ROMA - Storia, urbanistica, architettura (da Costantino a Gregorio VII)
ROMA Città capitale d'Italia e sede del papato, situata nel Lazio, sulle rive del Tevere, a km 23 ca. dal mar Tirreno.
Storia, urbanistica, architettura. - Già divisa in età augustea in quattordici regioni, la città di R. in età antica vide il suo periodo di massimo sviluppo urbanistico quando era capitale dell'Impero romano, intorno al sec. 2° dopo Cristo. Successivamente venne racchiusa, tra il 271 e il 275, dalle c.d. mura aureliane, che costituiscono la più tarda delle sue cinte murarie.
Da Costantino a Teodorico. - Con l'età tetrarchica e con le grandi riforme che innescarono nuove dinamiche produttive e situazioni economiche e politiche più stabili (Jones, 1973), la ripresa edilizia fu assicurata e Diocleziano (284-305) e Massimiano (286-305) diedero a R. la più grande delle sue terme e ricostruirono buona parte degli edifici del Foro danneggiati dall'incendio del 283, tra i quali la curia e la basilica Giulia (Lugli, 1931-1940, I). Ma solo con Massenzio (306-312) il lavoro fu compiuto e il Foro assunse, con la grande basilica nova, con il tempio di Venere e Roma, con la rinnovata basilica Emilia e con i ristrutturati Horrea, il suo aspetto definitivo.
Massenzio restaurò e aggiornò anche le mura serviane (Cozza, 1993), ma questo, forse, solo a causa della guerra civile, che poi lo vide opposto a Costantino il Grande (306-337) e perdente. Un'altra sua grande impresa edilizia fu quella relativa alla sua residenza, con il grande circo, sulla via Appia di fronte alla quale, forse, egli stesso (Jastrebowska, 1983) iniziò a edificare la basilica circiforme ad catacumbas, poi S. Sebastiano, con murature del tutto analoghe a quelle della villa (Krautheimer, 1937-1980, IV), per proteggere e celebrare la memoria apostolorum che già vi si era installata da ca. mezzo secolo.Il periodo di Massenzio coincise comunque soprattutto con una caratteristica impostazione stilistica dell'architettura; già durante la tetrarchia si erano aperti nuovi spiragli innovativi nell'architettura. Le forme curvilinee venivano più facilmente utilizzate, le aule absidate venivano fortemente privilegiate, le 'serliane' avevano ripreso piede e la decorazione parietale si giovava sempre più dell'opus sectile marmoreo. Massenzio aderì a questa 'corrente di gusto', ma con qualche tratto di originalità che precorse, in qualche modo, il successivo rinnovamento costantiniano.Sono i mausolei (Johnson, 1990) a offrire la misura del vero grande rinnovamento dell'architettura che corrispose inequivocabilmente al regno di Costantino il Grande e dei suoi figli. Queste grandi tombe cilindriche o ottagonali, realizzate a Spalato da Diocleziano, hanno forme chiuse o poco illuminate, con camera sepolcrale inferiore e con decorazione architettonica all'interno, tanto aggettante da coprire quasi interamente la struttura muraria portante: esse sono ben diverse da quelle successive - come i due mausolei presso S. Pietro in Vaticano -, dalla tomba di Elena detta Tor Pignattara e dal mausoleo di Costanza (od. S. Costanza), tutte prive di camera sepolcrale inferiore, con superfici decorate solo da rivestimenti piani policromi in sectile o a mosaico, senza pesanti architravi in aggetto e con finestrati assai ampi, che conferivano all'interno quella grande luminosità di cui i mausolei tetrarchici, come quello di Diocleziano a Spalato, erano del tutto privi o, almeno, piuttosto carenti (Guidobaldi, 1995).Questi confronti tra alcuni monumenti tetrarchici e altri, di analoga funzione, dell'età costantiniana avanzata esemplificano bene il grande rinnovamento che si manifestò a R. e in tutto il mondo romano al passaggio tra le due culture.
Le nuove costruzioni costantiniane di R. - le basiliche circiformi e quelle a cinque navate (Brandenburg, 1992b), le terme sul Quirinale, il calidarium aggiunto alle terme di Caracalla e quella parte del palazzo sessoriano un tempo indicata come tempio di Minerva Medica o come ninfeo degli horti Liciniani (Giovannoni, 1904) -, alle quali peraltro si dovrebbero aggiungere quelle altrettanto innovative realizzate ad Antiochia, Gerusalemme, Costantinopoli, Treviri, appaiono enormemente diverse da quelle che l'architettura romana aveva proposto fino a tutto il sec. 3°: sono snelle e in genere - almeno apparentemente - leggere, sono articolate in modo nuovo e disinvolto, hanno finestrati amplissimi che, con le culminazioni ad arco, ormai decisamente preferite, creano sequenze ritmiche lungo la massa dell'edificio e lo alleggeriscono ulteriormente (Guidobaldi, 1995).
Si potrebbe forse vedere nel citato padiglione superstite, il c.d. tempio di Minerva Medica, l'espressione tra le più alte raggiunta dall'architettura in tutta l'Antichità romana, almeno dal punto di vista della creatività; ciò a un livello più elevato, ma in perfetta coerenza con quello che intanto si veniva producendo nelle più ricche residenze private che, proprio nell'età costantiniana e proprio a R. e in Italia, mostrarono le più belle realizzazioni, con strutture articolate a predominanza curvilinea, come per es. la domus sopra le Sette Sale e quella di largo Argentina (Guidobaldi, 1986) oppure le ville di Desenzano del Garda (prov. Brescia) e di Piazza Armerina (prov. Enna); soltanto la villa Adriana di Tivoli può offrire, per la piena età imperiale, un esempio di un'altrettanto intensa e innovativa sperimentazione architettonica.Tuttavia l'architettura di Costantino il Grande si espresse anche in forme auliche e in parte anche tradizionali: ciò si verificò in effetti negli edifici di destinazione pubblica e ufficiale, come si può vedere proprio nel Sessorium, nella grande sala di udienze con abside che passò impropriamente sotto il nome di tempio di Venere e Cupido (Colli, 1996) o nelle due grandiose, ma composte, basiliche cristiane di S. Pietro in Vaticano e di S. Giovanni in Laterano (Brandenburg, 1992b) o, infine, nel tradizionalissimo arco di Costantino. Ma le due grandi basiliche cristiane (Krautheimer, 1937-1980, V) sono solo apparentemente 'canoniche'. Esse infatti, in un'icnografia obbligata, poiché vincolata dalla funzione di enorme luogo di riunione coperto, introdussero elementi di grande novità come, pur se nelle sole navate laterali, le arcate su colonne - qui forse per la prima volta usate in ambienti interni di grandi dimensioni -, la grande luminosità (Krautheimer, 1967), le pareti lisce con rare partizioni orizzontali e le decorazioni musive, forse a fondo oro, che dovevano in parte essere già state poste nell'abside e nel transetto sin dalla fase costantiniana, come si ricava dalle iscrizioni (Guidobaldi, 1995).A R., dopo l'ultima presenza di Costantino il Grande (326) o comunque dopo la sua morte, la produzione architettonica si ridimensionò, anche perché, venendo a mancare il supporto finanziario imperiale, le sperimentazioni poterono continuare solo a livelli più modesti, ossia nella sfera privata, in cui l'aristocrazia latifondistica poteva proseguire in 'taglio domestico' l'esperienza architettonica costantiniana.Il ritorno di un qualche più tangibile interesse imperiale giunse quando Teodosio I (379-395) si riavvicinò alla capitale storica e probabilmente anche al Senato, alla ratifica - e forse anche alla protezione - del quale raccomandò i suoi due figli Arcadio (395-408) e Onorio (395-423). Fu allora che, insieme a Valentiniano II (375-392) e ad Arcadio, nel 384 o 386 Teodosio I commissionò al prefetto Sallustio la costruzione della basilica di S. Paolo f.l.m. sulla via Ostiense (Krautheimer, 1937-1980, V), in gran parte distrutta da un violento incendio nel 1823. La fredda ricostruzione ottocentesca si impostò sulla zona absidale ancora in parte originale, fornendo comunque un'idea, pur se parziale, del ritmo dei colonnati, caratterizzati da una notevolissima altezza e dal coronamento ad arcate più strette di quelle che avrebbe suggerito la tradizionale proporzione classica. L'invenzione, o meglio, la riscoperta dell'arcata su colonne, che nell'età costantiniana aveva fornito nuova snellezza agli interni nelle navate laterali delle basiliche lateranense e vaticana, nel mausoleo di Costanza e forse nel Santo Sepolcro di Gerusalemme, si ritrova nella basilica di S. Paolo f.l.m. con una soluzione ben diversa e ormai 'orientale' non più riscontrabile a R., ove, più tardi, la proporzione 'classica' riprese il sopravvento. Nella basilica ostiense il contrasto tra la larghezza della navata centrale, del tutto analoga a quelle delle altre basiliche maggiori di R., e la limitatissima ampiezza degli intercolumni, ben inferiori invece a quelli delle suddette basiliche, accentua il ritmo delle partizioni secondo uno stile che è proprio solo del grande martyrium paolino. Questo monumento restò in effetti unico e mai imitato: ciò che seguì fu infatti una produzione di basiliche medio-grandi con colonnati ad arcate di largo respiro, come in S. Sisto Vecchio (400 ca.), Ss. Giovanni e Paolo, S. Vitale (410 ca.), S. Sabina (425-430) e S. Pietro in Vincoli (con due fasi, una contemporanea o precedente e una successiva alla stessa S. Sabina; Krautheimer, 1937-1980, I-IV).
Il riapparire dell'architrave sovrastante i colonnati in S. Maria Maggiore fornisce la misura di questa recessione, che Krautheimer (1961) ha indicato, forse in tono più positivo di quanto non meritasse, come rinascenza sistina, poiché legata appunto alla figura centrale del papa Sisto III (432-440). Questa basilica, in effetti, fu condizionata assai più di quanto non si dica dalla rinnovata presenza imperiale, che si concretizzò anche con una stabile residenza, soprattutto da parte di elementi femminili della famiglia imperiale di altissima levatura culturale, come Galla Placidia ed Eudossia, moglie di Arcadio.
Se è vero in effetti che questo momento di ripresa costruttiva nella R. della prima metà del sec. 5° è indiscutibile, è pur vero che in esso si innestò un altro fenomeno, quello del reimpiego di materiali architettonici classici, che condizionò la componente innovativa e comunque vincolò l'architettura alla disponibilità dei materiali, riportando in parte in uso, forse proprio per la disponibilità di architravi di recupero, i colonnati trabeati anziché ad arcate (Deichmann, 1940; 1975).Certo alcune novità architettoniche si ottennero anche all'interno di questa equazione; in particolare le polifore d'ingresso che decorarono le chiese di R. per un breve periodo tra la fine del sec. 4° e il terzo-quarto decennio del 5° (Matthiae, 1957), costituiscono un elemento di articolazione architettonica che dava respiro al corpo ormai standardizzato della classica basilica latina, così come accadeva in qualche caso con il transetto spesso movimentato da qualche ulteriore partizione colonnata. Tuttavia, mentre la decorazione in mosaico, forse già a fondo d'oro o comunque a vivace policromia, e l'altrettanto policromo opus sectile marmoreo parietale rigeneravano, con effetto del tutto nuovo, le superfici degli interni, lo scheletro architettonico poteva trovare variazioni limitate solo nell'ampiezza e nel ritmo dei finestrati oppure nella disposizione dei colonnati, ma i vincoli erano ormai forti e solo un miracolo di residua creatività poté far nascere, nella seconda metà del sec. 5°, in una R. ormai quasi addormentata dal punto di vista della vivacità architettonica, la chiesa di S. Stefano Rotondo al Celio (Krautheimer, 1937-1980, IV; Brandenburg, 1992a), a pianta centrale, che un'interessante ipotesi (Davis-Weyer, 1989) collega alla committenza dell'imperatore Antemio (467-472). La basilica comunque restò a quanto sembra incompiuta e fu completata, nella decorazione e nei rivestimenti, solo nel secolo successivo. Così la caduta dell'Impero romano d'Occidente ebbe, in questo caso almeno, un effetto tangibile, poiché proprio a cavallo di essa era nata, ma non si era compiuta, questa chiesa, ancora di concezione o almeno di creatività simili a quelle che si erano manifestate nell'età costantiniana. Si tratta in effetti di una sorta di epilogo che poco prima forse - quando si costruì, sotto papa Ilaro (461-468), l'oratorio lateranense della Santa Croce (Romano, 1996), modestissimo nelle dimensioni, ma splendido nella forma e nella ricchezza delle decorazioni - non si percepiva ancora.In fondo, riesaminando lo sviluppo dell'architettura a R. tra Damaso I (366-384) e Simplicio (468-483), lo si può riassumere in forma di sequenza approssimabile a una stabile continuità - a parte qualche riproposta di architravi - piuttosto che come vivace alternanza di situazioni (Krautheimer, 1980) in contrasto, e ciò, in fondo, in coerenza con la situazione storico-politica, che (Pietri, 1976; Pani Ermini, 1992a), nonostante l'alternarsi di periodi di pace a invasioni e addirittura a tre grandi saccheggi, restò più o meno stabile nei livelli e nella cultura.
Anche dal punto di vista urbanistico si assistette, in fondo, a una continuità piuttosto che a un alternarsi di traumatici sconvolgimenti. Le chiese, ossia in particolare i tituli - veri e propri nuclei di proprietà e di reddito collegati a un edificio di culto e a una struttura assistenziale - si inserirono nel tessuto urbano sostituendo in genere grandi domus (Guidobaldi, 1989) e mantenendone l'impianto e le strutture o, quanto meno, la dimensione all'interno della maglia urbana. Tra le numerose chiese titolari che furono installate nel periodo in questione, solo S. Pudenziana - almeno tra quelle di cui sono noti gli edifici precedenti - sembrerebbe occupare una struttura di tipo termale, mentre negli altri casi la natura domestica o comunque abitativa degli edifici preesistenti è certa o almeno probabile. Ma anche per S. Pudenziana studi ulteriori potrebbero far escludere la struttura termale - impensabile su volte di sostruzione che non potrebbero ospitare le vasche di una certa profondità - e far propendere anche in quel caso per una complessa struttura privata trasformata in edificio cristiano. Soltanto S. Stefano Rotondo offre l'esempio di un insediamento su di un ex edificio pubblico - i castra peregrinorum, che forse, però, erano in disuso da alcuni decenni -, ma si tratta in questo caso di un edificio del tutto eccezionale e comunque non certo di un titulus.Le strade e i grandi nuclei abitativi con qualche monumento di riferimento restarono, di fatto, quelli antichi, con qualche eccezione, come quella messa in evidenza da Manacorda (1993a) per la porticus Minucia, che forse andò fuori uso precocemente (Coarelli, 1987) e quindi, quando cominciò a decadere nel sec. 5° o nel 6°, non fu più rialzata e restaurata e rese necessario anche lo spostamento di una strada.Anche i saccheggi del 410, 455 e 472 non comportarono in genere - specialmente gli ultimi due - vere e proprie amputazioni, ma un trauma definitivo restò almeno in un caso: l'incendio della basilica Emilia nel 410, ben documentato dalle migliaia di monete dei cambiavalute rimaste sul pavimento. Si ricostruirono, con la committenza imperiale di Onorio, soltanto un portico di colonne di granito rosa e le tabernae retrostanti, ma l'originaria facciata fu chiusa e rinforzata e divenne così il muro di contenimento di un enorme terrapieno che nascondeva il cumulo di rovine della basilica e forse quello di una parte dell'adiacente Forum Pacis, che risulta abbandonato, come attesta nel secolo successivo Procopio (De bello Gothico, IV, 21).
Ebbe inizio così quel fenomeno che si può chiamare a 'macchie' di distruzione urbana, che continuò poi con le stesse modalità ogniqualvolta non si ebbero i mezzi per riparare un grande monumento distrutto. Attorno a queste 'macchie' di abbandono la città continuò a vivere e a costruire, mascherando così per molto la sua reale disgregazione e creando, ove possibile (e comunque solo in un primo tempo) 'quinte', spesso con qualche pretesa architettonica, che mascherassero il vuoto urbano creatosi. Un nuovo polo di attrazione urbanistica si dovette creare intorno al Laterano (Liverani, 1993) oltre che, nel suburbano, in collegamento con i nuovi santuari dei martiri (Pani Ermini, 1989; Pergola, 1997).Con l'estinzione della dinastia legittima, ossia con l'uccisione nel 455 di Valentiniano III (425-455), la situazione cambiò radicalmente dal punto di vista politico, ma, nel campo dell'architettura e dell'urbanistica, i cambiamenti furono più nel volume di produzione e riprogettazione che nell'indirizzo di espansione, che restò di fatto lo stesso. Bastano, d'altronde, esempi già citati, come l'oratorio della Santa Croce eretto (461-464) da papa Ilaro e S. Stefano Rotondo, per far escludere un 'impoverimento globale' della città nel sec. 5° (Krautheimer, 1980). Solo con Teodorico (493-526) e, quindi, subito dopo, la situazione mutò decisamente e si cominciò a percepire a R. un forte ridimensionamento della qualità e della quantità della produzione architettonica.
Da Teodorico alla fine delle guerre gotiche (555). - Dal punto di vista urbanistico, in poco più di mezzo secolo, R. fu oggetto prima, durante il regno di Teodorico, di una certa manutenzione (Johnson, 1988), che la conservò senza proporne variazioni sostanziali, mantenendone quasi intatta la monumentalità e la bellezza che è celebrata nell'impressione entusiastica di Fulgenzio di Ruspe (Llewellyn, 1975, pp. 5-6) e nella più estesa descrizione di Zaccaria di Mitilene (Valentini-Zucchetti, 1940-1946, I, pp. 330-334), redatta intorno al 500, ma subì poi le conseguenze delle guerre e dei numerosi assedi e dei saccheggi. L'interruzione, a opera di Vitige (m. nel 542), di gran parte degli acquedotti nel 537, mai più ripristinati integralmente, tolse a R. la sua caratteristica di città piena di giardini, terme, fontane e ninfei e causò la decadenza definitiva delle residenze aristocratiche e imperiali che si trovavano proprio lungo la fascia periferica percorsa e alimentata dagli acquedotti.Un cambiamento di tal genere non poteva non comportare delle grandi variazioni urbanistiche: di queste non è possibile dare un resoconto capillare poiché le assai più incisive modificazioni del tessuto urbano verificatesi nel Medioevo più inoltrato si sono sovrapposte a esse rendendole spesso illeggibili (Manacorda, Marazzi, Zanini, 1994). È tuttavia riscontrabile in questo periodo l'abbandono di edifici abitativi e di intere zone dell'abitato in cui non di rado cominciarono a praticarsi sepolture (Maetzke, 1991; Pani Ermini, 1992a; Meneghini, Santangeli Valenzani, 1993), contravvenendo a regole e schemi che duravano da più di un millennio. Dopo queste premesse è ovvio che non è lecito attendersi, per quanto riguarda l'architettura, un periodo particolarmente fecondo per R., ove la conservazione parziale del patrimonio monumentale del passato prevalse certamente rispetto alla costruzione di nuovi edifici cristiani (Pani Ermini, 1993). I numerosissimi bolli laterizi con le enfatiche iscrizioni "Regnante Domino Nostro Theodorico bono Rome" o "Felix Roma" (CIL, XV, 1664-1670) non corrisposero quasi mai a vere e proprie costruzioni, ma piuttosto a semplici risarcimenti di tetti e limitati restauri. Delle poco numerose chiese di R. costruite presumibilmente durante il regno di Teodorico, nessuna si può attribuire con certezza all'intervento diretto del re e gran parte delle altre corrispose più ad adattamenti di edifici precedenti che a vere e proprie costruzioni ex novo. È sintomatico, in effetti, che una grande basilica come S. Stefano Rotondo, l'ultima grande impresa architettonica paleocristiana di specifica matrice romana, iniziata sotto papa Simplicio, subì con ogni probabilità una battuta d'arresto durante il regno di Teodorico e fu infatti conclusa per la parte decorativa dai papi Giovanni I (523-526) e Felice IV (526-530), cioè negli ultimi anni di vita e dopo la morte del sovrano goto.L'attività costruttiva registrabile a R. durante il regno di Teodorico restò comunque soprattutto nelle mani del clero, che con papa Simmaco (498-514) compì lavori di notevole entità in S. Pietro e forse edificò la basilica di S. Pancrazio inaugurando la seconda fase di costruzioni basilicali - questa volta più modeste - nelle aree suburbane cimiteriali e, più specificamente, martiriali (Pani Ermini, 1989; Reekmans, 1989). Alla morte di Teodorico, con la riqualificazione del Senato - che fu più considerato durante il regno di Atalarico (526-534) o, meglio, durante la reggenza di Amalasunta (m. nel 535) - nella capitale si registrò una certa ripresa costruttiva, ormai dominata, tuttavia, dal nuovo criterio dell'inserimento di nuove chiese in edifici più antichi, anche pubblici: il caso più evidente è certamente quello che vide l'installazione in un grande annesso del Templum Pacis della prima basilica cristiana affacciata sul Foro Romano e cioè i Ss. Cosma e Damiano, consacrata da papa Felice IV e dotata di una decorazione a mosaico che testimonia la vitalità degli artisti romani - o comunque non ravennati - nel settore della decorazione parietale. Le altre costruzioni attribuibili approssimativamente a quel tempo non sono numerose e restano dubbie, poiché solo raramente sono ancorate a datazioni sicure e in gran parte dei casi sono perdute, quindi non controllabili, oggi, nelle strutture (Bertelli, Guiglia Guidobaldi, Rovigatti Spagnoletti Zeuli, 1976-1977; Reekmans, 1989).L'architettura, quando riscontrabile, è comunque quella tradizionale più semplice e gli adattamenti in edifici preesistenti, come è il caso della chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta (Guidobaldi, 1986) inserita in una domus tardoantica da papa Vigilio (537-555), sono ovviamente condizionati e quindi non possono essere utilizzati per studi icnografici in senso diacronico. Solo la basilichetta di S. Giovanni a Porta Latina (Krautheimer, 1937-1980, I) mostra un'innovazione nell'abside poligonale di tipo ravennate e bizantino, che però restò priva di seguito. In ogni caso, dato che non si dispone per essa di una data certa, resta dubbio se la novità possa essere attribuita a influenza ravennate pregiustinianea o a una più diretta importazione culturale costantinopolitana di poco precedente o successiva alle guerre gotiche (535-555). Si può comunque affermare, in generale, che l'epoca di Amalasunta corrispose a una decisa apertura culturale di R. verso Costantinopoli senza alcuna intermediazione ravennate e fu il periodo della preparazione politica della riconquista bizantina con intensi scambi di ambasciate tra il papa - con l'aristocrazia non filogota - e Giustiniano I (527-565), ben documentati sia da scritti che da doni preziosi per le chiese di R. (Llewellyn, 1975).
Da Narsete alla metà del 7° secolo. - È noto che dopo la vittoriosa conclusione delle guerre gotiche Narsete fu lasciato a R. dall'imperatore Giustiniano in qualità di reggente (Llewellyn, 1975; Fauber, 1990), e come tale si insediò nel palatium degli imperatori sul colle Palatino. Le sue cure per la città gravemente ferita sono note e non furono certo insignificanti. Vennero ricostruiti infatti due ponti sull'Aniene, il ponte Salario e quello Nomentano, e fu eretta la grandissima basilica dei Ss. Apostoli.
Una pur se moderata ripresa di R. si potrebbe attribuire dunque a un progetto di Narsete forse concertato con Giustiniano, ma poi non più sostenuto dai suoi successori. Certo la costruzione di una basilica dedicata agli apostoli non può che richiamare l'analoga costantinopolitana ricostruita in parte da Giustiniano e destinata, sin da Costantino il Grande, a mausoleo degli imperatori d'Oriente (Krautheimer, 1983). La chiesa comunque fu completata e la lastra d'altare finissima in pavonazzetto inglobata insieme alla base nell'altare moderno (Mazzucco, 1982, figg. 4-11), così come un superstite pilastrino in analogo materiale che si trova tuttora nel portico (Guidobaldi, Barsanti, Guiglia Guidobaldi, 1992, fig. 300), evidenzia l'altissimo livello decorativo di un edificio di cui purtroppo non è conosciuta la pianta, ma che dagli indizi già noti e dagli scavi in corso risulta essere decisamente bizantino. Maestranze esterne erano dunque presenti a R., così come lo erano state qualche anno prima delle guerre gotiche (Guidobaldi, Barsanti, Guiglia Guidobaldi, 1992). Al periodo di Narsete (Guidobaldi, in corso di stampa b) va comunque assegnata senz'altro una certa vitalità della periferia, poiché una tradizione gli attribuisce anche la fondazione del grande monastero ad Aquas Salvias (S. Paolo alle Tre Fontane). Anche S. Maria Antiqua con la sua prima o meglio con la sua seconda decorazione potrebbe essere ascritta a Narsete e così S. Maria in Cosmedin, S. Cesario in Palatio e S. Felice in Pincis. A epoca non troppo distante potrebbero appartenere anche S. Teodoro e S. Eufemia, di chiara influenza bizantina anche per la dedicazione, ma per queste sussistono troppe incertezze per poterle attribuire a Narsete e una collocazione nell'ultimo quarto del secolo può essere altrettanto plausibile. Resta dunque, in ultima analisi, di questo brevissimo periodo, l'impressione di un momento di ripresa postbellica che tenne d'occhio la viabilità, i ponti, e quindi curò l'urbanistica e inquadrò R. nella proiezione di una futura ripresa e, forse, di una riconversione in capitale bizantina di riserva; certo è che, da allora, di ponti e grandi basiliche ex novo a R. non se ne fecero più.Nonostante ciò, lo slancio iniziale ebbe qualche seguito e l'ultimo quarto del sec. 6° iniziò probabilmente nello spirito della ricostruzione, anche se quasi immediatamente due fatti quasi contemporanei, ossia l'invasione longobarda e l'insediamento dell'esarcato d'Italia a Ravenna (Simonini, 1969) e del ducato a R. (Bavant, 1979), ostacolarono manifestamente la tendenza al recupero e solo con la grande personalità di Gregorio Magno (590-604) si trovò una via positiva di adattamento alla nuova situazione politica (Llewellyn, 1975; Krautheimer, 1980; Brown, 1984).In ogni caso l'energia costruttiva di R. non si estinse in questo periodo, nel quale nuove chiese furono costruite o adattate all'interno di strutture precedenti (Guidobaldi, in corso di stampa b). Si tratta ormai di edifici di dimensioni medie o piccole: oltre alle già citate S. Teodoro e S. Eufemia - che poteva anche essere di dimensioni discrete - si ricordano S. Lorenzo f.l.m., ricostruita da Pelagio II (579-590) con capitelli e architravi di recupero, ma di alta qualità, forse S. Giovanni a Porta Latina, con l'unica abside poligonale di R., e S. Agnese in Agone, oltre ad altre di cui i dati sono meno oggettivi, come S. Martino ai Monti - diversa da S. Silvestro -, S. Lorenzo in Formoso (od. S. Lorenzo in Panisperna), S. Giovanni de Insula (od. S. Giovanni Calabita), S. Saba, S. Lorenzo in Pallacinis, la scomparsa S. Lorenzo super S. Clementem (Guidobaldi, in corso di stampa b).Importante per questo periodo, e comunque caratteristica del sec. 6° in generale, è la sempre maggiore attenzione all'aspetto più sacrale di R., quello cioè collegato al culto dei santi o dei martiri e ai luoghi che ne custodivano la memoria: ben noti sono infatti i restauri di papa Vigilio ai cimiteri dei martiri (Testini, 1966). È collegabile almeno in parte allo stesso fenomeno dei pellegrinaggi l'istituzione di numerosi xenodochi, come quello di Belisario, quello degli Anici, ecc. (Saxer, 1995), ma anche di questi non rimangono resti che permettano una valutazione architettonica e comunque è probabile che fossero insediati in edifici preesistenti.Un fenomeno che sembra poi tipico di questo periodo è l'istituzione di nuovi monasteri (Ferrari, 1957), che subì con Gregorio Magno un notevolissimo impulso. Oltre al noto cenobio del Clivus Scauri costruito nella stessa domus di quel papa, vanno ricordati quelli, quasi tutti oggi scomparsi, di S. Pancrazio in Laterano, Ss. Agata e Cecilia ad Colles Iacentes - in Trastevere -, S. Saba, S. Demetrio Corsarum, S. Euprepia presso S. Sabina, S. Lucia Renati e quelli ad Gallinas Albas e apud Thermas Agrippianas. Oltre a questi sono da ricordare i monasteri suburbani che si devono aggiungere ai preesistenti sei o sette e che sono quelli, in gran parte scomparsi, di S. Pancrazio sull'Aurelia, S. Stefano ad Beatum Paulum, S. Stefano cata Galla Patricia al Vaticano, S. Leucio sulla Flaminia, S. Aristio presso S. Paolo e S. Ermete (Sansterre, 1983; Reekmans, 1989; Guidobaldi, in corso di stampa b). Gregorio Magno attesta che alcuni monasteri minori furono insediati in domus con horti certo ormai abbandonati o comunque non più impiegabili come rendite da affitto (Ferrari, 1957): queste nuove installazioni non comportarono probabilmente costruzioni ex novo e neppure mutamenti urbanistici, e quindi non portarono cambiamenti nel tessuto urbano.All'esterno delle mura si verificò anche qualcosa di decisamente nuovo dal punto di vista delle installazioni architettoniche, costituito dalle grandi vie porticate che conducevano dalle porte urbane alle basiliche di S. Pietro, S. Paolo e S. Lorenzo fuori le mura. Certo non si trattò di una novità assoluta. Le altre grandi città dell'impero, soprattutto in Oriente - famosi sono i portici di Costantinopoli, Gerusalemme, Efeso, Apamea, Antiochia - avevano già ampiamente applicato nella Tarda Antichità l'uso di incorniciare le vie principali con colonnati continui prima su architravi poi anche su archi e anche a R. esistevano una via tecta e delle porticus maximae, ma si trattava di portici urbani, mentre quelli anzidetti erano del tutto esterni e indicavano la via dei santuari maggiori. Non è rimasta traccia di questi portici, che dovevano rappresentare un'attrattiva eccezionale e dovevano impiegare centinaia di colonne, ma è certo logico vedere in essi, oltre a una nuova espressione architettonica 'applicata', anche un primo tangibile segno di spoliazione dei monumenti urbani, assai più incisivo di quello che potevano fornire i reimpieghi delle basiliche del 5° secolo.In parallelo con queste nuove aggiunte monumentali, proprio dall'epoca di Gregorio Magno si svilupparono anche nuovi nuclei insediativi presso i grandi santuari e in particolare presso S. Pietro, S. Paolo f.l.m., S. Lorenzo f.l.m. e, forse, S. Sebastiano (Reekmans, 1989): i monasteri citati sono una prova di nuove iniziative edilizie poiché prima, in quelle zone, non esistevano costruzioni e quindi i monasteri si dovettero costruire ex novo. Un'analisi di questi edifici altomedievali, spesso forniti anche di strutture di ospitalità e di zone termali, non è possibile poiché nulla di esse è rimasto.
L'architettura a R. era ormai centrata sulla committenza diretta del papa e si sviluppava in edifici di medie o piccole dimensioni ricorrendo sempre più al reimpiego di materiali architettonici (Pensabene, 19972): le nuove costruzioni, come S. Lorenzo f.l.m., di Pelagio II, e S. Agnese, di Onorio I (625-638), si servirono esclusivamente di colonne, capitelli e altri elementi architettonici recuperati da templi che ormai nessuno più tutelava o, tantomeno, difendeva. Si diffuse sempre più anche l'uso di occupare con nuovi centri cultuali gli antichi monumenti ormai chiusi e obsoleti. In questo settore si registrano anche chiese di notevoli dimensioni, come la trasformazione del Pantheon in S. Maria ad Martyres al tempo di Bonifacio IV (608-615) e l'installazione di S. Adriano nella Curia senatus a opera di Onorio I. Numerosi furono anche gli edifici che si inserirono nelle grandi aule delle domus aristocratiche ormai non più utilizzabili come abitazioni: è il caso dei Ss. Quattro Coronati e di S. Lucia in Selci, fondazioni di Onorio I.Poco è noto di altri edifici degli stessi anni costruiti ex novo, come S. Apollinare, realizzata da Onorio I, e S. Euplo da Teodoro I (642-649), o ricostruiti, come S. Valentino da parte dello stesso Onorio, o piuttosto da Teodoro I, o arricchiti di nuove strutture liturgiche, come S. Pancrazio sempre a opera di Onorio I (De Spirito, 1995). La parziale sopravvivenza monumentale e la discreta attività costruttiva finora descritte non si possono considerare comunque un segnale applicabile anche all'edilizia privata e alla viabilità, poiché la ricerca archeologica segnala per le antiche strutture abitative il frequente abbandono di piani pavimentali interni e per le strade l'altrettanto frequente e continuo interramento, pur se per spessori moderati, e con almeno parziale conservazione del tessuto viario (Manacorda, 1993b).Gli edifici pubblici meno importanti, o comunque quelli che avevano più rapidamente perso la loro funzione originaria, vennero già occupati, anche se solo in parte, nel sec. 6° e ancor più nella prima metà del 7°, come mostrano gli scavi della Crypta Balbi (Manacorda, 1993a), quelli del Foro Romano (Maetzke, 1991) e quelli dei Fori Imperiali. Le attività artigianali o commerciali cominciarono ormai a insediarsi liberamente nelle strutture abbandonate e ne iniziarono la demolizione oppure approfittarono dei crolli già avvenuti per recuperare i materiali. Non di rado si nota, come per es. nella basilica Giulia (Maetzke, 1991), che una piccola chiesa e qualche altra piccola struttura si disponevano alla periferia dell'edificio poiché il centro era destinato piuttosto, sin dall'inizio, alle manovre di smantellamento.
Dalla metà del sec. 7° alla discesa dei Franchi. - Si può affermare senza esitazione che la seconda metà del sec. 7°, che iniziò con la deportazione di papa Martino I (649-655) a Costantinopoli, sia stato il periodo più difficile che R. abbia attraversato in tutto l'arco del primo millennio. La presenza degli invasori longobardi, la dominazione, spesso ottusa o comunque non coinvolta, degli esarchi, l'imposizione di papi orientali e l'assenza quasi totale di contatti con il governo centrale, che spinsero il papato prima verso rapporti, pur se difficili, con gli stessi Longobardi e poi verso una più solida alleanza con i Franchi, non possono far prevedere, d'altronde, un momento di ricchezza e di dinamico rinnovamento (Brown, 1984). In effetti risultano a R. solo poche costruzioni in quel periodo (Huelsen, 1927; Coates-Stephens, 1997): il Lib. Pont., dopo aver appena accennato per il 663 alla disastrosa visita dell'imperatore Costante II (641-668), che voleva ristabilire a R. la capitale, ma poi di fatto saccheggiò la città di molti dei suoi residui tesori e persino delle coperture metalliche dei templi (Gregorovius, 1866-1876; Llewellyn, 1975), permette di dedurre la già avvenuta fondazione del grande monastero di S. Erasmo sul Celio (Lib. Pont., I, 1886, p. 346), oggi del tutto perduto, che fu incrementato da papa Adeodato (672-676), al quale si deve pure una chiesa dedicata a s. Pietro sulla via Portuense, qualche intervento di restauro di papa Dono (676-678) e la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo sulla via Ostiense. Sempre il Lib. Pont. (I, 1886, pp. 359-364) ricorda inoltre con Leone II (682-683) la costruzione di S. Paolo presso S. Bibiana e di S. Giorgio al Velabro e infine con Benedetto II (684-685) menziona vari restauri a chiese urbane e suburbane e, fatto questo molto importante, ricorda per la prima volta i monasteria diaconiae che furono spesso installati su nuclei già esistenti (Hermes, 1996). Un'altra chiesa, S. Andrea sulla via Labicana, dovrebbe essere opera di Sergio I (687-701) e S. Bonifacio sull'Aventino (od. Ss. Bonifacio e Alessio) risulta già esistente nel 7° secolo.Al passaggio tra sec. 7° e 8° le cose non dovettero cambiare molto, anche se opere pittoriche come quelle lasciate da Giovanni VII (705-707) a S. Maria Antiqua, a cui si devono aggiungere quelle architettoniche e musive della cappella dedicata alla Vergine in S. Pietro, il c.d. oratorio di Giovanni VII, testimoniano la presenza a R. di maestranze di altissimo livello che non sempre sono riconducibili semplicisticamente a ipotetiche diaspore di pittori dall'Oriente, prima a causa delle invasioni arabe e poi in conseguenza dell'iconoclastia (v.). Ma la ricchezza di R. doveva essere limitata - anche per le tasse esarcali assai pesanti - e quindi non ci si può attendere una produzione di nuove e grandi architetture. In effetti le nuove fondazioni furono soprattutto relative a monasteri, diaconali o no, e a piccole chiese o cappelle, mentre resta comunque a dimostrare una modesta sopravvivenza un certo numero di restauri e di manutenzioni spesso collegate ai più importanti luoghi di devozione e quindi al fenomeno dei pellegrinaggi.In questo periodo in effetti R. incrementò la sua funzione già antichissima (Fiocchi Nicolai, 1995; Saxer, 1995) di meta religiosa primaria e ne ottenne da un lato una specie di inviolabilità politico-militare e dall'altro una fonte di rifornimento economico sia per le donazioni dirette a S. Pietro di illustri pellegrini specialmente nordici, e anche di livello regale (Gregorovius, 1866-1876), sia per le attività connesse con i pellegrinaggi che si andarono da allora sempre più incrementando, come hanno dimostrato gli scavi recenti della Crypta Balbi, dove è testimoniato l'insediamento di centri altomedievali di artigianato nelle strutture degli annessi del teatro (Saguì, 1993). I grandi flussi di pellegrini comportarono anche, nella prima metà del sec. 8°, se non prima, l'installazione, presso S. Pietro, di punti di riferimento o centri di accoglienza - probabilmente con chiese annesse - per le varie nazioni da cui i pellegrini partivano. Si tratta delle c.d. scholae che, a partire da quella dei Sassoni con S. Maria in Sassia del 727, si realizzarono per i Longobardi, per i Franchi, per i Frisoni, ecc. (Vielliard, 1959; Coates-Stephens, 1997). È forse proprio in funzione di questi pellegrinaggi che fu introdotta a R. una struttura architettonica accessoria, la cripta, già nota da tempo in Oriente, in Egitto e in Africa settentrionale - e in effetti anche a R., che potrebbe addirittura aver fornito i modelli per tutti - come grotta o sepolcro ipogeo di santi o di martiri e quindi di forma irregolare o semplicemente a camera, come d'altronde erano anche i santuari di martiri delle catacombe romane. Tale struttura fu progettata, a quanto sembra, per la prima volta da Gregorio Magno per la basilica di S. Pietro con una forma semianulare o semiellittica a doppio corridoio, forma che ebbe a S. Pancrazio, o forse a S. Crisogono, repliche dei secc. 7° e 8° per essere poi, nel 9°, applicata su larga scala non solo a R. (Apollonj Ghetti, 1984), ma anche nell'Europa settentrionale proprio in imitazione del prototipo romano.Anche le recinzioni presbiteriali, che, già dal sec. 6°, assorbirono la moda bizantina delle grandi serie di plutei e pilastrini, si riproposero nel sec. 7° e nell'8° in muratura con pitture decorative sull'intonaco. Talvolta si possono trovare nella zona presbiteriale anche strutture assai monumentali, in forma di recinti a U ottenuti solo con grandi colonne di porfido e sormontate da capitelli e architravi in forma di imponente iconostasi; si tratta comunque solo di limitate varianti architettoniche all'interno di modelli basilicali ormai decisamente cristallizzati nelle forme già acquisite nel lontano Paleocristiano (Guidobaldi, in corso di stampa c).Gli scavi della Crypta Balbi (Manacorda, 1993a; Manacorda, Marazzi, Zanini, 1994) forniscono indicazioni preoccupanti sull'evoluzione urbanistica di R. nel primo periodo carolingio. Sembra abbastanza evidente ormai che l'assenza di manutenzione stradale avesse già da tempo contribuito a far interrare le vecchie strade o addirittura a far creare nuovi tracciati in quei punti in cui i crolli di strutture di grande volume avevano ostruito in modo poco reversibile la viabilità. Si trattò certo, per il momento, solo di variazioni parziali dei percorsi, ma è probabile che il reticolo stradale si fosse ridotto, rinunciando a qualche strada ingombra quando altre parallele o equivalenti erano praticabili. Questa rarefazione dovette favorire l'insorgere di altre macchie di abbandono che si aggiunsero a quelle 'storiche' già formatesi con l'incendio di Alarico e a quelle che nacquero probabilmente durante i disastrosi assedi goti della metà del sec. 6° e con le tremende alluvioni menzionate dalle fonti per la fine del secolo stesso (Krautheimer, 1980). Ciò nonostante le nuove installazioni cultuali continuarono anche in questa prima metà di secolo: basta ricordare tra le sicure e le ipotetiche (Coates-Stephens, 1997), oltre a S. Maria in Sassia, la chiesa di S. Maria in Aquiro, quella, oggi del tutto scomparsa, dei Ss. Sergio e Bacco al Foro, forse di Gregorio III (731-741), a cui si attribuisce anche il rifacimento dei Ss. Marcellino e Pietro sulla via Merulana, e ancora quelle di S. Gregorio Nazianzeno, di papa Zaccaria (741-752), di S. Angelo in Pescheria, costruita nel 755 sotto Stefano II (752-757), e probabilmente anche dei Ss. Pietro e Paolo sulla via Sacra, attribuibile a Paolo I (757-767).
Il periodo carolingio. - Dopo la discesa in Italia di Pipino il Breve (751-768) in aiuto di Stefano II contro il re dei Longobardi, il nefandissimus Aistulfus (Lib. Pont., I, 1886, p. 448), nel 754 e l'acquisizione dei vasti territori dell'Esarcato e della Pentapoli, che si aggiungevano a quelli delle precedenti donazioni longobarde di Sutri sotto Gregorio II (715-731) e di altri territori dell'Umbria e della Sabina sotto papa Zaccaria, con il più stretto legame di mutua collaborazione stabilitosi con Carlo Magno (768-814) la ripresa economica di R. divenne evidente e duratura. Con la prima visita a R. del futuro imperatore del Sacro romano impero nel 774 e con la ratifica delle donazioni, che costituivano di fatto uno Stato della Chiesa, il papa Adriano I (772-795) ebbe l'opportunità di far partire un'operazione, tra le più vaste di tutti i tempi, di restauro, recupero e accrescimento degli edifici di R. (Geertman, 1975).Con la nuova alleanza fu possibile finalmente, per il papa, richiedere innanzitutto le trabes maiores per riparare i tetti pericolanti delle grandi basiliche costantiniane (Lib. Pont., I, 1886, pp. 505-508) - una lettera di Adriano a Carlo Magno testimonia la richiesta per S. Pietro (MGH. Epist., III, 1892, pp. 592-593) - o comunque paleocristiane, e poi più normali travi di medie dimensioni per le altre chiese: l'espressione sarta tecta o comunque le allusioni al rifacimento delle coperture compaiono di continuo nel Lib. Pont. in riferimento a moltissime chiese insieme alle segnalazioni di nuove dotazioni di suppellettile liturgica che andavano a rimpiazzare quella precedente quasi esaurita dalle alienazioni o dall'uso secolare. È con lo stesso papa Adriano I che si registrarono numerosi restauri e rifacimenti anche nei santuari cimiteriali (Spera, 1997), che non molto più tardi furono gradualmente abbandonati.L'opera di Adriano fu continuata da Leone III (795-816) e dai suoi successori, soprattutto Pasquale I (817-824), Gregorio IV (827-844), Sergio II (844-847) e Leone IV (847-855), e così nell'arco di ca. settanta anni il patrimonio di edifici di culto della Chiesa romana, composto alla fine del sec. 7° da poco più di centocinquanta unità, fu quasi interamente restaurato (Geertman, 1975). Ai restauri si aggiunsero le ricostruzioni e le costruzioni ex novo, che però non si trovarono sempre in coerenza con il vecchio reticolo viario, ma invasero talvolta sedi stradali o occuparono i monumenti in rovina, dimostrando che l'abbandono e l'interramento non erano stati senza conseguenze. Il fatto che nessuna grandissima basilica sorse in questo periodo, nonostante l'alto livello di ricchezza che certo lo avrebbe permesso, consente di dedurre che, comunque, il rispetto per l'antico era dominante e che non si voleva sovrapporre qualcosa di nuovo alla grandiosità delle basiliche maggiori già esistenti; ciò spiega anche perché il sec. 9° sia stato più legato al restauro e alla integrazione della vecchia metropoli piuttosto che alla progettazione di una nuova città. È facile infatti constatare che gran parte delle chiese di un certo livello costruite ex novo, come per es. S. Maria in Cosmedin, S. Prassede, Ss. Quattro Coronati, S. Martino ai Monti, S. Maria in Domnica, S. Maria Nova (od. S. Francesca Romana), S. Cecilia, S. Stefano del Cacco, Ss. Nereo e Achilleo, ecc., occupò il sito di omonimi edifici precedenti o comunque ne rappresentò la continuazione in siti adiacenti (Krautheimer, 1980).L'architettura di questo periodo si pose sulla stessa linea culturale anche dal punto di vista stilistico, poiché la continuità dell'icnografia basilicale è evidente, come frequente è il recupero di elementi già sperimentati in età paleocristiana come gli architravi, i transetti e i quadriportici. Anche i finestrati si mantennero ancora piuttosto luminosi con finestre abbastanza grandi, anche se ormai ben lungi dalle amplissime aperture dell'età tardoantica. Anche per quanto riguarda gli elementi architettonici predominò in modo assoluto il reimpiego di colonne, capitelli e altri materiali architettonici antichi (Kramer, 1997; Pensabene, 19972), che solo raramente vennero rilavorati, integrati o adattati, o, infine, replicati, dimostrando una ripresa delle capacità scultoree che ben corrispondono alla assai vasta produzione di plutei e pilastrini e altra suppellettile scolpiti in questo periodo a R. e in gran parte dell'impero carolingio.Qualcosa dell'architettura mutò però anche in senso innovativo. Non si può innanzitutto trascurare una realizzazione di grande importanza collocabile nel pontificato di Adriano I: si tratta della cripta a colonne o, se si vuole, a tre navate che doveva accogliere a quanto sembra le reliquie di S. Cirilla o di altri martiri nella nuova chiesa di S. Maria in Cosmedin (Giovenale, 1929). Questa struttura, rielaborazione monumentale delle cripte semianulari, è da tutti considerata capostipite delle cripte a colonne, spesso anche con volte, che si diffusero già nei secc. 9°-10°, ma soprattutto dal 12° al 13°, su un'area vastissima che ricopriva in pratica tutto il mondo occidentale, sia al di qua sia al di là delle Alpi.
Anche le stesse cripte seminanulari, già sperimentate a R., dove proprio in questo periodo si replicarono intensamente (Apollonj Ghetti, 1984), furono realizzate nel contempo nelle grandi chiese episcopali o abbaziali che gli alti prelati dell'entourage di Carlo Magno edificavano nelle regioni nordiche (v. Cripta). D'altronde mentre i modelli romani passavano al Nord, qualcosa avveniva anche in senso contrario. È merito di Krautheimer (1942) aver messo per primo in evidenza gli apporti della cultura carolingia d'Oltralpe in alcune costruzioni di questo periodo; grazie ai suoi studi si è potuto infatti stabilire che appartenevano al sec. 9° sia la grande torre d'ingresso che precede il quadriportico dei Ss. Quattro Coronati sia le due grandi torri impostate sul transetto di S. Prassede (Krautheimer, 1937-1980, IV). Gli stessi elementi erano individuabili, come si è potuto riscontrare anche nei lavori più recenti, nella basilica dei Ss. Nereo e Achilleo (Sacchi, 1990-1991).Dal punto di vista urbanistico la città carolingia si rivolse sempre più agli aspetti devozionali e assistenziali. Le diaconie, istituzione ormai radicata nella prima metà del sec. 8°, si completarono e si integrarono con nuovi edifici, generalmente di dimensioni modeste, che si andarono ad aggiungere a quelli già esistenti; vanno ricordate in tal senso S. Lucia in Settizonio, S. Eustachio, S. Maria in Via Lata, S. Vito (od. Ss. Vito e Modesto), S. Agata sul Quirinale, S. Maria in Traspontina, S. Silvestro in Capite. Anche le già citate cripte sono ricollegabili alla trasformazione devozionale della città intramuranea, poiché esse possono essere viste come segno di una pressante esigenza di riconversione del pellegrinaggio tradizionale alle catacombe in un più pratico e 'moderno' itinerario urbano proprio in un momento in cui i pellegrinaggi stessi e la devozione per le reliquie e i corpi santi diventavano sempre più intensi; esse corrisposero dunque anche all'abbandono delle catacombe e alle numerosissime traslazioni di corpi santi all'interno delle mura, forse ormai per proteggere i ricchi santuari suburbani dalle razzie prima dei Longobardi e poi dei Saraceni (Gregorovius, 1866-1876). Questa ripresa di importanza dell'interno della città comportò forse, almeno in parte, il consolidamento di una viabilità principale spesso ancora secondo percorsi coerenti con quelli del passato, anche se con vistose semplificazioni. L'Itinerarium Einsidlense (Valentini, Zucchetti, 1940-1946, II), guida destinata ai più colti e meticolosi pellegrini, fornisce i termini di questa topografia proprio per gli anni a cavallo tra il sec. 8° e il 9° (Walser, 1987): le direttrici erano sempre le stesse e venivano spesso ripercorse per itinerari di destinazione diversa. I luoghi santi extramuranei erano ancora indicati, e quindi corrispondevano ancora almeno in parte a santuari frequentabili, ma l'interesse principale era ormai per l'interno, dove si trovava gran parte delle reliquie. Il Foro era sempre il punto d'incontro di molti percorsi. La menzione dei monumenti o dei toponimi antichi affiora spesso tra le segnalazioni di chiese o luoghi di devozione. Sono invece ancora assenti quei nomi favolosi e totalmente inventati che riempirono le guide del sec. 12° (Mirabilia; Valentini, Zucchetti, 1940-1946, III), interrompendo per sempre la trasmissione dei toponimi reali. Alcuni luoghi ormai avevano perso completamente le loro funzioni: il Palatino, per es., ancora abitato nel sec. 8°, era ormai sempre meno menzionato (Augenti, 1996a).
Le mura fornivano invece ancora una buona difesa se resistettero, nell'846, all'unico e tremendo attacco dei saraceni, che però si limitarono a saccheggiare le basiliche di S. Pietro e S. Paolo, extramuranee e quindi non difendibili. Quest'ultimo fu un grande lutto per la storia materiale di R. poiché è facile immaginare quanto degli elementi decorativi preziosissimi asportati fosse anche ricco di iscrizioni e di memorie storiche. La costruzione di mura intorno alle due chiese e al borgo che le circondava fu comunque una reazione attiva che denota le potenzialità di ripresa di R., ma anche dopo questo episodio la seconda metà del sec. 9° non mostra in pratica un'interruzione delle attività costruttive, indicando al contrario una sempre maggiore riapertura del settore dell'edilizia abitativa privata insieme - e talvolta in fusione - con quello dell'edilizia difensiva (Pani Ermini, 1992b).
Risale ad allora probabilmente lo sviluppo di una nuova aristocrazia (Hubert, 1990) che voleva approfittare dei continui giochi di potere tra Papato e Impero, allora iniziati e da allora sempre più centrali nella storia di Roma. L'esistenza di un'aristocrazia dovette corrispondere subito a una lottizzazione delle aree (Manacorda, Marazzi, Zanini, 1994) e a una sorta di incastellamento interno alla città. I papi del tardo sec. 9° appartenevano spesso alla regione della via Lata e ciò fa presumere che questa fosse una delle prime zone a veder sorgere, adattati o meno sulle antiche rovine, i primi palazzotti e le prime torri, anche se l'evidenza delle opere difensive vere e proprie (torri) sembra ancora più tarda (Manacorda, Marazzi, Zanini, 1994). Non esistono indicazioni che permettano di individuare un'architettura civile di questo periodo, ma è possibile per ora analizzare il grande edificio scoperto recentemente a ridosso del Foro Transitorio nella via dei Fori Imperiali (Meneghini, Santangeli Valenzani, 1996). Si tratta di un massiccio quadrilatero con un grande portico ad arcate realizzato con grandi conci di pietra recuperata da edifici in demolizione. Da questo momento lo sbarramento delle strade con i palazzi e i recinti, manifestazioni ovvie dell'esercizio di poteri di zona, sembra essere un fatto comune ed è in effetti l'unico elemento che poté comportare qualche distorsione viaria o variazione urbanistica. Intanto i poli di S. Pietro, sempre più importante per le consacrazioni imperiali, e di S. Giovanni, che rimase ancora il luogo di consacrazione dei papi, allungarono e svilupparono la città in una forma nuova, tendente a escludere sempre più i settori N-O e S a favore di quelli che si trovavano nella fascia che collegava i due poli citati.Sembra dunque che la seconda metà del sec. 9° sia stata un periodo di accrescimento dell'importanza di R. come sede di incoronazioni o di cerimonie ufficiali, ma anche un periodo di involuzione economica a causa degli effetti che dovettero avere le invasioni dei saraceni, che, devastando la Campania e tutta l'Italia meridionale e poi occupando definitivamente la Sicilia, resero certo più complessi sia gli approvvigionamenti di sussistenza sia i commerci che si svolgevano in parallelo.In conclusione, per avere un quadro d'insieme della R. della fine del sec. 9° ci si può riferire a diversi aspetti. Dal lato architettonico, la si può considerare come una città con numerosissime chiese restaurate e ricostruite anche su canoni relativamente innovativi; dal punto di vista urbanistico, la si può vedere come una metropoli ormai profondamente dominata dalle lottizzazioni di aree e dall'accentuazione del disabitato nel quale si installavano poi, in alternativa, orti o botteghe o cave di materiale spesso con annesse le calcare che fecero ora la loro comparsa (Manacorda, Marazzi, Zanini, 1994); infine, dal lato storico-politico, la si può inquadrare come un nuovo e ormai consolidato centro del potere e luogo di riferimento per il cerimoniale imperiale, oltre a centro di devozione di prima grandezza nel mondo altomedievale. Le attività economiche dovevano imperniarsi, con ogni probabilità, su queste varie connotazioni della città e dovevano trarne un notevole stimolo per uno sviluppo che, annunciatosi già nel sec. 4°, si manifestò, dopo qualche incertezza, soprattutto tra l'11° e il 12° secolo.
Dalla fine dell'età carolingia a Gregorio VII. - È noto assai poco delle vicende edilizie di R. nel sec. 10°, tranne il crollo della basilica lateranense verificatosi poco prima, nell'896. La ricostruzione che subito ne seguì e si concluse durante il pontificato di Sergio III (904-911; Krautheimer, 1937-1980, V) dimostra comunque la vitalità di R. nel settore edilizio e la possibilità di trovare ancora nella città maestranze esperte nell'architettura e nella decorazione. Sfortunatamente non si conosce molto dei particolari di questa ricostruzione, che non dovette però essere integrale se Borromini ritrovò, nel sec. 17°, ancora intatte le pareti tra le navatelle minori della basilica costantiniana; certo il tetto fu rifatto con le consuete capriate e i mosaici furono almeno integrati poiché sono note le nuove iscrizioni che papa Sergio vi lasciò.Sono poche le chiese che si possono considerare costruite a R. nel sec. 10° (Coates-Stephens, 1997), oltre alla piccola S. Maria in Aventino, che dovrebbe appartenere alla metà del secolo, mentre è necessario giungere all'età ottoniana, ossia alla fine del secolo, per registrare la basilica di S. Sebastiano al Palatino. A epoca non precisabile entro il sec. 10° dovrebbero appartenere la chiesa di S. Maria Dominae Rosae, sorta sul teatro di Balbo (Manacorda, Marazzi, Zanini, 1994), un gruppo di monasteri piuttosto importanti, ma oggi non più esistenti tranne l'ultimo, come S. Pietro in Horrea, S. Maria in Monasterio, S. Ciriaco in via Lata, S. Cosimato, chiese monastiche come S. Maria cella Farfae, S. Benedetto in Thermis e S. Salvatore in Thermis, o private, come S. Teodoro a Porta Maggiore e Ss. Benedetto e Scolastica, in gran parte oggi scomparse (Coates-Stephens, 1997). Anche S. Adalberto (od. Ss. Bartolomeo e Adalberto) sull'isola Tiberina è opera di committenza diretta dell'imperatore Ottone III (983-1002) e quelle di S. Trifone e S. Stefano degli Ungari dovrebbero essere non troppo distanti. Anche S. Lucia della Tinta esisteva già nel 1002 e certo molte altre chiese che si possono estrapolare dalla serie riportata da Huelsen (1927) come già esistenti nel sec. 12° possono essere nate nel 10° o nell'11° secolo. Per quanto concerne l'architettura, è importante la cripta di S. Adalberto, con ogni probabilità pertinente alla prima fase, che mostra una struttura a colonne e volte, assai insolita per R., forse mediata da esempi d'Oltralpe. Anche l'occupazione di edifici antichi continuò in questo periodo con esempi assai significativi, come S. Maria de Secundicerio nel tempio di Portunno, S. Basilio nel tempio di Marte nel Foro di Augusto, demolito negli anni Trenta, S. Lorenzo in Miranda nel tempio di Antonino e Faustina, S. Urbano alla Caffarella nel tempietto omonimo sull'Appia e S. Barbara dei Librari nel teatro di Pompeo (Coates-Stephens, 1997).Ma più che per le limitate attività costruttive il sec. 11° è importante per i fatti politici che furono la base della grande ripresa del secolo successivo. A parte la prematura conclusione, con la morte del giovanissimo Ottone III, di una nuova avventura che poteva vedere R. ancora come capitale dell'impero d'Occidente, si deve ricordare che proprio nel sec. 11° si sviluppò un'alleanza con il marchesato di Toscana, che poi, con Matilde di Canossa, fu veramente la stampella del papato nei momenti di maggiore urto con l'imperatore e i suoi alleati. Da una R. dominata dalla nuova aristocrazia (come è in parte ricavabile dagli atti notarili) e soggetta alla totale ingerenza degli imperatori si passò gradualmente, nel corso del secolo, a una R. autonomamente potente e competitiva sia all'interno sia all'esterno, con un'aristocrazia più controllabile e un'autorità spirituale più riconosciuta. Dopo il pontificato triplo di Benedetto IX (1033-1044; 1045; 1047-1048), che certo fu il simbolo del tutto screditante di quei tempi di lotte interne, ma che segnò alla fine una battuta d'arresto nello strapotere della famiglia dei Conti di Tuscolo, la posizione papale si rafforzò tanto da giungere, prima con Alessandro II (1061-1073) e poi con Gregorio VII (1073-1085), alla contesa vittoriosa con l'imperatore Enrico IV (1056-1106) e alla conseguente abrogazione dell'investitura imperiale dei papi. L'umiliazione dell'esilio e la morte fuori R. non furono certo il giusto premio per Gregorio VII e ancor meno lo fu il saccheggio nel 1084 di Roberto I il Guiscardo (m. nel 1085), ma intanto R. ne uscì con una ritrovata autonomia e se in questo periodo poche furono le costruzioni di nuove chiese, formidabile fu il consolidamento politico che permise poi nel sec. 12° una ricostruzione pressoché totale degli edifici religiosi della città e una ristrutturazione urbanistica che fu il vero passaggio dalla R. antica alla R. medievale e che corrispose a un forte impulso per l'architettura, orientato, però, ancora verso una notevole fedeltà ai modelli antichi.Del grande fermento culturale che culminò nell'architettura protoromanica della Francia, della Spagna e della Germania nulla o quasi oltrepassò le mura di R., che restò ancorata alle piante basilicali semplici, all'apparato laterizio, all'uso dei marmi policromi e alle facciate semplici talvolta decorate da mosaici. Le finestre a feritoia e gli eleganti campanili in laterizi con bifore e inserti policromi di marmi ed elementi ceramici portarono qualche connotazione più generalmente romanica e permisero di distinguere una basilica paleocristiana o altomedievale da una chiesa del 12° secolo. Ma già alla fine del sec. 11° si ricostruì il monastero di Montecassino e da allora forse soltanto la cultura monastica d'Oltralpe riuscì poi a filtrare (Romanini, 1975; 1982; Romanini, Righetti TostiCroce, 1987) e a portare in qualche caso forme e strutture basilicali di concezione diversa: ma ciò quasi esclusivamente nella campagna romana piuttosto che nella città.
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