storico ufficiale del primo giubileo, con la redazione di un testo, il De centesimo (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, G. 3), in cui di quell'evento si descrivono con ricchezza di dettagli e vivacità narrativa sia l'atmosfera spirituale sia i momenti più significativi. Il testo è accompagnato da miniature di altissimo livello qualitativo che riflettono le più aggiornate tendenze della pittura romana degli anni intorno al 1300. Assieme ad altri tre manoscritti, il De centesimo forma un gruppo stilisticamente abbastanza omogeneo, almeno per ciò che riguarda l'apparato decorativo; gli altri sono un Exultet (Roma, BAV, Arch. S. Pietro, B 78) e due esemplari dell'Opus metricum, composto dal cardinale stesso (Roma, BAV, Vat. lat. 4932 e 4933). Partendo dall'Exultet è stata proposta, da più parti, un'origine romana di questi codici al valico tra Duecento e Trecento, in cui è stato segnalato nel contempo l'influsso della coeva produzione bolognese. La questione è, di fatto, complessa, dal momento che il gruppo di manoscritti facenti capo alla committenza Stefaneschi è praticamente privo di riferimenti stilistici diretti con quanto sinora noto della produzione miniatoria romana del tardo Duecento. Appare peraltro evidente quanto abbia influito sulla decorazione di questi codici la pittura monumentale di quegli anni e, in particolare, il versante cavalliniano, concordemente richiamato dalla critica. Ma la straordinaria qualità e la carica innovativa delle miniature impone una riflessione sulla possibilità di un intervento diretto di Pietro Cavallini (v.) stesso o, comunque, di una loro esecuzione nell'ambito della bottega del maestro sotto la sua diretta supervisione. Tale possibilità poggia sul riconoscimento di un'impostazione dei brani figurativi in termini compiutamente monumentali, come nel caso della celeberrima scena dell'Incoronazione di Bonifacio VIII (Roma, BAV, Vat. lat. 4933, c. 3v), in cui lo spazio architettonico - concepito come quello di una pittura di ben più ampie dimensioni - dialoga faticosamente con le usuali cornici vegetali che occupano i margini. Una struttura architettonica coerentemente scorciata crea lo spazio per far agire i personaggi che celebrano l'Incoronazione di Bonifacio; la figura umana è trattata come un solido geometrico e tutta la narrazione acquista verosimiglianza attraverso una schietta resa naturalistica, che trova espressione, così nelle tipizzazioni dei volti, come nello splendido brano della mitra appena tolta al pontefice, appoggiata per terra vicino al cardinale Matteo Rosso Orsini, 'bloccato' dal pittore nell'attimo in cui appoggia la tiara sul capo del pontefice. Anche le altre miniature del codice, come pure quelle del Vat. lat. 4932 e dell'Exultet mostrano l'identico gusto per la resa plastica dei volumi e per la individuazione naturalistica dei personaggi. Alla c. 1 del Vat. lat. 4932 un' iniziale istoriata mostra il cardinale Stefaneschi intento alla scrittura della sua opera e Pietro del Morrone (Celestino V); il piccolo spazio che accoglie i personaggi è semplicemente e coerentemente sviluppato in profondità. Grande saldezza di impostazione prospettica mostrano anche le miniature dell'Exultet B. 78, in cui sono raffigurati i momenti salienti della liturgia per la benedizione del cero pasquale. Non può essere sottovalutata, in queste immagini, la mirata ricerca di un superamento della bidimensionalità del supporto, analogamente a quanto in quello stesso giro di anni Pietro Cavallini aveva sviluppato nella pittura monumentale; l'ambone su cui si trova il celebrante aggetta decisamente verso lo spettatore e persino gli archetti sul fondo sono esattamente scorciati. Né del resto i chiaroscuri dei panneggi e degli incarnati sono lontani dalla tecnica di Cavallini - ricca di cifre stilistiche bizantine di marca paleologa -, come si può agevolmente notare nei personaggi delle due scene, la Risurrezione di Cristo e le Marie al sepolcro, che si trovano nel margine inferiore della c. 3r dello stesso Exultet. Si potrebbe pensare a un generico influsso sulla miniatura della lezione pittorica cavalliniana, ma ciò non basta a spiegare perché tale influsso si eserciti solo sui manoscritti del gruppo Stefaneschi e perché solo in questi codici si manifesti una così coerente ricerca di spazialità e monumentalità delle immagini. Una possibile risposta potrebbe appunto essere l'ipotizzare una diretta committenza del cardinale a Cavallini e un'esecuzione nell'ambito della bottega; l'artista era peraltro in diretto rapporto con la famiglia Stefaneschi, avendo già lavorato per il fratello del cardinale, Bertoldo, il quale gli aveva affidato la realizzazione del famoso ciclo a mosaico con le Storie della Vergine nella basilica di S. Maria in Trastevere (Tomei, 1996).Il trasferimento della sede papale ad Avignone provocò nel corso del Trecento una prolungata cessazione delle attività di produzione e decorazione di manoscritti, di cui la curia era stata nei secoli precedenti instancabile committente. Intorno alla metà del secolo giunse però a R. un manoscritto di grande qualità e ricchezza decorativa, il Liber Regulae dell'Arciconfraternita dell'Ospedale di Santo Spirito, fondata da Innocenzo III nel 1198 (Roma, Arch. di Stato, S. Spirito, I, 3193). Il manoscritto, riccamente illustrato con oltre cento miniature incentrate sulle varie attività di assistenza ai malati svolte dall'Arciconfraternita, sembra essere influenzato stilisticamente dagli affreschi eseguiti da Matteo Giovannetti (v.) nel palazzo dei papi di Avignone e costituisce un interessante trait d'union storico e culturale tra l'Urbe e la nuova sede pontificia. Bibl.: P. Toesca, Miniature romane dei secoli XI e XII, RINASA 1, 1929, pp. 1-96; W.F. Volbach, Le miniature nel codice del cardinale Laborante, La Bibliofilia 42, 1940, pp. 41-54; Mostra storica nazionale della miniatura, a cura di G. Muzzioli, cat., Firenze 1953 (19542); E.B. Garrison, Studies in the History of Mediaeval Italian Painting, 4 voll., Firenze 1953-1962 (London 19932); F. Wormald, The Miniatures in the Gospels of St. Augustine: Corpus Christi College MS 286, Cambridge 1954; G. Billanovich, Dal Livio di Raterio al Livio del Petrarca, Italia medioevale e umanistica 2, 1959, pp. 103-178; W. 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