ROMA
(XXIX, p. 589; App. I, p. 971; II, II, p. 728; III, II, p. 628; IV, III, p. 232)
La città, che si era accresciuta con un ritmo preoccupante, nell'ultimo decennio ha registrato un'inversione di tendenza: all'interno dei limiti comunali accoglieva, al censimento 1991, 2.775.250 abitanti (65.009 in meno rispetto al 1981), scesi a 2.729.238 a un rilievo del 1994. Le aree che più si sono avvantaggiate dal processo deglomerativo sono quella compresa tra i Castelli e il litorale a sud della foce del Tevere e quella a est della città, gravitante su centri (Tivoli, Monterotondo, Mentana) dotati di servizi di un certo rango. Nonostante questa inversione di tendenza, la provincia di R. (3.761.067 ab. nel 1991) mantiene un peso schiacciante rispetto all'intera regione: 73,2% della popolazione totale (74,5% nel 1971). Per quanto riguarda la popolazione sommersa, occorre tenere presente che è sicuramente consistente, nonostante le leggi e i controlli, il numero dei profughi stranieri e dei lavoratori di colore immigrati clandestinamente.
Per la presenza delle amministrazioni centrali dello stato, delle sedi centrali dei principali istituti di credito e dei grandi enti assicurativi e previdenziali, la maggior risorsa economica della città continua a essere l'attività politico-amministrativa. R., inoltre, come enorme mercato di consumo e centro di attrazione storico-culturale, artistico e religioso di livello mondiale, basa la sua economia in larga parte anche sulle attività commerciali. Dal punto di vista della distribuzione dell'occupazione tra i diversi settori produttivi, ben il 73,4% del totale della popolazione attiva è occupato nel terziario, il 20,6% nell'industria e il 6% nell'agricoltura. Se, in confronto alle grandi metropoli europee, per i servizi R. rientra nella media, per l'industria è ben al di sotto (29,2% di occupati nel settore secondario a Parigi, 33,1% a Bruxelles), mentre mostra un'elevata presenza dell'occupazione agricola (Parigi 0,5%; Bruxelles 0,1%; Madrid 1,4%), conseguenza, peraltro, della grande estensione dell'area comunale (oltre 1500 km2).
Le attività industriali continuano a mostrarsi incapaci di uscire dall'ambito del mercato locale; d'altro canto la fissazione del limite di intervento della Cassa per il Mezzogiorno a pochi chilometri a sud di R. aveva favorito la localizzazione di impianti in prossimità dell'orlo superiore dell'area stessa di intervento, determinando un decentramento automatico a favore dei comuni della Pianura Pontina e dell'alta valle del Sacco, decentramento che è proseguito nel tempo.
Fra i settori presenti a R. quello numericamente più importante è il metalmeccanico; seguono le industrie poligrafiche ed editoriali, quelle chimiche e, in generale, tutte le industrie tipicamente residenziali, con la funzione cioè di produrre per un mercato di ingenti dimensioni come quello romano (industrie alimentari, del legno, dell'abbigliamento, ecc.). Un campo in cui l'industria romana è all'avanguardia è quello delle biotecnologie: sono solo una decina le industrie che operano in questo settore, ma si avvantaggiano della presenza di prestigiosi enti di ricerca. Le maggiori aree industriali si concentrano lungo le vie Tiburtina, Prenestina, Casilina e Pontina. Per le industrie localizzate nelle aree di Tor Sapienza e Tiburtino, è in progetto la realizzazione di un polo tecnologico (il cosiddetto Parco Industriale del Tevere), che faccia da tramite fra gli istituti di ricerca e i laboratori universitari e industriali (soprattutto nel campo dell'elettronica e dell'informatica) della zona: al momento attuale gli investimenti riguardano soprattutto la viabilità e l'ambiente. Nella vita economica della città, infine, grande importanza hanno le attività terziarie. Tralasciando i tradizionali servizi pubblici (connessi alla pubblica amministrazione), direttamente o indirettamente riconducibili alla funzione di capitale, e i servizi privati genericamente rivolti al soddisfacimento dei bisogni delle famiglie (per es. il commercio), un forte sviluppo hanno assunto i servizi alle imprese. Grazie all'affermazione di questa nuova tranche di attività produttive (ricerca e sviluppo, servizi informatici e finanziari, funzioni decisionali, marketing, ecc.), R. ha ribadito i caratteri della propria centralità, polo fondamentale della costituenda rete urbana europea.
Nel campo delle comunicazioni va segnalata la realizzazione di una via di scorrimento veloce, di cui sono entrati in funzione il tratto che unisce viale Castrense (zona San Giovanni) con via Lanciani (Nomentano), detto ''tangenziale est'' (1974), il grande snodo della Salaria che ne permette il collegamento con la via Olimpica (1985) e la prosecuzione della via Olimpica fino alla ''tangenziale est'' (1990). Nel 1980 è stato terminato il tronco della linea A (Ottaviano-Anagnina) della metropolitana, che collega con il centro di R. da una parte il quartiere Prati (con un nuovo apposito ponte sul Tevere) e dall'altra la periferia sud-orientale (quartiere Tuscolano); successivamente è stato ultimato il prolungamento della linea B, che collega la stazione Termini con la zona Tiburtina (Rebibbia). Al momento attuale è in corso d'opera il prolungamento della linea A nel tratto Ottaviano-Boccea. Nel 1989 è stato aperto al traffico il tronco autostradale Fiano-San Cesareo (46 km), bretella di collegamento tra il tratto terminale della Milano-R. e il tratto iniziale della R.-Napoli, che permette di evitare il nodo del Grande raccordo anulare. Nel 1990 è stato inaugurato il raccordo tra l'autostrada R.-L'Aquila e la ''tangenziale est''. Invece è ancora in corso di completamento (il termine fissato negli accordi tra Ferrovie dello Stato e Comune è l'anno 2000) l'anello ferroviario di 29,2 km che, passando per 13 stazioni, collegherà buona parte dei quartieri romani. E inoltre: incrociando lungo il percorso la linea B della metropolitana alla stazione Tiburtina; la linea A a Tuscolana; la linea B e la ferrovia R.-Ostia alla stazione Ostiense; il costruendo prolungamento della linea A alla fermata di Anastasio ii; la ferrovia R.-Viterbo a Tor di Quinto, permetterà un interscambio tra treno e metropolitana verso le altre zone cittadine. Questa linea delle Ferrovie dello Stato, meglio conosciuta come ''anello ferroviario'', è aperta finora dallo scalo del Nuovo Salario a quello di San Pietro.
Infine, per quanto riguarda le istituzioni universitarie, la grande università della Sapienza è stata affiancata dalla università di Tor Vergata (1982) e dalla Terza Università (1992).
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Urbanistica. - Gli anni compresi tra il 1975 e il 1992 vedono nella vicenda urbanistica di R. un affollarsi di avvenimenti e di trasformazioni di vasto spessore e rilevanza, che li connotano nel segno del consumo nella volontà di guida sulla trasformazione della città, consolidata invece nel decennio precedente con la conclusiva approvazione del Piano Regolatore Generale (PRG). Un consumo che si dipana insieme a notevoli cambiamenti strutturali della vita della città. Di queste trasformazioni ne vanno messe in evidenza almeno tre: il rovesciamento della dinamica demografica che, ancora in forte crescita nel quindicennio 1961-74, da questo momento entra in rallentamento per poi iniziare quel calo che caratterizzerà l'arco decennale successivo (1981-91); il cambio nella guida politica della città con l'avvento al Campidoglio delle giunte di sinistra (1976-85), a cui farà seguito negli anni finali un ritorno alla maggioranza di centro-sinistra (pentapartito); una trasformazione verso i modi della gestione urbana, ora non costruita organicamente attraverso strumenti di pianificazione esecutiva derivati dalle indicazioni del PRG, ma affidati spesso a operazioni realizzate con progetti puntuali, in più o meno progressiva autonomia dalle pur ampie maglie previsionali dello strumento urbanistico generale vigente.
Il primo dei tre grandi temi − quello del rovesciamento nella tendenza di sviluppo demografico −, che ne è uno degli aspetti basali, colloca R. nel generale fenomeno di minore attrattività esercitata dalle grandi città italiane, a vantaggio della maglia urbana media o delle aree esterne contermini alle metropoli.
In termini molto sintetici la popolazione di R., mentre tra il 1961 e il 1974 prosegue la forte crescita precedente, con un aumento percentuale di quasi il 30% − a cui va sommato quello dei paesi della prima cintura, la cui crescita media sale del 65% (Pomezia +124%) −, tra il 1981 e il 1991 registra un calo del 2,3%, scendendo nel dato del 1991 dai 2.840.259 abitanti del 1981 ai 2.775.250 (v. tab. 1). Questo calo nel dato globale, sommandosi all'altro importante fenomeno di un accentuato processo di indebolimento residenziale dell'area centrale, a vantaggio sia del suo anello periferico che della prima cintura dei paesi esterni, evidenzia la presenza di decise trasformazioni in atto. Una tracimazione, che è fotografata da pochi dati essenziali: una diminuzione di circa 300.000 abitanti nelle aree centrali e intermedie della città, contestuale alla crescita di 168.000 abitanti nella sua periferia, con saldo negativo totale di −132.000 abitanti; l'incremento dei Comuni della prima cintura che presentano una crescita media del 15,92%, riverberato a livelli minori nei Comuni più esterni, dove si assesta sui valori del +6,77% (v. tab. 2). Dati tutti, che, anche ove non sovvenissero altre osservazioni, segnalano a evidenza l'evoluzione in atto e l'uscita di R. da quella condizione di insularità territoriale, quale vigeva ancora negli anni Sessanta; con una sua più decisa connessione demografica con i Comuni della sua area metropolitana.
L'ulteriore fenomeno evidenziatosi nel periodo in esame, quello della gestione urbana progressivamente fuoriuscente dalle previsioni generali del PRG, o da strumenti di riconnessione unitaria dello sviluppo urbano, è documentato dalla sorprendente vicenda del PRG della città. Questo strumento fondamentale, adottato nel dicembre 1962 e approvato nel dicembre 1965, negli anni successivi, a seguito dell'istituto delle Osservazioni, entrava in un organico processo di revisione, che veniva consolidato in due Varianti Generali: quella connessa al decreto di approvazione ministeriale adottata nel 1967 e quella adottata nel 1974 e approvata dalla Regione Lazio nel 1979, di approfondimento generale. Durante questo processo pianificatorio la città di R. attraverso un intenso dibattito, di cui in particolare va ricordato il contributo culturale prodotto dall'Associazione Autogoverno, animata soprattutto da A. Paglietti e M. D'Erme, aveva vissuto l'esperienza del decentramento amministrativo, attraverso la quale il corpo fisico della città era stato portato da realtà compatta, strutturata su processi di gestione e di organizzazione burocratica e verticistica, a una realtà urbana articolata in 20 elementi, le ''circoscrizioni''. La loro finalità avrebbe dovuto essere quella di rompere la rigidità gestionale dei processi urbani favorendo un decentramento del potere urbano (dal Campidoglio alle singole circoscrizioni) e una diffusione articolata della sua struttura amministrativa nella città. Con l'emergere di questa decisiva realtà, purtroppo non portata a quel pieno sviluppo che il problema avrebbe implicato, perché bloccata per lo più al livello del solo decentramento burocratico-amministrativo, veniva dato avvio a un processo di pianificazione urbanistica, che avrebbe potuto risolversi in un decisivo salto qualitativo della struttura urbana e sociale: l'avvio cioè di un arricchimento per maturazione ''locale'', e una specificazione delle previsioni generali del Piano Regolatore, per mezzo di singole varianti urbanistiche circoscrizionali, revisionando lo strumento di pianificazione a partire da una rilettura ''dal basso'', dalle esigenze dei cittadini di ciascuna circoscrizione. Si pensi al grande tema del rinnovamento dell'habitat, attraverso la qualificazione del sistema dei servizi e del verde di ogni quartiere, alla nervatura del sistema commerciale, o alle localizzazioni terziarie in ognuna delle 20 articolazioni della città.
Ma la grande operazione delle Varianti Circoscrizionali, avviata subito dopo l'adozione della Variante Generale del 1974 cominciando dalla 4ª circoscrizione e proseguendo con continuità in senso antiorario nelle altre, con l'avvento della sinistra nell'amministrazione cittadina subiva dapprima un rallentamento, per poi essere del tutto abbandonata: questo benché i Piani delle prime tre circoscrizioni (la 4ª, la 20ª, la 18ª) fossero stati adottati, e poi alcuni avviati alla Regione Lazio per la conclusiva approvazione, e benché buona parte degli altri − in particolare quelli della 19ª, 16ª, 15ª, 13ª − fossero arrivati a un avanzato stato di elaborazione. L'abortito passaggio dalla strumentazione generale del PRG a quella dei Piani Circoscrizionali veniva a coincidere con l'imporsi all'attenzione pubblica di alcuni problemi importanti, ma di scala parziale, con un caratteristico spostamento dall'attenzione al sistema strutturale della città − valga per tutti l'abbandono dell'impegno alla realizzazione dell'Asse Attrezzato, vero suo cardine strutturale − a problemi di taglio più particolare, per i quali il PRG demandava agli strumenti attuativi o su cui non offriva risposte. Di fatto, venendo appena dopo l'adozione della Variante Generale del PRG (agosto 1974), ciò avviava l'operatività verso una gestione urbanistica, che, abbandonando l'idea di sviluppare l'elaborazione del Piano Regolatore, metteva in sottordine anche la produzione di strumenti di pianificazione intermedia e si orientava verso interventi puntuali finalizzati al risanamento della vita nella città, alla qualificazione dei servizi e all'ampliamento della base produttiva di Roma. Interventi necessari, ma la cui coltivazione avrebbe potuto convivere con lo sviluppo di specificazioni locali del Piano Generale, già avviata, ma poi bloccata, con le Varianti Circoscrizionali, o gestibile con ulteriori strumenti di pianificazione.
Emergerà così l'attenzione a specifici progetti di notevole rilevanza, quali quello del grande Parco dell'Appia Antica previsto dal PRG, quello del nuovo assetto da conferire al complesso dell'ex Mattatoio di Testaccio, o quello del destino per aree centrali di particolare pregio come quelle antistanti l'Ospedale del Celio. Insieme però alla non avvertita urgenza di quei tanti ulteriori problemi che assimileranno i decenni successivi. Due tra i molti: la costruzione dell'Asse Attrezzato, problema cardine del PRG, necessaria per avviare un decentramento delle grandi attività terziarie e direzionali congestionanti l'area centrale, e la necessità di porre un freno al fenomeno dell'abusivismo residenziale, purtroppo già in pieno svolgimento. Catturano l'attenzione dell'amministrazione soprattutto alcuni temi del Centro: ciò in concomitanza con la costituzione di uno specifico assessorato al Centro Storico, guidato da V. Calzolari. Intorno a questo indirizzo si costituirà un positivo e vasto dibattito culturale, ancorché le realizzazioni di questa ''enfasi'' sull'area pregiata della città risulteranno scarsissime. Valgano per tutti il quantitativamente deludente risultato del recupero sul patrimonio residenziale pubblico nel Centro Storico, limitato a pochi complessi, e l'arresto alle sole proposte progettuali per il Parco dell'Appia Antica.
Mentre cioè sul tema, di forte valenza metropolitana, dell'Appia Antica la Calzolari, riprendendo e sviluppando le battaglie culturali e giornalistiche dei primi anni Cinquanta nonché gli studi svolti da C. Ceschi e consolidati nel Piano Paesistico del 1955 e nel vincolo apposto al comprensorio, riuscirà a produrre un importante progetto unitario del grande Parco, che avrebbe dovuto attuarsi in dieci anni, affrontandone il problema attuativo sia sulle aree pubbliche che su quelle private, sugli altri aspetti − quello del recupero residenziale, quello delle nuove destinazioni da conferire ad aree vuote del Centro Storico (aree antistanti l'Ospedale del Celio) e a manufatti usciti dall'utilizzazione (ex Mattatoio) − all'impegno profuso non arriderà un esito significativo. Pochissimi saranno gli alloggi recuperati in questa prima stagione utilizzando i finanziamenti delle leggi 865/71 e 513/77 dopo un estenuante iter (soltanto 91 alloggi tra Tor di Nona, via dei Cappellari, S. Paolo alla Regola e Palazzo Pizzicaria); inadeguati si riveleranno i Piani di Recupero per attivare un reale e urgente ''processo'' di recupero sull'estesissimo tessuto antico della città; scarsissima sarà la pianificazione urbanistica nel Centro Storico. Invece l'impegno sul recupero degli edifici di proprietà pubblica, nella seconda metà degli anni Ottanta, si sposterà sugli edifici ottocenteschi e su quelli di periferia toccando migliori risultati quantitativi.
Esito non molto diverso arriderà a uno strumento ulteriore di scala urbana, il 1° Piano Pluriennale di Attuazione (PPA) del PRG, che, sulla base della legge n. 10 Bucalossi del 1977, il Comune adotterà nel luglio 1979 e approverà nel maggio 1981. Il suo fine, ai sensi della legge istitutiva, avrebbe dovuto essere la programmazione delle priorità negli interventi da porre in essere nel suo periodo di validità, che per R. era stato definito negli anni 1978-83. Di fatto questo Piano, che portava a maturazione alcune norme di attuazione per programmi biennali già previste dal PRG della città, cadeva in una fase particolare: quella in cui l'andamento demografico, dopo la crescita degli anni Cinquanta e Sessanta, entrava nella sua fase di stallo, foriera di quel regresso che si svilupperà negli anni successivi. Il Piano Pluriennale, potenzialmente innovativo anche per le forme di consultazione che avrebbe potuto attivare dando un ruolo importante alle circoscrizioni, di fatto nel caso di R. veniva costruito verticisticamente e si concretava nella previsione attuativa di una quantità enorme di opere, i cui costi avrebbero comportato investimenti esorbitanti (circa 5400 miliardi). Ma, al di là della sua elefantiasi previsionale − 17 milioni di m3 di residenze, 6,5 milioni di m3 per edifici non residenziali, oltre 10 milioni di m3 per edifici industriali, 2,5 milioni di m3 per nuovi insediamenti direzionali in zona i-, nonché del carattere di programmazione ''labile'', a ''tempi scorrevoli'' e non ''definiti'', già in questo Piano gestionale prendeva corpo la tendenza, che si svilupperà a R. negli anni successivi, di prevedere significativi interventi in difformità rispetto al PRG. Ne sono esempio le previste localizzazioni per i nuovi Mercati Generali a Settebagni o per la Fiera di Roma a Lunghezza con forte sottolineatura − estranea al PRG − della direttrice Salaria e della Valle del Tevere. A ciò va aggiunta l'assenza di una vera ottica metropolitana, attraverso cui avviare quella terapia di decentramento da R. all'area centro-laziale e metropolitana, da tanto tempo proposta, ma mai realizzata.
Col 1981 la tendenza a focalizzare l'attenzione del dibattito urbanistico sui problemi del Centro Storico tocca un livello ulteriore, con l'emergenza del problema archeologico. In connessione con il varo della legge Biasini, la quale stanziava 180 miliardi per combattere il degrado dei monumenti romani, il soprintendente archeologico A. La Regina orientava il dibattito sull'opportunità di utilizzare quei fondi anche per la costituzione di un vasto Parco archeologico centrale, il quale unificasse le aree archeologiche emerse con gli sventramenti attuati negli anni Trenta tra il Colosseo e Piazza Venezia, sedimentati poi nella sistemazione di via dei Fori Imperiali: in modo da ''archeologizzare'' la vastissima area, eliminando le sistemazioni viarie e a verde allora definite. Così su un aspetto importante ma settoriale, qual è la tematica archeologica − costitutiva insieme al patrimonio storico-architettonico del carattere speciale di R. −, viene concentrato il dibattito cittadino, con un'enfatizzazione impropria del tema, se esso è visto nel quadro delle urgenze urbanistiche della città: si pensi alla realizzazione del Sistema Direzionale, alle grandi arterie per la mobilità, ai parcheggi e così via. Anche perché la proposta del Parco dei Fori indirettamente puntava a dirottare la maggior parte dei fondi della legge Bucalossi sul solo comparto archeologico, non solo su quello esistente, ma anche su quello potenziale ancora da scavare; relegando di fatto in secondo piano il problema della conservazione dell'altro gigantesco patrimonio romano, quello dei monumenti storici, delle grandi architetture medioevali, rinascimentali, barocche, ottocentesche, tutte, in vario modo bisognose di una tutela attiva, per l'elevato livello di degrado. Inoltre, a parte ogni osservazione in ordine al problema che qualsiasi scavo estende il patrimonio degli oggetti da porre sotto conservazione e quindi fa aumentare i relativi oneri economici, la prevista demolizione di via dei Fori faceva emergere altri contenziosi: oltre quello della liceità o meno di distruggere un assetto urbanistico storico, quello degli anni Trenta, e un'immagine ambientale fornita di qualità e di suggestioni storicamente consolidate, essa apriva un controverso rapporto di contrapposizione tra area centrale e aree periferiche. Infatti, se da un lato nascondeva la sua settorialità in ordine al problema dell'assetto strutturale della città tutta, dall'altro si disinteressava del fatto che l'abolizione di via dei Fori avrebbe posto in crisi una importante linea di ingresso dai settori Sud e Sud-Est verso l'area centrale. Tale assetto funzionale e strutturale di per sé non costituisce un'invariante e potrebbe, se necessario, essere eventualmente modificato: sempre che all'operazione innovativa preceda il necessario progetto di trasformazione del sistema degli usi funzionali, dei rapporti di mobilità e degli scambi tra i settori urbani, connessi vitalmente tra loro dalla fruizione delle attività, cosa del tutto trascurata in questo caso.
Il progetto Fori non solo non si inquadrava in qualche attenzione verso i giganteschi problemi della mobilità nell'area romana o del decentramento delle funzioni improprie dall'area centrale, ma, chiudendosi nell'insularità dell'autogratificazione culturale, contribuiva a complicarli. Questo progetto, che polarizzerà per parecchi anni l'attenzione del dibattito cittadino, verrà in qualche modo ridimensionato dalla stessa amministrazione che lo avrebbe dovuto gestire: da C. Aymonino, succeduto alla Calzolari nella guida dell'assessorato al Centro Storico, il quale definirà nella relazione alla delibera di Giunta del maggio 1984 la proposta di abolizione dell'ex via dell'Impero "semplicistica" così come formulata dalla Soprintendenza archeologica, dalla Commissione tecnico-urbanistica insediata ad hoc, che ne approverà la sola prima fase (sondaggi iniziali), da parte del ministero dei Beni culturali in sede di stanziamento nel 1983 dei fondi necessari, che ne limiterà la portata alla sola apertura di scavi su alcune delle aree libere al lato della via. Ancorché il soprintendente La Regina insisterà a lungo sul tema, anche facendo preparare un interessante progetto di assetto architettonico, che ne facesse apprezzare le potenzialità di immagine urbana, lo sviluppo successivo dato dall'assessorato al Centro Storico sarà di avviare un allargamento del problema oltre l'aspetto puramente archeologico, sollecitando un'apertura alle connessioni tra comparto archeologico e area centrale, e attivando lo studio per un bando di un concorso internazionale, poi rimasto inconcluso. Al comparto archeologico Aymonino affiancherà quello ulteriore del recupero delle aree libere e della reintegrazione dei tessuti edilizi nei suoi punti di slabbratura, creati per demolizioni o per interventi simili, attirando l'attenzione sui cosiddetti ''buchi''.
Su un livello diverso si colloca il 2° Piano per l'Edilizia Economica e Popolare (PEEP), presentato nel giugno 1985. Strumento finalizzato al reperimento di aree e alla definizione per ognuna di queste di un Piano particolareggiato esecutivo, esso nella sua prima quantificazione puntava alla costruzione di 211.000 nuove stanze, a cui si aggiungevano circa 156.000 stanze di edilizia pubblica in corso di attuazione. Questo PEEP, a parte le perplessità espresse da varie fonti circa la dimensione quantitativa eccessiva in una fase di stallo demografico, conteneva per lo meno due gravi aspetti: da una parte una notevole indifferenza verso le indicazioni localizzative residenziali previste dal PRG, dato che soltanto 29 delle sue 77 aree previste confermavano le destinazioni del PRG (cioè dei 5500 ha interessati ben 3600 erano in luoghi non confermati dal PRG); dall'altra la strategia, formulata in sede di impostazione del PEEP, di usare i nuovi Piani particolareggiati per integrare e/o ricucire le sparse nucleazioni residenziali (abusive o meno) della periferia romana, risultava globalmente disattesa nella fase operativa finale.
Circa il primo aspetto, che determinerà la protesta con relative dimissioni dal gruppo di progettazione di B. Zevi e S. Bonamico e quella ulteriore di S. Benedetti, S. Brugnoli, R. Giuffrè, C. Nucci, L. Passarelli, M. Rebecchini, G. Rolli per la disinvolta invasione di aree agricole anche al di là del Grande Raccordo Anulare, va sottolineato come, con questo ulteriore atto di pianificazione, si viene consolidando a livello dei grandi progetti di crescita urbana quella sorta d'insofferenza verso le indicazioni localizzative del vigente PRG, segnalata già nel precedente primo PPA. Si consolidava così un atteggiamento, che caratterizzerà gli anni Ottanta, anche a livello del dibattito culturale. Caratteristica a questo riguardo la polemica contrapposizione al piano urbanistico dell'operatività del progetto architettonico, il cui traguardo sarà una ''demolizione dell'urbanistica'', una diffusa critica alla pianificazione, la legittimazione dei ''condoni'', la coltivazione sistematica delle ''deroghe'', concretata anche nell'utilizzazione più estesa possibile di strumenti di gestione ''speciali'', spesso più adatti a venire incontro al sistema delle convenienze private. Ricorso sistematico alle Varianti Parziali, una gestione generosa del ''condono'' edilizio sull'edilizia abusiva, un utilizzo estesissimo dell'art. 81 del d.P.R. del 1977, oltre che di norme in deroga al Piano, sono alcune delle linee con cui la deregulation urbanistica si attuerà a R. in questi anni.
Circa il secondo aspetto del secondo PEEP, il fallimento della pur invocata strategia di ''ricucitura'' con cui i Piani particolareggiati relativi avrebbero dovuto prevalentemente concorrere alla riconnessione delle sparse membra edilizie della periferia di R., ne va sottolineata la gravità. Infatti se quella impostazione avrebbe richiesto l'elaborazione di nuovi quartieri in cui meno potesse evidenziarsi il gusto per un disegno urbano unitario, prevalendo di più il problema di una riconnessione ottenuta con progetti di tessuto edilizio, che, adeguandosi agli edifici esistenti, li rilegassero in complessi integrati, tuttavia − e si vedano i risultati raggiunti in alcuni progetti in cui essa è stata applicata, come quelli della zona Anagnina, di Rocca Fiorita e di Case Rosse − la ricompaginazione delle sparse nucleazioni costituiva il vero traguardo da perseguire. La scelta prevalente delle nuove localizzazioni residenziali cioè avrebbe dovuto cercare proprio quasi esclusivamente − invece di puntare a comprensori edilizi autonomi − l'inserimento entro aree interstiziali, attraverso cui l'intervento pubblico potesse avviare la necessaria integrazione sulla frantumata realtà edilizia. Oltre questi due decisivi rilievi va ricordato come il secondo PEEP prestava il fianco ad altre critiche. Tra queste il maldestro tentativo di esportare nei Comuni della prima cintura metropolitana di R. un certo numero di stanze necessarie per i fabbisogni della città, senza averne concertata la previsione con le autorità territoriali destinatarie dell'"esportazione'', circa il ''se'', il ''come'', il ''dove'' eventualmente localizzarle.
Tornando alla dominante attenzione portata sui temi del Centro Storico sopra segnalata, va notato come essa, pur richiamando l'interesse sull'area cuore di R. − sul restauro del suo patrimonio edilizio, sul ruolo del patrimonio archeologico, sul degrado dei suoi monumenti, sui ''buchi'' da reintegrare − d'altra parte aveva fatto passare altri pur importanti aspetti in secondo piano. Primo tra tutti l'irrinunciabile affronto della sua patologia terziaria e direzionale da decentrare, su cui pure era imperniata la strategia di base del PRG: per il quale era stato previsto a Est un nuovo sistema direzionale da creare a cavallo tra le aree centrali e la periferia, dove poter riallocare i ministeri e le concentrazioni di uffici, che lo sovraccaricavano funzionalmente. Anzi, proprio l'estenuante incapacità delle diverse élites politiche romane di portare a soluzione tale nodo di fondo dell'equilibrio urbanistico, siano state esse quelle del centrosinistra o quelle di sinistra, è sintomatica delle ulteriori difficoltà. Infatti dopo il primo fallito tentativo, dei primi anni Settanta, fatto dal Comune d'intesa con l'IRI per avviare a realizzazione quello che nel PRG del 1962 era chiamato l'Asse Attrezzato, bloccato dall'allora ministro dei Lavori pubblici G. Mancini, la stessa previsione venne fortemente ridimensionata e rititolata nell'attuale Sistema Direzionale Orientale (SDO). Le sue cubature sono passate dai circa 40 milioni dell'originario Asse Attrezzato del 1962 dapprima − onde dotare di aree pubbliche le aree contermini − a 14 milioni, contemplati nella Variante Generale del 1974, poi ai 10 milioni della delibera-quadro sullo SDO del maggio 1981. Ma solo col 1983 se ne avvia lo studio di fattibilità confermandone l'incarico al Consorzio SDO (Imprese, Cooperative, Comune), mentre nel novembre 1988 sono nominati tre ''saggi'' (S. Cassese, G. Scimemi, K. Tange), col fine di coadiuvare il Consorzio SDO nel corso della progettazione. A questi viene affiancata l'ulteriore Commissione mista (Ministeri -Comune) per la quantificazione e definizione delle quantità e qualità di uffici ministeriali da decentrare nel nuovo sistema urbano, vicenda progettuale che purtroppo ancora oggi risulta aperta e indefinita.
Durante gli ultimi anni del decennio la tendenza a operare o a proporre in difformità dal Piano Regolatore divenne più tumultuosa; al punto che R. in questo periodo, in un testo dell'Istituto Nazionale di Urbanistica, è stata definita "città senza Piano". Ciò è avvenuto anche per la concomitanza di almeno due fattori nuovi: lo svolgimento nel 1990 dei campionati mondiali di calcio, che ebbero sede in Italia toccando R. e varie altre città; la definizione di provvidenze legislative speciali per adeguare R. alle esigenze di capitale (l. 326 del 1990 per ''Roma Capitale''). Su questi fattori si viene a concentrare dal 1988 in poi l'attenzione del dibattito e dell'operatività principale. Le urgenze esecutive che essi imposero, anche per le scadenze legislative connesse ai finanziamenti per le opere da realizzare, hanno costituito uno stimolo ulteriore a operare in difformità dagli strumenti e dalle limitazioni urbanistiche vigenti. La legge per ''Roma '90'', che finanzierà i progetti legati ai campionati di calcio, nasce soprattutto per integrare gli impianti e le attrezzature della città all'avvenimento sportivo mondiale, comprendendo, fra l'altro, l'adeguamento degli impianti radiotelevisivi RAI con le nuove attrezzature di Saxa Rubra necessarie alla diffusione mondiale di quegli avvenimenti, la risoluzione di nodi e strozzature della mobilità nella città, la qualificazione dei collegamenti e delle attrezzature tra l'aeroporto di Fiumicino e Roma (air-terminal alla stazione Ostiense).
La contingenza di ''Roma '90'', che avrebbe potuto divenire occasione per studiare un quadro organico di opere nella prospettiva di un miglioramento generale della città attraverso l'elaborazione di un ''piano di struttura'' dell'area romana inquadrante gli interventi in connessione di priorità − una vicenda analoga, legata alle Olimpiadi del 1960 svoltesi a Roma, era risultata sostanzialmente positiva − di fatto si è risolta in una somma alquanto occasionale di realizzazioni sotto la pressione del pochissimo tempo a disposizione. Caso specifico di opera notevole, ma frutto di scelte prive del necessario inquadramento urbanistico, è l'air-terminal all'Ostiense, che, ad appena quattro anni dalla sua messa in attività, si è rivelato non più rispondente allo scopo di origine: costituire l'attestazione nella città della metropolitana proveniente dall'aeroporto di Fiumicino, liberando la congestionata stazione Termini da tale compito. Infatti la recente decisione delle Ferrovie dello Stato, di localizzare alla stazione Tiburtina la funzione di terminal per tale metropolitana, onde connetterla più centralmente con la città e con i grandi fasci ferroviari nazionali, ha reso inutile l'attrezzatura all'Ostiense, svuotando questo edificio, e le sue notevoli pertinenze di parcheggi e altro, della sua ragione d'essere.
A questa caotica operatività, che non si è comunque tutta risolta nella negativa esemplarità dell'air-terminal Ostiense, ha fatto seguito sul volgere del decennio un crescente immobilismo nell'attività di pianificazione generale: col progressivo arresto nell'elaborazione o nel mancato aggiornamento di strumenti urbanistici generali e particolareggiati, necessari ad avviare realizzazioni edilizie significative. Peggio ancora, si sono anche trascurate alcune previsioni di notevole peso contenute nel PRG, che potevano essere riprese e avviate all'operatività. Valgano per tutte, oltre al pluridecennale tema dello SDO, quello delle arterie di scorrimento orientale della città, dei parcheggi, delle linee metropolitane trasversali e tangenziali, e così via; o, per quanto riguarda strumenti urbanistici generali, l'avvio di quella indispensabile verifica delle previsioni attive o superate nel vigente PRG, necessaria onde poter pensare all'elaborazione della più volte richiesta Variante Generale al PRG; o, cosa sempre più urgente, la necessità di avviare lo studio di R. nel contesto della sua area metropolitana: non solo per l'attivarsi di scelte territoriali laziali consolidate dai Piani Territoriali di Coordinamento (PTC) allo studio da parte della Regione Lazio, ma soprattutto per l'emergere della nuova legislazione nazionale sulle aree metropolitane (l. n. 142 del 1990).
Una stasi pianificatoria il cui elenco potrebbe proseguire con l'evidenziare la carenza di Piani di inquadramento e Piani particolareggiati per il Centro Storico; la mancanza di Piani esecutivi per le zone B e D, relative alla città consolidata; la mancanza di Piani per le zone C, di ridimensionamento viario; quella per le zone F1, di ristrutturazione; così come per le zone I direzionali. A questo va aggiunta la vicenda, senza fine, dei Piani particolareggiati delle Zone O, relativi all'edilizia abusiva, la cui storia è quanto mai sintomatica per il suo iter ultraquindicennale ancora aperto. È col 1976 che si affronta la definizione dei nuclei abusivi operandone una prima perimetrazione, estesa in una seconda fase nel 1977, col fine − più che di cercare una connessione tra le nuove unità residenziali e il settore urbano di appartenenza − di garantire al singolo nucleo un adeguamento nelle infrastrutture e una previsione di aree per servizi e verde adeguate agli standard della città; consentendo altresì un completamento di edificazione delle aree libere interne ai perimetri definiti. La perimetrazione, adottata nel 1978 e aggiornata nel 1983 dopo lo svolgimento delle Osservazioni della Regione Lazio, viene strutturata in 85 nuclei su 4400 ha, con un numero di 424.673 stanze tra quelle esistenti e quelle realizzabili ancora. Soltanto nel 1986 il Comune stipulerà gli incarichi dei Piani particolareggiati dei singoli nuclei coinvolgendo circa 500 professionisti. Ma al 1990 solo uno, tra queste decine di Piani in itinere, era arrivato all'adozione del Consiglio comunale. Mancanza di un coordinamento che permettesse di affrontare un inquadramento di tali Piani particolareggiati entro il settore urbano di competenza, impellente in molti casi a causa del concentrarsi di tali insediamenti abusivi in alcuni dintorni della periferia, mancanza di scelte orientatrici alla notevole operazione messa in atto con l'avvio dei tanti Piani, poca chiarezza circa i problemi di fattibilità economica connessi alle tante opere pubbliche da realizzare sulla base delle previsioni emergenti, sono soltanto alcune delle carenze che un'operazione, pure necessaria e coraggiosa, ha evidenziato. A questo non esaltante quadro fa riscontro sul finire degli anni Ottanta un'operatività facente spesso ricorso a strumenti attuativi speciali, giustificati da condizioni di eccezionalità, i quali a R. sono spesso divenuti una sorta di "emergenza permanente", come ebbe a dire M. Vittorini. Ai provvedimenti di ''Roma '90'' di cui si è detto, va sommato l'uso e l'operatività attivata dall'articolo 81 del d.P.R. 616 del 1977, che determina una corsia esecutiva privilegiata per interventi dello stato anche in difformità degli strumenti urbanistici vigenti. Tale articolo, essendo utilizzabile per nuove costruzioni, ampliamenti o ristrutturazioni, nel solo comparto delle nuove costruzioni ha toccato quasi i 2 milioni di m3. A ciò va aggiunta la vicenda, di questi ultimi anni, delle concessioni edilizie rilasciate in zone già vincolate a verde o servizi, e ora liberate da tali vincoli di PRG per decadenza legislativa degli stessi e per mancanza di strumenti che le salvaguardino. Su queste aree, ai sensi di alcuni pareri già emersi al Tribunale Amministrativo Regionale, sembrerebbe si possano realizzare uffici, commercio, artigianato fino a 2,5 m3/m2: con sconvolgimenti dell'equilibrio territoriale chiaramente immaginabili.
La legge per ''Roma Capitale'', come s'è accennato, è l'altro strumento operativo emerso negli ultimi anni Ottanta per far fronte alle incombenze del ruolo che R. svolge come centro nazionale. L'idea di questa esigenza, da sempre affidata alla città senza un particolare riconoscimento finanziario, emersa dapprima con il D.L. n. 67 del maggio 1987 contenente la previsione di stanziamenti per lo studio dello SDO e il prolungamento a ovest della linea metropolitana A, viene consolidata − dopo ulteriori tentativi legislativi del settembre 1987 e del marzo 1989 − nella l. 396 del 1990. Con questa si definiscono spazi operativi per interventi organici di grande impegno, estesi anche all'area metropolitana romana. È così che con le prime scelte si avviano a finanziamento gli studi e l'acquisizione delle aree necessarie alla realizzazione dello SDO; si propone l'attacco al problema dell'inquinamento atmosferico nella città e dello smaltimento dei rifiuti, il miglioramento della mobilità veicolare, l'acquisizione di aree per il verde pubblico, l'avvio a lungo atteso della realizzazione del grande Parco dell'Appia Antica, la conservazione dei monumenti, e così via. Questa sommaria elencazione mostra la vasta potenzialità di rinnovamento urbano attivabile con i flussi finanziari di questa legge: sempre che l'amministrazione comunale sappia adempiere ai compiti che le sono riservati all'interno di quegli ''accordi di programma'' previsti dalla concertazione attuativa.
Gli anni Novanta si presentano quindi sotto il segno di un consumo progressivo della capacità programmatoria dell'amministrazione comunale: a cui non hanno ridato forza propositiva la Variante di Salvaguardia e la Variante per il rinnovo dei Vincoli Urbanistici, pure messe in cantiere. Esempio manifesto di questo logoramento è il libro Idee e progetti per Roma Capitale preparato dalla Lega delle Cooperative per il dibattito cittadino, in cui la maggior parte delle pur interessanti proposte sono in contrasto col PRG: un'evasione che in questi ultimi anni si è concretizzata nell'indefinito accumulo di proposte per la localizzazione di alcune grandi attrezzature, che da sempre aspettano la necessaria definizione, quali il nuovo Auditorium o la Città della musica, il Centro congressi, il Centro agro-alimentare, la realizzazione delle grandi attrezzature per il verde e per la mobilità.
Ma onde uscire dal pessimismo che lo stato dei fatti induce, e volendo dar credito a una possibile ''speranza progettuale'' sarà il caso di accennare alla potenziale nuova realtà, che potrebbe nascere per R. dalla messa in attuazione della l. 142 del 1990. Questa innovazione legislativa, che propone per l'Italia la riorganizzazione delle principali aree metropolitane, connettendo in una visione unitaria il Comune centrale con i Comuni della cintura metropolitana, contiene, insieme alla previsione di una organizzazione nuova dei Comuni esterni, l'esigenza − per la città centrale − di una articolazione del corpo urbano in un sistema interno di ''Comuni''. Il disegno di suddivisione coordinata, che porta a maturazione le idee agitate dalle lotte per l'autogoverno urbano negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, può ora maturare in un compiuto decentramento atto a costituire sottounità di dimensione media, meglio gestibili attraverso ''autorità'' meno lontane dalle esigenze di servizi e di qualità di vita dei cittadini.
Questa prospettiva innovativa per R. si presenta come decisiva per avviare la riorganizzazione delle sue strutture amministrative, politiche e sociali nell'ottica di far emergere i diversi caratteri locali propri a più polarità urbane già costituitesi nel corpo della città attuale. Essa, mentre a livello di grande struttura generale − le scelte strategiche, i grandi servizi, la grande mobilità e così via − sarà guidata e definita da un Piano territoriale di coordinamento del comprensorio metropolitano, a livello di qualificazione dell'habitat sarà articolata da un sistema coordinato di Piani urbanistici, rispettivamente gestiti dai singoli ''Comuni'' metropolitani.
La possibilità di innescare un nuovo equilibrio e una nuova articolazione non nasce soltanto per effetto della prospettazione legislativa, ma può emergere a partire dalla pluralità di attività e di qualificazioni, che la città ha già consolidato nelle sue varie parti. Per dare appena un cenno su questa pluralità di ''sistemi coordinatori'' in sviluppo o potenziali, presenti anche nel tessuto periferico di R. basterà accennare appena ad alcuni ''luoghi centrali'' già individuabili o in formazione in questa cintura: così il grande asse commerciale già stabilizzato dell'Appia Nuova da Porta S. Giovanni all'Alberone, la via Tuscolana da Porta Furba a Cinecittà, il sistema complesso Corso Trieste-Viale Libia-Viale Eritrea, l'asse universitario e terziario di Viale Regina Margherita e Viale Liegi; le forti polarizzazioni dei nuovi grandi centri commerciali dell'estrema periferia (Cinecittà 2, Granai di Nerva, Ipermondo, ecc.). Allargando lo sguardo alle potenzialità offerte dalle attività già radicate nella cintura esterna, basterà ricordare: per il litorale il polo dell'aeroporto intercontinentale di Fiumicino con i suoi 15.000 addetti e le attrezzature della portualità turistica di Fiumicino, cui va aggiunta la ricchezza turistica delle preesistenze archeologiche di Ostia e dei porti di Traiano e Claudio; per l'Ovest i grandi complessi ospedalieri, soprattutto il grande ospedale A. Gemelli con oltre 6000 addetti, e la dislocazione di tanti servizi privati e pubblici sull'Aurelia (alberghi, collegi, centri studi, ENEA alla Casaccia, SIP, ecc.); per il Nord-Ovest il sistema di S. Maria della Pietà e il grande Parco intercomunale di Veio di circa 6000 ha; per l'Est l'insieme di attività terziarie e produttive in formazione lungo il Raccordo Anulare, anche in rapporto con l'università di Tor Vergata e il grande insediamento della Banca d'Italia a Vermicino; per il Sud l'EUR con la sua consolidata complessità di grande centro urbano, il Parco dell'Appia Antica, il polo tecnologico di Castel Romano, l'interporto a S. Palomba, contiguo all'area industriale di Pomezia che è ormai una delle più importanti aree industriali italiane.
Riaggregando il vigente sistema delle 20 circoscrizioni, leggendo e valorizzando i molteplici ''sistemi centrali'', già consolidati o in corso di formazione, sia nell'anello dei quartieri sia in periferia, potrà avviarsi quella riqualificazione che chi scrive ha proposto di definire nuova ''Decapoli romana''. Se questa nuova struttura, che si innesta sulla proposta di una R. policentrica avanzata da P. Samperi già nei primi anni Settanta e che ha trovato echi e svolgimenti efficaci nelle riflessioni più recenti di M. Vittorini, potrà decollare, il problema dell'organica connessione tra previsioni di sviluppo unitario di larga scala, coordinato a livello di Piano territoriale dell'area metropolitana, e quelle della costruzione di un articolato sistema di ''complessità urbane'' di valenza locale potrà trovare un'efficace sintesi. In ognuno dei nuovi dieci ''luoghi centrali'' della R. del 2000 la possibile maturazione di un polifunzionale ''conglomerato'', ricco di attrezzature, di fonti di lavoro terziario e direzionale, di commercio e di qualità urbana, potrà divenire occasione per ripensare in modo nuovo e risolvere problemi vecchi e nuovi dell'attuale condizione romana; dando maturazione per R. a quella cultura della ''trasformazione'' della città (successiva a quella cultura della ''espansione'' che aveva caratterizzato il Piano degli anni Sessanta) e che connota a livello nazionale i Piani urbanistici detti di ''terza generazione''. Vedi tav. f.t.
Bibl.: Sui problemi del Piano Regolatore Generale e dell'articolazione circoscrizionale: A. Paglietti, Problemi dell'autogoverno, in Donna e Società, dicembre 1968; P. Samperi, Temi di urbanistica romana, Roma 1981; M. D'Erme, Tesi per una teologia del territorio, Napoli 1984. Sulle vicende del Parco dell'Appia Antica e del Progetto Fori: C. Ceschi, La mostra dell'Appia Antica a Palazzo Venezia, in Capitolium, giugno 1956; AA.VV., Archeologia e progetto, catalogo della mostra, Roma 1983; L. Barroero, A. Conti, A.M. Racheli, M. Serio, Via dei Fori Imperiali - la zona archeologica di Roma: urbanistica, beni artistici e politica culturale, Venezia 1983; AA.VV., Piano per il Parco dell'Appia Antica. Studio coordinato da V. Calzolari, 2 voll., Roma 1984; Roma. Studio per la sistemazione dell'area archeologica centrale, a cura di L. Benevolo, ivi 1985. Sull'articolazione di Roma in sottounità urbane: P. Samperi, Urbanistica Romana, "Edizioni Capitolium", Fascicoli 3-6, Roma 1971; Id., L'organizzazione policentrica della città, in Temi di urbanistica romana, ivi 1981. Sugli ulteriori temi evidenziati: AA.VV., Il recupero degli insediamenti abusivi, Comune di Roma, USPR, Documenti 1, 1981; AA.VV., La direzionalità a Roma, a cura di E. Ingrao, USPR, Documenti 7-9, 1984; AA.VV., Dieci anni di lotte dell'unione delle borgate, 1976-85, Roma s.d.; AA.VV., Il secondo P.E.E.P. di Roma, Comune di Roma, USPR, Documenti 12, s.d. Sul contributo dei progettisti esterni all'USPR nella Variante al PRG del 1974: E. Borsi, M. D'Erme, P.M. Lugli, C. Nucci, M. Vittorini, La revisione del Piano Regolatore di Roma, 1972-73. Riferimenti di documentazione, Roma 1974. Sui problemi generali di R. negli anni Ottanta-Novanta: Lega delle Cooperative del Lazio, Idee e progetti per Roma Capitale, Roma 1991; AA.VV., La città senza Piano. Le trasformazioni urbanistiche di Roma negli anni '80, INU, ivi 1992; M. Sanfilippo, Le tre città di Roma. Lo sviluppo urbano dalle origini ad oggi, Roma-Bari 1993. Sui problemi culturali della vicenda urbanistica in Italia negli anni in esame, nonché sulle prospettive metropolitane di R.: G. Campos Venuti, La terza generazione dell'urbanistica, Milano 1988; S. Benedetti, La nuova Roma metropolitana: per una nuova organizzazione e qualificazione, in Proposte delle ACLI per il Lazio, iii, 1-2, 1991 (Atti del convegno del giugno 1990); M. Vittorini, Progettare una città policentrica, in AA.VV., Metropoli e qualità dell'ambiente, Roma 1992. Molto utili per seguire lo svolgersi della vicenda urbanistica romana sono le sintesi − a cadenza quasi annuale − contenute nella rubrica "Territorio, città, monumenti" della rivista Studi Romani, edita dall'Istituto Nazionale di Studi Romani.
Archeologia. - Un eccezionale fervore di iniziative e di progetti ha caratterizzato la ricerca archeologica e topografica in questo ultimo quindicennio; si può dire che in ogni campo degli studi su R., dalle fasi protostoriche all'età classica e all'età medievale, la quantità di nuovi dati e scoperte sia tale che gran parte delle conoscenze tradizionalmente acquisite risulti profondamente modificata, rinnovata e comunque notevolmente arricchita. Di grande importanza è il fatto che la quasi totalità di questi nuovi dati sia il frutto non di ricerche episodiche e settoriali, ma di programmi organici e articolati (condotti spesso in collaborazione tra enti e istituti italiani e stranieri). Va anzi sottolineato come una delle caratteristiche più evidenti dell'attività scientifica di questi anni sia la capacità di progettazione e realizzazione di interventi in cui i monumenti antichi sono considerati in stretto rapporto con il tessuto urbano attuale, nella consapevolezza che il futuro stesso delle emergenze archeologiche dipende dalla corretta evoluzione e trasformazione della città moderna. In questo ambito va inquadrato l'eccezionale impegno profuso nelle campagne di restauro dei più famosi monumenti marmorei minacciati dall'inquinamento atmosferico, con interventi già compiuti o in via di completamento (arco di Settimio Severo, tempio di Vespasiano, tempio di Saturno, colonna di Foca, tempio dei Castori, arco di Tito, arco di Costantino, arco degli Argentari, arco di Giano, templi del Foro Boario, teatro di Marcello, colonna Traiana, Colonnacce, colonna Antonina, tempio di Adriano). La ricomposizione dell'unitarietà concettuale e architettonica dei grandi complessi monumentali è un altro dei grandi temi affrontati. Interventi di scavo a questo proposito sono stati progettati e avviati per es. nella piazza del Colosseo e alle pendici del Campidoglio, per restituire alla piazza del Foro Romano l'originaria continuità.
Il programma di scavo dei Fori Imperiali, che tanta vivacità polemica ha suscitato nel mondo della cultura e nell'opinione pubblica, risponde pure alla necessità di ristabilire il collegamento fra le varie parti delle grandi piazze imperiali, interrotto dalle vicende urbanistiche moderne (tracciato della via dell'Impero). L'esecuzione di questi scavi riveste particolare complessità proprio per il fatto di operare all'interno di una realtà urbana complessa e pluristratificata, e a tale proposito sono stati affrontati in varie occasioni in questi anni anche i problemi relativi alla tecnica di scavo (un particolare esempio di ''archeologia urbana'' si è avuto nel cantiere della crypta Balbi).
Importanti novità nel campo più specificamente topografico sono state acquisite grazie a programmi di studio basati sull'approfondimento delle metodologie d'indagine. In particolar modo si possono ricordare a tale riguardo alcune ricerche imperniate sul rilievo diretto e sull'analisi critica dei monumenti, le quali hanno fornito importanti precisazioni in relazione alla piazza del Foro Romano (arco di Augusto, tempio del Divo Giulio, lacus Curtius, pavimentazione della piazza, rostri, localizzazione dell'equus Domitiani).
Altra rilevante linea di ricerca è stata in questi anni la redazione di una nuova Carta Archeologica di R., fondamentale punto di partenza per tutti gli studi su R. antica, a sostituzione e integrazione della monumentale Forma Urbis Romae di R. Lanciani. Tali ricerche, basate sulla ricognizione integrale, sulla documentazione grafica e fotografica dei monumenti e sul ricontrollo di tutto il materiale di archivio, sono ancora in corso; dai lavori finora effettuati si ricavano importanti precisazioni e aggiornamenti, in particolare per il Campo Marzio, Trastevere, la Subura. In qualche caso il ricontrollo delle notizie d'archivio ha permesso la ''riscoperta'' di monumenti venuti alla luce alla fine del secolo 19° e non più considerati (per es. il ninfeo con pavimenti a mosaico policromo, nelle cantine di uno stabile in via Sistina).
L'eccezionale quantità di nuovi dati che si è riscontrata ha inoltre stimolato la riconsiderazione critica, anche alla luce dello studio delle testimonianze letterarie, dei grandi temi tradizionali di topografia romana. In questo ambito vanno ricordate le vivaci discussioni su nuove ipotesi relative al percorso della via Sacra, sull'assetto topografico del Foro Romano tra l'età arcaica e l'età repubblicana, sul Foro Boario, oltre a rilevanti contributi sull'evoluzione dello spazio urbano tra l'età repubblicana e il 3° secolo d.C. (L'Urbs..., 1987). Momenti importanti di confronto e di discussione alla luce dei risultati delle nuove scoperte sono stati dedicati all'età augustea, con particolare riguardo ai rapporti tra edilizia monumentale e ideologia del principato (Kaiser Augustus..., 1988) e all'età arcaica (La grande Roma dei Tarquini, 1990). Di notevole interesse, infine, alcune ricerche volte, oltre che allo studio dei monumenti, anche alla ricostruzione del relativo sistema decorativo; si ricorda, per es., la ricomposizione del ciclo decorativo delle sculture frontonali del tempio di Apollo Sosiano (La Rocca 1985).
Per una sintetica esposizione delle principali scoperte e degli scavi è sembrato opportuno seguire la tradizionale suddivisione della città nelle quattordici regioni dell'ordinamento augusteo.
Regione II. - Celio. Piazza Celimontana. Sono stati rinvenuti cospicui resti di due insulae della fine del 1° secolo d.C., con pianoterra gravitante su un cortile quadrangolare e con una fila di tabernae a uno o due vani che si affacciavano sul vicus capitis Africae; agli anni immediatamente successivi all'incendio neroniano del 64 d.C. va invece riferito un lungo muro di terrazzamento; le realtà più antiche rinvenute nel corso delle indagini sono alcune strutture riferibili a un ambiente con pavimento in battuto di malta e decorazione parietale geometrica, databile alla prima età imperiale.
Ospedale militare. Sono stati effettuati scavi in relazione ai lavori di ammodernamento e ristrutturazione dell'ospedale. I saggi hanno messo in luce parte di un quartiere organizzato in isolati con caseggiati di affitto con la fronte a tabernae impiantati nella seconda metà del 1° secolo d.C. Uno di questi isolati risulta interamente occupato da una grande cisterna costituita da una serie di ambienti disposti su più piani e divisi da pilastri. Un altro isolato è occupato dalla basilica Hilariana, complesso costruito nella metà del 2° secolo d.C., suddiviso in più navate da pilastri, sede del collegio dei sacerdoti (dendrofori) addetti al culto di Cibele e Attis. Gli scavi hanno inoltre documentato una generale ristrutturazione di questo settore del colle nell'ambito del 3° secolo: in particolare su uno degli isolati viene impiantata una ricca domus costituita da ambienti gravitanti attorno a un cortile centrale. Si evidenzia la trasformazione degli isolati ad abitazione intensiva in residenze di ricche famiglie aristocratiche, come viene ampiamente testimoniato dalle fonti letterarie ed epigrafiche.
Regione III. - Colle Oppio. Porticus Liviae. Scavi effettuati nell'area compresa tra via delle Sette Sale e Santa Lucia in Selce (mensa facoltà d'Ingegneria) hanno fatto rinvenire notevoli resti della porticus, a conferma dell'orientamento della pianta dell'edificio delineata nella Forma Urbis severiana, con tratti del lastricato marmoreo della piazza e vari ambienti sostruttivi. La zona nel 5°-6° secolo fu occupata da un sepolcreto. Nel corso degli stessi lavori sono venute in luce strutture pertinenti all'abside occidentale delle Terme di Traiano.
Valle del Colosseo e Meta sudans. Lo scavo ha interessato l'area compresa tra Colosseo, tempio di Venere e Roma e via Sacra (piazza del Colosseo). Sono state rinvenute le fondazioni della statua colossale di Nerone e della Meta sudans, rasate al livello stradale moderno negli anni Trenta. Le indagini si sono particolarmente concentrate sulla Meta, consentendo chiarimenti importanti sul sistema di costruzione, sulle fasi di uso (a partire dall'età domizianea) e sul funzionamento. Nel corso degli scavi si sono inoltre rinvenute altre fondazioni aventi orientamento NE-SO, tra cui quelle di una fila di ambienti paralleli pertinenti molto probabilmente all'età neroniana.
Colosseo. Sono stati eseguiti restauri e saggi di scavo; le ricerche si sono concentrate sull'esame delle fondazioni, che poggiano su strati di limo lacustre. L'intera zona presentava falde d'acqua sotterranee che fu necessario incanalare in una serie di collettori. Gli sterri nei collettori est e ovest hanno fornito importanti dati, che sono in relazione con le notizie delle fonti letterarie sulle fasi di abbandono e successivi restauri dell'anfiteatro. L'esame degli ipogei ha fornito precisazioni sulle fasi domizianea e teodoriciana dell'edificio.
Regione V. - Via Eleniana. Durante lavori per la posa in opera di cavi elettrici sono stati rinvenuti alcuni ambienti ipoteticamente pertinenti a una domus che, in base ai resti conservati della pavimentazione e della decorazione pittorica, sono databili tra la fine del 2° e gli inizi del 3° secolo d.C.
Chiesa di S. Vito. Si sono rinvenuti tratti della cinta muraria ''serviana'', con fasi di 5° e 6° secolo a.C. Alcune di tali strutture sono probabilmente riferibili alla Porta Esquilina.
Regione VI. - Terme di Diocleziano. Sono stati compiuti saggi di scavo negli ambienti delle terme ai lati di via Cernaia, nell'ambito del progetto relativo alla ricomposizione dell'intero complesso monumentale: rinvenuti pavimenti a mosaico e parti del sistema fognario, con importanti precisazioni sulla planimetria delle aule termali.
Via Cimarra. Lavori di restauro eseguiti al n. civico 37 hanno fatto rinvenire vari ambienti pertinenti a un vasto complesso risalente al 1° secolo a.C. Si tratta di due nuclei a livelli differenti, con stanze in opera reticolata, pavimenti a tarsie marmoree e mosaico e criptoportici con resti di pitture murali.
Regione VII. - Convento di Trinità dei Monti. Durante scavi nel complesso della villa di Lucullo, saggi stratigrafici condotti nel giardino del convento hanno fatto rinvenire un ampio tratto di un muro curvilineo in opera mista con nicchie (1° secolo d.C.), che è forse possibile identificare con il grande emiciclo disegnato da Pirro Ligorio. Nel corso dei lavori sono stati indagati anche livelli stratigrafici e strutture del 1° secolo a.C. Ad epoca precedente l'impianto della villa di Lucullo risalgono alcuni resti in opera quadrata di peperino, che si possono forse ricondurre a un piccolo santuario.
Regione VIII. - Foro Romano. Lato occidentale e pendici del Campidoglio. Sono stati rimessi in luce il Clivo Capitolino, il basamento del tempio della Concordia (con fasi dalla prima età repubblicana all'età augustea) e i fianchi, prospicienti il clivo, del tempio di Saturno (con rinvenimento di strutture all'interno del podio riferibili alla fine del 6° secolo a.C.), del tempio di Vespasiano e del Portico degli Dei Consenti; di particolare interesse è il rinvenimento presso il lato sinistro del tempio della Concordia di un edificio con pavimento in opus sectile e di un'area sacra con deposito di materiali votivi della prima metà del 6° secolo a.C.; nella zona retrostante il tempio di Saturno lo scavo ha interessato un vasto settore del quartiere abitativo medievale e rinascimentale che sorse sulle rovine dei monumenti antichi e che presenta fasi di vita fino al 19° secolo.
S. Maria Antiqua. Sono state identificate una parte del tracciato del vicus Tuscus a sud della Basilica Giulia e una serie di strutture tardo-repubblicane su cui s'impianta, in età augustea, un vasto edificio di carattere utilitario con pavimento in opus spicatum; a una fase successiva va assegnata la costruzione di un vasto atrio tetrastilo: tale edificio è stato identificato con l'ampliamento del palazzo imperiale realizzato da Caligola, ben noto dalle fonti letterarie.
Regia. Saggi di limitata estensione sono stati condotti nell'area compresa tra la Regia e l'atrium Vestae, volti a chiarire i rapporti topografici tra i due complessi; è stata rimessa in luce una serie di tracciati stradali sovrapposti; al di sotto della pavimentazione più antica, alcuni carotaggi hanno rivelato la presenza di resti riferibili all'abitato capannicolo del Foro e inquadrabili nell'ambito dell'età del Ferro laziale.
Lacus Iuturnae. Sono state individuate varie fasi del complesso, che vanno dal 168 a.C. all'età domizianea; per il sacello di Giuturna viene pure proposta una fase di ristrutturazione in età domizianea con un totale rifacimento nel 3° secolo d.C.; nell'area dell'Oratorio dei Quaranta martiri (curia Acculeia), la trasformazione in ampio piazzale pavimentato viene messa in relazione con la presenza della statio Aquarum nell'area del lacus già nel 3° secolo.
Tempio dei Castori. I saggi all'esterno del tempio hanno permesso d'individuare resti di costruzioni repubblicane distrutte durante la fase tiberiana dell'edificio e un notevole scarico di materiali sul lato occidentale, databili nell'ambito del 6° secolo a.C.; l'indagine all'interno del podio ha rimesso in luce cospicue tracce del tempio metelliano: il santuario arcaico, prostilo, tetrastilo, è in opera quadrata di tufo; la planimetria propone lo schema del tempio tuscanico.
Vicus ad Carinas. Lo scavo ha interessato il cosiddetto Portichetto medievale e un breve tratto del vicus; sono state individuate varie strutture comprese in un arco cronologico tra il 6° secolo a.C. e il 1° secolo d.C., che consentono di escludere la presenza nella zona di un tracciato stradale trasversale alla via Sacra; all'età vespasianea, in occasione dei grandi lavori per l'impianto del Templum Pacis, va attribuita l'apertura della strada che permette il collegamento con il quartiere delle Carinae aggirando il Foro, come è rappresentato nella pianta marmorea severiana.
Fori Imperiali. Un importante programma elaborato dalla Soprintendenza archeologica mira a restituire ai Fori Imperiali l'antica unità concettuale e urbanistica. Tale programma, noto come Progetto Fori, ha suscitato, a partire dalla sua presentazione nel 1981, grandi entusiasmi e insieme grandi polemiche, peraltro mai sopite completamente, soprattutto in rapporto all'abolizione, per lo scavo, della via dei Fori Imperiali e della definitiva sistemazione ad area archeologica della zona tra via Cavour e piazza Venezia. In relazione al progetto sono stati effettuati alcuni saggi preliminari (1982-83) che hanno dimostrato che le demolizioni per l'apertura della via dell'Impero non avevano distrutto la stratigrafia sottostante e che dunque è certamente possibile un intervento estensivo di scavi stratigrafici.
La fase di attuazione è rimasta a uno stadio del tutto preliminare: il cantiere di scavo nell'area del Foro Nerva è oggi fermo dopo una prima campagna di scavi che ha fatto rinvenire i corpi di fabbrica e le cantine degli edifici demoliti negli anni Trenta e i tracciati delle vie Bonella e della Salara Vecchia. Due campagne di scavo (1986 e 1987) sono invece state condotte all'interno del Foro Romano nell'area retrostante la Curia e la Basilica Emilia. I lavori hanno fornito importanti precisazioni sulle fasi cesariana e augustea del Foro di Cesare (identificazione del Chalcidicum delle fonti letterarie con il portico meridionale di tale foro) e sull'impianto domizianeo del Foro Transitorio. Nel corso dei lavori sono venuti alla luce resti appartenenti al macellum, grande mercato repubblicano nell'area retrostante la Basilica Emilia, e all'Argiletum, da intendersi non solamente come asse stradale, ma come il quartiere a nord-est del Foro Romano prima della costruzione dei Fori Imperiali.
Campidoglio. Saggi di scavo lungo il lato sud-occidentale del tabularium hanno rivelato strati di vita dall'età del Ferro laziale alla prima età arcaica (Asylum?), un muro in opera quadrata di tufo e opere idrauliche di età repubblicana, forse in relazione con il tabularium.
Regione IX. - Portico di Filippo. Saggi di scavo nell'area e all'interno della chiesa e del monastero di Sant'Ambrogio hanno portato alla scoperta di un tratto del portico orientale e strutture pertinenti al tempio di Hercules Musarum. I ritrovamenti confermano in pieno la struttura planimetrica del complesso quale risulta delineata nella Forma Urbis severiana.
Crypta Balbi. Nell'area dell'esedra sono stati scavati livelli abitativi di età medievale (12°-14° secolo). L'indagine archeologica ha permesso di precisare che il muro dell'esedra, in opera quadrata di tufo e travertino, presenta al centro una grande nicchia rettangolare, assente nel relativo frammento della Forma Urbis severiana; si è inoltre rimessa in luce parte di un porticato semicircolare connesso con il muro diametrale dell'esedra, databile nel 2° secolo d.C. Lo scavo stratigrafico ha interessato anche l'area relativa al giardino del conservatorio di Santa Caterina della Rosa, demolito negli anni Cinquanta, raggiungendo gli strati anteriori alla fondazione cinquecentesca del complesso.
Orologio di Augusto. Campagne di scavo (1980-81) hanno portato al ritrovamento, in via di Campo Marzio n. 48, del pavimento in travertino dell'orologio-meridiana, con le linee per gli spostamenti giornalieri dell'ombra e le lettere greche in bronzo inserite nel pavimento, relative alle costellazioni e ad altri aspetti del calendario. Un problema particolare è rappresentato dalla quota del pavimento, in quanto essa non corrisponde alle quote degli altri monumenti augustei della zona (per es. quelle dell'Ara Pacis) e farebbe quindi pensare a una seconda fase (domizianea?) dell'orologio.
Chiesa di San Lorenzo in Lucina. Al di sotto del pavimento della chiesa è stato rinvenuto un grande edificio su più piani, il primo dei quali è articolato su file di pilastri cruciformi in laterizio. Il complesso, orientato sulla via Lata, si può datare alla fine del 2° secolo d.C. A un livello inferiore si sono trovati ambienti in opera mista con pavimenti a mosaico, forse da attribuire alla prima metà del 2° secolo d.C. Le strutture più tarde sono probabilmente parte di un edificio commerciale all'interno di un'insula; il rapporto tra queste e il Titulus Lucinae è problema ancora da chiarire.
Regione X. - Palatino. Area circostante il tempio della Magna Mater. I lavori si sono incentrati inizialmente sul tempio della Magna Mater, la cui fase più antica sarebbe da inquadrare tra il 204 e il 191 a.C.; una seconda fase dell'edificio (sopraelevazione del podio) risalirebbe a dopo l'incendio del 111 a.C., mentre all'età augustea si può attribuire il rivestimento marmoreo dell'interno; altri saggi hanno interessato il cosiddetto auguratorium (2° secolo a.C.), preceduto da un sacello rettangolare dedicato a Giove Vincitore o a Giunone Sospita, mentre gli scavi dell'edificio in cima alle scalae Caci hanno fatto ipotizzare l'attribuzione di tali strutture al tempio della Vittoria, ricordato dalle fonti in questo settore del colle.
Domus Tiberiana. Le indagini hanno permesso di evidenziare tre fasi ben distinte del palazzo: il primo nucleo (tra Nerone e Caligola) comprenderebbe il podio rettangolare e i criptoportici centrale e orientale oltre alla scalinata di accesso al centro della fronte nord (gradus Palatii); alla seconda fase (età domizianea) apparterrebbe la nuova facciata con la rampa monumentale di nord-ovest e il vestibolo; la parte est ha un diverso orientamento, forse in relazione con la costruzione della domus Flavia, nuovo palazzo imperiale; la terza fase costruttiva (età adrianea) sarebbe costituita dalle sostruzioni sul clivus Victoriae, dalla fronte delle taberne sulla via Nova e da ristrutturazioni nel vestibolo.
Via Nova. Nell'area tra la via e il clivo Palatino si sono rinvenute strutture d'incerta interpretazione in blocchi di cappellaccio di età arcaica e ambienti in opera reticolata della metà del 1° secolo a.C., forse attribuibili a una casa privata; su tali strutture s'impiantò, dopo l'incendio del 64 d.C., un grande portico, da mettere in relazione con le costruzioni neroniane della domus aurea.
Pendici settentrionali del colle. Il settore compreso tra la Via Sacra e il clivo Palatino ha mostrato una complessa situazione pluristratificata: le strutture più tarde farebbero parte degli horrea di Vespasiano, noti dalle fonti; al di sotto di queste si sono rinvenuti notevoli resti di età repubblicana, appartenenti ad alcune case aristocratiche ricordate dalle testimonianze letterarie in Palatio et in Sacra Via; a una fase ancora precedente (530-520 a.C.) sono da attribuire i resti di strutture con fondazioni in cappellaccio e pareti a graticcio e la pavimentazione a lastre di cappellaccio della via Sacra; a un livello ancora inferiore resti di muri in scaglie e tracce di antistanti fossati vengono attribuiti alle fortificazioni del Palatino di età regia; le testimonianze più antiche sarebbero costituite dai resti di una palizzata lignea databili nel 7° secolo a.C. (linea pomeriale?) e da un muro in scaglie di tufo (730-720 a.C.) considerato come un'eccezionale testimonianza delle fortificazioni romulee.
Cosiddette Terme di Settimio Severo. I saggi hanno permesso di stabilire definitivamente che gli ambienti dell'angolo meridionale del Palatino non facevano parte di un impianto termale, ma in realtà dovevano appartenere a un ampliamento dei palazzi imperiali che fu progettato e iniziato in età flavia.
Vigna Barberini. Scavi nell'area del tempio di Eliogabalo e degli Adonaea domizianei hanno evidenziato fasi tardoflavie e adrianee; i resti di un criptoportico con orientamento diverso dalle altre strutture sono da attribuire alle costruzioni neroniane della domus transitoria e/o della domus aurea; a sud-ovest della terrazza, sono state messe in luce le fondazioni di un portico, abbandonato nel 5° secolo; altre indagini hanno inoltre interessato l'area della chiesa di San Bonaventura.
Settizodio. Gli scavi hanno fatto rinvenire ampi tratti della fondazione con numerose precisazioni sull'articolazione architettonica e sulle fasi di utilizzazione e di spoliazione dell'edificio.
Regione XI. - Chiesa di Sant'Omobono. Saggi stratigrafici hanno consentito notevoli precisazioni in relazione alle fasi costruttive del tempio arcaico (dal primo venticinquennio del 6° secolo a.C. all'inizio del 5°). Un altro intervento tra le platee dei due templi gemelli ha rimesso in luce una cisterna rettangolare in opera quadrata, mentre saggi all'interno della chiesa sono stati dedicati allo studio delle fasi tardoantiche e postantiche dell'area.
Circo Massimo. Durante campagne di scavo condotte nel settore nord-est del circo, sono stati riportati in luce tratti dell'emiciclo con ambulacri, corridoi anulari, fornici e strutture relative all'ima cavea; sono pure stati evidenziati resti dell'arco onorario di Tito a tre fornici. Sondaggi in profondità hanno infine permesso il ritrovamento del piano dell'arena e di resti pertinenti al muro di spina. Tali strutture appartengono alle fasi cesariana, domizianea e traianea dell'edificio.
Regione XII. - Terme di Caracalla. Scavi nel settore orientale del recinto esterno del monumento hanno rivelato strutture relative alla sala ottagona, ambienti sotterranei di servizio e resti del portico perimetrale. Nella stessa area si sono rinvenute ventisei tombe a fossa databili tra il 6° e il 7° secolo. Altri interventi sono stati effettuati nell'area della biblioteca di sud-ovest, e hanno portato al riconoscimento di tre diversi ambienti di servizio su tre piani.
Regione XIII. - Lungotevere Testaccio. È stato scavato un esteso complesso portuale, con magazzini di età imperiale. Il complesso si articola su più livelli, risulta addossato a precedenti strutture di età repubblicana (banchine di ormeggio in opera quadrata) ed è costituito da serie di ambienti paralleli coperti a volta. Al di sopra si è rinvenuto un piazzale lastricato su cui si affacciano altri ambienti comunicanti con un doppio criptoportico.
Regione XIV. - Via Anicia. Lo scavo di una serie di ambienti (magazzini?) con fasi edilizie riferibili alla tarda età repubblicana e al 2°-4° secolo d.C. ha consentito il ritrovamento di una lastra marmorea in cui è delineata la pianta di una zona tra il Circo Flaminio e il Tevere, di straordinaria importanza per gli studi di topografia romana. Tale lastra documenta infatti l'esistenza di altre piante dell'urbe antecedenti alla Forma severiana, redatte con lo stesso metodo, con la stessa scala e con medesime finalità. In particolare il documento conferma l'ubicazione del tempio dei Castori e ne precisa l'originario rapporto strutturale con il Circo Flaminio.
Bibl.: Sui grandi programmi di ricerca, scavo e restauro: Roma, Archeologia e progetto, catalogo della mostra, Roma 1983; Forma: la città antica e il suo avvenire, catalogo della mostra, ivi 1984; A. La Regina, in Archeologia urbana e centro antico di Napoli, Atti del convegno, Taranto 1984, pp. 93 ss. Per una visione complessiva degli interventi in relazione alla storia urbanistica della città: I. Insolera, F. Perego, Archeologia e città, Roma-Bari 1983. Per le ricerche sulla piazza del Foro Romano: C.F. Giuliani, in Lavori e Studi di Archeologia, pubblicati dalla Soprintendenza archeologica di Roma (LSA), 6, 1 (1985), pp. 9 ss.; P. Verduchi, in Rend. Pont. Acc., 55-56 (1982-84), pp. 329 ss.; C.F. Giuliani, P. Verduchi, L'area centrale del Foro Romano, "Il linguaggio dell'architettura romana", i, Firenze 1987. Per i nuovi studi sul Foro Romano: F. Coarelli, Foro Romano 1, Roma 1983; Id., Foro Romano 2, ivi 1985; F. Castagnoli, in Quaderni di Topografia Antica, 10 (1988), pp. 99 ss. Sulla Forma Urbis: F. Castagnoli, in LSA, 6, 2 (1985), pp. 313 ss.; G. Ioppolo, ibid., 6, 2 (1985), pp. 320 ss. Sull'evoluzione dello spazio urbano: L'Urbs, Espace urbain et histoire, "Coll. Ecole Frana̧ise", 98, Roma 1987. Sull'età augustea: Kaiser Augustus und die verlorene Republik, catalogo della mostra, Berlino 1988; P. Zanker, Augustus und die Macht der Bilder, Monaco di B. 1987. Sull'età arcaica: La grande Roma dei Tarquini, catalogo della mostra, Roma 1990. Sulle sculture del tempio di Apollo Sosiano: E. La Rocca, Amazzonomachia. Le sculture frontali del tempio di Apollo Sosiano, catalogo della mostra, ivi 1985. Una puntuale e approfondita raccolta delle scoperte e degli scavi è contenuta nei notiziari bibliografici di Roma e suburbio del Bullettino della Commissione Archeologica Comunale; per gli anni 1961-80, cfr. Bull. Com., 89, 2 (1984), pp. 307 ss.; per gli anni 1981-84, cfr. Bull. Com., 91, 1 (1986), pp. 143 ss.; per gli anni 1985-86, cfr. Bull. Com., 92 (1987-88), pp. 191 ss. Per una periodica informazione sullo stato dei lavori e sulle principali ricerche si vedano i volumi del Centro per lo studio per l'Archeologia etrusco-italica del CNR, in cui sono raccolti gli atti dell'annuale convegno di Archeologia Laziale (cfr. Archeologia Laziale, 1-9, Roma 1980-88). Di particolare interesse i due volumi: Roma. Archeologia nel centro, editi dalla Soprintendenza Archeologica di Roma, in cui sono contenuti numerosi contributi sulle principali ricerche e scavi di questi ultimi anni (LSA, 6,1-2, Roma 1985). Una sintesi dei principali argomenti, con raccolta bibliografica completa, si trova nel dizionario topografico Lexicon Urbis Romae (1, Roma 1993).
Beni culturali. - L'elezione a sindaco, avvenuta il 9 agosto 1976, di un grande intellettuale e storico dell'arte come G.C. Argan, che guidava una giunta di sinistra (in cui, oltre all'assessorato alla Cultura retto da R. Nicolini, venne creato − per la prima volta nella storia dei Comuni italiani − un apposito assessorato al Centro Storico, cui fu delegata V. Calzolari), sembrò costituire a R. una svolta importantissima anche per la produzione, la tutela e la valorizzazione dei beni culturali. Tale svolta apparve il coronamento, sul piano politico e istituzionale, del complesso processo di crescita che aveva caratterizzato la cultura romana a partire dai primi anni Sessanta.
Tra i vari fattori di questo processo va ricordata in primo luogo la fioritura di una produzione artistica che, superando le posizioni degli anni Cinquanta (ancora caratterizzati dalla contrapposizione variamente giustificata tra artisti figurativi e astratti-informali), affermò una serie di giovani di grande interesse e in grado di competere sulla scena internazionale, anche grazie al sostegno ricevuto dall'attività culturale della Galleria nazionale d'arte moderna (diretta fino al 1975 da P. Bucarelli e ispirata da Argan), nonché di alcune gallerie private (la Marlborough, l'Attico, l'Obelisco, la Tartaruga, la Salita, ecc.) operanti su circuiti non solo locali. In secondo luogo va ricordato il profondo e fecondo processo di rinnovamento degli studi archeologici, storico-artistici, architettonici e urbanistici che si ebbe a R. nel corso degli anni Sessanta grazie al magistero universitario di personalità quali lo stesso Argan, R. Bianchi Bandinelli, C. Brandi, L. Quaroni, B. Zevi, ecc. I risultati di tale rinnovamento si videro nei primi anni Settanta non solo attraverso l'attività di alcuni allievi di quei maestri che vennero man mano occupando posti importanti nelle strutture istituzionali (per es. O. Ferrari all'Istituto centrale del catalogo, G. Urbani all'Istituto centrale del restauro, ecc.), ma pure nella pubblicazione di una serie di studi innovativi sul piano metodologico e delle problematiche. Essi iniziarono a porre il rapporto tra la conoscenza della città e quella dell'arte in essa prodotta non più in termini solo eruditi oppure solo ideologico-progettuali, bensì in quelli di una concreta e complessiva indagine storica. Inoltre tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta − a ravvivare e rinnovare il dibattito culturale nel campo degli studi storico-artistici − si ebbe un'intensa, pur se spesso informale, attività da parte di alcune prestigiose istituzioni culturali straniere operanti a R.: in primo luogo l'Istituto Archeologico Germanico e la Biblioteca Hertziana che, insieme all'Académie de France à Rome, all'Accademia Americana, all'Istituto Svizzero, ecc. si affiancarono al più tradizionale luogo di incontri internazionali costituito dalla Biblioteca Vaticana, moltiplicando e rendendo culturalmente più produttive le occasioni di scambio tra studiosi di discipline diverse, oltre che di varie nazionalità. Non va neppure dimenticata in questo contesto l'importante opera di svecchiamento che durante gli anni Sessanta fu per altri versi operata, anche oltre i limiti disciplinari, da associazioni come l'INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), l'INARCH (Istituto Nazionale di Architettura), Italia nostra, oppure da riviste come Dialoghi d'archeologia: tramite le quali l'analisi e il dibattito sulla produzione architettonica e urbanistica nonché quello sull'assetto e la tutela del territorio storico e naturale vennero trasferendosi dal piano disciplinare a quello politico. Pertanto gli anni successivi alla contestazione sessantottesca furono anche quelli in cui soprattutto a R., in quanto capitale dello stato, si pose concretamente il problema di un profondo mutamento sia delle istituzioni e delle strutture amministrative sia complessivamente del governo della cultura e in particolare dei beni culturali.
Nel 1975 − in parallelo alla realizzazione delle Regioni con la quale venne affermandosi una nuova concezione del territorio, dei centri storici e delle emergenze artistiche e monumentali che li caratterizzano − fu fondato il ministero per i Beni culturali. Questo, proposto come organismo di tecnici, incrementò aspettative di riforma e di svecchiamento culturale soprattutto a R., dove era fisicamente collocato e dove erano concentrati i suoi Istituti centrali dalla cui attività scientifica e di ricerca la città avrebbe potuto per prima trarre vantaggio. D'altronde la giunta Argan poneva al centro del proprio programma il rilancio di R. come capitale culturale e artistica, che avrebbe esaltato la propria peculiare identità tramite la tutela dei suoi beni culturali: a partire dal centro storico che, utilizzato soprattutto come luogo privilegiato per lo svolgimento di attività artistiche e culturali, divenisse il punto di riferimento per un più razionale e ordinato sviluppo urbanistico. Negli anni successivi però i progetti, le azioni e le iniziative intraprese incontrarono una serie di difficoltà e, malgrado alcune realizzazioni e alcuni successi indubbiamente rilevanti, si rivelarono variamente deludenti per una molteplicità di motivi oggettivi e soggettivi. La grave crisi politica dei cosiddetti ''anni di piombo'', intrecciata con la grave congiuntura economica degli ultimi anni Settanta, non permise l'immediato dispiegarsi di una profonda azione riformatrice a livello degli enti locali. Peraltro il ministero dei Beni culturali tendeva a svolgere la sua attività come organismo soprattutto burocratico e di spesa.
Per quanto riguarda l'attività delle Sovrintendenze operanti a Roma si assiste a una situazione contraddittoria. Infatti la Sovrintendenza alle Antichità, guidata dal 1976 da A. La Regina, in stretto rapporto con l'amministrazione comunale, sviluppa (in particolare dal 1981) un programma di interventi che, in grado di polarizzare il dibattito complessivo sulla cultura, sulla tutela e lo sviluppo urbanistico della città, ha come concreto avvio il tentativo di ristrutturazione del Museo Nazionale Romano, di fatto da allora rimasto chiuso al pubblico. Appare invece scarsa l'iniziativa progettuale delle altre Sovrintendenze che sembrano non interessate a rapportarsi in termini propositivi all'elaborazione di un programma concordato con le altre istituzioni operanti sul territorio e a partecipare al dibattito sviluppatosi a Roma tra la fine degli anni Settanta e i primissimi anni Ottanta sul ruolo delle istituzioni di tutela e sui modi della valorizzazione culturale in una città capitale.
Di scarso interesse la maggior parte delle iniziative espositive realizzate tra il 1975 e il 1985 dalla Sovrintendenza ai Beni Artistici e Storici (degna di ricordo sembra solo la mostra Villa e Paese, allestita in Palazzo Venezia nel 1980 che ebbe un seguito, ma solo nel 1990, con la mostra L'arte per i papi e per i principi nella campagna romana). Furono invece abbastanza numerosi i restauri (tra i più importanti, da ricordare quelli delle opere del Cavallini in Santa Cecilia e in Santa Maria in Trastevere, quelli degli affreschi nell'Episcopio di Ostia, ecc.) tuttavia condotti − al di là delle ovvie e normali esigenze di conservazione − sulla base di un programma dagli obiettivi tutti interni all'ufficio che li effettuava. Dalla fine degli anni Ottanta è invece iniziato il coinvolgimento, sia sul piano economico sia su quello scientifico, di altri enti e istituzioni (Istituto centrale del restauro, università, ecc.): si ricordino, per es., il restauro del soffitto Ludovisi (attribuito al Caravaggio), che fu discusso in un apposito convegno (1991), oppure la campagna di restauri degli affreschi e delle opere del Domenichino da poco conclusi. Al di fuori di ogni reale tentativo di avviare un sistema appare anche l'azione condotta a livello museale. Qui la realizzazione più rilevante sembra la riorganizzazione del Museo del Palazzo di Venezia sulla base di un discusso allestimento museografico dovuto a F. Minissi, mentre l'evento più importante è certamente rappresentato dalla chiusura della Galleria Borghese, resasi necessaria nel 1984 a causa della situazione statica dell'edificio del Vasanzio, già da anni precaria.
Per quanto riguarda la Sovrintendenza alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna tra i secondi anni Settanta e i primi anni Ottanta si ebbero alcune mostre di grande successo (per es. Die Brücke, 1977), di cui alcune dedicate per la prima volta anche all'attività di maestri viventi (A. Burri, F. Pirandello, 1976; Afro, 1978, ecc.) oppure ad artisti e movimenti dell'Ottocento fino ad allora ingiustamente poco valorizzati (V. Camuccini, 1978; I Nazareni, 1981; T. Minardi, 1982). Anche più recentemente si sono avute alcune mostre di grande importanza (per es. B. Thorvaldsen); è invece proceduto con difficoltà il riallestimento museale. Fra l'altro, malgrado l'inizio dei lavori, il progetto di L. Cosenza per la costruzione della nuova ala della Galleria (1974-75) deve ancora essere definitivamente realizzato.
Una decennale stagione di tutto rispetto si è attuata invece al Museo Nazionale di Castel Sant'Angelo: l'importante mostra sugli affreschi del periodo di Paolo iii, diretta da E. Gaudioso (1981), fu la prima di una serie nella quale si presentavano, legando correttamente il momento della valorizzazione a quello della conservazione, i risultati degli studi effettuati in relazione al restauro del patrimonio di pertinenza. Tra queste mostre ricordiamo per es. quella sul bagno di Clemente vii e le altre stufe romane del primo Cinquecento, quella intitolata L'Angelo e la città (successiva al restauro della statua dell'Angelo che sovrasta il Castello), quella infine sulla professione dell'architetto a Roma tra il 1680 e il 1750 che prendeva spunto dal restauro di un modello di Andrea Pozzo conservato nel museo.
Importante in questo periodo anche l'attività dell'Istituto nazionale della grafica che ha promosso alcune importanti esposizioni legate allo studio e alla valorizzazione del suo patrimonio: da quelle sulle incisioni di P. Testa (1977) e sui rami di Piranesi (1979) a quelle ben più impegnative come Raffaello invenit (1985) e Annibale Carracci e i suoi incisori (1986) fino alle più recenti quali per es. quella sui disegni veneti e lombardi nella collezione della Farnesina, oppure le mostre dedicate a grandi incisori contemporanei come S.W. Hayter (1990), G. Strazza (1991), L. Patella (1993).
Rispetto al grande dibattito sul centro storico e sul restauro architettonico che ha caratterizzato questi anni, la Sovrintendenza ai Monumenti sembra aver condotto la maggior parte dei molti restauri effettuati al di fuori di ogni volontà programmatoria: e ciò in particolare per gli edifici destinati a funzioni pubbliche, museali o culturali. Si potrebbero infatti ricordare i restauri del complesso del San Michele, dove la parte destinata agli uffici della burocrazia ministeriale è stata terminata, mentre rimane non completata quella destinata all'Istituto centrale del restauro, oppure per un altro verso la vicenda, già accennata, dell'edificio di Villa Borghese sede della Galleria Borghese chiusa dal 1984, oppure ancora quella dei restauri della Biblioteca dell'Istituto nazionale di archeologia e storia dell'arte in Palazzo Venezia che hanno causato la chiusura di questa struttura unica in Italia per circa un decennio, fino al 1993. Si dovrà anche ricordare la vicenda di Palazzo Poli: ossia dell'edificio che ha come facciata principale quella cui è appoggiata la mostra della fontana di Trevi e che sviluppa il proprio corpo tra questa e la sede storica della Stamperia pontificia, attualmente costituente la Calcografia nazionale. Questo importante edificio, che a metà degli anni Settanta era in completa rovina, appariva del tutto idoneo − una volta acquisito allo stato e restaurato − ad accogliere l'allora istituendo Istituto centrale per la grafica, che nella nuova organizzazione dell'amministrazione successiva alla fondazione del ministero dei Beni culturali, avrebbe dovuto, tra l'altro, unificare le competenze fino ad allora divise del Gabinetto nazionale dei disegni e stampe, del Gabinetto fotografico nazionale e della Calcografia nazionale. La battaglia condotta dall'allora direttore della Calcografia nazionale, C. Bertelli, con l'appoggio della giunta Argan portò in tempi relativamente brevi all'acquisto del palazzo (dicembre 1978) che, da allora sottoposto a lavori di restauro, è a tutt'oggi (settembre 1994) ancora molto lontano dall'essere reso agibile e funzionale allo scopo cui è destinato.
Per quanto riguarda l'attività svolta dal Comune, la giunta Argan promosse una serie di iniziative volte soprattutto a incidere sul piano del costume culturale e lo stesso avvenne pure (ritiratosi Argan per motivi di salute nel 1979) con la successiva giunta guidata da L. Petroselli. In particolare va ricordato l'impulso dato alla realizzazione di mostre, come quelle tenute nel Palazzo delle Esposizioni nel 1978: Erwin Piscator; Il teatro nella Repubblica di Weimar; Alberto Savinio; nel 1979: L'avanguardia polacca 1910-1978; Funzione e senso. Architettura-casa-città. Olanda 1870-1940; La città del cinema. Produzione e lavoro nel cinema italiano 1930-1970; nel 1980: Vienna Rossa. La politica residenziale nella Vienna socialista. 1919-1933; nel 1981: 5.000 miliardi di anni. Ipotesi per un museo della scienza; Linee della ricerca artistica in Italia. 1960-1980, che fu l'ultima curata da N. Ponente, prematuramente scomparso durante la sua organizzazione. A Ponente si dovettero molti dei progetti allora realizzati − tra cui la raffinata mostra I disegni di Cézanne tenutasi in Palazzo Braschi nel 1979 −, nonché una serie di suggerimenti preziosi per il successo di altre iniziative, come per es. le mostre tenute nel Palazzo dei Conservatori in Campidoglio (di esse vanno ricordate in particolar modo quella sui capolavori del museo Guggenheim di New York e quella sulle opere di V. Kandinskij provenienti dai musei sovietici).
Come dimostrava la grande affluenza di pubblico, il successo di tali manifestazioni rispondeva a un'esigenza molto sentita, ma metteva anche in evidenza la mancanza nella città di adeguate strutture espositive e organizzative. Dopo alcuni crolli nell'ormai fatiscente Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale, anche questo fu chiuso nel 1982 per essere riaperto − restaurato su progetto di C. Dardi − solo nel 1990. L'allestimento di alcune mostre (la più rilevante fu certamente Raffaello Architetto nel 1984) nel palazzo dei Conservatori in Campidoglio apportava però evidenti disagi per la Pinacoteca Capitolina, invasa da strutture espositive che non le erano proprie. A tal proposito va d'altronde ricordato come, immediatamente dopo gli attentati dinamitardi che nell'aprile 1979 colpirono il Campidoglio, lo stesso Argan aveva promosso una campagna di restauri sistematici (i cui primi risultati furono presentati nel 1980 con la mostra Affreschi del Cavalier d'Arpino in Campidoglio. Analisi di un'opera attraverso il restauro). Nella stessa occasione fu rimossa la statua equestre di Marco Aurelio dal piedistallo dove l'aveva posta Michelangelo al centro della piazza per un restauro condotto presso l'Istituto centrale del restauro. Veniva così rivelata la pericolosa fragilità dell'antico bronzo e l'impossibilità di ricollocarlo nel suo sito storico, dove una copia dovrebbe sostituire l'originale musealizzato.
Le iniziative comunali che sicuramente ottennero il maggior successo furono però quelle della cosiddetta ''Estate romana'' che, inventata dall'assessore Nicolini, consisteva in una serie di spettacoli, di concerti, di azioni teatrali e di attività espositive organizzate al di fuori dei tradizionali circuiti commerciali e a volte autogestite. In tal modo si avviò con un segno apparentemente ludico la rivitalizzazione della creatività di molti artisti romani e soprattutto − facendolo scoprire a un più largo pubblico popolare e soprattutto di giovani − un inedito uso del centro storico della città. Qui una serie di luoghi, fino ad allora praticamente chiusi o assai poco frequentati, furono trasformati in strumenti rinnovati − oltreché in sedi inedite − per la produzione culturale. Si ricordino, a titolo d'esempio, l'insieme di manifestazioni incentrate attorno alle rassegne cinematografiche denominate ''Massenzio'', oppure il festival di poesia di Ostia nelle quali l'avvenimento ufficiale diveniva soprattutto occasione di un più vasto e complessivo evento artistico, di cui autore, per buona parte inconsapevole, era lo stesso pubblico dei partecipanti. Questa politica cosiddetta dell'''effimero'' − in quanto privilegiava la produzione di una molteplicità di eventi artistico-culturali piuttosto che la creazione di strutture permanenti − rendeva la città storica non più mero contenitore passivo ma le assegnava un ruolo attivo ai fini dello sviluppo di una nuova fruizione culturale. Va qui ricordato come, malgrado la crisi generale che aveva caratterizzato anche nella produzione artistica i secondi anni Settanta, si era allora avuta l'affermazione internazionale di alcuni artisti attivi a R., quelli della cosidetta ''transavanguardia'' sostenuta dal critico A. Bonito Oliva. Altri movimenti di ritorno all'oggetto artistico, e in particolare alla pittura, si ebbero negli anni Ottanta: tra questi va in particolare ricordato il cosiddetto Gruppo di San Lorenzo.
Anche le molte polemiche che si sollevarono nei confronti della politica dell'effimero contribuirono a porre in modo nuovo il problema di come assicurare la salvaguardia ambientale e monumentale del centro storico della città. Una delle prime iniziative della giunta Argan era stata nel 1977 l'organizzazione di un convegno sul restauro dei centri storici, nel quale si tentò di istituzionalizzare la visione di tale problematica qual era scaturita soprattutto dalle precedenti esperienze dell'amministrazione comunale di Bologna. Tuttavia, il successivo tentativo di realizzare su quella linea alcune iniziative pilota (per es. il restauro del complesso di case a San Paolino alla Regola o quello di Tor di Nona) risultò di lunghissima e costosissima attuazione per l'usuale insorgere di una complessa serie di difficoltà non previste (a solo titolo d'esempio il restauro della prima parte di Tor di Nona, iniziato nel 1978, terminò solo nel 1991). Forse fu anche questo uno dei motivi per cui su tali tematiche si assistette a un cambiamento di linea che, privilegiando su tutti il ruolo dell'archeologia, fece di questa il motore non solo per una imponente campagna di restauri e di iniziative conoscitive ma anche per l'elaborazione di una serie di progetti urbanistici su cui ha finito per incentrarsi il dibattito dell'ultimo quindicennio.
Dopo che la giunta Argan, sulla base della parola d'ordine "o le macchine o i monumenti", aveva iniziato a porre una serie di limitazioni al traffico nel centro storico e in particolare nelle zone dell'area archeologica centrale (per es. attorno al Colosseo), la Sovrintendenza alle Antichità di Roma guidata da La Regina lanciò una serie di allarmi sul precario stato di conservazione dei monumenti che minacciavano crolli irreparabili e presentavano un pericolosissimo processo di sfarinamento dei marmi. Si attivò così un vasto movimento d'opinione che, avendo forti riscontri nella stampa quotidiana, giunse a far varare la cosiddetta ''legge Biasini'' (n. 92 del 23 marzo 1981 "provvedimenti urgenti per la protezione del patrimonio archeologico di Roma") con la quale si finanziò un piano quinquennale di 100 miliardi per i restauri e la valorizzazione del patrimonio archeologico romano. In tal modo venne sempre più prendendo corpo, su ispirazione di La Regina, non solo l'idea di chiudere al traffico la zona dei Fori ma anche quella di smantellare le strade moderne e in primo luogo la stessa via dei Fori Imperiali, ossia l'asse principale del progetto parzialmente realizzato negli anni Trenta dal regime fascista. Alla fine del 1980 fu così smantellata via della Consolazione con il recupero della Via Sacra e la riunificazione del Campidoglio con il Foro. Voleva essere il primo atto di un ben più ampio progetto che prevedeva di ricomporre l'unità della zona ricongiungendo l'antico Foro Romano con quelli di Nerva, di Augusto e di Traiano. L'idea, certamente notevole e di sicuro interesse archeologico, trovò tuttavia una forte opposizione tra coloro che la interpretavano quale una fuga in avanti rispetto alla necessità di avviare verso una soluzione complessiva i gravi problemi del patrimonio culturale e della mobilità urbana: in particolare tra coloro che si preoccupavano della salvaguardia di tutta la complessa stratificazione storica della zona, ossia di quanto era rimasto sia delle antiche strade rinascimentali (per es. via Alessandrina) sia del progetto degli anni Trenta (la stessa via dei Fori Imperiali), nonché di alcuni importanti monumenti barocchi che, come per es. la chiesa di San Luca e Martina di Pietro da Cortona, in conseguenza dello sterro rischiavano di rimanere ancor più isolati e somiglianti a dei ''funghi'' (secondo l'icastica immagine allora usata da C. Brandi). Il superamento di una tale impasse sembrò aversi con le proposte elaborate sulla base del programma redatto nel 1981 dal nuovo assessore al Centro Storico C. Aymonino, che prevedendo un ruolo attivo e non meramente conservativo per la progettazione all'interno del centro storico della città, ipotizzò la possibilità di interventi che rimodellandone i bordi salvaguardassero insieme alle zone archeologiche centrali non solo le altre consistenze storiche esistenti ma anche le esigenze della città attuale. Si venne quindi − attraverso un intenso dibattito che vide anche l'elaborazione di progetti polemici, quale quello di L. Benevolo e V. Gregotti presentato nel 1985 − formulando l'idea di ricomporre una vastissima area che, a partire dal Campidoglio (per il quale si ipotizzava un uso solo per funzioni politiche e museali, con lo sgombero di tutti gli uffici amministrativi) passando per i Fori imperiali, il Colosseo e le altre aree archeologiche centrali raggiungesse l'Appia antica e il suo parco. Si sarebbe trattato di un'enorme spina che avrebbe costretto a riprogettare tutta la zona sud-ovest della città e la cui attuazione graduale sarebbe necessariamente avvenuta attraverso una serie di interventi progettuali che a partire dalle esigenze dell'archeologia avrebbero dovuto farsi carico di tutte le altre sia di tipo storico che economico, sociale, funzionale, ecc. Proprio per questo si ritenne che un tale progetto dovesse essere formulato tramite un concorso internazionale di idee che doveva essere preparato con estrema attenzione, studiando analiticamente le diverse e spesso conflittuali esigenze da soddisfare. Un tale metodo, ispirato ai principi dell'analisi urbana teorizzati da Aymonino, fu d'altronde applicato durante il periodo del suo assessorato anche ad altri comparti della città storica suscitando per la sua innovatività rispetto a un approccio rigidamente conservativo una serie di polemiche ma anche una grande massa di ricerche di elaborazioni e di interessanti progetti (tra questi ricordiamo quello per l'area sacra dell'Argentina di M. Manieri Elia), che non si riuscì tuttavia a realizzare concretamente. Dopo il 1985, subentrate alle giunte di sinistra amministrazioni pentapartito, si verificò un mutamento di prospettive politico-culturali nel quale anche il grande e sostanzialmente utopico progetto del Parco dei Fori, anche se mai ufficialmente rinnegato venne tuttavia di fatto accantonato.
Rispetto all'insuccesso sostanziale della politica sviluppata per il centro storico (di cui il risultato più evidente è per un verso una parziale e non sempre funzionale modifica della disciplina del traffico e per un altro verso la preponderante importanza data alle zone archeologiche rispetto alle altre di non minore interesse storico: si pensi per fare un solo esempio al profondo degrado dell'area del Tridente e in particolare di via del Corso), è importante verificare come durante tale periodo si siano finalmente realizzati diversi progetti di edilizia economica e popolare che hanno rappresentato l'aspetto più interessante della produzione architettonica a R. (Corviale di M. Fiorentino, Laurentino di P. Barucci, Vigne Nuove di V.F. e L. Passarelli, Torrevecchia di P. Barucci e L. Passarelli, Tor Bella Monaca di P. Barucci, E. Piroddi e L. Passarelli, ecc.). Al tempo stesso è stata proprio la realizzazione di tali complessi a mettere in evidenza come la qualità architettonica in quanto tale, senza la contemporanea e concomitante attuazione di una serie di concreti programmi di gestione e di integrazione di servizi, si dimostri assolutamente inefficace a realizzare gli obiettivi previsti da quei progetti, votando − così come avveniva per le elaborazioni sul centro storico − al fallimento pratico la loro profonda tensione utopica. Consensi quasi unanimi ha riscosso invece la Moschea di P. Portoghesi, iniziata nel 1977 e in via di completamento.
Le giunte pentapartito che si succedettero nei secondi anni Ottanta, mentre hanno ridimensionato i grandi programmi culturali degli anni precedenti, abbandonarono l'idea stessa di una politica speciale per il centro storico, anche se inizialmente, essendo assessore alla Cultura L. Gatto, che si avvaleva della collaborazione di F. Vincitorio, si assistette alla realizzazione di alcune iniziative interessanti (come per es. le mostre tenute in Campidoglio che ebbero per oggetto G. Serodine o P.F. Mola) e all'attivazione di una struttura di grande utilità come il Centro di ricerca e documentazione arti visive, funzionante presso il rinnovato Palazzo delle Esposizioni. Ben presto però anche sulle attività culturali pesarono sempre di più gli effetti di un approccio − diffusosi a livello nazionale e di cui R. ha risentito particolarmente come capitale dello stato − volto a privilegiare interventi straordinari nonché una pratica nella quale il restauro, la valorizzazione e la produzione stessa dei beni culturali non sono il fine degli interventi finanziari dello stato, degli enti locali e degli sponsor, bensì al contrario lo strumento per inviare messaggi pubblicitari. Il culmine di questa pratica − che tra l'altro ha visto assegnati i finanziamenti dello stato per i cosiddetti ''giacimenti culturali'' a progetti spesso discutibili (altre volte invece si è trattato di progetti utili, come quello per la catalogazione informatizzata delle stampe delle collezioni dell'Istituto nazionale della grafica) − si è avuto con le disposizioni legislative volte a finanziare gli interventi straordinari per lo svolgimento nella città dei campionati mondiali di calcio del 1990, che portarono, per es., a costruire un oggetto architettonico rivelatosi poi inutilizzato, pur se di qualità, come il terminal dell'Ostiense dovuto all'architetto J. Lafuente. Peraltro, grazie a questo tipo di pratica, a R. si è avuto il fiorire di numerosi restauri di edifici, che hanno riguardato anche alcuni monumenti importanti (si ricordi per es. quello della fontana di Trevi sponsorizzato dall'INA).
D'altronde la pratica dell'intervento straordinario − che avrebbe voluto imitare quella dei grandi lavori con cui il governo socialista francese era riuscito in pochi anni a trasformare Parigi con la costruzione di strutture dedicate anche alle attività culturali − favorì la presa di coscienza della necessità che pure a R. dopo un quindicennio di dibattiti e di tentativi progettuali si arrivasse − per farle svolgere il ruolo di capitale europea − a realizzare una serie di grandi obiettivi: per es. il decentramento degli uffici pubblici dal centro storico tramite l'attuazione da tempo vagheggiata del Sistema Direzionale Orientale (SDO); la conservazione e valorizzazione programmata del patrimonio dei beni culturali anche tramite la creazione del Parco dei Fori oppure la riapertura di alcuni musei, come la Galleria Borghese; la creazione di nuove università, centri di ricerca e poli tecnologici nonché di centri culturali (per es. l'Auditorio) e di un polo europeo dello spettacolo. Questi e altri obiettivi di tipo più propriamente urbanistico e amministrativo sono enunciati nella l. 396 del 15 dicembre 1990 ("Interventi per Roma capitale della Repubblica"), dove per la prima volta non solo si è riconosciuta la situazione particolare della città rispetto agli altri Comuni italiani ma si è individuato come strumento essenziale per l'attuazione della legge un tavolo programmatorio degli interventi. Questi, previsti dai vari soggetti istituzionali interessati, dopo l'elaborazione tramite un apposito ufficio comunale con funzione di coordinamento passano all'esame di una Commissione nazionale per il finanziamento formata dai ministeri coinvolti. Il finanziamento per il triennio 1990-92 è stato di 668 miliardi, una cifra del tutto esigua rispetto alle esigenze (le richieste pervenute erano di circa 70.000 miliardi; per la sola realizzazione dello SDO si prevedeva un fabbisogno complessivo di circa 30-35.000 miliardi), che si è dispersa in una serie di sovvenzioni a pioggia, per affrontare poco più che l'emergenza, come dimostra in particolare l'utilizzazione dei 115 miliardi riservati nel primo triennio al ministero dei Beni culturali. Fra le varie realizzazioni comunque rese possibili da questa legge, basti ricordare per un verso gli interventi da parte del Comune per il Palazzo Senatorio sul Campidoglio e per i Musei Capitolini e per un altro verso il completamento quasi definitivo del sistema dei musei archeologici, con l'inaugurazione temporanea di alcune delle sedi del Museo Nazionale Romano, come Palazzo Massimo e Palazzo Altemps. Estremamente rilevanti per la realizzazione di Roma Capitale sono pure due eventi verificatisi nel 1994: la firma di un accordo tra il Comune di R., il ministero dei Beni culturali e il ministero della Difesa per lo sgombero da Palazzo Barberini del Circolo Ufficiali e la realizzazione in quella sede di un rinnovato Museo nazionale di arte antica, medievale e moderna; e l'espletamento del concorso internazionale a inviti per il nuovo auditorio che ha visto la vittoria del progetto presentato da R. Piano.
Bibl.: Per G.C. Argan, sindaco e storico dell'arte della città, si veda G.C. Argan, Un'idea di Roma, intervista a cura di M. Monicelli, Roma 1979 e Id., Storia dell'arte come storia della città, scelta di scritti a cura di B. Contardi, ivi 1983. Sulla situazione artistica romana cfr. Roma anni 60. Al di là della pittura, a cura di M. Calvesi e R. Siligato, catalogo della mostra in Palazzo delle Esposizioni, Roma 1990. Sulla storia urbana di R. una sintesi aggiornata è nel profilo di M. Sanfilippo, Le tre città di Roma, Roma-Bari 1993; mentre per la problematica della città capitale cfr. M. Manieri Elia, Roma capitale. Strategie urbane e uso delle memorie, in Le regioni d'Italia. Il Lazio, a cura di A. Caracciolo, Torino 1992, pp. 513-57. Per i problemi dell'utilizzazione e del restauro del centro storico nonché per il dibattito sugli interventi nell'area archeologica centrale si veda: V. Quilici, A. Coppabianca, C. Coraggio, Tor di Nona. Storia di un recupero, Roma-Bari 1991; AA.VV., Roma: continuità dell'antico. I fori imperiali nel progetto della città, Milano 1981; Quattro scritti di Carlo Aymonino e un dibattito, in Roma centro storico, 1, Roma 1982; Roma. Archeologia e progetto, catalogo della mostra nei Mercati Traianei, a cura dell'assessorato alla Cultura, ivi 1983; C. Aymonino, R. Panella, Un progetto per il centro storico, a cura di M. Casciato, in Roma centro storico, 2, ivi 1983; Roma. Studio per la sistemazione dell'area archeologica centrale, a cura di L. Benevolo, ivi 1985; C. Aymonino, Progettare Roma capitale, a cura di P. Desideri e F. Leoni, introduzione di R. Nicolini, Roma-Bari 1990; Romacentro, pubblicazione dell'assessorato per gli Interventi sul centro storico del Comune di Roma, 1 (1981) e seguenti. Per quanto riguarda i problemi degli spazi museali ed espositivi si veda: Il nuovo Museo Archeologico di Roma, a cura di F. Perego, catalogo della mostra, Roma 1989; Il Palazzo delle Esposizioni, catalogo della mostra, a cura di R. Siligato e M.E. Tittoni, ivi 1990; Invisibilia, catalogo della mostra nel Palazzo delle Esposizioni, a cura di M.E. Tittoni e S. Guarino, ivi 1992. Per la produzione architettonica, oltre a P.O. Rossi, Roma. Guida all'architettura moderna 1909-1984, Roma-Bari 1984, si veda AA.VV., Architettura a Roma dagli anni '50 agli anni '80, in Bollettino della biblioteca della Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi ''La Sapienza'' di Roma, 42-43 (1990); Ordine degli Architetti di Roma, 50 anni di professione 1940-1990, a cura di A. Lupinacci, M.L. Manguso, T. Silvani, Roma 1992.