ROMANIA (A. T., 79-80)
La Romania attuale è uno stato di 18 milioni di abitanti, distribuiti su un territorio di 294.967 kmq., che occupa in sostanza tutto il bacino inferiore del Danubio. Essa ha raggiunto questa estensione per i trattati di pace che seguirono la guerra del 1914-18; precedentemente, le popolazioni, in grande maggioranza romene, riunite entro le attuali frontiere, erano vissute per lunghi periodi sotto regimi diversi.
Sommario. - Geografia: Formazione territoriale, p. 1; Rilievo, p. 1; Clima, p. 5; Idrografia, p. 6; Vegetazione e flora, p. 7; Fauna, p. 7; Popolazione, nazionalità, p. 7; Vita economica, p. 9; Commercio e vie di comunicazione, p. 12. - Ordinamento dello stato: Ordinamento costituzionale, p. 15; Forze armate, p. 15; Culti, p. 16; Ordinamento scolastico, p. 16; Finanze, p. 17. - Storia, p. 17. - Lingua, p. 22. - Etnografia e folklore, p. 26. - Letteratura, p. 29. - Arti figurative, p. 34. - Musica, p. 39. - Diritto: Cenni storici, p. 39; Diritto odierno, p. 40.
Tavole I-X.
Formazione territoriale. - Il nucleo della Romania è stato costituito dai principati di Valacchia e di Moldavia, ancora vassalli dell'Impero Ottomano al principio del sec. XIX. Le lotte dei Turchi con i vicini erano costate alla Moldavia la perdita della Bessarabia, ceduta alla Russia nel 1812, e quella della Bucovina annessa dall'Austria nel sec. XVIII. La Valacchia aveva d'altra parte ancor prima perduto la Dobrugia. I conflitti conosciuti come fasi della "questione d'Oriente" determinarono nuovi avvenimenti, per i quali la fisionomia della Romania si venne infine fissando quale doveva rimanere fino al 1918. I principati, uniti sotto un solo sovrano, prendevano il nome di Romania e conquistavano la loro completa indipendenza nel 1878, in seguito al congresso di Berlino; essi ricevevano nello stesso tempo la Dobrugia, in cambio della Bessarabia meridionale, che alla fine della guerra di Crimea era stata aggregata alla Moldavia.
Durante 40 anni, questa Romania del congresso di Berlino fece grandi progressi, ponendo riparo alle rovine accumulate dalle guerre e da una cattiva amministrazione. Essa restò tuttavia una formazione politica imperfetta, con frontiere malamente difendibili, con vita economica mal regolata, alla mercé dei capricci di un clima da cui dipendeva il raccolto dei cereali, solo articolo di scambio internazionale: soffriva inoltre per la contiguità di provincie a popolazione romena, dove la coscienza nazionale si risvegliava sotto sovranità straniere: la Transilvania, ungherese, la Bessarabia, russa.
Gli sconvolgimenti della guerra mondiale hanno recato soddisfazioni insperate alle aspirazioni romene. Per i trattati di S. Germano, di Trianon e di Neuilly, l'Austria ha dovuto cedere la Bucovina; l'Ungheria, la Transilvania e parte del Banato, la Bulgaria, la regione detta del "quadrilatero" di Dobrugia; inoltre la conferenza di Londra ha riconosciuto nel 1920 l'incorporazione della Bessarabia (pur non essendo stata consultata la Russia).
Il nuovo stato ha una configurazione singolarmente più vantaggiosa della Romania d'anteguerra, avendo le sue frontiere una lunghezza minima relativamente alla superficie, in tutto 2869 km., cioè 1 km. ogni 100 kmq.; predominano inoltre le frontiere naturali: 616 km. lungo il Danubio, 731 lungo il Dnestr, 446 lungo il Mar Nero.
L'estensione del territorio è raddoppiata e così pure la popolazione. È da notare però che l'incorporazione di quasi tutte le popolazioni di nazionalità romena (principio che è stato di guida nel fissare le frontiere) ha provocato, a causa delle mescolanze etniche, anche l'inclusione di nuclei di nazionalità straniere, Slavi, Tedeschi e soprattutto Ungheresi. Inconveniente cui è da aggiungere l'altro della difficoltà di adattare alla vita in comune regioni che per secoli hanno subito governi così differenti, e che si trovano in condizioni sociali ed economiche così disparate.
Rilievo. - L'antica Romania aveva per confine la cresta principale dei Carpazî; la nuova possiede all'incirca la metà della catena stessa, che l'attraversa per una lunghezza di 600 km., dividendola quasi in due parti eguali. Si può pertanto oggi ascrivere la Romania tanto fra gli stati carpatici, quanto fra quelli danubiani.
È ben nota la continuità del sistema carpatico rispetto a quello delle Alpi: l'arco carpatico, che prolunga le Alpi Orientali austriache, dalle quali lo separa il bacino di Vienna, è a sua volta continuato, di là dalle Porte di Ferro, da quello balcanico. Tutto questo complesso appartiene all'epoca delle catene di corrugamento terziarie. I Carpazî romeni, meno alti delle Alpi (alt. massima 2540 m.), tuttavia comprendono al pari di esse dei nuclei di terreni antichi, più o meno completamente metamorfizzati, incorporati nel complesso delle rughe terziarie (v. carpazî, IX, tavv. XXXIX e XL). Ad essi si deve ricollegare il massiccio dei Monti Bihor, il quale, con il suo arco principale incurvato dalla Bucovina sino al Banato, racchiude il Bacino della Transilvania, regione di colline scolpite in terreni del Neogenico non corrugati. L'insieme delle regioni carpatiche rappresenta 124.000 kmq., ossia il 42% della Romania. Questo paese elevato è circondato da pianure e da colline che si estendono per circa 137.000 kmq., ossia il 47% del paese.
Nell'interno dell'arco carpatico, la pianura alluvionale del medio Danubio, grande regione di sprofondamento comunemente conosciuta con il nome di Pianura Ungherese, non rimane completamente estranea alla Romania, la quale ne occupa il lembo orientale fino ad una frontiera stabilita in modo da assicurarle le città principali, Satu-Mare (Szatmár), Oradea-Mare (Nagy Várad), Arad e Timişoara (Temesvár).
Attorno e all'esterno dell'arco carpatico, si estendono le pianure o le colline della Moldavia-Bessarabia ad est, e della Valacchia a sud. Vi si ritrovano i terreni neogenici non corrugati, appoggiati probabilmente ovunque su di uno zoccolo antico, con l'intermediario del Cretacico orizzontale. Profondamente nascosto nella parte meridionale, dove le perforazioni più profonde non hanno oltrepassato il Cretacico, questo zoccolo è più vicino alla superficie nella parte orientale, dove la Bessarabia si riattacca alla piattaforma russa, e dove i meandri incassati del Dnestr sono scavati, attraverso gli strati primarî orizzontali, fino all'arcaico (rapide di Jampol). Ma questo affioramento è molto limitato e la regione geologicamente più antica della Romania rimane la Dobrugia, di cui la parte settentrionale, paese di colline che non oltrepassano i 400 metri, appare come il residuo di vecchissime catene di corrugamento formatesi alla fine del Paleozoico.
La Dobrugia. - Nel complesso è un ripiano disteso come una specie di argine lungo 200 km., tra il Mar Nero e la paludosa valle latitudine di Costanza, sempre più largo e alto verso sud (260 m.), e ancora più elevato verso nord, tanto da assumere il carattere di piccole catene accidentate (Pricopan, 415 m.).
A sud il basamento antico non è visibile: nel cosiddetto Quadrilatero, largo circa 150 km., si prolunga il tavolato cretacico della piattaforma bulgara, solcato da profonde valli che scendono sino al Danubio. Uno strato di calcare neogenico (Sarmatico) lo ricopre, rendendo ancora più arido il tavolato: tagliato in pittoresche ripe dall'erosione marina verso Balcic, a nord si abbassa progressivamente, ricoperto sempre da un velo di löss, sino all'arida vallata di Medjidia, per cui passa la ferrovia che congiunge Bucarest a Costanza.
Continuando verso nord, da questo mantello di löss si vedono sorgere rilievi di rocce antiche, scisti e arenarie primarî più o meno trasformati, graniti e porfidi, i quali formano delle creste orientate da nord-ovest a sud-est, secondo la direzione delle pieghe della catena cimmerica, mentre le arenarie del Triassico e il Cretacico, ambedue in trasgressione, formano dei grandi tavolati. L'arditezza di taluni picchi di graniti o di porfidi o di quarziti è in contrasto con i dolci declivî delle vaste depressioni che li separano. Questi rilievi assai logorati sono stati ravvivati da un movimento che ha risollevato a nord-ovest il pilastro della Dobrugia alla fine del Terziario, e da un'erosione ricominciata in condizioni di clima più asciutto dell'attuale.
L'interesse geologico di queste alte colline della Dobrugia supera gli orizzonti che esse permettono di scoprire. Questo testimonio isolato dell'antica catena cimmerica senza dubbio deve essere ricollegato alla Crimea e al Caucaso, mentre il suo prolungamento, sepolto sotto le creste di arenaria del flysch moldavo, si palesa nell'abbondanza dei ciottoli di roccia verde, caratteristici della Dobrugia, trovati nei conglomerati terziarî.
I Carpazî romeni. - Il complesso di alte catene, di altipiani e di colline, che costituisce i Carpazî romeni, può essere diviso, secondo le forme del rilievo e la struttura geologica, in cinque sezioni, di cui soltanto nel Pliocene recente si fissarono definitivamente il raggruppamento e l'importanza orografica.
L'arco esterno, che si svolge dalle Porte di Ferro sino alla frontiera polacca, è a sua volta formato da due grandi unità, due massicci antichi, collegati da una zona di catene recenti. Il Massiccio transilvano-banatico, a sud-ovest, formato quasi completamente da scisti cristallini, è il più esteso, il più alto e il più anticamente consolidato; lo sforzo principale di corrugamento è ivi infatti avvenuto nel Cretacico medio. Il Massiccio di Bucovina-MaramureŞ, a nord-est, ha press'a poco la stessa struttura, ma con una maggiore complessità, accentuata dall'intervento di fenomeni vulcanici.
Queste due possenti masse sono saldate l'una all'altra dalla serie delle Catene Moldave, formate di arenaria del flysch, il cui corrugamento è continuato durante tutto il Terziario, proseguendo ancora verso la pianura durante il Quaternario, nella regione di massima curvatura dell'arco tra il Buzău e la Prahova.
Mentre la catena si andava così delineando e allargando a spese della zona di avampaese, il suo lato interno subiva un frazionamento, al quale deve il suo aspetto la Transilvania. Il Massiccio del Bihor che non raggiunge i 2000 m., è il testimone più imponente di una costruzione tettonica quanto mai complessa. La maggior parte dell'edificio è scomparsa per sprofondamento fino dalla metà del Terziario, ed è stata ricoperta, su uno spessore considerevole, dai sedimenti di mari continentali o da löss, definitivamente prosciugati nel Pliocene, e poi incisi dall'erosione in colline ondulate. È il bacino di Transilvania.
Il Massiccio transilvano-banatico, che si stende nel Banato e nel sud-ovest della Transilvania per una lunghezza di 250 km. (dalle Porte di Ferro sino alla Dâmboviţa) e per una lunghezza variabile dai 40 ai 100 km., è il complesso dei rilievi più alti non soltanto dei Carpazî romeni, ma di tutta la catena carpatica; infatti, se i Tatra sorpassano il Negoi, quest'ultima cima ha un gran numero di rivali in Romania, superanti 2000 m. Inoltre le rocce cristalline non formano in nessun altro luogo rilievi su un'estensione così considerevole, accompagnate e compenetrate da poderose intrusioni di graniti e di rocce verdi.
I geologi distinguono due serie metamorfiche, la più antica e la più tipicamente cristallina (gneiss, micacisti) dell'era primaria; la più recente della secondaria. Si ritiene che esse abbiano subito corrugamenti accompagnati da carreggiamenti che interessarono una coltre di sedimenti non metamorfizzati, comprendente masse calcaree di epoca varia (Triassico, Liassico, Giurassico). Questi calcari, il cui aspetto pittoresco interrompe la monotonia delle groppe cristalline, non si presentano che in strette fasce lungo le linee di contatto anormale. L'ultima fase orogenica importante daterebbe dal Cretacico, perché il Daniano del Bacino di Haţeg non è affatto corrugato. In queste condizioni si capisce come il più delle volte gli assi anticlinali e sinclinali non funzionino da linee direttive del rilievo. Dal Cretacico, l'erosione ha avuto il tempo di operare e l'ipsometria attuale è il risultato di movimenti d'insieme più recenti, che interessano i depositi neogenici.
Le cime si presentano come groppe arrotondate: alcune volte sono sopravvissute vere piattaforme ondulate, come nel Boresco, a più di 2000 m. d'altezza. L'età di questa piattaforma delle cime più alte è stata fissata nel Bihor all'Eocene.
Una superficie di spianamento più recente molto estesa è ancora ben conservata nella regione delle sorgenti del Riu Ses: ma se ne possono riconoscere anche altre.
Per finire di tratteggiare la fisionomia di queste montagne, bisogna notare due fenomeni caratteristici: le gole incise attraverso le creste da corsi d'acqua nati sul versante transilvano, come il Jiu e Olt (Aluta), e il modellamento glaciale delle cime più alte.
Le gole, dall'aspetto spesso di corridoi selvaggi, sono state iniziate, o anche interamente incise, in fasi di rilievo meno accentuato, quando l'erosione non aveva ancora scavato le grandi valli della regione neogenica in Transilvania: quindi, sotto un certo punto di vista, hanno caratteri di gole antecedenti. Il modellamento glaciale, sul tipo di quello dei Tatra, denota che nel Quaternario il limite delle nevi permanenti si trovava fra 1700 e 1900 m.
L'estensione del massiccio transilvano-banatico obbliga a suddividerlo in un certo numero di massicci, separati da gole più o meno profonde e più o meno larghe, secondo che sono dovute a depressioni tettoniche (con la preservazione dei depositi neogenici) ovvero soltanto all'erosione. Questi massicci possono essere raggruppati in due serie, una occidentale che comprende il Massicico banatico propriamente detto (per quanto i suoi confini oltrepassino quelli del Banato) e una orientale, alla quale si può mantenere il nome di Alpi di Transilvania.
Il Massiccio banatico è un complesso poderoso, che misura 120 km. da ovest ad est e circa 100 da nord a sud. Un grande solco meridiano, d'origine tettonica, il corridoio neogenico di CaransebeŞ, in cui scorrono un direzione contraria l'alto TimiŞ e la bassa Cerna, lo divide in due parti diseguali: ad ovest i Monti Metalliferi del Banato, culminanti a 1447 m. nel Piatra Semenicului, sono formati da piccole catene e da altipiani, dove formazioni cristalline, scistose e calcaree si alternano in pieghe serrate, e dove delle colate eruttive hanno creato ricchi depositi di metalli, sfruttati sopra tutto a ReŞita. Ad est la montagna è a sua volta suddivisa di nuovo da due profonde spaccature. La prima, con direzione est-ovest, è una doccia tettonica percorsa dalla Bistra, che isola il Massiccio di Rusca, notevole perché vi si trovano conservate piattaforme d'erosione tra i 900 e i 1000 m.; la seconda, molto più angusta e con direzione da sud-ovest a nord-est, è percorsa in senso contrario dalla Cerna attraverso gole selvagge, e dal Jiu, che ha scavato una larga depressione negli strati neogenici, ricchi di lignite, del Bacino di PetroŞani. A sud di quest'ultimo solco, le masse cristalline sono meno alte (i Monti di Vulcan non oltrepassano i 1700 m.); a nord, invece, ci troviamo dinnanzi ad un blocco compatto di alte cime oltre i 2000 m., piattaforme monotone svasate da piccoli circhi come il Boresco (2200 m.) o vere catene alpine come il Retezat (2480 m.) dalle creste acute erose da vasti circhi contenenti laghi.
Le Alpi di Transilvania cominciano ad oriente della grande depressione trasversale: Bacino del Haţeg, alto Streiu, Bacino di PetroŞani. La gola dell'Olt vi distingue due gruppi: a ovest i Monti di SebeŞ e i monti di Sibiu, che per l'estensione delle piattaforme rassomiglierebbero alla Poiana Rusca, se parecchi massicci intagliati da circhi glaciali non si elevassero al disopra di 2000 m. (Surian 2061 m., Cindrelu 2245 m.); e i Monti Parângului, che sono un blocco poderoso, notevole per i suoi circhi e i suoi laghi, culminante a 2529 m. nel Vârful Mândra; ad est i Monti di Făgăraş, cristallini, rupestri, in parte modellati dai ghiacciai e culminanti nel M. Negoi (2544 m.), la vetta più alta di tutta la Romania.
Il Massiccio della Bucovina, meno esteso di quello transilvano-banatico, è tuttavia più complesso. Gli scisti cristallini vi formano rilievi arrotondati, dove si ritrovano ancora resti di piattaforme, dominate da creste frastagliate incise da circhi glaciali, come nella Rodna (2305 m.); alcune cime pittoresche sono date da blocchi calcarei (Rareu); solchi stretti, dovuti all'erosione fluviale, passano da un versante all'altro (gole della Bistriţa); e bacini tettonici colmati dal Neogenico (Bacino di Borga, Bacino di Vatra-Dornei) formano vie di comunicazione in mezzo a montagne abbastanza impervie.
Un fatto nuovo è rappresentato dall'affiancarsi al massiccio cristallino antico di una zona di corrugamenti recenti, che interessano le arenarie del flysch cretacico, formando una serie di tozze catene (raramente superanti i 1500 m.) e di corridoi longitudinali nettamente orientati. Questo accrescimento recente della montagna sul lato esterno è compensato dalle sue perdite dal lato interno. Meraviglia il vedere il grandioso rilievo della Rodna abbassarsi bruscamente sull'alto Someş al posto degli alti massicci banatici compaiono le colline del Bacino di Transilvania. Lo sprofondamento ha determinato eruzioni vulcaniche, che hanno costruito, a sud del Bacino di Vatra-Dornei, l'enorme massiccio andesitico del Căliman, culminante a 2102 m.
Il frazionamento del massiccio di Bucovina prelude alla sua scomparsa definitiva all'altezza di Gheorgheni, poiché la pittoresca cima del Hăsmasul Mare (1793 m.) è l'ultima traccia della copertura giurassica. Per 200 km. di lunghezza, sino alla Prahova, l'arco carpatico non sarà più chiuso che dai sedimenti detritici del flysch cretacico e paleogenico elevantisi in pieghe serrate al disopra delle pianure neogeniche della Moldavia e della Valacchia orientale. L'avanzarsi del fronte montuoso deve esser continuato almeno fino al Pliocenico superiore, progredendo a tappe, poiché l'erosione attaccava la falda interna già sollevata, nel momento stesso in cui nuove pieghe si formavano. Gli elementi più antichi ricoprono i più recenti lungo una linea arcuata.
Bacini longitudinali, dovuti a cedimento o ad attenuazioni del sollevamento, formano depressioni ricercate come sedi umane talvolta fino nel cuore stesso della montagna, ma più spesso nella zona esterna. Questa non offre che qualche cuneo paleogenico in mezzo a pieghe neogeniche, che interessano fino al Levantiano.
La zona interna (cretacica e paleogenica) probabilmente venne spianata e deve il suo rilievo a una ripresa del sollevamento, che ha accompagnato i piegamenti neogenici. La disposizione longitudinale delle valli e delle creste è meno netta. Al disopra dei gioghi arrotondati le cime più alte si elevano come antichi testimoni sfuggiti all'erosione, formati sempre da arenarie più dure o da conglomerati conservati nelle sinclinali, con forme ardite e pittoresche come il Ceahlău (1904 m.), che per lungo tempo è stato ritenuto il punto culminante della Moldavia, e soprattutto i Bucegi (2506 m.), le cui scarpate formidabili dominano la ridente vallata della Prahova e la residenza reale di Sinaia.
La zona esterna, neogenica, chiamata dei Subcarpazî o delle alte colline subcarpatiche, assume tutta la sua estensione verso sud. Vi si vede a Odobeşti, presso Focşani, il Levantiano salire in un pendio continuo sino a 1000 m.: verso Buzău esso è preso entro le pieghe: verso Ploeşti, anticlinali emergono dalle terrazze che si levano rapidamente e la cui superficie è turbata da movimenti del suolo prolungati sino al Quaternario. Le arenarie, le argille e le sabbie sono intensamente modellate dall'erosione, favorita dal diboscamento. Paesaggi strani sono creati dal salgemma, che talvolta affiora, e dal petrolio, estratto su vasta scala intorno a Târgu Ocna e soprattutto intorno a Ploeşti.
Il Massiccio del Bihor - cui i Romeni di Cluj dànno anche il nome di Munţii Apuseni (Monti del tramonto) - è il testimone più importante dell'ala interna dei Carpazî. Se l'altezza non raggiunge i 2000 m. (Cucurbeta 1849 m.), l'estrema varietà della struttura orientazioni degli affioramenti, indica che qui sono intervenuti parecchi corrugamenti di età e di natura differenti. Le dislocazioni hanno dato luogo a manifestazioni di vulcanismo fino dal principio del Terziario e le eruzioni sono continuate fino al Neogenico.
Le fasi di spianamento constatate nel Massiccio Transilvano-banatico hanno lasciato tracce evidenti: e la più antica, a cui si debbono le piattaforme ondulate dell'alto Bihor, ha potuto essere datata nei dintorni di Cluj, dove la si vede abbassarsi e sparire sotto depositi eluviali, ai quali si mescolano o si sovrappongono calcari a nummuliti eocenici: le dislocazioni della superficie di contatto, facilmente rintracciabili, permettono di affermare che il rilievo è dovuto a un sollevamento postumo sul tipo dei movimenti d'insieme.
Vallate strette sono incise nel tavolato cristallino inclinato verso il Bacino Transilvano: un arco di catene calcaree, tagliate da gole selvagge, gli dà un fronte pittoresco dal lato sud-est, al disopra della valle del Mureş; mentre negli scisti e nelle arenarie del Cretacico inferiore si è sviluppata una rete molto profonda di vallate, dominate dai mammelloni eruttivi dei dintorni di Abrud. A sud-ovest e ad ovest, il massiccio discende in gradini dislocati da faglie, ed è in parte sommerso sotto gli strati neogenici, ai quali si mescolano grandi effusioni di lave e soprattutto di tufi andesitici. Piccoli bacini isolati hanno esercitato un'attrazione per le loro ricchezze minerali (oro, rame presso Brad e Zlatria) o per l'ospitalità che offrivano alle pacifiche popolazioni agricole (Beiuş). I tavolati calcarei, modellati dall'erosione carsica (codru), e i blocchi cristallini dai dorsi arrotondati sono sempre più sommersi nei sedimenti terziarî verso nord-ovest e nord.
Colline del Bacino di Transilvania. - Il Bacino di Transilvania, regione depressa in confronto alle montagne che la circondano, è tuttavia ben lungi dall'essere una pianura. Le differenze di livello tra il fondovalle e le cime vicine raggiungono spesso parecchie centinaia di metri. Ma tutto questo rilievo è opera di un'erosione base della pianura ungherese e di quella valacca. Il materiale interessato dall'erosione offriva debole resistenza, essendo formato da argille e da sabbie neogeniche con qualche lente di salgemma e qualche banco poco spesso di arenarie, poggianti generalmente su strati eocenici o oligocenici, che appaiono ad ovest e a nord sui margini rilevati a causa del sollevamento orogenetico, mentre ad est il Terziario sparisce sotto potenti accumuli eruttivi, che determinano le sole cime oltrepassanti i 1000 m.
Nota generale è la monotonia del rilievo: larghe valli a fondo piatto con terrazze, versanti che salgono in dolce declivio, con rotture di pendenza irregolari dovute allo scivolamento delle sabbie sulle argille, creste arrotondate, talvolta interrotte dalle ripe a picco prodotte da tali scivolamenti. La presenza del salgemma rende questi fenomeni più frequenti nella regione che si stende ad est di Cluj (in romeno Câmpia, ossia "campagna nuda").
Il Paleogenico forma colline più alte ai piedi del Massiccio della Bucovina e così pure al margine del Bihor ad ovest di Cluj, poiché l'inclinazione degli strati produce creste dissimmetriche del tipo delle cuestas. Non si trova nulla di simile a sud e ad est. Sembra che un movimento di cedimento relativo si sia fatto sentire sino alla fine del Terziario; alcuni laghi hanno persistito fino al Levantiano. L'Olt serpeggia in mezzo a pianure alluvionali scaglionate da 400 a 800 m. (bacini di Făgăraş, di Treiscaune e di Ciuc), dovute senza dubbio, al pari dei laghi che le avevano precedute, allo sbarramento per opera dei vulcani. Questi sono formidabili apparati eruttivi, che formano una vera catena allineata sull'asse dei massicci cristallini sprofondati, su una lunghezza di 130 km. L'età delle eruzioni sembra più antica a nord, dove i rilievi sono più alti e più dissecati dall'erosione (Petrosul 2102 m.): a sud del Hargitta (1798 m.) le colate cominciano a individuarsi, e finalmente piccoli crateri appaiono, altrettanto freschi quanto quelli dell'Italia centrale, ad es. quello in cui brilla il lago di S. Anna presso Tuşnad.
Pianure e colline della Valacchia. - Le basse terre dell'avampaese carpatico differiscono profondamente dal Bacino della Transilvania: le forme d'accumulazione e l'aspetto di pianura alluvionale vi sono meglio conservati, soprattutto nella parte meridionale corrispondente all'antica Valacchia, dove i 2/3 della superficie sono al disotto di 200 m., e dove gli affioramenti di strati neogenici sono, almeno all'est dell'Olt, quasi sconosciuti. Il corrugamento non sembra aver oltrepassato il margine stesso dell'arco carpatico; e anche ad ovest dell'Olt le colline che si stendono quasi sino a Craiova sono state incise dall'erosione negli strati argillo-sabbiosi sensibilmente orizzontali del Neogenico.
Il vecchio nome di Oltenia indica i paesi occidentali, più accidentati: quello di Muntenia designa la regione di levante, dove predominano le pianure, ma dove l'unica zona popolata, e perciò importante in passato, è stata per lungo tempo la fascia di contatto con le colline subcarpatiche.
In Oltenia, l'orlo dei Carpazî è segnato da un susseguirsi di depressioni subcarpatiche, di cui Târgu-Jiu è il centro, zona di costipamento nella quale si succede tutta una serie di terrazze alluvionali. Soltanto verso lo sbocco dell'Olt gli strati sono raddrizzati e formano creste dissimmetriche che raggiungono parecchie centinaia di metri di altezza relativa. All'estremo ovest le condizioni sono, una volta ancora, diverse e l'erosione comincia appena a porre in risalto il contatto tra il Neogenico e le pieghe carpatiche, livellate durante il Miocenico, le quali formano l'altipiano di Mehedinţi, solcato da gole selvagge nelle fasce calcaree.
A sud di una linea tracciata press'a poco da Turnu-Severin a Craiova e Slatina, le colline neogeniche scompaiono e le grandi vallate a fondo piatto che le incidono si fondono in una pianura alluvionale coperta di löss, la quale va declinando fino alla riva del Danubio.
La pianura di Muntenia è notevole per la disposizione della rete idrografica. I fiumi, invece di scendere direttamente al Danubio, subiscono un'inflessione verso sinistra tanto più accentuata quanto più si procede verso levante, in modo da passare dalla direzione sud-est a quella di est e infine (Buzău) a quella nord-est. Si nota l'influenza di un movimento di cedimento, il cui centro principale sarebbe verso Focşani-Brăila, nella regione nella quale i resti della catena cimmerica sopra menzionati scompaiono bruscamente, e le pieghe delle alte colline subcarpatiche si avanzano maggiormente a spese della pianura. Tutti i fiumi della Muntenia orientale si sono spostati verso sinistra, abbandonando terrazze, come quelle che formano un ventaglio a sud di Piteşti, ovvero le pianure paludose che indicano i corsi primitivi verso sud della Dâmboviţa e della Ialomiţa a nord di Bucarest, o quella che è stata seguita dal Buzău a est di Făurei. Lo scolo delle basse pianure del Siret e dei suoi alfluenti (Putna, Râmnic e Buzău) ne risulta difficile.
La valle del Danubio forma per sé sola una vera regione paludosa, ingombra di laghi e di bracci morti, di una larghezza che aumenta progressivamente sino a raggiungere dai 10 ai 12 km. nella balta di Brăila. Il suo corso, nella sezione in cui è diretto da ovest ad est, è stato determinato dallo sprofondamento del tavolato cretacico prebalcanico, che si eleva a picco, come si può osservare nel quadrilatero della Dobrugia meridionale; mentre nella sezione diretta da sud a nord è stato determinato da faglie che limitano il pilastro della Dobrugia e l'area di sprofondamento della Muntenia orientale. Nell'uno e nell'altro caso il fiume è stato respinto verso destra per influenza delle alluvioni apportate dai suoi afluenti carpatici. Presso Galati esso lambisce gli sproni dei rilievi della vecchia catena cimmerica.
Senza dubbio le acque del Mar Nero penetravano per mezzo di un golfo sino a Brăila nell'epoca quaternaria. I laghi che si sono formati alla confluenza dei tributarî provenienti dalla Moldavia e dalla Bessarabia, rappresentano ciò che rimane dei fondi valle non colmati che si riconnettevano alla valle del Danubio. Le alluvioni recenti hanno fatto indietreggiare il mare formando così il delta del Danubio.
Questo delta è notevole per il suo carattere incompiuto: esso sembra progredire con una rapidità tale, che la terraferma tra i bracci del fiume non ha il tempo di consolidarsi definitivamente: al nord e al sud, vaste lagune sono isolate dal mare da cordoni litoranei (laghi Sinoe e Razelm nella Dobrugia, lagune di Bessarabia).
La superficie del delta stesso, tra il braccio di S. Giorgio a sud e il braccio di Chilia a nord, è coperta d'acqua durante quasi tutto l'anno, ad eccezione delle dighe naturali (grindu), tra cui scorrono i bracci, e degli antichi cordoni litoranei sormontati da durie, che segnano le posizioni successive della fronte del delta. La massa principale delle acque del Danubio passa attualmente per il braccio di Chilia e l'abbondanza delle alluvioni provoca lo sviluppo di un piccolo delta secondario, il quale minaccia di compromettere lo sbocco del braccio di Sulina, che la Commissione internazionale del Danubio ha sistemato per la navigazione (v. danubio).
Pianure e colline di Moldavia-Bessarabia. - L'avampaese dei Carpazî si presenta con aspetto del tutto diverso ad est e a sud. Il rilievo è più accidentato, raggiungendo ancora circa 400 m. tra il Prut e il Dnestr: la struttura appare più complessa.
Due grandi fatti dominano: la presenza della piattaforma russa, rialzata a nord sino ad alfiorare nei meandri incassati del Dnestr, e l'influenza dei corrugamenti carpatici. Il primo fatto detemina la rete idrografica, formata da numerosi corsi d'acqua, scendenti verso sud; al secondo si deve probabilmente la formazione del solco del Siret e l'innalzamento delle colline al disopra dei 400 m. tra Roman e Chisinău. Tutti i particolari topografici sono tuttavia dovuti all'erosione degli strati neogenici (sabbie ed argille con una o due intercalazioni poco spesse di strati di calcare sarmatico) inclinati da nord a sud con sufficiente regolarità, senza che si possa notare una differenza sensibile tra la Bessarabia e la Moldavia propriamente detta.
La distinzione che s'impone è quella di pianure meridionali, alte colline centrali e altipiani settentrionali. A sud la Moldavia, più depressa, prolunga l'area di sprofondamento di Galaţi, con pianure inondabili e aride terrazze di löss; la Bessarabia offre uno zoccolo più largo, con inclinazione più accentuata, conosciuto sotto il nome turco di Budgeac, nel quale la steppa si estende sulla larghe groppe di löss tra le vallate umide che terminano in liman.
Al centro, il terreno si rialza e una fitta rete di vallate incide le sabbie e le argille in creste che oltrepassano 500 m. in Moldavia (593 m. presso Hârlău) e raggiungono 475 m. in Bessarabia (Codru Bâcului). Un a picco del tipo delle cuestas si sviluppa in arco di cerchio aperto verso nord da Hârlău fino a Bălţi, passando per Târgu-Frumos e Iaşi: il Prut sembra avervi aperto un solco conseguente.
A nord il rilievo diventa più monotono, ad eccezione dell'antica Bucovina, dove l'influenza dei Carpazî si traduce in un rialzamento degli strati che da origine ad alte colline scolpite a cuestas presso Cernăuţi (576 m.). Ovunque altrove ci si trova dinnanzi ad un tavolato di 250-300 m. di altitudine, dove il löss vela più o meno le argille e i calcari sarmatici: lo zoccolo primario, ricoperto dal Cretacico della piattaforma russa, è così vicino alla superficie che il Dnestr lo mette a nudo dappertutto fra Hotin e Soroca.
Il margine della pianura ungherese. - La descrizione del rilievo non sarebbe completa senza qualche parola circa la zona di pianure, sulla quale si stende il territorio romeno a occidente dei monti del Banato e di Bihor, piccola pianura pedemontana interamente quaternaria, probabilmente in corso di sprofondamento. I fiumi vi hanno divagato su vaste conoidi di deiezione, tagliate in terrazze allo sbocco della montagna, particolarmente nei dintorni di Lugoj (Timiş) e di Arad (Mureş). A nord di Oradea-Mare e al sud di Timiş0ara si riscontrano antichi letti abbandonati, paludosi, spesso inondati dopo le piogge di primavera: il terreno vi è volta a volta troppo secco e troppo umido, specialmente nella pianura del Banato.
Clima. - Per la sua situazione e per il suo rilievo la Romania ha un clima continentale a tendenza montana nelle regioni carpatiche, a tendenza steppica nelle pianure.
Le medie annuali della temperatura sono inferiori di 2° a quelle del litorale atlantico a pari latitudine; l'isoterma di 9° passa per la Bucovina e quella di 11° per Bucarest e Sulina. Ma nel gennaio la Romania è compresa nel golfo delle isoterme di −3° e −4°, che discendono da Königsberg e Riga per volgere poi a nord-est lungo la costa del Mar Nero, che è alquanto meno soggetta alle basse temperature. Nel luglio le temperature medie più elevate, 22° e 23°, dominano sulla pianura valacca e nella Bessarabia meridionale, mentre il litorale della Dobrugia ha temperature un po' meno alte.
L'escursione è dunque all'incirca dappertutto di 24°. Le medie delle temperature estreme raggiungono a Bucarest −8° e +30°.
Se si considerano le temperature vere, l'influenza del rilievo si dimostra non soltanto nella freschezza relativa di tutta la regione carpatica, ma anche nel rigore eccezionale degl'invemi nei bacini chiusi. L'inversione della temperatura è quasi la regola a Braşov e a Cluj, dove la media di gennaio cade al disotto di −5°.
Le differenze nella ripartizione delle precipitazioni si spiegano assai bene con il rilievo. Tutti i minimi sono nelle regioni al riparo delle montagne, nella Bessarabia meridionale (400 e anche 300 mm.), nel Bărăgan e nella bassa Oltenia (500), e persino nella parte occidentale del Bacino transilvanico, riparato dal Bihor (Câmpia e valle nord-sud del Mureş). Tutti i massimi sono determinati dai principali rilievi e si trovano nelle vicinanze dell'Olt (sommità del Bihor, massicci occidentali del Banato, catena vulcanica di Hargitta, Căliman e Rodna).
La distribuzione annua della piovosità accenna ad un regime leggermente influenzato dalla vicinanza del Mediterraneo: il massimo continentale estivo si ritrova alla fine della primavera. Poiché le alte temperature persistono sino al principio dell'autunno, si giunge, soprattutto nelle pianure della Valacchia e della Dobrugia e a sud della Bessarabia, ad una vera aridità nella vegetazione e nel regime dei corsi d'acqua (indice di aridità 18 in settembre a Bucarest).
L'innevamento prolungato è pure una caratteristica del clima continentale della Romania. La neve cade durante 23 giorni in media a Bucarest e resta sul suolo durante più di due mesi all'anno. In Transilvania le alte colline sono spesso ancora candide nell'epoca della Pasqua intorno a Cluj, come in Bucovina intorno a Cernăuti.
Il regime dei venti spiega questi caratteri del clima e, in modo particolare, le variazioni anormali del tempo: siccità funeste ai raccolti, piene di fiumi che interrompono le vie di comunicazione, fatti che sono assai meno eccezionali che altrove in un paese di clima continentale e di forti contrasti ipsometrici.
La pressione atmosferica in generale è più bassa d'estate che d'inverno; i venti di nord e nord-est dominano durante la stagione fredda, nella quale l'anticiclone siberiano si spinge spesso sino alla Transilvania, mentre i venti di ovest hanno il predominio nella stagione calda. Il passaggio delle depressioni cicloniche per la via mediterranea settentrionale (Italia, Balcani) interessa la Romania soprattutto alla fine dell'inverno e in primavera; ne deriva il massimo pluviometrico di maggio-giugno, che è generale. L'esistenza di un anticiclone continentale sulla media Europa può avere conseguenze notevoli d'estate.
I nomi dei venti non sono gli stessi e i loro effetti sono pure differenti nelle regioni carpatiche e nelle pianure. In Valacchia e Moldavia il crivăţ è conosciuto come un vento freddo di nord-est, l'austru come vento umido e tepido di sud-ovest apportatore di piogge. Le condizioni sono differenti in Transilvania.
Sarebbe anche possibile distinguere molte varietà regionali di clima. Tra le pianure dell'avampaese carpatico, l'Oltenia è quella che ha i caratteri più meridionali, gl'inverni più dolci (Craiova −0°,9 in gennaio), le primavere più piovose (massimo in maggio), la tarda estate più arida (a settembre 28 mm. di pioggia soltanto); invece il nord della Moldavia-Bessarabia ha la fisionomia più settentrionale (la differenza delle medie di gennaio è di 4° tra Craiova e Dorohoi, quella di luglio è circa la stessa). Le colline subcarpatiche sono relativamente più calde della pianura di Muntenia spazzata dal crivăţ (Câmpulung, malgrado un'altitudine superiore a 300 m., ha una media di gennaio superiore di un grado a quella di Bucarest) e la piovosità non è sensibilmente più alta. Anche le vallate dei Carpazî meridionali non sono così fredde ed umide come ci si potrebbe aspettare, almeno al disotto dei 1000 m.; a Sinaia (860 m.) la temperatura di gennaio non è che di 1°,6 inferiore a quella di Bucarest e l'innevamento non dura che 16 giorni di più. Invece il Bacino della Transilvania è relativamente freddo per altitudini che s'aggirano fra i 300 m. e i 600 m.: Cluj e Braşov hanno un clima montano assai crudo.
Idrografia. - Grazie all'estensione delle montagne, la Romania, nonostante il suo clima a tendenze steppiche, è provvista di una rete idrografica bene organizzata, salvo in una parte delle pianure dell'avampaese carpatico (Oltenia meridionale, Muntenia di sud-est e Bessarabia) e nella Dobrugia, nelle quali le acque scolanti in superficie non rappresentano più di un quarto delle precipitazioni e dove queste non sempre bilanciano l'evaporazione. Queste pianure non dànno origine ad alcun corso d'acqua autonomo e non sono attraversate che da qualche fiume discendente dalle montagne o dalle alte colline; anche un fiume carpatico, quale la Ialomiţa, è ridotto alla fine dell'estate ad un nastro di pozze. Esistono, tuttavia, delle falde sotterranee, che si possono raggiungere; anzi il profilo dei pozzi a bilanciere è un elemento caratteristico del paesaggio.
L'infiltrazione delle acque nel ciottolame quaternario o nelle sabbie neogeniche ai piedi delle montagne dà origine a falde acquifere più profonde di carattere artesiano, utilizzate con perforazioni nei dintorni di Ploesti, Bucarest e Craiova. Analoghe condizioni si verificano, in scala ridotta, in alcune pianure della Transilvania orientale e nella fascia pedemontana della pianura ungherese, dove la Romania conta una serie di città come Timişoara e Arad.
Ad eccezione della Dobrugia settentrionale e della Bessarabia (scolata quasi interamente dal Dnestr) tutta la Romania appartiene al Bacino del Danubio. I fiumi transilvani, eccettuati l'Olt e lo Jiu, raggiungono tutti il Danubio per mezzo del Tibisco: il Someş al nord ed il Mures al sud si dividono i bacini d'impluvio.
Il Someş è formato da due rami all'incirca uguali. Quello orientale raccoglie le acque del versante occidentale del massiccio della Bucovina, regione ben innaffiata e molto elevata; quello occidentale proviene dagli altipiani molto nevosi del Bihor. Perciò il fiume che scorre verso il nord, per uscire dalla Romania a Satu-Mare, è ben alimentato, con forti piene primaverili. Il Mureş non riceve dal Bihor che affluenti a regime torrentizio come l'Arieş; quasi tutte le sue acque scendono dalla catena vulcanica dei Hargitta o dal Massiccio transilvano-banatico. Esso è, tra Deva e Arad, un corso d'acqua poderoso, con crescite di primavera, soggetto a forti piene anche in seguito a temporali estivi, e il cui deflusso medio corrisponde a una sezione d'acqua di 30 cm.
Tre corsi d'acqua torrentizî discendono dal versante occidentale del Bihor, il Criş Repede, il Criş Alb e il Criş Negru. Infine il Timis e il suo afluente la Bârsava, provenienti dai monti del Banato, sboccano con forte pendenza nella pianura di Timişoara, dove le loro acque inondano di frequente vaste aree e formano una falda prossima alla superficie e perciò asciutta d'estate.
Il Danubio costituisce la frontiera della Romania da Baziaş in poi. A Moldova esso incomincia a incassarsi nelle montagne fino alla stretta denominata Porte di Ferro (Porţile de Fier) presso Turnu-Severin (60 km.). Il rastremarsi del letto (ridotto parecchie volte a meno di 200 m.) e l'irregolarità della pendenza, che dànno luogo a rapide dove l'acqua ribolle su banchi rocciosi, non modificano sensibilmente il regime del gran fiume quale esso si è stabilito nella pianura ungherese, sotto l'influenza combinata degli affluenti carpatici come il Tibisco, e delle perdite per evaporazione nel corso lento e sinuoso a valle di Budapest. Le crescite alpine, col loro massimo di luglio, mantengono ancora alta la portata a metà dell'estate mentre il Tibisco reca un apporto determinato dalle piogge e dalla fusione delle nevi carpatiche in primavera; l'evaporazione riduce notevolmente la portata in autunno (minimo in ottobre).
A Orşova (v. danubio, XII, p. 357) la portata media è di 4200 mc. Malgrado la diminuzione di pendenza che si verifica dopo lo sbocco nella pianura e l'influenza del clima steppico, essa aumenta ancora sino al delta.
Gli affluenti romeni influiscono senza dubbio su questo aumento più di quelli bulgari, e potrebbero influire anche di più senza le perdite che colpiscono tutti questi fiumi nel loro corso inferiore attraverso le pianure di löss. Tutti sboccano dai Carpazî con pendenze molto forti (5‰ per lo Jiu), e si diramano in fili sottili su larghi letti ciottolosi, riempiti del tutto solo per qualche giorno durante le piene di primavera o per qualche ora dopo gli acquazzoni estivi.
Soltanto l'Olt e il Siret hanno un regime un po' meno irregolare. Il primo viene dalla Transilvania, dove è copiosamente alimentato dal ruscellamento sulla catena vulcanica dei Hargitta, sul versante ovest delle catene del flysch moldavo e il versante nord dei Făgăraş. Dopo aver inciso la montagna nella gola di Torre Rossa (Turnu Roqu), lo si può quasi paragonare al Someq. La sua portata d'autunno e d'inverno è però molto ridotta in confronto alle abbondanti acque primaverili e della prima estate (massimi in maggio e in luglio). Il Siret ha una pendenza meno forte (0,7‰ invece di 2) e un deflusso più costante sino alla pianura di Galaţi, dove convergono i suoi affluenti Putna, Râmnic e Buzău, in una regione di sprofondamento a pendenza assai debole, esposta a vaste inondazioni.
Il Danubio è completamente romeno a valle di Turtucaia. L'altitudine non essendo che di 15 m. a 300 km. dal mare, grande è la larghezza della piana d'inondazione (Balta) che si allarga sempre più sino al delta (25 km. verso Brăila). Il regime medio non si è modificato che nel senso di una povertà d'acque relativamente più accentuata in autunno (minimo in ottobre) e un ritardo nelle acque alte, il cui massimo è in maggio-giugno a Brăila. Le piene sono sempre in primavera e arrivano per ondate successive originatesi per lo più nel corso superiore e medio. Gli straripamenti inondano tutta la Balta, trasformandola in un vero lago, da cui emergono le cime dei salici. L'inverno, stagione di acque basse, è anche quella del gelo, la cui durata oscilla fra 12 e 96 giorni a Brăila per il corso principale. Il disgelo prolunga il periodo in cui la navigazione è sospesa.
Per completare questa descrizione del grande fiume, bisogna notare l'abbondanza delle torbide, che ad acque alte raggiungono 2 gr. per litro e spiegano il rapido avanzarsi del delta.
Vegetazione e flora. - La vegetazione della Romania presenta caratteristiche dovute al clima continentale: le grandi oscillazioni termiche fra inverno ed estate, l'abbondanza delle piogge primaverili ed estive, la siccità autunnale determinano una tendenza generale allo sviluppo di una vegetazione steppica, che si manifesta specialmente nella Dobrugia, nella Moldavia, nella Valacchia orientale.
Si possono distinguere nel territorio romeno tre regioni suddivise a loro volta in sottoregioni o zone.
1. Regione della pianura: è caratterizzata da una mancanza quasi completa delle foreste e si può distinguere in tre zone. La zona danubiana presenta la foresta limitata solo alle isole fluviali e alle pianure umide: essa consta principalmente di Quercus pedunculata mescolata a salici e a pioppi. Presso le rive dei laghi danubiani vi è abbondanza di Nymphaea alba, Nuphar luteum, Myriophyllum spicatum, Potamogeton lucens e altre idrofite; lungo le sponde dei ruscelli e nei prati umidi crescono: Cicuta virosa, Euphorbia palustris, Mentha aquatica, e altre specie affini, Ranunculus sceleratus, ecc. La zona litorale del Mar Nero e dei laghi salmastri danubiani presenta una manifesta vegetazione alofila con Arenaria salina, Atriplex triangularis e litoralis, Salsola prostrata, ecc. La zona delle terrazze ha una scarsa vegetazione forestale costituita di Quercus pubescens e conferta, con olmi e aceri; nel sottobosco domina una vegetazione legnosa con predominio di cornioli, nocciuoli, ecc. La steppa erbosa copre vastissime superficie e fra le diverse specie sono caratteristiche: Knautia macedonica, Centaurea orientalis, Triticum cristatum, Phlomis pungens.
2. Regione delle colline, detta podgoria: . un tempo era coperta di foreste, ora è quasi totalmente diboscata, dissodata e coltivata a cereali, viti e alberi fruttiferi. L'albero caratteristico della vegetazione spontanea è la Quercus sessiliflora, ma a mano a mano che ci avviciniamo alle montagne si trovano faggi e vaste formazioni di Betula verrucosa. Fra gli alberi di minori dimensioni e i frutici si notano: Rhamnus frangula, Staphylaea pinnata, Evonymus verrucosa, Ligustrum vulgare. Nel territorio moldavo crescono: Ranunculus illyricus, Adonis vernalis, Alyssum calycinum, Crambe tatarica e nelle larghe vallate moldave non mancano foreste umide con Quercus pubescens. L'abbondanza delle querce nella regione danubiana e in quella delle colline denota una certa affinità con la vegetazione mediterranea, ma questa scompare completamente nella terza regione.
3. Regione carpatica: presenta particolarità floristiche di molto interesse, perché molte specie vegetali di montagna hanno qui il loro limite di diffusione verso nord-est, mancando elevazioni importanti del terreno fino agli Urali: invece è piccolo il numero di quelle che qui presentano il limite meridionale. Pinus pumilio, Salix incana, Sedum alpestre, Viola lutea, ecc., sono comuni ai Carpazi e ai Sudeti; parecchie sono le specie comuni con i monti della Penisola Balcanica (Trisetum carpathicum, Silene Jankae, S. dinarica, Alyssum transylvanicum, ecc.). L'ubicazione dei Carpazî fa si che essi rappresentino una zona d'incontro fra i tipi vegetali centroeuropei e quelli orientali; le grandi vallate trasversali e profonde, come quella dell'Olt, costituiscono linee di vegetazione di notevole importanza. Non mancano numerose forme endemiche specialmente dei generi Draba, Pedicularis, Campanula. In questa regione possono distinguersi quattro zone: la infrasubalpina (da 600 a 1200 m. s. m.) detta anche del faggio; nella parte inferiore alle faggete si mescolano Quercus sessiliflora e pedunculata, nella parte superiore si comincia a trovare l'abete rosso (Picea excelsa); fra le piante erbacee del sottobosco si osservano: Dentaria eneaphyllos, Lilium martagon, Allium ursinum, Pteris aquilina, Convallaria verticillata. La zona subalpina (da 1200 a 1600-1800 m.) è caratterizzata dalle vaste formazioni di abete rosso: la vegetazione del sottobosco è poverissima e consta soprattutto di Felci e Licopodiacee (Blechnum spicant, Scolopendrium officinarum, Struthiopteris germanica, Polypodium vulgare, Lycopodium clavatum e complanatum). Nelle radure delle abetine: Clematis alpina, Ranunculus carpathicus, Aconitum neomontanum, Rosa alpina, Geum nivale, Pyrola minor e uniflora. La zona alpina si trova al disopra del limite delle foreste: quando l'abete manca, il limite si arresta a 1300 m., quando vi sono gli abeti, oscilla fra i 1675 e i 1900 m. Qui vi sono formazioni cespugliose di mugo (Pinus pumilio) e di Juniperus nana associate o separate e si trova su estensioni più o meno vaste il Rhododendron myrtifolium. Le pendici di questa zona in primavera sono rivestite di campanule (Campanula alpina, carpathica, rotundifolia), viole (Viola declinata e biflora), Primula longiflora, Gentiana acaulis, Dryas octopetala, ecc. Ma in estate questa brillante fioritura sparisce e si vede solo una magra vegetazione di graminacee (Poa alpina, Nardus stricta, Phleum alpinum, ecc.). Infine vi è superiormente una zona molto limitata, che è la nivale, la quale si trova al disopra dei 2300 m., è caratterizzata dalla mancanza assoluta di piante legnose e dalla presenza di piante nettamente alpine: Viola alpina, Dianthus alpinus, Veronica alpina, Primula minima. In queste due ultime zone vi sono specie caratteristiche che s'incontrano anche nelle Alpi.
Fauna. - La fauna romena è molto interessante zoogeograficamente poiché include elementi dell'Oriente europeo, molti dei quali comuni alla fauna dell'Occidente asiatico. Tra i Mammiferi, i Chirotteri vi sono rappresentati da varie specie di pipistrelli, nottole, ecc. Molti sono gl'Insettivori e tra i Carnivori citeremo il gatto selvatico e la lince dei boschi della Transilvania, dove non manca il lupo; inoltre si annoverano varie martore, la lontra. Tra gli Artiodattili il cervo, il capriolo, ecc. I Rosicanti comprendono numerose specie di scoiattoli, ghiri, topi, arvicole, lepri. Riccamente rappresentata è l'avifauna. Citeremo, fra i Trampolieri, la beccaccia, l'occhione, frequente nelle isole del Danubio, il re di quaglie, la gallinella, la cicogna, ecc. Tra i Gallinacei il gallo cedrone; molti sono i Rapaci, varie le colombe, i Rampicanti, numerosi i Passeracei e i Palmipedi tra i quali citeremo la marzaiola, il gabbiano, lo smergo, lo svasso. I Rettili e gli Anfibî annoverano forme comuni alla fauna europea e hanno rappresentanti nei gruppi dei sauri, degli Ofidî, delle testuggini, delle rane e dei rospi e ancora dei tritoni. La fauna degl'Invertebrati è ben ricca in numero di specie, particolarmente quella degl'Insetti e dei Molluschi terrestri.
Popolazione, nazionalità. - Il censimento del 1930 ha contato in Romania 18.025.237 abitanti. Le condizioni nelle quali si formò lo stato spiegano, come si è avuto occasione di accennare, perché sia abbastanza forte la proporzione delle nazionalità non romene: le minoranze rappresentano infatti circa 4,5 milioni.
Gli Ungheresi sono i più numerosi, circa 1.700.000, quasi tutti residenti nella Transilvania, dove formavano prima del 1918 il 30% della popolazione. Dominavano nettamente nelle città (60%), ma avevano una parte notevole anche fra le popolazioni rurali di certe regioni, come il paese dei Siculi (o Szekler) alle sorgenti dell'Olt e del Mureş quasi unicamente magiaro (370.000 abitanti).
Formavano inoltre una serie di gruppi rurali o urbani su tutte le strade della Transilvania occidentale (400.000): infine si trovano ha incorporato una parte della pianura ungherese (400.000). La situazione dei Magiari, che, anticamente padroni e ora privi della posizione dominante, hanno anche sofferto nella spartizione delle terre, evidentemente è delicata e fa di essi la minoranza meno disposta a fondersi con la nazionalità romena.
I Tedeschi, in numero di 800.000, non hanno una parte così importante. Minacciati di assorbimento specialmente nelle campagne, sono tuttavia ancora 200.000 nel sud, dove formano un terzo della popolazione di città quali Sibiu (Hermannstadt) e Braşov (Kronstadt); se ne contano da 30 a 40.000 nel nord.
Gli Svevi (Şvabi) del Banato furono introdotti dall'Austria nel secolo XVIII. Sono ancora 250.000 nella parte annessa alla Romania. L'elemento rurale dà ottimi agricoltori, l'elemento urbano commercianti o industriali.
In Bucovina i Tedeschi rappresentano 168.000 abitanti, discendenti dagli antichi coloni, funzionarî e commercianti venuti dopo l'annessione all'Austria nel sec. XVIII. Pure in seguito all'annessione della Bessarabia da parte della Russia, colonie tedesche si stabilirono nel sud di questa provincia, e si sono poi sparse nella Dobrugia (in tutto circa 80.000 ab.). A questi gruppi occorre aggiungere 50 o 60.000 Tedeschi stabiliti nelle città dell'antica Romania. Data la loro origine diversa e la distanza dalla madrepatria, i Tedeschi non sembrano da annoverarsi fra gli allogeni capaci di far sorgere difficoltà in Romania.
Gli Slavi sono pure dispersi: e, pur essendo circa un milione, appartengono a nazionalità varie. I Ruteni sono i più numerosi: 760.000; s'incontrano nella Bucovina e nella Bessarabia settentrionale, dove però si distinguono a malapena dal contadino romeno mentre al centro e a sud di questa provincia i Russi appartenenti alla classe dirigente hanno attirato altri coloni. Finalmente bisogna segnalare nella Dobrugia circa 30.000 Russi "Lipovani". I Bulgari sono quasi 500.000; in Dobrugia e nella Bessarabia essi hanno conservato i loro costumi nazionali e hanno persino una loro piccola capitale: Belgrad. Invece i "giardinieri" della Valacchia sono quasi assimilati. Fra gli Slavi bisogna ancora citare 30.000 Polacchi (Bucovina), 60.000 Serbi (Banato), 30.000 Slovacchi (pianura a nord-ovest del Bihor).
I Greci, da 10 a 15.000 nella Dobrugia, gli Armeni, che si distinguono a stento, i Turchi (3600 nella Dobrugia centrale, da 130 a 150.000 nel sud) formano gruppi numericamente secondarî e in gran parte assimilati. Quanto agli Zingari, erano calcolati a 200.000 al momento dell'unione, ma è ben difficile farne un computo esatto.
Gli Ebrei, in numero di 750.000, rappresentano uno dei rari elementi che non hanno cessato dall'aumentare durante il sec. XIX. Sono localizzati per lo più nella Bessarabia, nel nord della Moldavia, in Bucovina e nel nord-est della transilvania, ma si trovano in forti proporzioni in tutte le città. Il loro numero, aumentato di recente, l'ostilità che suscitano nelle altre popolazion; ne fanno un elemento facilmente malcontento e abbastanza pericoloso.
I Romeni dominano non solo per il numero (più di 13 milioni), ma anche per la vitalità della loro stirpe. Infatti il loro aumento più forte fa sì che essi assimilino abbastanza rapidamente gli elementi stranieri. L'eccedenza delle nascite è del 16 per 1000 nell'antica Romania, mentre non è che dell'11,6 in Bucovina e nella Transilvania, dove la proporzione dei Romeni è notevolmente minore.
Essi prevalgono nettamente nella Valacchia e nella Moldavia, ma anche nella maggior parte della regione carpatica. In generale specialmente in Dobrugia sono in minoranza in parecchie città.
L'origine dei Romeni è stata molto discussa. L'opinione che li fa discendere dai coloni collocati da Traiano nella Dacia non è da respingere, a condizione di tener conto dell'elemento dacio stesso e degli elementi slavi che in seguito vi si sovrapposero.
L'uso della lingua latina ha servito da cemento. I Daci romanizzati sono stati gli uni agricoltori, che si sono fissati nelle regioni carpatiche, abbandonando le pianure spazzate dalle invasioni barbariche, gli altri pastori seminomadi, che le migrazioni hanno condotto a spingersi in tutta la Regione Balcanica. La discesa dei montanari nella pianura è un processo che a più riprese si è verificato e che si è visto ripetere con nuovo vigore nel sec. XIX dall'indipendenza dei Principati in poi. Il vigore della nazionalità romena è l'elemento principale di stabilità in uno stato dove si trovano riunite nazionalità abbastanza diverse.
Densità della popolazione e ripartizione delle città. - Con una densità media di 61 ab. per kmq. la Romania è assai al disotto degli stati dell'Europa centrale e occidentale, ma è peraltro al disopra delle densità medie che si riscontrano nell'Europa orientale, con cui confina e della quale mostra già alcuni caratteri. La grande estensione delle montagnè e quella delle pianure steppiche sono le due principali cause che contribuiscono a mantenere bassa la densità media.
La pianura valacca, e soprattutto la Muntenia orientale (Bărăgan) era quasi deserta nella prima metà del sec. XIX, e la colonizzazione non ha ancora fatto salire la densità a più di 25 abitanti per kmq. Eguale situazione si riscontra in una parte della Bessarabia e della Dobrugia. La pianura del Banato e generalmente tutta la zona di confine occidentale hanno una popolazione più densa (da 70 a 80 ab. per kmq.). Le colline della Transilvania hanno densità medie, che sorpassano 75 ab. per kmq. lungo le grandi vallate (principalmente nel Mureş).
In tutto il paese romeno, le zone di popolamento più antico e più denso sono quelle nelle quali il rilievo è abbastanza accidentato, senza raggiungere altitudini superiori a 600 o 800 m., per esempio le colline subcarpatiche della Valacchia, specialmente nella Muntenia, la Moldavia meridionale, la maggior parte della Bucovina e la Bessarabia centrale. Tutta la valle del Siret è abbastanza densamente popolata (da 80 a 100 ab. per kmq.). Nella regione di Ploeşti, anche prima dello sviluppo dell'industria petrolifera, si raggiungevano densità superiori a 100 ab. per kmq., ed è notevole il fatto che questo focolare di popolamento irradia su tutta la pianura fino al Danubio, seguendo la Dâmboviţa; in questa regione, più favorita del restante della pianura, è sorta la capitale Bucarest.
Giova osservare che i Carpazî, abbastanza popolati ad altezze modeste, sono completamente disabitati a partire da 1000 o 1200 m. Nulla v'è che ricordi gli alti villaggi delle Alpi. Solo lo sfruttamento minerario ha provocato lo stabilirsi di qualche nucleo umano nella zona delle foreste a conifere (Banato, Poiana Rusca). Nei dintorni di Haţeg e di Cluj un movimento di colonizzazione forestale abbastanza recente ha fatto sorgere qualche casolare sui 1000 m.; ma sono eccezioni. La valle della Prahova è una delle rare valli carpatiche assai popolate al disopra di 800 m.; ciò si deve al traffico del Passo di Predeal, attraversato dalla ferrovia.
La tabella allegata mette in vista la popolazione delle divisioni amministrative (judeţe) ripartite per grandi provincie storiche, Antico regno, Transilvania (col Banato, la Crisana e il Maramureş), Bucovina e Bessarabia, secondo il censimento del 1930. Vi aggiungiamo la lista delle città con più di 20.000 ab., che sono all'incirca una trentina. La Romania è difatti ancora ben lungi dall'essere una nazione d'intensa vita urbana.
Gli antichi centri urbani sono sorti in Valacchia e in Moldavia in vicinanza di montagne e nella zona collinosa rimasta per lungo tempo la più popolata. Ma ora non sono più queste le città di maggior importanza, eccettuando Ploeşti, che segna lo sbocco delle strade transcarpatiche, passanti una volta per il passo di Bran, oggi, con la ferrovia, per Predeal e la valle della Prahova. Câmpulung ha perduto la sua antica importanza, come pure Râmnicul-Vâlcea allo sbocco della stretta dell'Olt. Le città della pianura e le città-porto sul Danubio sono attualmente le più attive: Craiova sul basso Jiu, Bucarest, la capitale, sulla Dâmboviţa, Giurgiu, Silistra e soprattutto i due porti di Galati e di Brăila sul Danubio.
La capitale dell'antico principato moldavo, città un tempo più importante di Bucarest, tappa sulla strada del Baltico e dei centri polacchi verso il Mar Nero e l'Oriente, l'antica Iaşi, è decaduta alla fine del sec. XIX e al principio del XX, e comincia a risollevarsi ora, dopo il ritorno della Bessarabia alla Romania. La ferrovia che passa per la valle del Siret la lasciava fuori delle comunicazioni odierne: la vicinanza di Chişinău ha mutato alquanto le cose. Cernăuti è la sola città importante della Bucorina, meglio situate di Iasi nei riguardi dei collegamenti ferroviarî.
La Transilvania conta un numero abbastanza elevato di piccole città, tre delle quali sono centri particolarmente attivi. Braşov (anticamente Brassó o Kronstadt) guarda i valichi dei Carpazî da nord, come Ploeşti da sud. Sibiu (anticamente Nagy Szeben o Hermannstadt) ha analoga situazione rispetto alla stretta dell'Olt. Cluj (anticameute Kolozsvár o Klausenburg) deve tutta la sua importanza al favore del principe, che ne ha fatto una capitale amministrativa su uno dei rami dell'alto Someş.
Il margine della pianura ungherese è una regione ricca di città, tre delle quali particolarmente importanti: Oradea-Mare (anticamente Nagy Várad), Arad, e Timişoara (anticamente Temesvár).
Vita economica. - Agricoltura. - La Romania è ancora un "paese nuovo", essenzialmente agricolo. L'estensione delle superficie coltivate, inferiore nel 1918 a quella che era precedentemente nel complesso dei paesi romeni tutti riuniti, non ha cessato di aumentare, a mano a mano che la situazione creata dalla guerra migliorava. Essa è passata da 8.600.000 ettari nel 1920 a 12.750.000 nel 1928.
Per comprendere la ripartizione dei prodotti agricoli, bisogna tener conto del clima a carattere continentale, con le sue primavere precoci e piovose e le siccità della tarda estate; ma anche bisogna tener presenti le condizioni agricole, e soprattutto le condizioni economiche quali risultano dalla riforma agraria.
Questa è stata in Romania particolarmente radicale, una vera rivoluzione, che ha tolto ai proprietarî 5.650.000 ettari per distribuirli ai contadini. Da allora la piccola proprietà predomina; le proprietà inferiori a 10 ettari rappresentano il 92% della superficie coltivata, e in Bessarabia perfino il 94%. I procedimenti di utilizzazione agricola sono diventati meno perfezionati: le colture che mirano all'esportazione sono in diminuzione a vantaggio di quelle che servono all'alimentazione del contadino.
Tra le colture alimentari, i cereali occupano da molto tempo il primo posto, favoriti dal clima delle pianure. Nell'antica Romania essi si estendevano per l'88% della superficie coltivata al principio del sec. XX. Nel 1920 essi ne occupavano ancora l'82%; cinque anni dopo un milione di ettari era stato riguadagnato; in totale nel 1928,10.900.000 ettari erano seminati a cereali. Il frumento e il mais sono i principali cereali. Il primo tende a riprendere la sua situazione preponderante (3.079.000 ha. nel 1934), benché il reddito rimanga modesto intorno ai 30 milioni di quintali. Il mais (5 milioni di ha. nel 1934), particolarmente adatto al clima, forma la base dell'alimentazione del contadino. La sua produzione si aggira sui 45 milioni di quintali. È il cereale per eccellenza delle colline subcarpatiche e dei Codri della Bessarabia; ma lo si trova anche nelle pianure. L'orzo è coltivato soprattutto nell'est, Dobrugia, Bărăgan e Bessarabia; l'avena specialmente nella Transilvania orientale.
Il rendimento dei cereali potrebbe essere migliorato, sopra tutto per quanto riguarda il frumento, mediante arature profonde nelle pianure, con l'introduzione di sementi selezionate e con l'educazione dei piccoli proprietarî rurali.
Le colture dei legumi, patate, fagioli, ecc., sono in progresso, e coprono più di 400.000 ettari, senza contare le zone nelle quali essi sono mescolati al mais. Essendo utilizzati e per il mantenimento delle famiglie coloniche e per l'alimentazione delle città, si nota il loro sviluppo soprattutto intorno a Bucarest, Ploeşti, ecc.
Le colture arboree, frutteti e vigne, hanno sempre avuto una parte importante nella vecchia regione di popolamento romeno, nelle colline subcarpatiche (podgoria), nei Codri della Bessarabia, sulle falde del Bihor. L'albero nazionale è il prugno (se ne contano 48 milioni di piante), il cui frutto distillato fornisce la ļuica.
La vite è coltivata nelle colline della Transilvania, della Valacchia, tutto sui fianchi delle grandi valli. Su 271 mila ettari, 61 mila circa spettano alla Valacchia, 50 mila alla Moldavia, 106 mila alla Bessarabia, 40 mila alla Transilvania. Tranne qualche specialità rinomata (Cornari in Moldavia, Drăgăşani in Valacchia, Arad in Transilvania), il prodotto, mal disciplinato e mal conservato, non dà i risultati che sarebbe lecito attendersi da uve tra le più saporite.
Nell'antica Romania le colture industriali avevano una parte insignificante. Esse hanno alquanto progredito, soprattutto il tabacco, che occupava, nel 1928, 277 mila ettari, con un produzione di 156 mila quintali, concentrata nelle pianure della Muntenia (dintorni di Bucarest), nella Bessarabia (regione di Chişinău e Soroca), nella Dobrugia meridionale e sui margini della pianura ungherese.
Allevamento. - L'antica Romania era, fino alla rivoluzione agricola che ha trasformato le pianure steppiche in granai di cereali da esportazione, un paese pastorizio; questo spiega come il patrimonio ovino e bovino sia diminuito nel sec. XIX. Dopo la guerra mondiale esso era completamente decimato. Ricostituito mediante apporti dalla Transilvania, è tuttora in via d'incremento, poiché la piccola proprietà favorisce questa evoluzione.
Il clima e la tradizione assicurano ancora alla pecora il primo posto. Nel 1930 se ne contavano 13.600.000 capi, cioè 45 per kmq.; 80 ogni 100 abitanti, media sconosciuta nell'Eutopa centrale e che avvicina la Romania ai paesi mediterranei. I tre quinti si trovano nelle pianure della Muntenia e in Dobrugia. Sussiste la migrazione stagionale, e si vedono ancora i greggi costituiti in parte di bestiame transilvano scendere in autunno verso il Danubio, dopo aver passato l'estate sui pascoli alpini, dove i pastori vivono con le loro famiglie in abitazioni temporanee di legno (stâne). La pecora è ancora utilizzata come fornitrice di lana (soprattutto la razza Turkana), per i latticinî (formaggi fabbricati in montagna) e sempre di più per la carne.
Il patrimonio bovino comprende 4.400.000 capi, di cui 2.600.000 nelle antiche provincie, e 1.800.000 in Transilvania (inclusi 190.000 bufali). Nonostante la crescente richiesta, da parte delle città, di latte e carne, il bue è ancora utilizzato dal contadino soprattutto come bestia da tiro.
I maiali sono iu numero di 3 milioni e potrebbero facilmente aumentare per il benessere del contadino; il miglioramento delle razze è parimenti necessario.
Il cavallo è allevato tradizionalmente dappertutto, ma particolarmente nella Dobrugia, nella Muntenia orientale e nella Bessarabia meridionale (300.000 capi nelle due provincie di Brăila e Ialomiţa, 400.000 in Bessarabia).
Foreste. - Nonostante la forte proporzione di territorio montuoso, le foreste non arrivano a coprire 1/4 della superficie del paese. Ciò si deve al diboscamento avvenuto durante tutto il sec. XIX.
L'essenza dominante è il faggio (48% nei Carpazî e nelle alte colline), poi vengono gli alberi resinosi, preservati nelle alte montagne, in Moldavia e in Valacchia. I querceti sono stati particolarmente colpiti: ridotti allo stato di bosco ceduo, essi occupano solamente il 20% della superficie. Le foreste sono per la Romania un'importante fonte di redditi. Se ne ricava legno da ardere, tavole, traverse, oltre che materia prima per le cartiere e le distillerie.
All'agricoltura romena è riservato un grande avvenire: pur avendo essa realizzato già dei progressi, le resta ancora molto da fare.
Industrie. - Sino alla fine del sec. XIX la Romania non ha conosciuto che le piccole officine nelle quali gli artigiani fabbricavano sul posto tutto ciò che era necessario al contadino. Lo sviluppo delle città avendo creato nuovi bisogni, si dovette ricorrere all'importazione, ma questa si palesò così onerosa che il governo pensò di dar vita alla grande industria moderna, protetta da leggi speciali. Al principio del sec. XX l'antica Romania aveva un'industria petrolifera prospera e un'industria di trasformazione dei prodotti del suolo. La Transilvania possedeva un'industria siderurgica che lavorava di conserva con quella di Budapest. Il sorgere della grande industria moderna non aveva fatto sparire le piccole aziende, che oggi ancora sussistono nei Carpazî, e ovunque i mezzi di comunicazione sono particolarmente difficili.
Dopo gli aimi torbidi che tennero dietro alle rovine della guerra mondiale, il movimento industriale ha ripreso e si è amplificato. Questa industria in via d'espansione mira soltanto a soddisfare ai bisogni del paese, senza riuscirvi: non vi è quindi possibilita d'esportazione dei prodotti manifatturati.
Ricchezze minerarie. - Sono localizzate nei Carpazî e dintorni. Il carbon fossile è estratto dai monti metalliferi del Banato a cura della Società metallurgica di Reşiţa. La produzione (400.000 tonn. annue) è del tutto insufficiente, ma, almeno in parte, si provvede con quella della lignite (1,6 milioni di tonnellate nel 1934). Questo combustibile, estratto nel bacino di Petroşeni e in Moldavia (sul Trotus), è stato pure trovato nelle colline subcarpatiche della Transilvania e della Bessarabia.
I gas naturali delle colline della Transilvania servono ad alimentare gli stabilimenti di Turda, Mediaş, Târnava e i cantieri petroliferi. Nel 1933 la produzione totale fu di 1589 milioni di mc. (613 milioni nel 1928).
L' importanza delle risorse di energia idroelettrica (Carpazî) assicura alla Romania un brillante avvenire e le permetterà di diminuire ancora le importazioni di carbone. Lo sfruttamento si inizia appena ai nostri giorni.
La produzione di metalli pieziosi non è più molto importante ma l'origine della loro estrazione risale molto lontano nel passato. Nel 1933 sono stati estratti: 3500 kg. d'oro, e circa 5000 kg. d' argento.
L'oro della Transilvania era già sfruttato dai Romani. Più tardi i Tedeschi lo estrassero a loro volta dal Banato e dal massiccio di Poiana Rusca e persino nel Maramureş. Infine gli Zingari lavavano anche le sabbie del Buzău. Oggi quasi tutti questi centri sono abbandonati.
Il minerale di ferro rappresentava 12.112 tonn. nel 1933. Lo si trova nel Banato e nel massiccio di Poiana Rusca. Esso non basta al consumo delle acciaierie di Reşita.
Tra le ricchezze minerali occorre anche ricordare il sale estratto sugli orli esterni dei Carpazî, nei terreni corrugati del Terziario. Il suo sfruttamento, monopolizzato dallo stato, fornisce da 250 a 300 mila tonn., in parte esportate.
Il petrolio con una produzione di 8.467.000 tonn. nel 1934 pone la Romania al quarto posto nel mondo, al primo in Europa (esclusa la Russia). I centri di estrazione si trovano nelle colline subcarpatiche della Muntenia e della Moldavia meridionale. Il distretto di Prahova è in testa, con il 70-90% della produsione totale. Le nuove istallazioni del distretto della Dâmboviţa sono attualmente le più redditizie dopo quelle di Prahova.
L'organizzazione era già molto perfezionata nel 1914 (684 perforazioni, 13.700 operai). Essa comprendeva raffinerie, tutto un sistema di vagoni-cisterna, oleodotti. I capitali erano specialmente stranieri: tedeschi (27%), olandesi e soprattutto inglesi. Dopo il 1918 gli stabilimenti di Prahova, rovinati durante la guerra, si sono rapidamente ricostituiti e anche perfezionati. Essi occupano 20.000 operai, le loro raffinerie possono trattare 5 milioni di tonn. di petrolio grezzo. Lo sfruttamento dei derivati da 2.340.000 tonn., 3/4 delle quali provengono dalle raffinerie di Prahova. Il trasporto è assicurato da una rete di oleodotti: Ploeşti-Costanza, con diramazione per Câmpina e Buzău (120 vagoni al giorno). Due oleodotti fanno capo a Giurgiu, uno per il petrolio illuminante, l'altro per il petrolio greggio: un altro va da Câmpina a Bucarest. Appartengono a capitali strariieri, inglesi e francesi, che tengono in vita questa potente organizzazione, concentrata nelle mani di 4 0 5 grandi società.
L'esportazione è diminuita in confronto al 1914 a causa dell'insufficienza degli oleodotti, e delle tasse. In compenso è però aumentato il consumo interno.
Industrie di trasformazione dei prodotti del suolo. - Sono le più importanti. Comprendono: molini, segherie, concerie, zuccherifici, fabbriche di birra e rappresentano un valore di 15 miliardi di lei (la metallurgia ne rappresenta solo 12 e l'industria tessile 5).
I molini sono organizzati da gran tempo a Bucarest, nei porti del Danubio e nelle citta della pianura pannonica (Arad, Timişoara). Rappresentano le industrie più importanti per il valore dei prodotti: 5500 milioni di lei, mentre le segherie (4600) le superano per la forza motrice (64.896 HP) e il personale (52.000 operai) impiegati. La conceria è una vecchia industria dei paesi romeni. Nel 1925 la Romania lavorava cuoi per un valore di 2 miliardi di lei, di cui 600 milioni per le calzature. Nonostante i notevoli progressi, questa industria non basta ai bisogni del paese. Molto meno importanti sono gli zuccherifici: essi pure non sono bastevoli a sopperire ai bisogni del paese, mentre le fabbriche di birra rispondono a sufficienza alle richieste delle città.
Industrie metallurgiche. - Esistevano già nell'antica Romania, ma dovevano importare la maggior parte dei metalli e delle macchine necessarie. In Transilvania, grazie alle risorse del sottosuolo, esisteva pure una grande industria metallurgica (Società di Resiţa; Alti forni di Hunedoara).
I prezzi di costo essendo molto alti, la Romania attuale, se si eccettua una produzione d'acciaio di 120.000 tonn., dimostra tendenza a orientarsi verso la metallurgia di trasformazione: attrezzi da sondaggio a Ploeşti, macchine agricole a Sibiu, BraŞov, Timişoara, officine di riparazione di vagoni ad Arad. Nell'insieme questa metallurgia di trasformazione rappresenta un valore di 3 miliardi di lei.
Industrie tessili. - Erano già sviluppate nell'antica Romania. Oggi ha il primato l'industria della lana, che occupa 8700 operai, rappresenta 2190 milioni di lei, e provvede al 57% dei bisogni del paese. L'industria della tela fornisce il 31% di quanto occorre alla Romania. Le maglierie e le fabbriche di cappelli dànno dal 30 al 50% dei bisogni dell'interno. Si può predire un grande avvenire alle industrie tessili, soprattutto in Transilvania.
Industrie chimiche. - Sono pure destinate ad occupare un posto importante nell'economia romena. A Mediaş si fabbrica la cianamide. La distillazione del legno, la preparazione dell'acido solforico lo sfruttamento del sale, aprono altre prospettive. Infine la Romania basta di già a sé stessa nei riguardi del cemento.
Commercio e vie di comunicazione. - I caratteri del commercio romeno sono determinati sia dalla situazione geografica del paese sia dalle vicende politiche. Nonostante la sua simpatia per i paesi latini (Francia, Italia), la Romania prima della guerra mondiale era l'Ungheria. Al principio del sec. XX la Germania riversava qui i suoi prodotti metallurgici e tessili, fornendo così dal 20 al 40% delle importazioni. L'Austria-Ungheria concorreva con il 25%. L'Inghilterra e la Francia seguivano da lungi, partecipando soprattutto alle esportazioni. La formazione della Grande Romania non è stata sufficiente a modificare radicalmente questo stato di cose; né la situazione geografica e il cattivo stato delle vie di comunicazione permettono per ora alla Romania di rendersi economicamente indipendente. Bisogna tuttavia notare che durante gli ultimi anni si è verificato un notevole aumento del commercio con l'Italia, e una ripresa di quello con l'Inghilterra.
Vie di comunicazione. - Sono nel complesso veramente insufficienti. Le strade ferrate misurano un percorso totale di appena 11.221 km. (1933); di esse solo 218 km. sono a doppio binario. La loro distribuzione è molto diseguale. Per esempio in Transilvania la rete è press' a poco sufficiente, mentre in Bessarabia in alcune zone le strade ferrate mancano quasi del tutto. In generale la proporzione di 4 km. per 100 kmq. (e di 6 km. per 10.000 abitanti) non è in rapporto col movimento commerciale del paese. Certe linee indispensabili al trasporto delle materie prime come la Braşov- Buzău e la Petroşani-Târgu-Jiu, non sono neppure finite. Sulle linee esistenti il materiale è nettamente insufficiente.
La rete stradale, che potrebbe rendere grandi servigi là dove la strada ferrata non basta, è ancor meno soddisfacente. Si valuta a 6 km. la proporzione per 1000 abitanti, e su questi 6 km. soltanto 3,4 sono inghiaiati. In Bessarabia, dove la situazione è particolarmente triste, bisogna contare su 200 m. inghiaiati per 1000 abitanti.
Fortunatamente la Romania possiede nel Danubio un'ottima via acquea, per la quale i cereali possono arrivare ai porti d'imbarco. Il fiume, ben curato, sorvegliato al suo delta dalla Commissione europea del basso Danubio, è dotato di porti moderni molto ben attrezzati: Brăila, Galaţi, Sulina. Essi sono frequentati da una flotta internazionale, nella quale le navi che battono bandiera romena rappresentano una proporzione modestissima. Il primo posto prima della guerra mondiale apparteneva alla Gran Bretagna, oggi sorpassata dalla Grecia.
Marina mercantile. - Prima del conflitto mondiale il governo romeno volle costituire una flotta di stato per assicurare, più che altro, i traffici Mar Nero-Mediterraneo orientale. Venne così formato il Serviciul Maritim Român (S. M. R.) - col quale, in sostanza, s'identifica la più recente storia marittima romena - con piroscafi sulle 3000 tonnellate lorde unitarie, Princesa Maria, Regele Carol, România, Dacia, e 17-18 nodi di velocità per i servizî postali, mentre quelli da carico erano affidati a cargo boats da 9 nodi e 2000-4000 tonn. lorde.
Durante la guerra tale flotta rimase a Galaţi; dopo il conflitto essa gradatamente riprese i servizî e, malgrado le condizioni d'inefficienza del materiale, ebbe utili di 24.408 mila lei; 42.451 mila; 13.683 mila negli esercizî 1919-20;1920-21; 1921-22. Ma negli esercizî successivi (sino al 1927) si ebbero perdite ascendenti a 220 milioni di lei in complesso; e bisogna considerare che nei bilanci non sono compresi né l'ammortamento né l'assicurazione, dato che lo stato, proprietario, non assicurava il materiale proprio.
Nel 1929 si venne quindi alla decisione di "commercializzare" il S.M.R., costituendo una nuova compagnia privata, nella quale lo stato sarebbe intervenuto finanziariamente; ma i progetti relativi non sono stati attuati.
Lo stimolo verso l'iniziativa privata ha dato comunque impulso alla costituzione di altri piccoli armamenti, liberi, cosicché al 30 giugno 1931 il Lloyd's Register indicava la consistenza della marina romena in 31 piroscafi (nelle 100 tonn. unitarie) per 65.921 tonn. lorde; cifra passata, al 30 giugno 1934, a 34 piroscafi per tonn. lorde 91.743.
Fra Galali e la foce del Danubio si svolge un intenso traffico granario effettuato con chiatte e rimorchiatori dalla Navigaţiune Fluvial Româna (di proprietà dello stato, che dispone di un parco natante calcolato in 360 milioni di lei) e dalla Româna de Navigaţiune Dunare.
Il cabotaggio merci sul Danubio e quello lungo il litorale del Mar Nero sono riservati alla bandiera nazionale. Per quanto riguarda il traffico passeggeri sul Danubio è però da nota e che le autorità romene hanno concesso l'autorizzazione d'ingerirsi nel cabotaggio ad alcune compagnie fluviali straniere.
Aviazione civile. - L'aviazione civile della Romania dipende dal con sede a Bucarest, sono: il Reale Aero Club di Romania, affiliato alla Federazione aeronautica internazionale; l'Associazione romena di propaganda aeronautica (A. R. P. A.), che ha per scopo di divulgare l'aviazione mediante conferenze e riunioni; l'Aero Club Culorei de Albastru, associazione di propaganda; il Circolo aero-tecnico di Bucarest, che favorisce lo sviluppo degli studî tecnici riguardanti l'aeronautica.
Gli aeroporti principali sono a Bucarest-Băneasa (hangars, officine, rifornimenti, stazione radiotelegrafica, telefono e servizio sanitario, aerofaro); a Galaļi, Iaşi, Cluj e Costanza (con uguale importanza di quello di Bucarest); a Chişinău, Cernăuţi e Timişoara (con sola possibilità di ricovero, rifornimenti e riparazioni motori). Altre stazioni minori a OradeaMare, Craiova, Cetatea-Albă, Arad e Sibiu. A Braşov esiste un aeroporto completamente attrezzato, nelle immediate vicinanze delle Industrie Aeronautiche Romene.
Le linee aeree romene, tutte gestite dallo stato, sono: Bucarest-Costanza-Balcic, km. 304; Costanza-Carmen Sylva-Mangalia, km. 55; Bucarest-Galaţi-Chisinău-Cernăuţi, km. 676. Gli apparecchi impiegati sono Junkers F. 13 e Avia.
Commercio con l'estero. - Il commercio con l'estero ha subito molte fluttuazioni dal 1918. Sino al 1923 la Romania, rovinata dalla guerra mondiale, non ha potuto esportare nulla e si è limitata ad assorbire tutto ciò che i suoi alleati le mandavano. Nel 1927 la situazione era ridivenuta quasi normale. Le importazioni rappresentavano iufatti 1.000.000 di tonn. contro 7.337.000 di esportazioni; il valore corrispettivo era di 33.841 milioni di lei per le importazioni, 38.110 milioni per le esportazioni. Queste consistevano principalmente in cereali e derivati, petrolio, legname, e rappresentavano un valore minore delle importazioni: prodotti manifatturati, semilavorati, tessili, macchine.
Da allora la situazione sembra aver subito sino al 1933 un'evoluzione in senso contrario. Nel 1930 l'eccedente della bilancia era di 5.477.865.000 lei. Nel 1931 di 6.442.345.000 e nel 1932 scendeva a 4.701.000.000 lei. Queste cifre non indicano soltanto un indebolimento del movimento commerciale connesso alla crisi economica e finanziaria che travaglia la Romania, ma soprattutto un gran cambiamento nella direzione del commercio. Nel 1932 le importazioni non arrivano più che a 449.913 tonn. contro 9.057.187 tonn. di esportazioni; il valore corrispondente era di 11.933.136.000 lei per le importazioni e 16.654.463.000 per le esportazioni. Questa enorme diminuzione delle importazioni sembrerebbe indicare che la Romania basta a sé stessa in misura più vasta, ciò che è abbastanza improbabile. Indica invece piuttosto un impoverimento del paese, aumentato ancor più dal debole valore delle esportazioni. Nel 1927 le 7.337.000 tonn. di esportazioni rappresentavano un valore di 38.110.000.000 lei, nel 1932 invece 9.057.187 tonn. valgono solo 16.654.463.000 lei. Ciò è dovuto al ribasso generale delle materie prime, che tocca particolarmente la Romania esportatrice di cereali, petrolio, ecc., merci quasi dappertutto in sovraproduzione. Il valore di una tonnellata di merce esportata è diminuito del 50% tra il 1929 e il 1932. Questa critica situazione è in rapporto con la crisi economica mondiale. La Romania ne soffre in modo particolare, essendo un paese in piena ricostruzione, dopo la guerra mondiale.
Le esportazioni, molto colpite dalla diminuzione dei prezzi, riguardano tutti i prodotti del suolo. I combustibili minerali, petrolio e derivati, sono alla testa per il peso e il valore. I cereali occupano il secondo posto, poi vengono il legname e i suoi derivati, infine i prodotti alimentari d'origine animale, gli animali vivi, i legumi, i fiori.
Le importazioni restano molto al disotto in peso, ma rappresentano un valore assai maggiore. Dal punto di vista del peso tengono il primo posto i materiali di ferro e gli oggetti di ferro, mentre i tessili sono in testa, se si considera il valore della merce.
Nel complesso si tratta di materie prime e semilavorate, necessarie all'industria del paese ovvero di oggetti manifatturati che la Romania non fabbrica in quantità sufficiente.
I principali clienti e acquirenti della Romania sono anzitutto i paesi vicini: Germania, Austria, Cecoslovacchia, Polonia, poi qualche paese industriale dell'Europa occidentale: Inghilterra, Francia, e nel Mediterraneo l'Italia in misura sempre più importante; paesi tutti, che acquistano cereali e vendono prodotti manifatturati. Infine anche parecchi paesi dei Balcani e del Mediterraneo orientale hanno allacciato relazioni con la Romania.
Il primo posto spetta alla Gran Bretagna, seguita dalla Francia e non più dalla Germania, come gli anni precedenti. Le due prime importano cereali, petrolio, legno. La Germania ha dovuto limitare i suoi acquisti all'estero per ragioni economiche. Bisogna anche notare la parte importante che spetta ai paesi mediterranei: Italia, o ai vicini: Cecoslovacchia, Austria, Ungheria, Polonia.
Il primo posto spetta alla Germania, che riversa nella Romania i prodotti della sua industria. La Francia tiene il secondo posto, grazie al valore delle sue merci: oggetti di lusso, profumi, automobil i.
Seguono la Gran Bretagna, la Cecoslovacchia, l'Italia, la Polonia, che vendono tessuti, oggetti di ferro, macchine, carbone.
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Ordinamento dello stato.
Ordinamento costituzionale. - La prima costituzione romena data dal 1866. Riproduce quasi integralmente la costituzione belga del 1831, ma consacra anche alcuni desiderata dei patrioti del risorgimento nazionale (rivoluzione del 1848; unione dei principati, 1859). Essa proclama i seguenti principî: sovranità nazionale, governo rappresentativo, separazione dei poteri, monarchia ereditaria, inviolabilità del monarca, responsabilità dei ministri, supremazia della costituzione sulle altre leggi, proclamazione di tutti i diritti pubblici iscritti nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789. La costituzione è stata poi modificata nel 1879 e nel 1884, per essere messa al corrente della nuova situazione internazionale creata dal trattato di Berlino, col quale si è conclusa la guerra romeno-russo-turca e in cui la Romania ha conquistato la sua completa indipendenza, proclamandosi poi regno nel 1881. Altra modificazione è stata compiuta nel 1917, in vista dell'attribuzione della terra ai contadini e della istituzione del suffragio universale, ecc. Nel 1923 è stata promulgata una nuova costituzione: essa è un rifacimento della costituzione del 1866, e ne riproduce ad litteram gran numero di articoli, pur dettando anche differenti disposizioni. Alcuni principî fissati nella costituzione o in diverse leggi di diritto pubblico sono i seguenti: il regime costituzionale del 1923 prevede, accanto a una responsabilità politica dei ministri, anche una loro responsabilità civile e penale, che è di competenza delle sezioni unite della Corte di cassazione in funzione di alta corte di giustizia. La costituzionalità delle leggi può essere giudicata solamente dalle sezioni unite della cassazione. Non rientrano nella competenza del potere giudiziario gli atti di governo e quelli dell'autorità militare. La differenza di culto, etnica o linguistica non costituisce ostacolo per il conseguimento e l'esercizio dei diritti civili e politici. La materia elettorale è regolata dalla legge del 1926, ispirata direttamente dalla legge elettorale italiana del 1923. I ministeri sono organizzati secondo la legge del 1929. Le norme applicabili ai funzionarî pubblici sono contenute in uno statuto del 1923.
Forze armate. - Esercito. - L'esercito romeno è un esercito permanente di leva. I suoi primi nuclei risalgono alla milizia paesana, creata nel 1831, e riorganizzata, da Alessandro Cuza, nel 1860. Alla vigília della guerra mondiale, possedeva circa 7000 ufficiali, 138.000 militari di truppa, 3500 cavalli, 220 batterie. Durante la guerra mondiale, mobilitò complessivamente circa 1.250.000 uomini.
Forza bilanciata: circa 14.600 ufficiali, 108.000 sottufficiali e militari di truppa. Capo supremo delle forze armate (esercito, aeronautica, marina) è il re, che, in tempo di pace, delega le sue funzioni al ministro della Difesa nazionale e, in tempo di guerra, può affidare il comando supremo a un generale.
Il Ministero della difesa nazionale comprende organi comuni alle tre forze armate (personale, controllo, contabilità, servizio veterinario, scuole militari, contenzioso, giustizia militare) e organi speciali per le singole forze, tra cui i seguenti per l'esercito: a) di direzione superiore, di comando e di preparazione: consiglio superiore dell'esercito, grande stato maggiore dell'esercito, ispettorato generale dell'esercito, ispettorato generale tecnico dell'esercito; b) di direzione tecnica: ispettorato generale dei comandi territoriali; ispettorati generali delle armi di fanteria, cavalleria, artiglieria, genio.
Il consiglio superiore dell'esercito è organo consultivo permanente, che ha funzione e composizione analoghe a quello del consiglio dell'esercito in Italia. Il grande stato maggiore generale (corrispondente al comando del corpo di stato maggiore in Italia) comprende varî reparti e uffici: ordinamento e mobilitazione, informazioni e controspionaggio; operazioni; servizî; addestramento; trasporti; storico. Presso il grande stato maggiore generale funzionano tre comitati: consultivo del grande stato maggiore generale; consultivo per il materiale bellico; consultivo per l'istruzione militare. Gl'ispettorati generali dell'esercito sorvegliano e controllano l'istruzione e la preparazione alla guerra dei comandi, delle truppe e dei servizî annualmente posti alle loro dipendenze. L'ispettorato generale tecnico dell'esercito sovraintende alla scuola superiore tecnica militare, agli stabilimenti tecnici, alle scuole e ai centri per l'impiego degli aggressivi chimici di guerra. L'ispettorato generale dei comandi territoriali sorveglia e controlla l'opera degli enti che attendono all'organizzazione territoriale dell'esercito. Gli ispettorati generali di arma hanno funzioni analoghe a quelle dei corrispondenti ispettorati dell'esercito italiano.
Il territorio è diviso in sette regioni di corpo d'armata. In ognuna di esse, le funzioni di comando sono distinte da quelle territoriali e affidate a due diverse categorie di organi militari.
L'esercito comprende: grandi unità: 7 corpi d'armata, 21 divisioni di fanteria, 1 corpo cacciatori (truppe da montagna) su due divisioni, 3 divisioni e 1 brigata autonoma di cavalleria; truppe: armi di fanteria, cavalleria, artiglieria, genio, chimica; servizî.
Ogni corpo d'armata ha: da 2 a 4 divisioni di fanteria o cacciatori, servizî, elementi non indivisionati.
La divisione di fanteria si compone di: 3 reggimenti di fanteria, 1 reggimento d'artiglieria da campagna, 1 reggimento obici; la divisione cacciatori di: 3 gruppi cacciatori, 3 gruppi artiglieria da montagna, 1 reggimento obici da montagna; la divisione di cavalleria di: 4 reggimenti ussari rossi, 2 ussari neri, 1 gruppo artiglieria a cavallo.
L'arma di fanteria comprende: 88 reggimenti, 6 gruppi cacciatori, mitragliatrici divisionali. Il reggimento ha 3 battaglioni, ciascuno su 4 compagnie, di cui 1 mitraglieri; i gruppi cacciatori sono su 2 battaglioni. La fanteria ha il seguente armamento: fucile o moschetto, con baionetta; fucile mitragliere; mitragliatrice; cannone di accompagnamento da 37 o da 53 mm.
L'arma di cavalleria comprende: 1 reggimento di scorta reale, 24 reggimenti di armata (12 ussari rossi, 12 di cavalleria), 7 reggimenti di corpo d'armata, 1 gruppo cacciatori a cavallo. Il reggimento ha da 2 a 3 gruppi, ciascuno su 2 0 3 squadroni. La cavalleria è provvista del seguente armamento: moschetto; sciabola; lancia; pistola; fucile mitragliere; cannone di accompagnamento da 37 mm.
L'arma di artiglieria comprende: 2 reggimenti della guardia, 21 reggimenti mortai da montagna, 7 reggimenti pesanti, 6 gruppi da montagna, 22 gruppi da fortezza. Il reggimento ha 3 gruppi, di 2 a 3 batterie.
L'arma del genio comprende: 3 reggimenti ferrovieri, 3 reggimenti collegamenti, 1 reggimento pontieri, 7 reggimenti zappatori, 1 reggimento zappatori da montagna, 1 reggimento automobilisti, 1 battaglione collegamenti da montagna, 6 battaglioni delle fortificazioni. Il reggimento ha da 2 a 4 battaglioni.
L'arma chimica è costituita da 4 reggimenti di difesa contro i gas.
Il servizio militare è obbligatorio, dal 21° anno di età.
La durata dell'obbligo militare è di 29 anni (dal 21° al 50°): 5 anni nell'esercito attivo, 15 nella riserva, 9 nella milizia. L'istruzione premilitare è obbligatoria, dal 19° al 21° anno di età. La durata teorica della ferma è di 2 anni; quella effettiva, di 18 mesi. Compiono solo 12 mesi di servizio i militari provvisti almeno della licenza d'istituto medio di 1° grado; essi forniscono gli ufficiali e i sottufficiali di riserva.
Gli ufficiali sono tratti: quelli dell'esercito attivo, dagli allievi (reclutamento normale) e dai sottufficiali allievi (reclutamento eccezionale) di apposite scuole militari, ove compiono un corso di studî biennale; quelli di riserva, dagli ascritti alla ferma di 12 mesi, attraverso corsi presso apposite scuole preparatorie per ufficiali di riserva.
I sottufficiali di carriera sono tratti dai sottufficiali di leva giudicati idonei al termine di apposito corso presso una scuola allievi sottufficiali.
Marina militare. - La marina militare romena è sorta all'epoca della costituzione del principato e quindi regno di Romania. Non avendo il paese cantieri navali proprî, le attuali come le precedenti unità della marina romena sono state in massima parte costruite all'estero in cantieri italiani o inglesi. Altre unità furono comprate in Francia dopo la guerra mondiale o assegnate alla Romania in seguito alla spartizione della flotta austro-ungarica.
Attualmente la marina militare romena comprende le seguenti unità:
4 cacciatorpediniere: Regele Ferdinand e Regina Maria, varati nel 1928-29 nei cantieri Pattison di Napoli, da 1850 tonn. e 35/38 nodi, armati con 5/120,1/76 antiaereo, 2 mitragliere da 40 e 2 tubi di lancio tripli da 533; sono attrezzati per portare 50 torpedini; Mărăsti e Mărăşeşti, varati negli stessi cantieri nel 1917, da 1410/1745 tonn. e 34 nodi, armati con 5/120,4/76,2 mitragliere e 2 tubi di lancio binati da 450. Allo scoppio della guerra queste due unità si trovavano in costruzione a Napoli insieme con altre due, per conto del governo romeno; furono, data anche l'impossibilità d'inviarle in Mar Nero, incorporate nella flotta italiana con i nomi di Sparviero e Nibbio, e presero parte alla guerra in Adriatico nel 1917-18: dopo la guerra furono portate in Mar Nero da equipaggi italiani e rivendute alla Romania.
3 torpediniere: Naluca, Sineul, Simul, ex austro-ungariche, varate nel 1913-14 a Fiume e Trieste e assegnate dal trattato di pace alla Romania. Sono unità da 260 tonn. e 24 nodi, armate con 2/66 e con 2 tubi di lancio da 450.
1 sommergibile Delfinul, varato nel 1929 a Monfalcone, da 650/900 tonnellate e 14/9 nodi, armato con 8 tubi di lancio da 533 e 1/102.
4 cannoniere, varate nel 1916-17 a Brest e Lorient e comprate dalla Francia dopo la guerra mondiale: unità da 350/390 tonn. e 12/15 nodi, armate con 2/100 e 2 mitragliere.
2 monitori fluviali: Basarabia e Bucovina, ex austro-ungarici, varati nel 1915, da 560 tonn. e 12 nodi, armati il primo con 2/120, 3 obici da 120,2/47, 4 mitragliere; il secondo con 2/120, 2 obici da 120, 2/66, 2/47 e 4 mitragliere, dislocati sul Danubio. Inoltre, 5 monitori fluviali antiquati, anch'essi ex austro-ungarici, da 650 tonn. e 12 nodi, armati con 3/120, 1/75, 2/47 e una mitragliera, dislocati sul Danubio.
7 navi da pattuglia varate nel 1907 in Inghilterra, da 45 tonn. e 18 nodi, armate con 1/47 e una mitragliera: dislocate sul Danubio.
La Romania possiede inoltre il motoveliero Mircea, nave-scuola, da 350 tonn.; una nave appoggio sommergibili, Constanţa, varata nel 1928; alcune unità di pattuglia per le bocche del Danubio e il Mar Nero e qualche mas da 40 tonn., comprato in Italia.
La base navale principale è Costanza, dove esiste anche l'Accademia navale.
Gli effettivi della marina romena sono di 289 ufficiali, alcuni dei quali hanno frequentato l'Accademia navale di Livorno; e di 3700 sottufficiali e comuni.
Aviazione militare. - Il sottosegretariato di stato per l'aria controlla: l'aviazione militare, i servizî tecnici, meteorologici, amministrativi e sanitarî; ne dipendono inoltre un arsenale per riparazioni e costruzioni, avente la capacità produttiva annua di 100 velivoli, e un centro per l'armamento.
La forza aerea romena è costituita da: a) una flottiglia da caccia di tre gruppi di tre squadriglie ciascuno; b) un gruppo di tre squadriglie da bombardamento diurno e una da bombardamento notturno; c) tre altri gruppi comprendenti quattro squadriglie da ricognizione e due squadriglie da caccia; d) un gruppo idrovolanti su tre squadriglie; e) un gruppo aerostieri; f) un altro gruppo aerostieri composto da 5 compagnie di sferici e da una compagnia tecnica; g) una brigata contro aerei su tre reggimenti.
Le scuole d'addestramento sono quelle per ufficiali superiori, per il pilotaggio, per gli ufficiali, per l'ingegneria aeronautica: tutte con proprie installazioni tecniche, terreni per esercitazioni, ecc.
Esistono tre aeroporti a Bucarest, due a Tecuci, due a Buzău, e uno in ciascuna delle seguenti località: Galaţi, Iaşi, Cluj, Medias, Costanza. A Costanza vi è anche un idroscalo.
I velivoli in servizio sono in massima di costruzione estera: francesi per la caccia e il bombardamento, italiani per la ricognizione marittima.
In Romania le ditte costruttrici di velivoli sono due: la fabbrica statale di Braşov e la S. E. T. di Eucarest. Sono stati costruiti alcuni tipi di velivoli su disegno romeno, e con essi le autorità locali sperano di sostituire i velivoli esteri.
Culti. - Il cristianesimo dev'essere stato introdotto in Romania dai primi coloni romani, fra cui non potevano mancare - come nel resto dell'Impero al sec. II - seguaci della religione di Cristo; mancano, a ogni modo, notizie sicure in proposito. È certo invece che, ai tempi di Costantino il Grande, i cristiani vi dovevano essere numerosi specialmente nella Dobrugia, e che a Tomi (Costanza) esisteva una sede episcopale, della quale sono tramandati i nomi di nove titolari vissuti fra i secoli IV-VI. Il rito i questi primi cristiani, data la loro provenienza occidentale, era certamente il latino o romano. Le invasioni dei secoli successivi alterarono a mano a mano il carattere occidentale della giovane chiesa romena, e ciò avvenne specialmente per opera dei dominatori Bulgari che diffusero sempre più il rito bizantino, il quale acquistò un predominio incontrastato dal sec. IX in poi. Da quel tempo la cristianità romena fu alle dipendenze del patriarcato di Bisanzio, seguendolo anche nello scisma da Roma (v. costantinopoli: Il patriarcato di; ortodossa, chiesa).
Gli odierni cattolici romeni discendono in gran parte da cattolici ungheresi e polacchi immigrati in Romania dal sec. XIII in poi, la cui cura spirituale fu affidata da Roma specialmente a missionarî francescani e domenicani. Durante il periodo della Riforma protestante molti cattolici romeni vi aderirono; ripresa la propaganda cattolica con novello fervore nel sec. XVII, si sviluppò a mano a mano l'organizzazione ecclesiastica specialmente nel secolo XIX, allorché raggiunse lo stato attuale.
Più dei due terzi della popolazione appartengono alla chiesa ortodossa nazionale, staccatasi dal patriarcato di Costantinopoli e costituita a chiesa autocefala nel 1865, riconosciuta nel 1888. Fu riorganizzata nel 1925 allorché al patriarcato di Bucarest furono sottoposti anche i metropoliti di Sibiu e di Cernăuţi esistenti già sotto la monarchia austro-ungarica (1864 e rispettivamente 1873). Comprende, oltre le ricordate, le sedi metropolitane di Iaşi e Chişinău e Blaj e i vescovadi di Rămnicul-Vălcea, Galao, Costanza, Curtea-de-Argeş, Buzău, Roman, Ismail, Cetatea-Albă, Arad, Caransebeş, Oradea-Mare, Cluj, Hotin, Huşi.
I cattolici dipendono dalle gerarchie di rito greco, latino e armeno. Esse sono state riorganizzate nel giugno 1930 in seguito al concordato del 7 luglio 1929. La gerarchia di rito greco ("dei Romeni") costituisce la provincia ecclesiastica di Făgăras e Alba-Iulia, con suffraganei Cluj-Gherla (gia Gherla, Armenopoli, Szamos Ujvar, 1853; mutato nome, 1930), Oradea-Mare (1777), Lugoj (1853), Maramureş (giugno 1930). La gerarchia latina costituisce la provincia ecclesiastica di Bucarest (1883; metropolitana 1930), con suffraganei Jaşi (1884), Satu-Mare (1804) e Oradea-Mare (1777) unite nel 1930, Timişoara (1930), Transilvania (già Edely, sec. XII; residenza in Alba-Iulia). Per gli Armeni v'è un amministratore apostolico, residente a Gherla.
I seguaci delle varie denominazioni riformate appartengono alla chiesa di confessione augustana e di confessione elvetica; vi sono inoltre degli unitariani. Questi protestanti (in senso lato) si trovano quasi tutti nella Transilvania, in parte tra l'elemento sassone, in parte tra quello magiaro (v. sotto: Storia). I luterani sassoni si sono costituiti in chiesa nazionale con un loro vescovo e un concistoro a Sibiu; i luterani magiari hanno un soprintendente a Arad. I riformati elvetici hanno due vescovi, a Cluj e a Oradea-Mare. Gli unitariani hanno un vescovo a Cluj.
Secondo il censimento del 1930 si avevano 18.025.037 seguaci dei diversi culti, così ripartiti:
La costituzione del 1923 garantisce la libertà religiosa e l'uguaglianza dei culti; ma la chiesa ortodossa è detta "dominante". Il suo clero, come quello cattolico di rito greco, è pagato dallo stato. Quelli degli altri culti sono sovvenzionati dallo stato. La Romania si è impegnata con il trattato di Parigi del 9 dicembre 1919 a garantire i diritti delle minoranze etniche e religiose (v. minoranza, XXIII, p. 405).
Ordinamento scolastico. - La Romania ha come tipo di scuola elementare quella unica, obbligatoria e gratuita per i bambini d'ambo i sessi appartenenti a qualsiasi classe sociale. Per le minoranze etniche i corsi sono tenuti nella lingua rispettiva, con l'aggiunta di un certo numero di ore destinate allo studio del romeno. Presentemente 16.300 scuole elementari istruiscono una popolazione scolastica di 2.605.000 allievi. L'insegnamento secondario, diviso in un corso inferiore di 3 classi e in uno superiore di 4, comprende 204 licei tra maschili e femminili: classici, con latino, greco e una lingua moderna; moderni, con solo latino e due lingue moderne (francese, tedesca, italiana e inglese, delle quali le ultime tre a scelta dello studente) e scientifici, con sole lingue moderne. Esistono inoltre 75 ginnasî isolati, 17 seminarî, 97 scuole normali, 109 scuole commerciali, 79 scuole professionali, 69 scuole inferiori d'agricoltura, 179 scuole d'arti e mestieri. L'insegnamento superiore è impartito nelle 4 università di Iaţi, Bucarest, Cluj e Cernăuş, nell'Accademia di diritto di Oradea-Mare (Transilvania), nella facoltà di teologia di Chişinău (Bessarabia), nelle 2 accademie superiori di commercio di Bucarest e di Cluj, nelle due accademie superiori d'agricoltura di Bucarest e Cluj e nelle due scuole politecniche di Bucarest e Timişoara.
All'università si accede mediante un diploma de bacalaureat (baccellierato) corrispondente in tutto a quello italiano di maturità con esami sostenuti davanti a commissioni di nomina ministeriale, presiedute da un professore universitario o da un membro dell'ispettorato, e in alcune città precedentemente stabilite. Delle commissioni possono far parte anche professori dei licei rispettivi. L'anno preparatorio nelle singole facoltà (aggiunto in seguito alla riduzione del corso secondario a sette classi), è stato recentemente soppresso con la ripristinazione dell'ottava classe.
Finanze. - Il primo bilancio della Romania unificata e ingrandita (1919-20) rappresenta un notevole sforzo verso un ritorno alla normalità finanziaria. La guerra e l'invasione prima, l'acquisto poi di nuove regioni, a sistema finanziario e m0netario diverso oltre che parimenti danneggiate e disorganizzate dal conflitto, avevano però così profondamente alterato l'economia privata e pubblica del paese che, nonostante il governo fosse ricorso subito a provvedimenti risanatori, soltanto nel 1922-23, a costo di gravi sacrifici, il bilancio dello stato poté raggiungere il pareggio effettivo (solo apparentemente quello del 1921-22 si era chiuso in avanzo). Il risanamento procede poi rapidamente; la riforma.fiscale del 26 febbraio 1923 riordina e unifica le imposte dirette e istituisce un'imposta progressiva sul reddito globale, si concludono accordi coi paesi creditori e si inizia l'ammortamento dei debiti, si provvede a riparare i danni di guerra e contemporaneamente a soddisfare le nuove necessità, migliorando i servizî pubblici, e il rapido incremento delle entrate permette di fronteggiare l'aumento delle spese. Perché il miglioramento potesse dirsi consolidato, occorreva però stabilizzare la moneta. La circolazione, che ammontava nel 1918 a 2 miliardi e mezzo di lei, era infatti già salita a 15 miliardi nel 1922 e, nonostante che da allora si fosse cercato con alti saggi d'interesse e con altri provvedimenti deflazionistici di frenarne l'aumento (il cattivo andamento della bilancia del commercio estero ostacolò tuttavia gravemente questa politica) era giunta fin quasi a 21 miliardi nel giugno 1926 e il leusi era progressivamente svalutato fino a scambiarsi in base al rapporto di 1500 lei per 1 lira sterlina (paritȧ originaria 25 lei = 1 £.). Solo quando, per effetto del buon raccolto di cereali e della ripresa nella produzione di petrolio (nonostante la caduta dei prezzi mondiali di queste merci) la bilancia commerciale divenne favorevole, il leu cominciò a risalire, e la media infatti toccata nell'anno 1926 fu notevolmente inferiore al massimo raggiunto (1068,50 lei = 1 £.).
Arrestata definitivamente l'inflazione e adottata una politica di contrazione delle spese, mantenuto l'equilibrio del bilancio e migliorata la bilancia dei pagamenti, il corso del leu seguitò a salire durante il 1927 e il 1928, tanto che il 7 febbraio 1929, con l'aiuto di un prestito internazionale di 101 milioni di dollari, poté essere stabilizzato al rapporto di 813,6 per £. La sopravvenuta crisi mondiale cominciò tuttavia poco dopo a ripercuotersi anche sulla situazione della Romania e per fronteggiare la contrazione delle entrate fu necessario ricorrere a inasprimenti fiscali e a riduzioni di varî capitoli di spesa, tanto più che s' imponevano forti stanziamenti per la difesa del paese. Né con ciò sì poté evitare che nel bilancio dello stato riapparisse il deficit. Un secondo prestito estero (di 42 milioni di dollari), garantito come il precedente dalla cassa autonoma dei monopolî (creata con legge 7 febbraio 1929, n. 360) fu emesso nel 1931 e destinato a migliorare le sorti dell'agricoltura. La scarsità di capitali, caratteristica della fase finanziaria della crisi, rendeva però sempre più grave la situazione e a stento la banca riuscì a evitare restrizioni sui cambî e a mantenere la stabilità della valuta durante il 1931. Nel maggio 1932 fu necessario introdurre il controllo sulle divise e sospendere la convertibilità in oro dei biglietti (che era stata ripristinata dalla legge di stabilizzazione del 1929 per le somme da 100.000 lei in su). Nel novembre dello stesso anno si adottò poi un regime di contingentamento del commercio nella situazione generale ha cominciato a prodursi ai primi del 1934; miglioramento che si è acćompagnato a un'efficace revisione delle varie posizioni economiche e a un progressivo adattamento alla nuova situazione creata dalla crisi. Il bilancio dello stato non ne ha tuttavia per ora risentito.
Bilanci l'dtbito pubblito. - Le entrate del bilancio romeno si basanco soprattutto sulle imposte indirette, e quindi sui monopolî di stato (per effetto della costituzione di essi in ente autonomo - avvenuta, come si è già detto, ncl 1929 - il loro provento è dal 1930 notevolmente diminuito), sulle imposte dirette e sulle tasse di bollo e di registro. I maggiori capitoli di spesa sono quelli per la difesa nazionale e per il debito pubblico. Le entrate e le spese relative alle ferrovie e alle pensioni, dal 1926, e quelle relative ai servirî postali, telegrafici e telefonici, dal 1927, non figurano nel bilancio dello stato, essendo state costituite per queste gestioni, come in seguito per i monopoli, delle aziende autonome con bilancio separato. Dato l'urgente bisogno di completare la dotazione dell'esercito, nel novembre 1934, mediante un apposito prestito e nuovi aggravî fiscali, è stato istituito un fondo speciale per la difesa nazionale. Ricordiamo inoltre che, a partire dal 1932, alla liquidazione dei residui si è provveduto attraverso l'istituzione di un bilancio straordinario.
Il debito pubblico della Romania al 1° aprile 1935 ammontava a 99,4 miliardi di lei di cui 80,4 di debito estero e 19 di debito interno. A ciò si devono aggiungere 32,6 miliardi di debito di guerra (contratto per la maggior parte con la Francia e l'Inghilterra), benché il pagamento delle relative annualità sia dal 1930 sospeso.
Moneta e credito. - L'unità monetaria è il leu (di 100 bani) originariamente equivalente al franco francese e alla lira italiana d'anteguerra, il cui valore, il 7 febbraio 1929, fu stabilito in 10 milligrammi di oro a 900/1000 di fino. La circolazione è composta di biglietti (emessi dalla Banca Nazionale di Romania, che ha il monopolio dell'emissione e l'obbligo di tenere una riserva pari al 35% del totale degl'impegni a vista) e di monete divisionali da 1 a 20 lei (nel 1932 sono state emesse anche delle monete d'argento da 100 lei in sostituzione dei biglietti dello stesso taglio). Al 23 marzo 1935, i biglietti in circolazione erano 21,6 miliardi e il rapporto della riserva aurea (alla stessa data consistente in 8,8 miliardi all'interno e 1,6 all'estero) al totale degl'impegni a vista era del 35,32%.
I principali istituti di credito sono - oltre alla Banca Nazionale di Romania, fondata nel 1880 e avente carattere di banca di stato - la Banca Românească (1910), la Banca de Credit Român (1904), la Banca Comer-cială Română (1906), la Banca Comercială Italiană şi Română (1920), e la Bank of Roumania Ltd. (1903) a capitale inglese.
Bibl.: C. Rommenhoeller, La Grande Roumanie, L'Aia 1926; A. Tomoroveanu, La Banque Nationale et les rapports de la Banque et de l'État, depuis sa fondation et jusqu'à nos jours, Parigi 1928; D. J. Gheorghiu, Les finances de la Roumanie après la guerre (1919-1930), Bucarest 1930; F. Em. Manoliu, La reconstruction économique et financiére de la Roumanie et les partis politiques, Parigi 1931; A. Pantazi, Contribution à l'histoire monétaire de la Roumanie, ivi 1934; V. Slavesco (ministro delle Finanze), La situation économique de la Roumanie et sa capacité de paiement, Bucarest 1934.
Storia.
La Romania, come stato di questo nome, sorse nel 1859 per l'unione della Valacchia e della Moldavia in un unico principato, trasformatosi poi in regno. La sua storia comincia propriamente da quella data, ma essa non si può intendere senza la conoscenza delle anteriori vicende del popolo che ne costituisce la base nazionale, dei due stati che, unendosi, le diedero origine e delle provincie che sono entrate a farne parte dopo il 1859, giacché idealmente non è se non la continuazione della storia di questi. Per quanto riguarda gli stati e le provincie, tali vicende sono ricordate a suo luogo (v. bessarabia; moldavia; transilvania; valacchia); ma per quanto si riferisce al popolo è necessario delinearne qui l'evoluzione nazionale anteriormente al 1859, poiché essa trascende le storie politiche di quelle regioni e presenta un complesso di problemi molto discussi dagli studiosi e variamente risolti.
Il primo si riferisce alla stessa origine del popolo romeno e ai suoi rapporti con il mondo romano. È noto che la regione che ora porta il nome di Romania nei tempi antichi si chiamava Dacia e che essa fu conquistata da Traiano agl'inizî del sec. II d. C. Dopo la conquista, allo scopo di assicurare il possesso della nuova provincia e di promuoverne la prosperità, avendo la guerra fatto molti vuoti fra la popolazione indigena, Traiano vi trasferì "da ogni parte del mondo romano" un gran numero di coloni. Sulla provenienza dei coloni e sull'entità del movimento non abbiamo notizie precise nelle fonti storiche e quelle che si desumono dalle indagini epigrafiche non sono conclusive; una cosa però è certa, e cioè che la popolazione dacica, la quale per quanto assottigliata non poteva essere "del tutto scomparsa" come da qualcuno è stato affermato, fu rapidamente assimilata dagl'immigrati latini e ben presto costituì un popolo solo di lingua e di cultura latina. La romanizzazione della Dacia sotto l'impero è un fatto storicamente accertato; ma questa romanità si conservò in quella regione dopo la fine del dominio romano e durante il lungo periodo delle invasioni e delle dominazioni barbariche che va dal sec. III al XIII, e gli attuali Romeni di Romania sono quindi i discendenti degli antichi Dacolatini? Le opinioni degli studiosi sono a questo riguardo divise, sostenendo alcuni la continuità della tradizione romana, altri negandola. Il contrasto s'impernia principalmente intorno al modo di valutare l'entità dello sgombero della Dacia ordinato, circa il 274, dall'imperatore Aureliano (v. dacia). In quella circostanza, secondo gli uni tutta la popolazione civile avrebbe abbandonato il paese trasferendosi a sud del Danubio; secondo gli altri, soltanto una parte, quella cioè costituita dai legionarî, gl'impiegati, i coloni venuti da poco in quella provincia, i cui interessi erano legati all'effettiva occupazione romana.
La teoria del completo abbandono si basa soprattutto sul testo della Vita Aureliani, attribuita a Vopisco, dove è riferito il provvedimento, e sulla considerazione che, dopo il ritiro dell'amministrazione romana e fino al sec. XII, durante il quale tempo nell'antica Dacia penetrarono e dominarono successivamente i Goti, i Sarmati, gli Unni, i Gepidi, gli Avari, gli Slavi, i Bulgari, i Magiari, i Pecceneghi, i Cumani, nelle fonti storiche contemporanee non è segnalata ivi la presenza di genti latine, mentre sono ricordate quelle che abitavano al di qua del Danubio nella Mesia (Bulgaria), nella Macedonia, nella Dalmazia. Questa teoria tuttavia, urta contro un complesso di fatti. Al testo della Vita Aureliani, per quanto autorevole, non bisogna dare, sostengono i fautori dell'ininterrotta romanità del paese, un valore assoluto. In esso, è vero, si afferma che si provvide allora al ritiro, oltre che dell'esercito, dei provinciali, ma con quella espressione dal biografo si voleva attenuare la gravità della decisione. Del resto, anche se questo fu l'ordine, non è credibile che esso fosse eseguito integralmente e che tutta la popolazione civile si ritirasse: lo sgombero fu ordinato non gia nel momento in cui i Goti assalivano la Dacia, ma qualche tempo dopo, quando, cioè, il loro urto si portava verso l'Illiria e la Mesia. Il governo abbandonò la Dacia perché militarmente la provincia non si poteva difendere e la linea del Danubio era per l'impero una più salda frontiera; ma quale necessità poteva spingere la popolazione civile, già radicata nel paese e avente qui i suoi più vitali interessi, a ritirarsi? Non il timore dell'invasione, perché questa era avvenuta già allorché venne l'ordine di Aureliano; non le violenze degl'invasori, ché non dovettero essere più gravi di quelle subite poi da altri popoli, come gl'Italiani, i Galli, gl'Iberi, i quali pur rimasero al loro posto quando nei rispettivi paesi si riversarono i barbari; non l'interesse, ché la Dacia era ricca di risorse naturali; non, infine, l'impossibilità di continuare a vivere nelle avite sedi, ché il paese era vasto e i nuovi arrivati non erano troppo numerosi né decisi a prendervi stabile dimora come diedero a vedere continuando nelle loro scorrerie a sud del Danubio. Ma se una parte della popolazione rimase nella provincia abbandonata come mai per molti secoli la sua esistenza non è segnalata nelle fonti? L'obiezione è grave; essa tuttavia perde ogni valore ove si rifletta che il silenzio non involge soltanto la popolazione latina rimasta, ma la regione intiera e le sue vicende interiori. Troppo fuori degl'interessi e dei contatti col mondo occidentale e bizantino rimase la Dacia per attirare l'attenzione degli scrittori, e d'altro lato i popoli che vi dominarono non ebbero, fino a tempi relativamente recenti, alcuna cultura e non lasciarono alcun documento della loro storia. Qual meraviglia che nulla si sappia della popolazione latina sottomessa, quando si ignora l'organizzazione politica e l'estensione dei dominî dei popoli che dominarono nel paese fra il sec. IV e il XII? Diversa era la posizione dei Latini cisdanubiani, poiché essi rimasero sempre o sotto il dominio o nella sfera d'influenza diretta dell'Impero bizantino ed erano situati sulle grandi vie di comunicazione fra l'Occidente e l'Oriente; si comprende, quindi, come essi venissero segnalati sin dai primi tempi delle invasioni slave e bulgare, notandosi la loro differenza coi nuovi immigrati e la loro origine romana; tanto più che, nel sec. XII e nel XIII, divennero un importante elemento nella vita politica dei Balcani. Ma sta di fatto che appena, per l'espansione magiara e la colonizzazione tedesca in quella parte dell'antica Dacia che poi fu detta Transilvania, e per lo stabilirsi di colonie genovesi sulle coste del Mar Nero fra le foci del Danubio e la Crimea, le notizie sulla regione carpatica si fanno più abbondanti e precise, è segnalata lì la presenza di un popolo latino. Secondo i sostenitori del completo abbandono della Dacia, i valacchi della regione carpatica, che cominciano a essere ricordati in documenti e fonti storiche del sec. XIII e sulla cui latinità non esiste alcun dubbio (Valacchi, Vlacci, Vlach dall'antico germanico Welsch, passato alle lingue slave, significa appunto "latino"), sarebbero dei recenti immigrati (immigrazione pacifica, il che spiegherebbe il silenzio delle fonti), venuti dalle regioni cisdanubiane; ma i loro avversarî obiettano che nessuna fonte accenna a una simile migrazione, che per la regione donde moveva non poteva sfuggire all'attenzione degli scrittori bizantini, e che, d'altra parte, sombra inverosimile che essa avesse potuto effettuarsi dato che il movimento generale degl'invasori in quelle parti di Europa avvenne sempre in senso opposto, cioè dai territorî transdanubiani a quelli posti al di qua del Danubio. E che in realtà non fosseri dei recenti immigrati, ma naturali del paese, si può desumere anche da ciò che al loro apparire nei documenti e nelle fonti storiche i Valacchi non costituiscono in nessun luogo una massa etnica compatta, ma sono disseminati su un'area vastissima dalla Transilvania alla bassa Moldavia, e non costituiscono stati proprî ma vivono sottoposti al dominio di altri popoli. Infine molti argomenti sono portati dai linguisti, soprattutto non romeni, contro la "teoria della continuità" (v. sotto: Lingua).
Comunque anche quest'ultima, secondo la quale sul territorio dell'antica Dacia non è venuta mai meno la tradizione romana e i Valacchi del sec. XIII sono i discendenti della popolazione dacolatina rimasta al di là del Danubio dopo il ritiro dell'amministrazione romana non esclude che le invasioni e i lunghi e varî dominî abbiano lasciate tracce sulla compagine etnica del paese. Nel secolo XIII larghe zone della Transilvania erano occupate già dai Magiari e da coloni sassoni chiamativi dai re d'Ungheria; fra i Carpazî e il Dnestr numerosi erano gli Slavi; la cultura che vi dominava era la greco-bizantina; e tuttavia non questi elementi dovevano prevalere col tempo, nonostante che il primo fosse appoggiato a una forte potenza politica e il secondo alimentato dalla contiguità del mondo slavo, sibbene quello originario latino, così profonda era stata l'impronta di Roma e così vitale era la popolazione indigena. La storia ulteriore della regione carpatica dal sec. XIV al XIX è la storia della progressiva eliminazione degli elementi e degl'influssi stranieri e dell'affermarsi del popolo romeno prima come entità etnica ben distinta e differenziata dai popoli circostanti, poi come nazione. A questa evoluzione, che è fra le più interessanti della storia dell'Europa moderna in quanto dimostra quale energia vitale è nella stirpe latina e quanto valore abbiano le idee come forza generatrice delle nazioni, concorsero:1. la formazione, nel sec. XIV, di due centri di vita politica romena: quello di Valacchia, fondato da Basarab fra i Carpazî e il basso Danubio, e quello di Moldavia sorto più a oriente per opera di Bogdan; 2. la cognizione, fattasi a poco a poco pressoché generale fra il popolo valacco, di discendere dai coloni trapiantati nel paese dall'imperatore Traiano.
L'attività dei principi, o voivodi come si dissero con parola di origine slava, della Valacchia e della Moldavia, fra il sec. XIV e il sec. XVII, fu quasi totalmente assorbita dalle guerre che ebbero a sostenere prima contro gli Ungheresi, che, padroni della Transilvania, tendevano verso le foci del Danubio, poi contro gli Ottomani, che, sottomessa la Balcania, aspiravano al dominio di tutt0 l'Oriente, e contro la Polonia che dall'Europa centrale cercava di aprirsi una via verso il Mar Nero. In queste guerre la preoccupazione costante dei principi - alcuni dei quali come Stefano il Grande (Stefan cel Mare, 1457-1504) di Moldavia e Michele il Valoroso (Mihai Viteazul, 1593-1601) di Valacchia, si segnalarono per le splendide vittorie riportate - fu la difesa del proprio stato e della religione ortodossa; nessun accenno si trova nella loro azione a una solidarietà di razza, nemmeno nei momenti di più grave pericolo, nemmeno quando un principe, Michele il Valoroso, riesce per un momento a riunire sotto il proprio dominio tutte le terre romene - Transilvania, Valacchia, Moldavia -; anzi, pur lottando contro un comune nemico, Valacchi e Moldavi sono spesso in guerra fra loro. Ma il fatto di combattere per il proprio paese e per la propria fede contro popoli di altra lingua e di altra fede, e, soprattutto, i rapporti che per le esigenze della lotta conto i Turchi si stabilirono allora fra i due principati e l'Occidente, non potevano non avere un'azione sul processo di differenziazione dei Romeni di fronte ai popoli vicini. È fra queste lotte e per questi contatti che, da un lato, si precisa e si diffonde nel paese il concetto dell'origine romana, e dall'altro si fanno i primi passi verso l'instaurazione di una cultura romena in contrapposto con l'imperante cultura slavo-greca.
Il concetto dell'origine romana fra i Valacchi carpatici appare intorno alla metà del sec. XVI. È possibile che prima di allora quel concetto esistesse nella tradizione popolare (esisteva certo fra i Valacchi cisdanubiani parecchi secoli innanzi) tanto più che il nome con cui il popolo indicava sé stesso era quello di român (romeno), nome che cominciò poi a prevalere sull'altro come più adatto a indicare l'universalità romena; ma è indubitato che esso non si venne precisando se non per i contatti che la Transilvania e la Moldavia ebbero col mondo occidentale e specialmente con l'Italia, dove già gli umanisti, da Poggio Bracciolini ed Enea Silvio Piccolomini in poi, avevano notato la latinità della lingua romena e ne avevano fatto risalire l'origine alla colonizzazione romana del tempo di Traiano. I monaci tipografi del convento di Dealu, nel 1532, al viaggiatore italiano Francesco Della Valle non sapevano dir altro che il loro popolo era di origine romana. Il più antico storico moldavo, Grigore Ureche (1590-1647), alla nozione dell'origine romana aggiunge timidamente: "nella nostra lingua ci sono voci latine", ma, pochi anni dopo, Miron Costin (1633-1691), che aveva studiato a Padova, cominciando a scrivere la storia del suo paese, consacra il primo capitolo ai "fratelli italiani" e all'Italia "paradiso della terra", "nido della cultura" e si rifà da Traiano e dalla colonizzazione latina della Dacia. Le sue orme seguirono Dumitru Cantemir, storico moldavo, e il valacco Constantin Cantacuzino, che anche fece i suoi studî di filosofia e di diritto a Padova e portò poi alla corte del principe Constantin Brâncoveanu (1688-1714) l'influsso italiano. Ma un passo decisivo verso quella concezione e quindi verso il formarsi di una coscienza nazionale romena fu fatto nel sec. XVIII da scrittori transilvani. Nel 1690 la Transilvania era passata all'Austria. Da quel momento la propaganda cattolica in quella regione aveva ricevuto un grande impulso. Il governo austriaco, che nell'unione dei Transilvani con la Chiesa cattolica vedeva un mezzo per consolidare il recente acquisto, non solo aprì delle scuole nel paese diffondendovi gli studî classici, ma avviò anche alle università di Vienna e di Roma i giovani che volevano farsi una cultura superiore o si dedicavano al sacerdozio. L'effetto fu contrario alle aspettazioni austriache, ché in quei giovani la cultura classica e soprattutto la vista di Roma esaltarono la coscienza della latinità e l'orgoglio della propria origine. Tornati in patria, essi ripresero la tradizione dei primi cronisti moldo-valacchi, sviluppandola con argomenti storici e filologici e dandole anche un contenuto politico, in quanto da un lato, come originarî del paese, reclamavano dei diritti politici in confronto dei Tedeschi e dei Magiari, dall'altro affermavano l'unità spirituale di tutti i Romeni. Principali assertori di questa corrente furono Samuil Micu (1745-1806), Gheorghe Şincai (1753-1816), Petru Maior (1755-1821). Per meglio far risaltare la latinità della lingua romena essi non solo propugnarono l'adozione dell'alfabeto latino (fin allora nei principati, anche quando si scriveva in lingua volgare, era usato l'alfabeto cirillico), ma sostennero anche la necessità di eliminare dal vocabolario romeno le parole di origine straniera, sostituendole con le corrispondenti latine o italiane. All'impulso verso la rinascita nazionale, venuto, attraverso la scuola transilvana, dall'Italia, si aggiunse, integrandolo con l'immettervi una corrente di idee politiche, quello che venne dalla Francia. Esso ebbe come centri d'irradiazione i principati di Valacchia e di Moldavia, dove fu portato dai segretarî e dai precettori francesi che gli ospodari fanarioti, successi nella seconda decade del sec. XVIII ai principi indigeni nei governi di Bucarest e di Iaşi chiamarono alle loro corti. Sorsero da allora nei due paesi scuole e collegi francesi che diffusero la cultura francese e si determinò tra i principati e la Francia una corrente di emigrazione e di immigrazione, attraverso la quale penetrarono fra i Romeni le idee di libertà e d'indipendenza proclamate dalla rivoluzione. Il movimento culturale acquista un nuovo slancio e diviene una forza politica.
Fino dagl'inizî del sec. XIX si nota nei due principati un fermento di vita nuova. Dappertutto si aprono scuole, dove l'insegnamento viene impartito in lingua romena, si fondano riviste e giornali, si creano una letteratura e un teatro nazionale. Antesignani di questo movimento sono nella Valacchia il transilvano Gheorghe Lazăr e Ion Heliade-Rădulescu, nella Moldavia Gheorghe Asachi: dalle loro scuole esce una nuova generazione educata al sentimento della patria romena e alle idee di libertà. Essa aspira all'unione e all'indipendenza del paese che appunto da questo tempo comincia a essere chiamato "Romania". Gli ostacoli da superare erano grandissimi e la realizzazione del programma nazionale appariva quanto mai difficile non solo per le condizioni interne dei due principati, soggetti come erano all'alta sovranità turca e retti da principi forestieri, ma anche e principalmente per la presenza dell'Austria nella Transilvania e nella Bucovina, acquistata nel 1775, e per la minaccia della Russia la quale, occupata nel 1812 la Bessarabia, mirava ad asservire i principati per giungere a Costantinopoli, meta della sua politica orientale. Alla causa romena più che i moti scoppiati nel 1821 in Valacchia (rivolta di Tudor Vladimirescu) e nel 1848, tanto in Valacchia quanto in Moldavia, per ottenere la costituzione - moti di limitata importanza in quanto scarsa fu la partecipazione del popolo - giovò il giuoco delle rivalità delle grandi potenze. Ma bisogna riconoscere che i patrioti romeni, fra i quali nel periodo che va dal 1821 al 1858 emersero Ion Maiorescu, il poeta Vasile Alecsandri, Mihail Kogălniceanu, i fratelli Dumitru e Ion Brătianu, Alexandru Cuza, seppero trar profitto da quelle rivalità. Sfruttando il contrasto fra la Turchia e la Russia essi ottennero nel 1822 dalla Sublime Porta una limitata autonomia negli affari interni dei principati, i quali vennero affidati non più a fanarioti ma a principi indigeni, e nel 1831 dalla Russia, che da tre anni ogcupava il paese, una costituzione (regolamemo organico), la quale, sebbene fosse favorevole ai disegni di Pietroburgo in quanto si dava in essa una prevalenza nella vita pubblica alla classe dei boiari in parte ligia allo zar, pure, creando un parlamento e una milizia locale, introducendo il principio dell'elettività degli ospodari da parte delle assemblee locali, eliminando quasi del tutto l'occupazione turca, rappresentava un passo verso l'unificazione.
Si puô dire che dal 1851 al 1856 il governo dei principati danubiani era esistito solamente in teoria; dapprima l'occupazione da parte delle truppe turche e russe, poi l'occupazione russa del 1853-54, durante la quale il potere dei principi fu sospeso, infine l'occupazione austriaca durante la guerra di Crimea (1854-56). L'assetto ulteriore dei principati avrebbe dovuto essere fissato dal congresso di Parigi. Già nel 1855, nella conferenza di Vienna, si erano fatti i primi assaggi per la sistemazione dei principati, i quali erano tenuti in pegno dall'occupazione militare; il rappresentante della Russia aveva raccomandato un governo costituzionale, sulla base del regolamento organico; le forze militari dei principati avrebbero potuto essere aumentate solamente col permesso della Russia e col consenso della Sublime Porta e degli altri vicini. L'Inghilterra invece propendeva per l'unione, per un principe nominato a vita (e magari anche con diritto ereditario); per un parlamento, ecc. L'Austria non si pronunziò apertamente, ma era certo ostile al piano inglese perché, come ben riconosce lo Iorga, "non voleva avere nella sua vicinanza un secondo Piemonte, un secondo popolo latino che portava in sé i germi di un futuro stato nazionale più grande" (N. Iorga, Istoria poporului românesc, IV,1, Bucarest 1927, p. 118). Il Congresso di Parigi fu preceduto, per la questione dei principati, da una conferenza degli ambasciatori tenuta a Costantinopoli. Qui l'Austria presentò un elaborato piano per l'assetto dei principati che comprendeva la cessazione del protettorato russo, la riconferma dei diritti della Sublime Porta, la quale avrebbe continuato a nominare i principi sulla base di una proposta presentata dai due paesi. Accanto al principe avrebbe funzionato un senato. Ma nelle terre romene si era fatto strada negli ultimi anni il partito nazionale che chiedeva l'unione dei principati; i principi Barbu Ştirbei (fratello del Bibescu e figlio adottivo dell'ultimo Ştirbei) in Valacchia e Grigore Ghica in Moldavia si fecero sostenitori dell'idea dell'unione e chiesero perfino, in una memoria indirizzata al gabinetto francese e al congresso, la nomina di un principe straniero di una dinastia europea. I plenipotenziarî francesi cercarono di sostenere la domanda romena, ma dopo molte discussioni, il congresso decise che l'assetto futuro dei principati avrebbe dovuto essere stabilito sulla base dei desiderî espressi dal popolo stesso. Era un modo di ottenere il medesimo risultato per una via più lunga e tortuosa, ma inevitabile, perché al primo progetto si erano opposte apertamente la Turchia e l'Austria. La volontà popolare sarebbe stata esposta da un'adunanza di Valacchi e Moldavi che fu chiamata, con un neologismo barbarissimo turco-latino, divan ad-hoc. La pace di Parigi (30 marzo 1856) stabiliva anche la cessazione del protettorato austriaco e poneva i principati sotto la garanzia collettiva delle sette potenze riunite al congresso (Austria, Gran Bretagna, Francia, Prussia, Russia, Sardegna e Turchia). L'autonomia dei principati doveva essere rispettata da tutti, ma era posta se non sotto la "sovranità", sotto la suzeraineté della Sublime Porta; la libertà di navigazione del Danubio era posta sotto la sorveglianza di una commissione europea. D'altra parte, l'Austria aveva dichiarato alle potenze che non avrebbe ritirato le sue truppe se non fosse stato regolato definitivamente il confine settentrionale della Moldavia. Si regolò così la questione del confine e i tre distretti della Bessarabia: Cahul, Bolgrad e Ismail ritornarono alla Moldavia. Intanto, spirato il termine di governo dei due principi, vennero nominati due reggenti, chiamati col nome turco di caimacan, di fiducia della Sublime Porta; in Moldavia Teodoro Balş uomo di ristrette capacità e di grande ambizione e partigiano dell'Austria, e in Valacchia Alessandro Demetrio Ghica, che era già stato principe di Valacchia dal 1834 al 1842, ligio alla Turchia e desideroso di riacquistare il trono, sia pure come vassallo del sultano. Questi due caimacan erano quindi decisamente contrarî all'unione; né la situazione migliorò quando, morto nel 1857 Teodoro Balş, fu nominato caimacan di Moldavia il giovane greco Nicola Vogorides. Le liste elettorali furono fatte in modo scandaloso (per es. dei duemila latifondisti ne furono scelti solo 350). Napoleone III protestò contro questo sistema e volle fare annullare le elezioni illegali; siccome la Porta esitava, ordinò persino al suo ambasciatore di prepararsi a rientrare a Parigi; ottenuto un accordo di massima franco-inglese, che limitava gli effetti di un'eventuale futura unione dei principati a una "union des rapports militaires, financiers et judiciaires", la Turchia cedette e le elezioni furono rifatte con piena vittoria del partito nazionale. Nella seduta del 7 ottobre 1857, l'adunanza dei Moldavi proclamò in modo chiarissimo i suoi desiderî: 1. rispetto dei diritti dei principati e della loro autonomia; 2. unione dei principati in un solo stato col nome di România; 3. un principe straniero (con ereditarietà del trono) scelto in una delle dinastie governanti in Europa e i cui discendenti avrebbero dovuto essere educati nella religione ortodossa del paesei 4. governo costituzionale con un parlamento in cui fossero rappresentati gli interessi generali della nazione. L'adunanza fu infuocata da un caloroso discorso del grande patriota e statista Mihail Kogălniceanu, il quale, aveva fra l'altro affermato: "Noi siamo della stessa origine dei nostri fratelli (Valacchi), abbiamo lo stesso nome, la stessa lingua, la stessa fede, la stessa storia, le stesse organizzazioni, leggi e costumi, dividiamo le stesse speranze e gli stessi timori; gli stessi confini sono affidati alla nostra difesa; nel passato abbiamo sopportato gli stessi dolori, dobbiamo dunque assicurare ora lo stesso avvenire e compiere la stessa missione".
L'adunanza della Valacchia confermò, due giorni dopo, il 9 ottobre, le stesse richieste. Nella conferenza convocata a Parigi dalle potenze garanti, la Francia e il regno di Sardegna raccomandarono l'approvazione delle richieste dei divan ad-hoc e specialmente l'unione della Moldavia e della Valacchia; Francia e Sardegna non facevano neppure opposizione alla proposta del principe straniero (si dice anzi che la Francia pensasse al vittorioso maresciallo Pélissier). Ma l'opposizione della Turchia, sostenuta dall'Austria, fu troppo forte. Nelle decisioni del 19 agosto 1858 si giunse a un compromesso, qualcosa di ibrido e difficilmente attuabile. I principati avrebbero dovuto essere costituiti come Principati uniti di Moldavia e Valacchia, ciascuno con un proprio governo e con una propria assemblea; i principi sarebbero stati scelti a vita dalle assemblee medesime, le quali dovevano essere formate con elezioni separate. Una specie di tratto d'unione fra i due paesi avrebbe dovuto essere una commissione mista di 18 membri, metà Moldavi e metà Valacchi, per preparare le leggi di interesse comune, nonché una corte di cassazione, entrambe con sede a Focşani, città posta sul confine valacco-moldavo. L'alta sovranità della Porta era mantenuta, ma limitata da obblighi contratti dalla Porta verso le altre potenze; si fissava persino il tributo alla Porta (1.500.000 piastre per la Moldavia, 2.500.000 piastre per la Valacchia). Per sorvegliare l'attuazione di queste disposizioni, furono eletti due consigli di reggenza di tre membri l'uno; in Valacchia, Ioan Manu, Emanuil Băleanu e Ioan Filipescu, e in Moldavia Ştefan Catargiu, Vasile Sturza e Anastasie Panu. La persona del principe da eleggere aveva un grande valore agli effetti degli sviluppi futuri dei principati. I candidati erano molti e fra questi, uomini di grande valore, come il Kogălniceanu e il poeta Vasile Alecsandri. All'ultimo momento fu incluso però nella lista dei candidati il colonnello Alessandro Cuza, che riscosse i voti unanimi dell'assemblea nella votazione del 5-17 gennaio 1859. In tal modo era stato eletto principe di Moldavia, a vita, col nome di Alexandru Ioan I, un homo novus; l'effetto di questa votazione fu sensibilissimo anche nella vicina Valacchia dove i partiti erano divisi; si pensò che anche in Valacchia bisognava fare qualcosa di simile e subito nacque l'idea di votare come principe di Valacchia la stessa persona che era stata eletta in Moldavia; in tal modo l'unione, almeno nella persona del sovrano, sarebbe stata un fatto compiuto. La conferenza di Parigi aveva, è vero, obbligato due votazioni separate, ma non aveva impedito che si votasse per la medesima persona; certo questo era un cavillo che andava contro lo spirito delle decisioni delle potenze, anche se ne lasciava intatta la lettera. Il 24 gennaio veniva quindi eletto all'unanimità principe di Valacchia lo stesso colonnello moldavo Cuza che, informato telegraficamente dell'elezione, accettò. L'unione dei principati era virtualmente fatta, ma la posizione del Cuza non era delle più favorevoli. La Turchia protestò energicamente contro l'elezione, e anche l'Austria si oppose. Fu una fortuna per la causa dei principati uniti che proprio nel 1859 l'Austria fosse sconfitta dal Piemonte e dalla Francia e così non potesse alzar troppo la voce; d'altra parte il Cuza stesso, recatosi nel 1860 a far visita al Sultano (di cui, in fondo, doveva ritenersi sempre un vassallo), riuscì a entrare nelle grazie della Porta, cosicché l'unione di pieno diritto dei due principati poté essere proclamata l'11 dicembre 1861 (per quanto con un riconoscimento provvisorio limitato al periodo di governo del Cuza).
Perché il nuovo stato potesse funzionare, s'imponevano delle gravi riforme, le quali, del resto, corrispondevano, in generale, al desiderio popolare; la prima fu l'incameramento dei beni ecclesiastici, misura richiesta specialmente dal fatto che la maggior parte dei beni ecclesiastici era in mano di stranieri; si trattava specialmente dei cosiddetti "monasteri dedicati". È noto che vigeva nell'Oriente europeo l'uso della cosiddetta ἀϕιέρωσις, per cui si sottoponevano varî monasteri a quelli celebri del monte Athos, del Sinai, di Gerusalemme, ecc. Questi "monasteri dedicati" erano generalmente occupati da monaci greci, cosicché all'epoca di Cuza circa una quinta parte del territorio romeno formava il capitale di monaci stranieri. Con la legge del 13 dicembre 1863, queste proprietà ritornarono alla nazione, in cambio di una somma assai lieve di indennizzo. La riforma provocò proteste da parte della Turchia e della Russia, ma fu mantenuta. Un'altra riforma ancor più importante fu quella agraria; consigliere ne fu Mihail Kogălniceanu. Di fronte all'opposizione dell'assemblea, il Cuza fece una specie di colpo di stato e il 2 maggio 1864 sciolse l'assemblea e sottopose al voto del popolo un nuovo statuto e una nuova legge elettorale che allargava assai il suffragio e restringeva il potere dell'assemblea, istituendo un "corpo ponderatore" e cioè una specie di seconda camera. La riforma costituzionale fu approvata dalla Porta e dalle potenze garanti. La nuova assemblea votò il 14 agosto 1864 la legge agraria con la quale si dava ai contadini la proprietà di quel territorio che il regolamento organico aveva loro dato come campo di lavoro; i contadini dovevano pagare in dieci anni un indennizzo più che modesto. Questa legge fu la più importante dell'epoca del governo di Cuza. Seguirono poi i codici (1864-65) tradotti e ridotti da quelli francesi e belgi, le leggi sull'istruzione, ecc. Anche le riforme però, forse troppo rapide, e specialmente il colpo di stato del 1864, crearono un certo malcontento; la costituzione non soddisfaceva né i "bianchi" (conservatori reazionarî), né i "rossi" (liberali radicali). Nell'estate 1865 scoppiarono a Bucarest dei moti rivoluzionarî. Cuza, che per gelosia aveva allontanato il Kogălniceanu, capì di non essere più sostenuto dall'unanimità popolare e nel discorso di apertura dalla camera disse chiaramente: "non voglio un potere che si fondi solo sulla forza. Sia alla vostra testa, sia al vostro fianco, sarò sempre col paese, senz'altro scopo, all'infuori del volere della nazione e dei grandi interessi della Romania". Ma, con questo discorso, il Cuza indebolì ancora la sua posizione e fomentò le aspirazioni dei suoi nemici. Un movimento, a capo del quale era Lascar Catargiu, ordì una congiura, formata in parte di ufficiali; la notte dell'11-23 febbraio 1866, Cuza fu sorpreso dai congiurati nel suo palazzo; egli abdicò senza difficoltà e si ritirò all'estero, di dove non ritornò mai più (morì nel 1873 a Heidelberg). Si costituì allora un governo provvisorio, con una reggenza composta di tre membri (il generale Nicolae Golescu, Lascar Catargiu e il colonnello Nicolae Haralambie) e un ministero presieduto da Ion Ghica. Già però nel giorno dell'abdicazione, il governo provvisorio aveva pensato all'elezione di un nuovo principe, di una dinastia straniera. I corpi legislativi adunati avevano scelto all'unanimità Filippo conte di Fiandra, fratello del re Leopoldo del Belgio. Ma questa elezione era in contraddizione con la convenzione di Parigi del 1858, che stabiliva dovere essere il principe un nazionale; la Porta protestò immediatamente, chiedendo elezioni separate nei due principati, come nel 1859; la Russia fu ostile e neppure Napoleone III era favorevole al neo-eletto. In tal modo Filippo fu costretto a rinunziare. Intanto il 10 marzo si riunì a Parigi la conferenza delle potenze garanti, richiesta dalla Turchia. Il governo romeno mandò come suoi delegati Scarlat Fălcoianu e Ion Brătianu. In essa la Turchia e la Russia erano decisamente contrarie alla nomina di un principe straniero; la Francia, l'Inghilterra e l'Italia, sostenevano invece le aspirazioni romene; la Prussia e l'Austria erano riservate. Poco dopo l'apertura della conferenza, fu presentata la candidatura di Carlo Hohenzollern-Sigmaringen che, per parte di madre, era parente di Napoleone III (v. IX, pp. 50-51); la candidatura era sostenuta dall'Inghilterra e dalla Francia; il 26 marzo, l'agente diplomatico dei principati a Parigi, Ion Bălăceanu e Ion Brătianu telegrafarono al consiglio dei ministri la candidatura del principe tedesco, che fu accolta con grande entusiasmo. Il 30 marzo Ion Brătianu si recò a Düsseldorf per incontrarsi col principe e il 1° aprile telegrafò da Berlino l'accettazione, senza condizioni, della corona da parte del principe Carlo. Qualche giorno dopo, il plebiscito indetto dalla luogotenenza elesse il principe stesso come "domnitor al Românilor" con 685.969 voti favorevoli contro 224 contrarî. Ma la conferenza di Parigi non accettò il fatto compiuto, rimandando alle norme del 1858. L'assemblea nazionale però confermò il 1° maggio con 109 voti favorevoli, 6 astensioni e neppure un voto contrario, la volontà del popolo romeno. Il principe Carlo, per non essere fermato nel suo viaggio, si recò in incognito in Romania; travestito da modesto viaggiatore, prese un biglietto per Odessa nella seconda classe di un vapore austriaco di navigazione danubiana; passò il confine romeno alle Porte di Ferro, scese a Turnu-Severin e fu accompagnato a Bucarest (10 maggio, vecchio stile). L'11 maggio fu nominato un ministero presieduto da Lascar Catargiu e con Ion Brătianu alle finanze. Tre giorni dopo l'entrata del principe a Bucarest, la conferenza di Parigi, in seguito alla protesta della Turchia, dichiarò illegale questo atto e diffidò gli agenti diplomatici residenti a Bucarest dal compiere qualsiasi atto che potesse suonare riconoscimento del principe Carlo. Il sultano rifiutò persino di ricevere le lettere del principe minacciò un'occupazione armata concentrando le truppe al Danubio. In tale situazione, la Romania dovette armare in fretta per un'eventuale difesa. Ma frattanto era scoppiata la guerra fra l'Austria da una parte e la Prussia e l'Italia dall'altra. La vittoria italo-prussiana da un lato, e le pressioni dell'ambasciatore francese a Costantinopoli dall'altro, riuscirono a rendere più sereno l'orizzonte. La Turchia finì con l'accettare il fatto compiuto, solo conservando il suo diritto di suzuraineté. Intanto si fece un progetto di costituzione, molto simile a quella belga; l'articolo che regolava le questioni religiose provocò grandi disordini antisemiti. Il principe Carlo si recò intanto a Costantinopoli, ove fu ricevuto dal sultano con solennità eccezionale (12-18 ottobre). Durante il 1870, il governo, presieduto in un primo tempo da Alexandru Golescu, ebbe molti attacchi, e anche il principe fu tacciato di politica filo-prussiana e anti-francese. Il principe era già deciso ad abdicare, ma Lascar Catargiu riuscì a salvare la situazione col suo ministero (dall'11 marzo). Nel periodo 1871-75 si fecero molte riforme (consolidamento delle finanze, istituzione di un credito fondiario rurale e urbano ed estensione della rete ferroviaria). Uno degli atti più importanti fu il trattato di commercio con l'Austria-Ungheria (1875) molto combattuto dal partito liberale. Ma nel 1876 con la rivoluzione della Bosnia, Erzegovina e Bulgaria e la guerra della Serbia e del Montenegro (con l'aiuto della Russia) contro la Turchia, la situazione dei principati, vassalli della Turchia, divenne assai difficile. La maggioranza avrebbe desiderato la neutralità, ma il principe e Ion Brătianu, desiderosi di avere finalmente una Romania libera, erano propensi a stringere un'alleanza con la Russia e a combattere contro la Turchia; già nel settembre 1876, la Russia aveva parlato di un eventuale passaggio delle sue truppe sul territorio romeno; Brătianu si recò personalmente a Livadia per incontrarsi con lo zar; la Russia chiedeva la restituzione della Bessarabia, il libero passaggio per il territorio romeno e offriva in cambio la sovranità dello stato e forse anche compensi territoriali in Dobrugia. La perdita della Bessarabia era gravissima, ma Brătianu riconobbe che, se anche la Romania si fosse opposta, la Russia se la sarebbe presa lo stesso, inoltre, c'erano le difficoltà che tutte le trattative dovevano essere condotte in modo riservato e segreto perché, non essendo la Romania uno stato sovrano, non poteva avere rapporti internazionali. Il 4 aprile fu firmata una convenzione con la quale il governo romeno assicurava libero passaggio in Romania alle armate russe. Intanto anche la Romania mobilitò, ma la Russia non volle saperne di un'alleanza col nuovo piccolo stato, alleanza offerta dalla Romania e giudicata utile anche dai circoli militari russi. La Russia avrebbe voluto dare all'esercito romeno un ufficio press'a poco di gendarmeria, che fu, naturalmente, respinto; ma lo svolgimento ulteriore della guerra fece cambiar parere al governo russo. In luglio i Russi subirono due gravi sconfitte a Plevna. Già dopo la prima, lo zar chiese al principe Carlo di passare col suo esercito il Danubio, ma non essendo fissati i termini della collaborazione militare, il principe tergiversò. Dopo la seconda sconfitta, il granduca Nicola telegrafò il 31 luglio (19 vecchio stile) al principe avvertendo che i Turchi "nous abîment" e chiedeva una fusione dei due eserciti. Il principe capì che era necessario intervenire, anche perché una vittoria turca avrebbe portato il teatro delle operazioni su territorio romeno, e passò il Danubio con la sola condizione di avere il comando indipendente delle sue truppe; lo zar fece ancor di più e affidò a lui il comando supremo delle truppe unite russe e romene dinnanzi a Plevna (35.000 Romeni con 168 cannoni e 30.000 Russi con 282 cannoni). Il 28 e il 30 agosto i Romeni ebbero una luminosa vittoria, se pure con molte perdite, conquistando la prima trincea di Griviţa; l'assedio durò ancora parecchi mesi e il 9 novembre fu conquistata Rahova, sicché anche Plevna fu costretta a cadere; il 28 novembi (e il principe Carlo entrò in Plevna facendo 40.000 prigionieri. Era la fine della guerra; la Turchia era vinta. La guerra russo-turca si chiudeva con la pace di Santo Stefano (19 febbraio 1878), alla quale la Romania non era stata neppur invitata. In essa si formava una grande Bulgaria, con la riserva che una parte della Dobrugia avrebbe potuto essere ceduta dalla Russia alla Romania in cambio della Bessarabia. Sia il principe Carlo sia il paese protestarono energicamente contro la pretesa della cessione della Bessarabia; non era questo, secondo loro, il premio che la Russia doveva dare per l'aiuto di Plevna; né il principe si lasciò commuovere dall'offerta del trono di Bulgaria, fattagli dalla Russia; già si minacciava una rottura fra gli alleati, quando l'Inghilterra chiese la revisione del trattato di Santo Stefano, attraverso una conferenza europea.
Il congresso si riunì a Berlino nei mesi di giugno e luglio 1878; nonostante la memoria presentata dai delegati romeni Ion Brătianu e Mihail Kogălniceanu, ammessi solo a sostenere il punto di vista del loro paese, ma esclusi dalle discussioni, la cessione della Bessarabia fu mantenuta, dando in cambio alla Romania il delta del Danubio con l'Isola dei Serpenti e la Dobrugia. Alla Romania fu riconosciuta l'indipendenza e la piena sovranità, alla condizione che si concedessero i diritti civili senza distinzione di religione (v. anche VI, pp. 735-36). Nel 1880 fu regolata la questione dinastica, non avendo il principe eredi diretti. Il 14 marzo 1881 le camere offrirono al principe il titolo di re e la corona. Il 10 maggio avvenne l'incoronazione solenne con una corona che, per volontà del re medesimo, era di acciaio, fusa dai cannoni conquistati a Plevna.
Negli anni che seguirono il nuovo regno rafforzò la sua posizione economica e politica. Nel 1883 la Romania si legò con un trattato con l'Austria-Ungheria (e al trattato aderì anche la Germania) in guisa da essere legata alla Triplice Alleanza, con la quale doveva procedere fino alla guerra mondiale. Nel 1885 la Romania aveva ottenuto il riconoscimento dell'autocefalia della Chiesa ortodossa romena. Negli ultimi anni anteriori alla guerra mondiale, sotto il regno del re Carlo, pure fra gli avvicendamenti al governo di varî partiti, la Romania progredì nelle scienze e nelle lettere e rafforzò la sua posizione economica. Nel 1913 partecipò alla seconda guerra balcanica, combattendo contro la Bulgaria. La guerra fu dichiarata il 3 luglio 1913 e fu breve e vittoriosa, giacché lo stesso 21 luglio la Bulgaria fu costretta a chiedere la pace. Il trattato di Bucarest del 10 agosto 1913, in seguito all'accordo romeno-bulgaro del 4 agosto, diede alla Romania il cosiddetto Quadrilatero di Silistria, e cioè le assicurò il dominio di tutta la Dobrugia.
Allo scoppio della guerra mondiale, la Romania si trovava, è vero, legata con la Triplice e il suo re no1i poteva nascondere simpatie per le potenze centrali, ma l'opinione pubblica era però per la Francia e per l'Intesa. Molto servì l'esempio della dichiarazione di neutralità dell'Italia che portò anche a quella della Romania (cfr. Lilio Cialdea, Italia e Romania nella neutralità, in Studii Italiene, I, 1934, p. 91 segg.). Frattanto moriva il re Carlo (10 ottobre 1914) e gli succedeva Ferdinando I, principe di Hohenzollern e nipote di Carlo. Dopo alterne vicende (per cui v. XVIII, pp. 103-104), il 17 agosto 1916 fu firmato il trattato fra la Romania e gli Alleati e il 27 agosto la Romania entrò in guerra (per le vicende della guerra mondiale v. XVIII, pp. 131-132). La vittoria tedesca fu schiacciante, Bucarest occupata, il governo dovette rifugiarsi in Moldavia e la Romania fu costretta, dopo la pace separata della Russia a Brest Litovsk, a firmare il 7 maggio 1918 la terribile "pace di Bucarest" (v. VIII, pp. 6-7). Tale trattato di pace non fu però mai ratificato e fu naturalmente annullato dalla vittoria finale dell'Intesa. Dopo la pace di Bucarest la Romania era ritornata neutrale ed era governata da un ministero germanofilo presieduto da Alexandru Marghiloman. Le vittorie degli alleati nei Balcani mutarono però la situazione nell'autunno 1918; il 3 nombre la popolazione di Bucarest si permette già manifestazioni antitedesche. Il 6 novembre il governo di Marghiloman è dichiarato decaduto, le camere sciolte e i decreti emanati sono dichiarati nulli. Il re Ferdinando nomina primo ministro il generale Constantin Coandă. Il 10 novembre si ordina la mobilitazione per proseguire la guerra a lato degli alleati e si dà un ultimatum al generale Mackensen per evacuare entro 24 ore il territorio occupato della Romania. Dal 6 novembre era cominciata anche l'avanzata delle truppe francesi comandate dal generale Berthelot oltre il Danubio presso Giurgiu. Il 12 novembre Bucarest è già sgombra, ma solo il 16 si stabiliscono rapporti regolari fra il governo di Iaşi e il generale Berthelot. Il 1 dicembre il re Ferdinando può rientrare a Bucarest a capo dell'esercito, avendo accanto la regina Maria e il generale Berthelot. Ma intanto era avvenuto anche lo sfacelo della monarchia austro-ungarica. Il 27 ottobre un'assemblea riunita a Cernăuţi, proclamava l'unione della Bucovina alla Romania senza condizioni; il 1° dicembre una grande assemblea riunita ad Alba Iulia e composta di 1228 delegati, rappresentanti le 130 circoscrizioni elettorali dei 27 comitati romeni, proclama l'unione di tutti i Romeni della Transilvania, del Banato e dell'Ungheria al regno di Romania. Questi due atti di estrema importanza per la nazione seguirono la dichiarazione della Bessarabia che già il 24 gennaio 1918 (vecchio stile) aveva dichiarato di volersi unire al regno di Romania. Le truppe furono subito inviate a prendere possesso delle nuove provincie. L'occupazione della Bucovina fu pacifica; quella della Transilvania fu pacifica solo in un primo tempo, essendosi poi l'Ungheria opposta con le armi.
Scoppiata in seguito la rivoluzione comunista a Budapest e in Ungheria si formò un blocco intorno all'Ungheria per evitare che il bolscevismo di Béla Kun si propagasse in altri stati. L'esercito romeno ricevette l'ordine di avanzare contro l'Ungheria il 16 aprile 1919. Fra il 16 e il 18 aprile si combatté una seria battaglia presso i Monti occidentali (Munţii Apuseni) rompendo il fronte ungherese; il 1° maggio gli Ungheresi rivoluzionarî erano respinti al di là del Tibisco. In seguito all'offensiva ungherese contro la Cecoslovacchia le truppe romene passarono il Tibisco. Dopo le promesse pacifiche di Béla Kun le truppe furono però ritirate. Ma la minaccia bolscevica ungherese preoccupò le nazioni e al principio di luglio il consiglio interalleato a Parigi pensò a un'azione per occupare Budapest e disarmare l'esercito rosso. Il 17 luglio le truppe rosse ungheresi attaccarono l'esercito romeno; la battaglia durò parecchi giorni e il 24 avvenne il contrattacco romeno che durò fino al 26 e finì con la piena vittoria romena. Il 29 luglio l'esercito passò il Tibisco e marciò verso la capitale ungherese. Per quanto già il 2 agosto il governo bolscevico fosse caduto e Béla Kun fosse fuggito in Austria, il 4 agosto le truppe romene entrarono in Budapest e vi rimasero fino a metà settembre. Alla conferenza della pace la Romania ottenne quasi tutti i territorî a cui aspiravano le più rosee previsioni nazionaliste (salvo una parte del Banato attribuita alla Iugoslavia). Per il trattato del Trianon (4 giugno 1920) la Romania ha ricevuto la Transilvania, la maggior parte del Banato e una parte dell'antica Ungheria dove si trova, in maggioranza o meno, una popolazione romena; col trattato di Sèvres (10 agosto 1920) la Romania ricevette la Bucovina.
Col trattato di Neuilly (27 novembre 1919) la Romania ebbe sanciti i confini già stabiliti nella pace di Bucarest del 1913 verso la Bulgaria. Rimase la questione spinosa del riconoscimento dell'unione della Bessarabia che venne fatto solo da alcune potenze, a distanza di tempo.
Nel periodo del dopoguerra la Romania ha dovuto vincere gravi difficoltà interne, specialmente economiche. Una questione abbastanza grave fu quella dinastica, dovuta alla rinuncia al trono del principe ereditario Carlo (28 dicembre 1925-4 gennaio 1926). Alla morte di re Ferdinando (20 luglio 1927) fu proclamato re il giovane figlio di Carlo, Michele, con un consiglio di reggenza; ma il 7 giugno 1930, il principe Carlo ritornò in aeroplano a Bucarest e fu proclamato re col nome di Carlo II. Come politica estera la Romania aderì alla Piccola Intesa. All'interno furono necessarie riforme, come quella agraria che espropriava i latifondisti a favore dei contadini, promulgata il 15 dicembre 1918 per l'antico regno e poi completata il 16 giugno 1921 e seguita da leggi particolari per le provincie annesse. Per la cultura furono fatti grandi sforzi creando due magnifiche università a Cluj e a Cernăuţi (in gran parte con i materiali delle università rispettivamente ungherese e tedesca ivi esistenti).
Bibl.: I documenti e le fonti intorno alla storia dei Romeni si trovano riuniti nella grande raccolta di E. Hurmuzachi, Documente privitoare la istoria Románilor, Bucarest 1876 segg. Fra le opere nelle quali è trattata la storia generale del popolo romeno o sono prospettate e discusse le questioni che si riferiscono alla sua origine ed alle vicende prima della costituzione dei principati, citiamo: F.J. Sulzer, Gesch. des transalpinischen Daciens d. i. der Walachei, Moldau und Bessarabiens im Zusammenhange mit der Geschichte des übrigen Daciens, als ein Versuch der allgemeinen dacischen Geschichte mit kritischer Feder entworfen, voll. 3, Vienna 1781-1782; B. P. Haşdeu, Istoria critică a Românilor, Bucarest 1874; W. Tomaschek, Zur walachischen Frage, in Zeitschr. f. d. österr. Gymnasien, Vienna 1872; P. Hunfalvy, Le peuple roumain ou valaque, in Comptes-rendus du Congrès tenu à Vienne par la Société franç. d'archéologie, Tours 1879; id., Die Romänen und ihre Ausprüche, Vienna 1883; I. Jung, Die Anfänge der Romänen, in Zeitschrift für die österreichischen Gymnasien, XXVII (1876); id., Römer und Romänen in Donauländer, Innsbruck 1887; L. Pič, Über die Abstammung der Rumänen, Lipsia 1880; id., Zur rumänisch-ungarischen Streitfrage, ivi 1886; A. D. Xenopol, Un énigme historique: les Roumains au moyen-âge, Parigi 1885; id., Istoria Românilor din Dacia Traiana, 2ª ed., Bucarest 1914; id., Histoire des Roumains de la Dacie Trajane, voll. 2, Parigi 1896; N. Iorga, Istoria poporului românesc, Bucarest 1922 segg.; id., Storia dei Romeni e della loro civiltà, Milano 1928; id., Politica externă a regelui Carol I, Bucarest 1916; id., Istoria războiului balcanic, ivi 1915; id., Istoria războiului pentru independenta 1877, ivi 1927; id., Correspondance diplomatique roumaine sous le roi Charles I, Parigi 1923; A. Pernice, Origine ed evoluzione storica delle nazioni balcaniche, Milano 1915; id., La Dacia e Roma, in L'Europa Orientale, III, Roma 1923; A. Mareu, Riflessi di storia rumena in opere italiane dei secoli XIV e XV, in Ephemeris dacoromana. Annuario della Scuola romena di Roma, I (1923); D. Onciul, Les phases du développement du peuple et de l'État roumain, in Bull. de la sect. hist. de l'Académie Roumaine, Bucarest 1921; E. Panaitescu, Latinità e cristianesimo nell'evoluzione storica del popolo romeno, in L'Europa orientale, III, nn. 9-11; Studi sulla Romania, Roma 1923: A. Sacerdoteanu, Considération sur l'histoire des Roumains au Moyen-âge, in Mélanges de l'École roumaine en France, Parigi 1928. - Per la guerra europea cfr. l'opera fondamentale di C. Kiriţescu, Istoria războiului pentru întregirea României, 1916-1919, 2ª ed., Bucarest 1925 segg., volumi 3.
Lingua.
Il romeno appartiene alla famiglia delle lingue neolatine o romanze; esso è l'unico idioma neolatino conservatosi fino a oggi nell'Europa orientale. Il romeno ha quattro principali dialetti.
1. Il dacoromeno (dacoromân) parlato nel territorio del regno di Romania odierno, nonché in parte del Banato appartenente alla Iugoslavia, in qualche villaggio della Bulgaria e dell'Ungheria, vicino al confine romeno. Il dacoromeno, che si suddivide in parecchie varietà dialettali, non troppo differenziate tra loro, è parlato quasi esclusivamente su un territorio che si trova sulla riva sinistra del Danubio (Moldavia, Valacchia, Transilvania, Banato, Bucovina, Bessarabia), in piccola parte sulla destra (Dobrugia, parte del Banato iugoslavo). La lingua letteraria romena si basa sulla varietà della Valacchia; ma vi sono scrittori, anche classici, che non disdegnano l'uso di alcune peculiarità dialettali moldave.
2. Il macedoromeno o aromeno (aromân) parlato dagli Aromeni (Cutzovalacchi o Zinzari o anche Aromuni, cfr. IV, 560-61) sparsi un po' dappertutto nella penisola balcanica (in Grecia, specialmente in Tessaglia ed Epiro, in numero di circa 150.000; in Albania, specialmente nella Musacchia, in numero di circa 65.000; in Iugoslavia, specialmente nella Macedonia politicamente serba, intorno a Bitolia, in numero di circa 100.000 e in Bulgaria sparsi in molti comuni, in numero di circa 40.000 (cfr. Th. Capidan, Aromânii, Dialectul aromân, Bucarest 1932).
3. Il meglenoromeno o meglenitico (meglenoromân, nome però sconosciuto dai Meglenoromeni stessi, che si chiamano invece Vlaèi) parlato da qualche migliaio di uomini in una zona a NE. di Salonicco, intorno alla cittadina di Nânta (cfr. Th. Capidan, Meglenoromânii, Bucarest 1925-28).
4. L'istroromeno (istroromân) parlato in Istria in un territorio piccolissimo intorno al Monte Maggiore (per maggiori particolari v. XIX, p. 931).
Per quanto la differenziazione fra i quattro dialetti sia notevole tanto da escludere la comprensibilità reciproca fra persone incolte (a causa dei diversi elementi stranieri assimilati nel lessico a seconda delle diverse regioni), pur tuttavia essi presentano un gruppo così considerevole di caratteristiche comuni, che bisogna ammettere siano dovute a innovazioni proto-romene. Esse risalgono quindi al periodo nel quale i progenitori dei Romeni si trovavano ancora riuniti in una regione più o meno vasta, prima che cominciasse la diaspora che li doveva portare in regioni lontanissime: dalla Macedonia alla Transilvania; dal golfo di Salonicco all'Istria. Uno dei compiti principali che si sono proposti i filologi romeni, è quello di ricostruire nelle sue linee fondamentali questo proto-romeno. Senza entrare in particolari troppo sottili, si esporranno i principali fenomeni che si possono attribuire al proto-romeno, tanto più che la questione riferentesi al proto-romeno non è solo d'importanza filologica, ma anche storica per la risoluzione dell'intricatissimo problema delle origini dei Romeni o, per meglio dire, del luogo di formazione della lingua romena.
Prima però di considerare quei fenomeni che si possono attribuire al proto-romeno, bisogna esaminare quelle caratteristiche che risalgono a un periodo anteriore e che possono essere attribuite al latino balcanico.
Per ricostruire queste caratteristiche, più che gli scarsi elementi epigrafici, ci servono i confronti col dalmatico (v., XII, p. 243 segg.) e con gli elementi latini dell'albanese (cfr. II, p. 125). Il latino balcanico ha partecipato con le altre lingue romanze alla riduzione di ē, ĭ in ẹ (la differenza fra le due vocali non ci è conservata che dal sardo logudorese, campidanese e gallurese e dal còrso ultramontano), però non ha partecipato alla riduzione di ü, ŭ in ọ (cfr. XXIV, p. 569). In tal modo il romeno e l'albanese, nonché il dalmatico nelle sole sillabe chiuse, hanno un diverso trattamento di ü e ŭ, mentre le altre lingue romanze (a eccezione del sardo e del còrso ultramontano) hannoo un unico esito; p. es.: latino flüre > rom. floare (plur. flori); lat. sümniu > rom. somn, dalm. samno; lat. honüre > albanese nder, ecc., ma lat. fŭrca > rom. furcă; alb. furkē; lat. pulvere > romeno pulbere, ant. dalm. pulvro, alb. plluhur (mentre in′ italiano abbiamo forca e polvere con ọ come in fiore e onore, giacché l'italiano, al pari della maggior parte delle altre lingue romanze, risale a forme latine volgari con ọ). Le poche eccezioni, come autumnus > toamnă, rubeus > roib, ecc., sono state spiegate in modi diversi (cfr. S. Puşcariu, in Zeitschr. rom. Phil., XXVII, pp. 688-690), ma probabilmente indicano il principio d'una innovazione che non è riuscita a spingersi fino alla periferia della Romania (cfr. S. Puşcariu, Locul limbii române între limbile romanice, Bucarest 1920, pp. 25-26). Un altro tratto che si può riportare al latino balcanico è la ríduzione del nesso -ct- in -pt-, e -cs- (x) in -ps-, giacché abbiamo un parallelo sicuro nello svolgimento degli elementi latini dell'albanese, in cui -ct- > -ft- e -cs- ⟨-fè- (-fsh-); p. es.: lucta > rom. lutptă, alb. luftë; anche il dalmatico ha guapto ⟨ octo, ma il trattamento non è qui così sicuro, essendo l'esempio sporadico (cfr. pectine > piakno) e potendosi trattare di influsso del numerale attiguo septem > sapto (cfr. Meyer-Lübke, in Mem. Secţ. Lit. Acad. Rom., s. 3ª, V, p. 2); coxa > rom. coapsă, alb. kofshë. Probabilmente si deve anche a un adattamento del latino balcanico, dovuto a un influsso di substrato, la posposizione del determinativo ille che ha portato ìl romeno all'articolazione pospositiva: homo illu > omul; frater ille > fratele, mentre nelle lingue romanze occidentali l'articolo precede il nome. La presenza di un articolo pospositivo anche nell'albanese e nel bulgaro, fa di questo fenomeno un'interessante caratteristica degli idiomi balcanici (cfr. V, p. 921) senza volere però dare a questo fenomeno sintattico un'importanza troppo grande, come hanno fatto alcuni autori (cfr. la critica di tale teoria, presso C. Tagliavini, Dacoromania, III, p. 515 segg.).
Risale pure a un'epoca anteriore al proto-romeno la formazione del futuro col vertbo volo (rom. voiu cântà o cântà-voiu) che è in parte comune all'antico dalmatico (cfr. Bartoli, Das Dalmtische, §§ 156-536). Tale costruzione ha corrispondenze nelle altre lingue balcaniche (cfr. neoellenico ϑέλω γράϕειν o ϑαγράϕω; serbocroato pisati ću o pisa-ću; bulgaro pièa-èta; alb. do shkruaj; cfr. V, p. 922). Anche nel lessico visono molte parole latine sconosciute alle lingue romanze occidentali. S. Puşcariu (Locul limbii române, ecc., p. 31 segg.) enumera circa 12o parole latine che si trovano solo nel romeno (quindi circa il 6% dell'intero tesoro lessicale conservato dal romeno). Naturalmente i risultati sono provvisorî, giacché il lessico romanzo è ben lontano dall'essere conosciuto nella sua interezza; più profonde ricerche dei dialetti italiani, francesi, ladini, ecc., permetteranno certo di diminuire questo numero. Per es. il Puşcariu enumera in detto elenco il rom. albina "ape"; ricerche posteriori hanno però dimostrato la presenza della voce ulbină ( ⟨ alvina) nel primitivo senso di "alveare" e non in quello di "ape", assunto dal romeno, anche in una larga zona dei dialetti ladini-centrali e ladino-veneti (cfr. C. Tagliavini, Albină "ape" e paralleli ladini, in Omagiu lui Ramiro Ortiz, Bucarest 1929, pp. 175-176, e Il dialetto del Livinallongo, Bolzano 1934, pp. 57-58). È però indubbio che parecchie parole latine sono attestate fino ad oggi solamente in romeno e parecchie altre solo in romeno e in albanese o in romeno e in dalmatico, mentre mancano alle lingue romanze occidentali. Un problema ancora dibattuto è quello dell'indipendenza o meno della palatalizzazione delle velari in romeno. Nel dacoromeno letterario abbiamo č e õ rispettii amente ⟨ c, g + i, e, come in italiano; p. es. cer "cielo", ger "gelo" (nei subdialetti troviamo parecchie varianti, come è nel Banato, p. es. èer = cer nel "cielo"); nell'aromento ts e dz ⟨ c + i, e e ž, z ⟨ g + e, i.Secondo alcuni autori, il latino balcanico, ancora all'epoca del distacco dalla parte occidentale dell'Impero, non avrebbe avuto la palatalizzazione delle velari (le cui tracce però si trovano già dal sec. III, cfr. MeyerLükbke, Einführung, § 145).
È noto che gli elementi latini dell'albanese e il dalmatico presentano le velari intatte; in tal modo alcuni autori traggono la conclusione che anche il preromeno abbia mantenuto le velari intatte e che quindi la palatalizzazione del romeno sia indipendente da quella delle altre lingue romanze (cfr. Meyer-Lübke, in Mitteilungen des Rumänischen Instituts an der Universität Wien, I, 1914, p. 12 segg.; Puşcariu, Locul limbii române, 25; id., in Dacoromania, V, p. 420). Più espressamente P. Skok, in Zeitschr. rom. Phil., XLVI (1926), p. 409, afferma che "la palatalizzazione romena è avvenuta dopo la distruzione dei centri della latinità orientale" e in Zeitschr. rom. Phil., L (1930), p. 510 "la palatalizzazione romena è post-slava, essa è avvenuta cioè dopo il sec. VI". Questa constatazione avrebbe una speciale importanza anche per la linguistica slava (cfr. G. Maver, Archivio glott. it., XXIV, sez. neol., 1930, p. 1 segg.; A. Grad, L'Italia dialettale, IX, 1933, p. 230 segg. e la bibl. slavistica ivi citata). L'indipendenza della palatalizzazione romena da quella occidentale non ha nulla d'inverosimile, giacché il fenomeno della palatalizzazione è uno dei più generali e può produrre i medesimi risultati anche in territorî diversi. È però ovvio ammettere che la palatalizzazione delle velari sia avvenuta ancora in epoca proto-romena; resta quindi sempre il problema della spiegazione dei risultati diversi del dacoromeno da una parte e del macedo- e meglenoromeno dall'altra; bisogna ammettere la presenza di una tappa intermedia comune, giacché la derivazione di ts, dz del macedoromeno da ĕ, ǧ, proposta da O. Densusianu (Histoire de la langue roumaine, Parigi 1901, p. 215), non è verosimile (cfr. Puşcariu, in Jahresbericht d. Inst. rum. Sprache, XI, p. 168; id., Zur Rekonstruktion des Urrumänischen, 1910, p. 45; T. Papahagi, in Graiu şi suflet, I, p. 208 segg.; A. Rosetti, Recherches sur la phonétique du roumain au XVe siècle, Parigi 1926, p. 108). Un altro problema non ancora risolto e in connessione a quello della palatalizzazione delle velari, è quello dell'intacco delle labiali, il quale però non è preromeno e molto probabilmente neppure proto-romeno, per quanto abbia le sue radici nel proto-romeno medesimo. Tra i fenomeni che possiamo considerare proto-romeni, enumereremo brevemente:
1. la riduzione di a > ă in sillaba atona e, in qualche caso, anche in sillaba tonica, p. es. -amus > -ăm; questo passaggio fonetico è stato messo in rapporto da parecchi autori con la riduzione di a > ë (ε) in sillaba atona in albanese. Ma siccome anche i prestiti italiani dell'albanese riducono a atona in ë, e la cronologia dei fenomeni fonetici romeni ci mostra che la riduzione di a in ă deve essere certamente posteriore alla caduta di -v- e -ll- intervocalici, così questo fenomeno può anche essere spontaneo nel romeno (cfr. Densusianu, Hist. langue roum., II, p. 17) e nell'albanese (Meyer-Lübke, Grundriss d rom. Phil., I, p. 1047). In ogni modo la presenza di una vocale indistinta, corrispondente al romeno ă, in albanese e in bulgaro, potrebbe essere dovuta anche all'influsso del substrato (cfr. Gamillscheg, in Zeitschr. rom. Phil., XLVIII, p. 480; K. Sandfeld, Linguistique balkanique, Parigi 1930, p. 125).
2. Il passaggio di a + n > ân, sia dinnanzi a vocale sia dinnanzi a consonante e di a + m + consonante > âm; per es. manus > mână (macedorom. mână, meglen. mǫnă, istrorom. mără). Questo passaggio, che ha corrispondenza nell'albanese meridionale (tosco), è molto antico; è certamente più antico del rotacismo (v. oltre), perché nei più antichi testi rotacizzanti, troviamo forme come lâră (Salterio di Şcheia, 148,6) ove la presenza di â è determinata da un precedente n, e perché nei detti testi troviamo solo forme come grâu ⟨ granum; frâu ⟨ frenum, ecc., con sparizione dell'n per la nasalizzazione e non troviamo mai -n- > -r- in questi pochi casi specifici in cui l'n è scomparso dopo la vocale nasalizzata (cfr. A. Procopovici, in Analele Acad. Române, s. 2ª, XXX, p. 289 segg.; G. Weigand, Jahresbericht Inst. rum. Sprache, XI, p. 188 segg.: P. Skok, Arhiv za arbanasku starinu, Jezik i etnologju, II, p. 325 segg. e ulteriore bibl. ivi citata). L'antichità di questo passaggio appare anche dal fatto che gli elementi slavi generalmente non vi partecipan0 (p. es. antico slavo rana > rană e non *rână); solo quattro parole, ritenute generalmente di origine slava, partecipano all'evoluzione: esse sono stână, stăpân, jupeín e smântână; perciò i romenisti si sono sforzati di respingere l'origine slava di queste voci, dandone spiegazioni diverse che però sono ben lontane dall'essere convincenti (cfr. da ultimo Puşcariu, in Dacoromania, VII, p. 455 segg.). La spiegazione più ovvia è che questi siano elementi slavi, ma entrati in un'epoca molto antica.
3. Il passaggio di l intervocalico a r, p. es. filum > fir; gŭla > gŭră (macedorom. hir, gură; meglen. ir, gură; istrorom. gură). Questo passaggio si trova solo negli elementi latini, ed è quindi preslavo (sl. ant. goląb > golumb e non *gorumb); la cronologia dei fenomeni ci insegna però che questo passaggio è, com'è ovvio, più mcente di quello li > l′ (e in dacorom. > i); giacché familia > femeie e non *femere.
4. Il passaggio di qu > p; gu > b; p. es. aqua > apă (in tutti i dialetti); lingua > limbă; questo passaggio è parallelo a quello del sardo logudorese (quattuor > battoro; lingua > limba). Le condizioni sono però assai differenti (cinque > rom. cinci, ma sardo kimbe; sanguine > rom. sânge, ma sardo sambene; cfr. Meyer-Lübke, in Mitt. rum. Inst. Wien, I, p. 11 segg.; Mem. Secţ. Lit. Acad. Rom., s. 3ª, v, p. 3).
5. La metafonesi (cfr. XXIII, 22-23) di e e o tonici condizionata dalla presenza nella sillaba seguente di ă (a) e, mentre nelle altre lingue romanze le vocali che hanno effetto metafonetico sono i, e parzialmente u (cfr. I. Iordan, Diftongarea lui e şi o accentuaţi în poziţiile ă, e, Iaşi 1921, e l'importante recensione di S. Puşcariu, Dacoromania, I, pp. 377-396).
Sorvoleremo su altri fenomeni proto-romeni, come t + i (ie, i + voc.) > ţ; d + i > z; s + i > s; sti > şt; cl + voc., e gl + voc. dànno rispettivamente k e g come in italiano, ecc.). Il rotacismo di n è, secondo alcuni autori, proto-romeno (cfr. Puşcariu, Zur. Rek. des Urrum., p. 38; Dacoromania, IV, p. 1374 segg.). Anzi il rotacismo sarebbe, secondo alcuni, un fenomeno preromeno comune al rotacismo albanese (cfr. Puşcariu, in Dacoromania, IV, p. 1374; Studii Istroromâne, II, §§ 72 e 317; N. Jokl, in Indogerm. Forsch., XLIV, p. 50); altri autori, come p. es. A. Rosetti (Étude sur le rhotacisme en roumain, Parigi 1924, p. 54), negano ogni rapporto storico fra il fenomeno romeno e quello albanese. Sta di fatto che il macedoromeno e il meglenitico ignorano il rotacismo; i più antichi testi romeni sono rotacizzanti (Codice di Voroneţ, Salterio di Scheia, testi del Codice Siurdzano, ecc.), ma ciò si deve al fatto ch'essi provengono dalla Transilvania settentrionale, dove il rotacismo appare come fenomeno dialettale, fino ai giorni nostri, presso i Moţi; in ogni modo, anche concepito come fenomeno dialettale, il rotacismo deve essere anteriore all'introduzione delle parole slave e magiare, giacché queste non partecipano a questa evoluzione. Anche per l'intacco delle labiali (meno propriamente detto "palatalizzazione delle labiali"), fenomeno fonetico assai raro, per cui p + i > ki, pki; b + i = ≥ ghi, bghi, ecc., rimane aperta la questione se questo processo sia sviluppato indipendentemente nel dacoromeno o se sia geneticamente comune con lo stesso fe.-10meno dei dialetti romeni transdanubiani. Sta di fatto che oggi troviamo l'intacco e mutamento delle labiali nella massima parte del territorio dacoromeno (Moldavia, Bucovina, Bessarabia, parte orientale della valacchia e quasi tutta la Transilvania) quantunque in condizioni diverse su un così vasto territorio; in alcuni luoghi la pronuncia delle palatali alterate è una caratteristica della parlata del sesso femminile (cfr. Tagliavini, Modificazioni del linguaggio nella parlata delle donne, in Studi glottologici in memoria di A. Trombetti, Milano 1935).
Nel meglenoromeno abbiamo un doppio trattamento; qui le labiali possono essere alterate e intatte; le forme con le labiali alterate sono più numerose; è pero impossibile ritenere che le forme con le labiali intatte siano dovute a influsso dacoromeno (Capidan, Meglenoromânii, Bucarest 1925, I, p. 126); è più probabile ammettere un processo di depalatalizzazione (A. Procopovici, in Dacoromania, VI, p. 417 segg.). L'istroromeno non conosce il fenomeno, giacché delle forme come pectus > kl′ept, che possono trarre in inganno un osservatore superficiale, sono dovute a tutt'altra causa (S. Puşcariu, Studii istroromâne, Bucarest 1926, II, § 57). Il macedoromeno è l'unico dei quattro grandi dialetti in cui l'intacco delle labiali sia generale (Capidan, Dialectul aromân, Bucarest 1932, p. 292 segg.). Per il Puşcariu (Zur Rek. des Urrum., p. 33; Dacorom., IV, p. 1309) e per A. Procopovici (Revista .filologică, II, 1928, p. 181) il fenomeno è proto-romeno, anche se non si è svolto in modo uniforme già nel seno del proto-romeno stesso. Secondo altri autori (D. Onciul, Convorbiri Literare, XIX, 1885, p. 589; M. Gaster, Chrestomathie Roumaine, Lipsia 1891, p. CX e O. Densusianu, Hist. langue roum., I, p. 314) l'intacco delle labiali, esistente sporadicamente nel dacoromeno, sarebbe dovuto a più recenti migrazioni di Macedoromeni al nord del Danubio. Ma tale teoria è difficilmente sostenibile (cfr. Th. Capidan, in Junimea Literară, XIV, 1925, p. 275). Per altri autori come A. Byhan (in Jahresb. Inst. rum. Sprache, III, p. 18), A. Rosetti (Recherches sur la phonétique du Roumain au XVIe siècle, p. 133) e Th. Capidan (Dialectul aromân, p. 309), il fenomeno sarebbe indipendente nei varî dialetti e di data recente. Secondo C. Tagliavini (Modificazi0ni del linguaggio nella parlata delle donne, cit.) il proto-romeno aveva le labiali intatte, ma la tendenza alla palatalizzazione doveva esistere se non nel proto-romeno, in qualcuna delle lingue del substrato. Si tratterebbe quindi della ripetizione, a distanza, di una tendenza, per cui v. XXIV, p. 571.
Fra le caratteristiche morfologiche si può notare la conservazione del vocativo in -e nei nomi maschili della seconda declinazione (tipo: bărbate! Doamne!), perduto in tutte le altre lingue romanze; così solo il romeno-conserva la forma del dativo dei femminili della prima e della terza declinazione (case ⟨ casae; morţi ⟨ morti); questo dativo prende poi in romeno anche le funzioni di genitivo.
Resta ora da trattare uno dei capitoli più ardui e discussi della filologia e della storia romena, cioè del luogo nel quale si è venuto a formare il romeno stesso. I fenomeni comuni d'innovazione, più che quelli di conservazione, dei quattro grandi dialetti romeni, sono tanti e di tale importanza che è impossibile attribuirli al puro caso, come sarebbe se i quattro dialetti si fossero svolti nelle zone occupate presentemente; come si è detto, occorre ammettere che il proto-romeno si sia formato in una regione, più o meno estesa, ma unitaria. Ora argomenti filologici porterebbero a ritenere che il proto-romeno si sia sviluppato sulla riva destra del Danubio. Portano a queste conclusioni parecchi fatti: le concordanze con l'albanese, le quali non possono essere dovute solamente a influsso di substrato omogeneo, ma debbono risalire a un non breve periodo di simbiosi; il carattere bulgaro (e in molta minor parte serbo) degli elementi slavi del romeno (gli elementi slavi settentrionali - p. es. ruteni - sono molto più recenti); la mancanza di elementi germanici antichi, ecc. Naturalmente la questione è stata resa più spinosa da preoccupazioni di carattere politico. Quasi tutti gli studiosi romeni, anche se non negano l'origine a sud del Danubio, ammettono pure un centro di vita romena al nord del Danubio stesso; e ciò per confermare la "teoria della continuità" che, già emessa dai seguaci della scuola storica transilvana della fine del Settecento (Clain, Şincai, Maior), è sostenuta da tutti gli storici romeni e insegnata in tutte le scuole della Romania. Tuttavia anche alcuni filologi romeni hanno riconosciuto l'origine suddanubiana del loro popolo; così p. es. Alexandru Philippide (1859-1933) nella sua fondamentale opera Originea Romînilor (Iaşi 1925-28). Senza negare la possibilità di resti di popolazione romana al nord del Danubio, ormai la maggior parte dei filologi, specialmente stranieri, riconosce essere assicurato che il luogo di formazione della lingua romena deve essere stato press'a poco nella Serbia prebellica. (Per maggiori particolari, cfr. l'articolo di M. Friedwagner, Über die Sprache und Heimat der Rumänen in ihrer Frühzeit, in Zeitschr. rom. Phil., LIV, 1934, pp. 641-715 ed ivi bibliografia).
Il lessico romeno è formato in primo luogo dagli elementi latini; questi sono numericamente assai inferiori agli elementi estranei incorporati nel corso dei secoli. Prendendo l'unico dizionario etimologico romeno completo e cioè il Dictionnaire d' étimologie daco-romane di A. De Cihac (Francoforte 1870-79), risulterebbero, su un totale di 5765 parole studiate, solo 1165 parole di origine latina, contro 4600 di origine varia (2361 slave, 965 turche, 635 neoelleniche, 589 ungheresi, 50 albanesi). Per quanto il dizionario del De Cihac sia incompleto e in gran parte superato, la statistica non varia di molto, perché, se è vero che mancano molte parole latine, ne mancano moltissime anche di altre origini. Come avviene nell'inglese, per cui la minor parte del tesoro lessicale è formata dagli elementi originarî germanici, così anche nel romeno, la minor parte è formata dagli elementi romanzi; però una statistica di questo genere ha ben poco valore, perché in un dizionario etimologico tutte le voci hanno il medesimo valore agli effetti di una statistica. Nella lingua corrente la percentuale delle parole romanze è molto più alta; in una pagina di uno scrittore popolare la percentuale degli elementi stranieri in confronto di quelli latini varia dal dieci al quindici per cento. Fra gli elementi latini occorre osservare la mancanza di molte parole che sono invece comuni a tutte le lingue romanze occidentali, p. es. contentus, semper, amare, amicus, carus, centum, ecc. D'altra parte vi sono voci che, come si è notato più sopra, si conservano solo nel romeno, p. es. libertare > iertà (nelle lingue occidentali *perdonare), ecc. Molte parole hanno subito delle innovazioni semantiche, p. es. anima > inimă, nel senso di "cuore" e non di "anima", per cui il romeno ha suflet; excalidare > scăldà nel senso di "bagnare", ecc. (cfr. W. Domaschke, Der lat. Wortschatz d. Rumänischen, in Jahresb. d. Inst. f. rum. Spr., XXII-XXV). L'influsso slavo è il più considerevole; esso comincia assai presto; non si manifesta solamente sulla lingua, ma su tutti i rami della cultura e della civiltà (organizzazione giuridica, ecclesiastica, ecc.). Per quanto i Romeni tengano enorme mente, e con ragione, alle loro origini latine, uno storico del valore di J. Bogdan non esitava a scrivere: "Per l'uomo non preoccupato da pregiudizî, l'influsso dell'elemento slavo nella formazione della nostra nazionalità è di tale evidenza che possiamo dire senza esagerazione che non si può neppure far parola di popolo romeno prima dell'assorbimento degli elementi slavi da parte della popolazione originaria romana.. ." (J. Bogdan, Istoriografia română şi problemele ei actuale, Bucarest 1905, p. 21). È indubbio che gli elementi slavi comuni ai quattro dialetti, o per lo meno a tre di essi, sono per la maggior parte entrati ancora all'epoca proto-romena (cfr. Th. Capidan, in Mem. Secţ. Lit. Acad. Rom., s. 3ª, II, 1925, p. 25 segg.), quindi almeno al sec. IX, se non forse ancor prima. Esagerano certo nei due sensi il Densusianu (Hist. langue roum., I, p. 241) ammettendo la presenza di elementi slavi, anzi della maggior parte degli elementi slavi, nel sec. V, VI e VII, e il Bărbulescu (Zbornik Jagič, p. 432 segg. e, anche di recente, Individualitatea limbii române şi elementele slave vechi, Bucarest 1929, p. 468 segg.) ammettendo che le voci slave non possano essere entrate prima del sec. X. L'influsso slavo sul romeno è assai importante anche perché il romeno ha ricevuto dallo slavo degli elementi formativi vitali e produttivi; fra i prefissi ricorderemo: ne-, rǎz-; fra i suffissi -ac, -că, -av, -eală, -an, -nic, -işte, -ită, ecc. Le voci di origine slava sono numerose e importanti (molti aggettivi come drag "caro", bogat "ricco", sărac "povero", slab "debole", ecc., e sostantivi e verbi di primaria importanza e di prima necessità, p. es. trup "corpo", boală "malattia", a iubì "amare", ecc.; v. F. Miklosich, Die slav. Elemente im Rumunischen, Vienna 1871; O. Densusianu, Hist. l. roum., I, pp. 237-287; I. Bărbulescu, Individualtiatea l. rom. şi elementele slave vechi, Bucarest 1929; Th. Capidan, Elementul slav in dialectul aromân, Bucarest 1925). Oltre agli elementi slavi più antichi, il romeno ha assimilato anche elementi slavi più recenti dalle varie lingue con cui è venuto in contatto (polacco, russo, ruteno, serbo, ecc.; cfr. H. Brüske, Die russischen und polnischen Elemente des Rumänischen, in Jahresb. Inst. rum. Sprache, XXVXXIX, pp.1-69; D. Scheludko, Nordslavische Elemente im Rumänischen, in Balkan-Archiv, I, 1925, pp. 153-172; M. C. Ştefănescu, Elementele ruseşti-rutene din limba romînească si vechimea lor, Iaşi 1925; I. Popovici, Einige Bemerkungen über die serbo-rumänischen Lehnwörter, in Slavia, VII, 1928, pp. 15-24).
Dopo l'influsso slavo, il più importante numericamente, ma non come valore intrinseco, è l'influsso turco. Accanto ad alcune parole che possono essere più antiche e forse di provenienza cumana e peccenega, ma che ancora non sono state studiate, se non sporadicamente per l'onomastica (cfr. L. Rásonyi-Nagy, Valachoturcica, Berlino 1927 e v. rec. in Studi Rumeni, IV, p. 185 segg.), abbiamo un nucleo considerevole di voci entrate all'epoca della dominazione turca; alcune, relativamente poche, sono divenute poo sono usate soltanto con un valore speciale storico; abbiamo solo due suffissi di origine turca: -lic e -giu. Fra le parole diventate d'uso comune ricorderemo odaie "stanza" ⟨ turco oda; cioban "pastore" ⟨ turco čoban, ecc. Gli elementi turchi sono, in conseguenza delle condizioni storiche, frequenti in Valacchia e Moldavia e scarsissimi in Transilvania (cfr. L. Săineanu, Influenţa orientală asupra limbü şi culturei române, Bucarest 1900, opera fondamentale in voll. 3; riassunto francese in Romania, XXX-XXXI; T. Löbel, in An. Acad. Rom., s. 2ª, XXX, pp. 225-264).
Molto importanti, anche dal punto di vista culturale, sono gli elementi ungheresi; questi sono entrati in epoca più recente degli elementi slavi e si trovano solo nel dacoromeno. Nei dialetti transdanubiani si trovano solo pochissime voci ungheresi pervenute, al pari di quelle dell'albanese, per via indiretta (cfr. N. Jokl, Die magyarischen Bestandteile des albanesischen Wortschatzes, in Ungarische Jahrbücher, VII, 1927, pp. 46-84). I primi elementi ungheresi si trovano già nei documenti slavi delle terre romene nei secoli XIV-XV (cfr. L. Treml, in Ungarische Jahrbücher, IX, 1929, pp. 274-317). Meno numerosi e meno importanti sono gli elementi romeni dell'ungherese, qualcuno dei quali però, per la presenza di documenti storici più antichi, può essere documentato in epoca considerevolmente anteriore, dando prova che la simbiosi romeno-ungherese esisteva già per lo meno sullo scorcio del sec. XII (p. es., il n. pr. Fichur ⟨ rom. ficior, fecior; cfr. L. Treml, Magyar Nyelv, XXV, 1929, pp 47-48).
Accanto a voci estese in tutto il territorio dacoromeno (p. es., város > oraşi città"; szállás > sălaş ecc.) troviamo un numero molto maggiore di elementi ungheresi nelle regioni nelle quali, come in Transilvania e Banato, la simbiosi romeno-ungherese continua anche ai giorni nostri (cfr. Gy. Alexics, Magyar elemek az oláh nyelvben, Budapest 1888; S.C. Mândrescu, Elemente ungureşti în limba română, Bucarest 1892; O. Asbóth, Az oláh nyelvbe átment magyar szok, in Nyelvtudományi Közlewönyek, XXVII, 1897, pp. 325-341,428-448; L. Treml, Die ungarischen Lehnhrter im Rumänischen, in Ungarische Jahrbücher, VIII, 1928, pp. 25-51, IX, 1929, pp. 274-317, e ivi bibl. anteriore; su quest'ultimo lavoro cfr. però le riserve, in buona parte giustificate, di N. Drăganu, in Dacoromania, VII, pp. 195-224).
Scarsissimi sono invece in romeno gli elementi greci antichi; quasi tutti passano per il tramite del latino (cfr. Puşcariu, in Dacoromania, III, p. 387); di sicuri ne rimangono ben pochi (cfr. Murnu, Studiu asupra elementului grec ante-fanariot în limba română, Bucarest 1894; A. Philippide, Altgriechische Elemeilte im Rumänischen, in Bausteine zur roman. Philol., Festgabe für A. Mussafia, Halle 1905, pp. 46-59). Il recente lavoro di C. Diculescu, Elementele vechi greceşti în limba română (in Dacoromania, IV, 1927, pp. 394-516), è fondamentalmente errato (cfr. Studi Rumeni, I, pp. 134-35). Abbondano invece, specialmente nei testi del sec. XVIII scritti in Valacchia, gli elementi neoellenici, sui quali manca ancora uno studio monografico. Gli elementi neoellenici sono poi numerosissimi nell'aromeno (cfr. Chr. Geagea, Elementul grec în dialectul aromân, in Codrul Cosminului, VII, 1931-32, pp. 205-432).
Importanti, quantunque non molto numerosi, gli elementi che si possono far risalire all'albanese, alcuni dei quali possono anche risalire a un'epoca molto antica (cfr. Th. Capidan, Raporturile albano-române, in Dacoromania, II, pp. 444-554); più numerosi sono naturalmente gli elementi albanesi recenti nell'arumeno (cfr. Th. Capidan, op. cit.).
Tutti i tentativi fatti per dimostrare la presenza di elementi germanici (specialmente gepidi) in romeno si possono considerare falliti (cfr. L. Löwe, Zeitschr. für vergl. Sprachforschung, XXXIX, pp. 261-334; Gh. Giuglea, in Dacoromania, II, pp. 327-400; C. Diculescu, Die Gepiden, Lipsia 1922, e Zeitschr. f. rom. Phil., XLI, p. 420 segg.; XLIX, pp. 385-496, ma all'incontro, Meyer-Lübke, in Zeitschr. für vergl. Sprachforsch. XXXIX, p. 593, e in Zeitschr. rom. Phil., XLIII, p. 230; P. Skok, in zeitschr. f. rom. Phil., XLIII, p. 187 segg.; E. Gamillscheg, in Zeitschr. f. rom. Phil., XLVIII, pp. 470-475; A. Zauner, in Zeitschr. f. rom. Phil., L, p. 548 segg.). Ciò non toglie che nel romeno di Transilvania vi siano numerosi elementi tedeschi, ma di origine recente, dovuti alla convivenza dei Romeni coi Sassoni e, nel Banato, con, gli Svevi (cfr. Jon Borcia, Deutsche Sprachelemente im Rumänischen, in Jahresb. Inst. rum. Sprache, X, 1904, pp. 138-253).
Scarsissimi, e quasi unicamente limitati al gergo, sono gli elementi zingari del romeno, e questo è dovuto alla bassa posizione sociale degli Zingari di Romania (cfr. A. Graur, Les mots tsiganes en roumain, in Bulletin linguistique, II, 1934, pp. 108-200).
La lingua letteraria romena si è formata lentamente; i testi letterarî antichi hanno tutti uno spiccato colorito dialettale; è interessante, per es., comparare la Pravila di Vasile Lupu con quella di Matteo Basarab; la seconda (1652) non è che un rifacimento della prima (1646), ma le forme dialettali moldave sono generalmente sostituite con forme muntene (valacche). I libri religiosi però, che formano i tre quarti dell'antica letteratura romena, al pari dei libri popolari, circolavano dappertutto e quindi le forme regionali troppo spinte erano evitate. Uno sforzo per arrivare a una lingua letteraria si nota solamente sulla fine del Settecento e nella prima metà dell'Ottocento. Ridestandosi e diffondendosi, per opera della scuola storica transilvana, la coscienza dell'origine latina, si manifestò un movimento purista che tendeva all'eliminazione delle parole straniere, all'abolizione della grafia cirillica e alla formazione di un'ortografia etimologica. Un'altra corrente, capeggiata da I. Heliade-Rădulescu, prendeva le parole non dal latino ma dall'italiano; verso la metà del secolo scorso prevalse l'uso della lingua popolare temperata artisticamente, nella quale scrissero i migliori autori classici moderni.
L'influsso della letteratura francese non ha mancato di esercitarsi anche sulla lingua con una serie di neologismi, alcuni dei quali entrati nella lingua letteraria e usati anche dai migliori scrittori. Nella letteratura contemporanea si manifesta però una reazione contro il dilagare dei neologismi francesi (cfr. P. Haneş Dezvoltarea limbii literare române în prima jumătate a secolului al XIX-lea, 2ª ed., Bucarest 1927; C. Tagliavini, Un frammento di storia della lingua rumena nel sec. . XIX. L'italianismo di Ion Heliade Rădulescu, Roma 1926).
Bibl.: Grammatiche descrittive: C. Tagliavini, Grammatica della lingua rumena, Heidelberg 1923, con complemento di Chiave dei temi: I.A. Candrea, Cours complet de grammaire roumaine, 3ª ed., Bucarest 1927. Dizionarî: per gli Italiani esistono solo due dizionarietti tascabili: E. Porn e Alexandrescu-Dorn, Dicţionar italian-român, Bucarest s. a. (nuova edizione di Porn e Perussi, ivi s. a.); A. Marcu, Dicţionar român-italian, ivi 1933. Pei non principianti sono specialmente raccomandabili: H. Tiktin, Rumänisch-deutsches Wörterbuch, ivi 1903-1920 in tre grossi volumi con fraseologia e indicazioni etimologiche; I. A. Candrea e Gh. Adamescu, Dicţionarul enciclopedic ilustrat "Cartea Românească", ivi 1932 (ricco, moderno, con illustrazioni e sobrie indicazioni etimologiche). L'Academia Română pubblica dal 1906 un Dicţionarul limbii române, ottimo sotto ogni aspetto; finor sono usciti il vol. I, parte 1ª (A-B), ivi 1906-13; il vol. I, parte 2ª, fasc. 1-8 (C-cojoaică), ivi 1914-1934, e il vol. II, parte 1ª (F-I), ivi 1910-1934. Per le voci comprese fra A e bărbat esiste anche B. P. Hasdeu, Etymologicum Magnum Romaniae, ivi 1886 segg., ricchissimo di materiale ma da consultarsi con cautela.
Per la storia della lingua v.: O. Densusianu, Histoire de la langue roumaine, I: Les origines,Parigi 1901 (2ª ed. invariata, Bucarest 1929). II: Le XVIe siècle, fasc. 1 e 2, Parigi 1914, 1932 (ottima). Grammatiche storiche romene ampie e moderne non esistono; v. H. Tiktin, Rumänisches Elementarbuch, Heidelberg 1905; e Die rumänische Sprache, in Grundriss. d. rom. Phil., del Gröber, I, 2ª ed., pp. 564-607. L'unico dizionario etimologico romeno completo è quello di A. De Cihac, Dictionnaire d'étymologie daco-romane, Francoforte 1870-79, in due volumi, ma oggi completamente superato. Per gli elementi latini abbiamo: S. Puşcariu, Etym. Wörterbuch d. rum. Sprache, Heidelberg 1905 (buono), e Candrea-Densusianu, Dicţionarul etimologic al limbii române, Bucarest 1907-1914 (incompleto; comprende solo le voci fra A e puteá); per il macedoromeno abbiamo G. Pascu, Dictionnaire étymologique macédoroumain, Iaşi 1925, che quantunque molto difettoso è sempre superiore al vecchio K. Nikolaïdis, 'Ετυμ. Λέξικον τῆς χουτσοβλαχικῆς ηλώσσης, Atene 1909 (cfr. Th. Capidan, Réponse critique au dict. d'étymologie koutzovalaque de Const. Nicolaïdi, Salonicco 1909). Crestomanzie: per la parte antica: T. Cipariu, Crestestomatia seau Analecte literarie, Blaj 1858; M. Gaster, Chrestomatie română, Lipsia 1891; per la parte moderna (e in minor quantità antica): C. Tagliavini, Antologia rumena, Heidelberg 1923. Per la lingua antica, oltre il vol. II della Hist. d. la langue roum. del Densusianu sono raccomandabili: A. Rosetti, Recherches sur la phonétique du roumain au XVIe siècle, Parigi 1927; Limba română in sec. al XVI-lea, Bucarest 1932, e il volume d'introduzione all'opera di I. A. Candrea, Psaltirea şcheiană în comparaţie cu celelalte psaltiri din sec. XVI şi XVII traduse din slavoneste, ivi 1914. Sempre importante l'opera di B. P. Hasdeu, Cuvente den batrâni, Bucarest 1878 segg., che contiene testi antichi con commenti linguistici e parecchi excursus. Per la fonetica è ancora utile: F. Miklosich, Beiträge zur Lautlehre der rumunischen Dialekte, Vienna 1881-1883. Per i dialetti dacoromeni, cfr. G. Weigand, Linguistischer Atlas des dakorumänischen Sprachgebietes, Lipsia 1908, e le numerose monografie del Weigand medesimo pubblicate nei Jahresberichte des Instituts für rumänische Sprache zu Leipzig, III-IX, 1896-1903 segg. Per i dialetti transdanubiani vedi la bibl. citata nel testo. Per le caratteristiche del romeno, cfr. S. Puşcariu, Locul limbii române intre limbile romanice, Bucarest 1920; W. Meyer-Lübke, Rumänisch, Romanisch, Albanesisch, in Mitteilungen d. rum. Institus a. d. Universität Wien, I (1914), pp. 1-42; Rumänisch und Romanisch, Bucarest 1930 (nelle Mem. Sect. Lit. Acad. Rom., s. 3ª, V, pp. 1-36); M. Bartoli, La spiccata individualità della lingua romena, in Studi Rumeni, I (1927), pp. 20-34; M. Valkhoff, Latijn, Romaans, Roemeens, Amersfoort 1932. Per la storia della linguistica romena sino alla fine del secolo scorso, cfr. L. Şăineanu, Istoria filologiei române, 2ª ed., Bucarest 1895. Fra le pubblicazioni periodiche destinate alla filol. romena ricorderemo: Jahresberichte d. Institus f. rum. Sprache zu Leipzig, Lipsia 1894-1922 (voll. 29), con continuazione nel Balkan-Archiv, ivi 1925-28 (voll. 4), direttore di ambedue G. Weigand; Dacoromania, Buletinul Muzeului limbii române, Cluj 1921 segg. (finora voll. 7; direttore S. Puşcariu); Graiu şi suflet, Bucarest 1923 segg. (finora voll. 6), direttore O. Densusianu; Revista filologică, Cernăuţi 1927-28 (voll. 2), direttore A. Procopovici; Bulletin linguistique, Bucarest 1933 segg. (finora 2 volumi), direttore A. Rosetti; Buletinul Institutului de filologie româna "Alexandru Philippide", Iaşi 1934 (dir. I. Iordan). Altre riviste, come l'Archiva di Iaşi (dal 1889; ora direttore I. Bărbulescu); il Codrul Cosminului di Cernăuţi (dal 1924, finora voll. 8), diretto da un comitato di professori, si occupano anche di linguistica accanto alla letteratura e alla storia. In Italia abbiamo gli Studi Rumeni pubblicati dall'Istituto per l'Europa orientale di Roma (dal 1927; finora voll. 4, direttore C. Tagliavini).
Etnologia e folklore.
Romeni. - I Romeni che vivono nella Romania di oggi appaiono dal punto di vista etnico come un popolo molto misto. Nelle parti montagnose del paese prevalgono elementi di razze alpine e dinariche, mentre nella parte meridionale, in pianura, si possono notare forti penetrazioni mediterranee. Si aggiungano inoltre gl'influssi dei popoli turchi e slavi, sensibili anche nella vita culturale romena. I Romeni possono essere divisi da un punto di vista geografico-economico in: Munteni (cioè abitanti delle montagne), Pădureni (cioè abitanti delle foreste) sulle pendici dei Carpazî, Câmpeni (cioè abitanti della pianura), o Podgoreni (cioè coltivatori di vigneti abitanti delle colline), come pure i Mozi, lavoranti del legno e minatori nella Transilvania occidentale e i Moldavi nella Moldavia, nella Bessarabia, nella Bucovina e nella zona ucraina di confine. I Romeni sono agricoltori, allevatori di bestiame, specie di ovini, e pescatori. Le condizioni dei pascoli obbligano spesso i pastori a lontani vagabondaggi e in passato i pastori di pecore della Transilvania occidentale portavano nell'inverno i loro greggi fino al Mar Nero, per svernare colà. Per la pastorizia servono durante l'estate capanne (stâne) a due o tre stanze, e luoghi per la mungitura all'aperto, al riparo dai venti. Di notte si dorme all'aperto. Le capanne sono costruzioni rettangolari di legno, munite da tetto a padiglione. Circa nel mezzo del vano adibito alla fabbricazione del formaggio vi è un palo di legno orizzontale, girevole intorno al suo asse, con una trave trasversale, da cui pende sul fuoco aperto una caldaia di rame. Alle pareti vi sono panche di legno e altre che fanno l'ufficio di tavoli, torchi primitivi (Grindă), truogoli di legno, tini, zangole, sgabelli rozzamente squadrati, e, fra gli altri utensili di casa, pietre da macina piatte prr pestare il sale per il bestiame, tazze, spesso bellissime, di legno intagliato, cucchiai pure in legno lavorato, saliere e vasi, che testimoniano di un'arte popolare antichissima. Il formaggio, prodotto mediante coagulo, è poi pressato in pelli di pecora o in recipienti fatti di pelle di bue, ed è conservato in una stanza della stână destinata specialmente a questo scopo, posto su assi speciali ad asciugare, per essere poi portato a valle in autunno. L'abbigliamento dei pastori è simile a quello dei contadini sedentarî. Pastori e contadini da un lato, e i grandi possessori di terre dall'altro, hanno rapporti vicendevoli ben definiti e legali. I pastori devono curare le pecore per questi e ne vengono ricompensati sulle stesse basi in uso fra gli allevatori di bestiame dell'Occidente europeo. Solo pochi villaggi, per es. Poiana Sibiului in Transilvania, si dedicano esclusivamente all'allevamento delle pecore; e perciò i loro abitanti si potrebbero considerare come veri e proprî pastori. Nella popolazione rurale, è raro l'accentramento. Villaggi concentrati intorno alle strade sono originariamente sconosciuti ai Romeni, mentre si trovano presso i Sassoni in Transilvania. Nelle contrade più povere s'incontrano spesso ancora case di un solo vano, fatte di travi di legno o di pezzi di legno mescolati ad argilla o di vimini intrecciati. Ma di solito le case dei contadini sono piccole, di colore giallo o azzurro o bianco, con tetti coperti di assicelle o di paglia e fornite di un balcone di legno che prende tutta la fronte della casa. In parecchie località, grandi portoni con una porticina annessa mostrano begli intarsî. Nelle case dei contadini più ricchi, al posto di questa balconata di legno ve n'è una in muratura completata da un porticato a colonne (Moldavia, Antico Regno). Di solito alcuni gradini portano alla balconata di legno e di qui nella casa. La prima stanza in cui si giunge, contiene il focolare. A destra vi è la "stanza migliore", a sinistra la stanza di soggiorno quotidiano. Nella pianura del Danubio si trovano ancora antichissime case d'argilla e abitazioni fatte di terra (bordei, hrubă). Sono ancora in uso povere capanne fatte di vimini intrecciati ricoperti di terra (coliba). Una volta si usavano come per il grano, il granoturco o il miglio, buche scavate nella terra; ora invece le pannocchie di granoturco sono conservate o in grandi ceste di vimini intrecciati, come presso i popoli slavi dei Balcani, o anche su scaffali di assicelle (similmente a quanto praticano i Sassoni della Transilvania). Il granoturco importato e imposto da Serban Cantacuzino (1678-88) forma oggi l'elemento principale della nutrizione dei Romeni, per la preparazione della usuale mămăliga (polenta). Come bevanda viene preferita un'acquavite di susine molto debole (ţuica). Nella stanza d'abitazione del contadino romeno si trovano panche che corrono tutt'attorno alle pareti, lettiere vicine ai muri, cassoni e stipi, che ci parlano di un influsso della cultura occidentale. Le pareti sono spesso adorne di specchi e quadretti sacri, di bei tappeti e di coperte ricamate e così pure di piatti dipinti e di vasi. Si ricoprono anche le panche con ricche coperte e bei tappeti ornamentali pendono da aste. I prodotti dell'attività domestica sono conservati nella "stanza migliore" sotto forma di lini tessuti in casa, di lana filata a mano, di coperte di lana, di sacche, ecc., ed hanno grande importanza, anche perché servono da dote per le spose. Nonostante la scomparsa graduale di tutto il patrimonio culturale originario dei contadini, conseguenza dell'influsso della civilizzazione, sono ancor oggi in uso in certe località l'aratro di legno senza ruote con la punta indurita al fuoco, forni di argilla per la cottura della pasta sfogliata e delle focacce, e così pure macine a mano per la macinazione del miglio. Nella colonna Traiana a Roma, troviamo la prima rappresentazione del costume dacico; i Daci che vi sono raffigurati portano lo stesso costume che è ancor oggi in uso presso i Romeni. Gli uomini usano calzoni lunghi stretti e bianchi, con una camicia stretta alla cintura che ricade al disopra, e a seconda della stagione un panciotto o un corpetto di pelle di pecora foderato di lana all'interno e ricamato all'esterno, pellicce di pecora con maniche lunghe, calze corte di lana, opanche o stivali pesanti, e nell'inverno anche un berretto di pelle d'agnello. Le donne portano dei fazzoletti da capo (mentre le ragazze di regola sono a testa nuda), delle camicie più o meno riccamente ricamate, e grembiuli doppî (cătrinţa), così che si possa vedere la camicia dai due lati, con lunghe cinture di lana tessuta passate più volte intorno ai fianchi, calze di lana, opanche e stivaletti. Naturalmente il costume differisce da questo tipo generale a seconda delle località.
La vita sociale si svolge in forme veramente patriarcali. L'uomo è il padrone e signore della moglie e della sua famiglia. Nell'Antico Regno ha una parte importante l'antica nobiltà dei boiari, che si compone di alti ufficiali, di funzionarî e di grandi proprietarî di terre, al cui servizio sta una forte percentuale della popolazione rurale romena.
Il folklore romeno presenta aspetti assai interessanti, poiché sopra l'antico fondo dacoromano sono venute ad aggiungersi col tempo influenze bizantine, slave, ungheresi, turche e greche, di maniera che oltre all'interesse che presenta la fusione degli elementi pagani con quelli cristiani, vi troviamo anche la contaminazione di certi elementi eterogenei, che assumono spesse volte forme bizzarre.
Leggende, superstizioni, usanze, feste. - Nelle leggende che trattano della creazione del mondo, si manifesta l'antagonismo fra Dio e Satana. Alcune sembrano il riflesso delle leggende iraniche, penetrate nell'Oriente europeo attraverso la setta dei bogomili dei Balcani, oppure attraverso le colonie armene della Russia meridionale. Secondo tali leggende Dio creò la terra con l'aiuto di Satana, il quale la portò dal fondo delle acque; indi il corpo umano fu fatto di argilla dallo stesso Satana, mentre Dio gli diede l'anima. In seguito alla collaborazione fra la divinità e il diavolo, furono creati tutti gli esseri animati, la prima riservandosi i benefici (il cavallo, la pecora, la colomba, l'usignuolo, la rondine, l'ape), Satana i malefici e brutti (il lupo, il gufo, il pipistrello, la vespa).
Il diavolo occupa un posto importante anche nel capitolo delle superstizioni. Il suo potere dura dalla mezzanotte fino al canto del gallo. Si fa lupo, capro, gatto nero e cane nero. Indemonia gli uomini, provocando le malattie; ma può essere scacciato con il "disincantare" (descântec), recitato per lo più dalle vecchie, nel quale viene invocata la Madonna coi Santi. Al diavolo tengono compagnia le streghe, le quali hanno venduto la propria anima e, con l'aiuto del diavolo, riescono a provocare malanni, praticando la magia nera. Sono assai diffuse le credenze intorno ai vampiri (strigoi) e ai lupi mannari (svârcolaci; dallo slavo valkolak, corrispondente al gr. λυκάνϑρωπος).
Delle usanze, alcune rivelano un evidente fondo romano, come, per es., quella secondo cui la donna che sta filando non deve andar incontro agli uomini con la conocchia, dato che ciò reca danno al seminato: credenza notata già da Plinio (Nat. Hist., XXVIII, 5) e segnalata anche negli Abruzzi.
Dal paganesimo romano hanno sopravissuto, assumendo forme cristiane, certe feste e usi speciali: così, p. es., le colinde (v. appresso), l'elemosina consistente in offerte di cibo per i defunti, il Sabato Santo; e anche nelle feste di San Trifone il Pazzo, protettore dei lupi e degl'insetti (2 febbraio), di S. Giovanni Battista (Sânziene) e di San Giorgio sussistono molti usi pagani. Alcune altre feste romene furono contaminate dalla mitologia slava, come per es. Rusaliile (Rosalia). Altra festa, come, per es., la Pasqua dei bonarî (Paştele Blajinilor), va messa in rapporto con un episodio del romanzo di Alessandro il Grande: il suo viaggio presso i gimnosofisti indiani.
Dal paganesimo deriva l'apporre rami verdi di abete alla casa dove c'è un morto, di lasciare qualche moneta nella cassa mortuaria, anzi nella mano stessa del defunto. Esiste pure l'uso di regalare qualche cosa alle vecchie prefiche, le quali cantano le loro tristi lamentele.
Le nozze vengono solitamente celebrate con grande fasto.
Lo sposo manda i suoi amici, a cavallo, alla casa del suocero, ove questi dicono la loro oraţa piena di umorismo (pretendendo di essere stati mandati dal loro generale per portarsi via dalla casa del suocero il bel fiore, che vogliono trapiantare in quella dello sposo). Al grande banchetto che segue ciascun invitato fa il suo regalo ai giovani sposi, mentre in ultimo viene detta un'altra oraţie di ertăciune, (di scusa).
Presso i Mozi di Transilvania, che campano la vita stentatamente facendo i legnaioli o i minatori, avviene ancora nella Găina il mercato delle fanciulle, che si ripete ogni anno nel giorno dei Ss. Pietro e Paolo; e in quel giorno la gioventù da sposare si raduna in vesti festive e riccamente adorne dalla valle dell'Arieş dal comitato di Bihor e dalla valle del Mureş. Le fanciulle portano con sé nelle costumanze nuziali si trovano anche tracce della compera e del rapimento della sposa.
Sono mantenute vive anche altre consuetudini, come, ad es., parecchi riti agrarî: nell'inverno si hanno feste mascherate (un ballerino travestito si pone in capo una testa di cervo intagliata e balla così davanti alle case dei contadini, che lo ricompensano), o si fanno scongiuri magici per invocare la pioggia o la fertilità del suolo (quando la siccità perdura, una fanciulla ricoperta di foglie e spruzzata d'acqua), e così via.
Letteratura popolare. In rapporto alle feste stanno le colinde, assai diffuse, soprattutto in campagna, dalla vigilia di Natale fino al capodanno. Gruppi di ragazzi e di giovanotti vanno di casa in casa, per cantare la colinda, la quale, oltre ai soliti augurî, comprende parti epiche, prese a volte in prestito dalla letteratura popolare apocrifa. Le colinde sono accompagnate anche da modesti elementi drammatici: una grande stella luminosa di carta, simbolo della stella dei Re Magi; un piccolo aratro (pluguşor), ornato e portato dai buoi guidati dai giovani. La vigilia del capodanno questi recitano ai padroni di casa, agricoltori, la storia dell'annata ricca del leggendario "bădica Troian". La letteratura drammatica è rappresentata dal Vicleim, specie di mistero della Natività contaminato con la farsa popolare turca di Qaragöz (v.).
Nell'epica popolare le favole (basme) si distinguono per la ricchezza e l'umorismo delle forme iniziali e finali, come anche per il loro stile pieno d'immagini suggestive. Le ballate, che sono da mettere in speciale rapporto con la regione del Danubio meridionale, si trovano in decadenza. In cambio, la lirica vi è molto ricca, piena di grazia e assume una forma specifica, la doina.
Da segnalare anche le strigături o chiuituri, piccoli brani poetici, pieni di umorismo o di allusioni mordaci, epigrammatiche, che si scambiano a vicenda, i giovani e le giovani, per rendere più vivace la danza nella hora (ballo in tondo). Il blasone popolare (v. blasone: Blasone popolare) - rivolto soprattutto contro zingari ed ebrei - è assai ricco. I proverbî, gl'indovinelli, sono pure bene rappresentati.
Nella letteratura popolare scritta gode ancora di notevole prestigio presso la massa del popolo una quantità di testi apocrifi: Il viaggio della Madonna all'inferno, Il sogno della Madonna, L'Epistola di Gesù Cristo Le 24 frontiere dei cieli, come pure certi romanzi del Medioevo, come, Alessandria, Genoveffa di Brabante, Esopo, persino un romanzo di origine orientale: Archirie e Anadam (Aḥīqār; v.).
Arte popolare. - Benché il materiale di cui disponiamo oggi non sia troppo antico, dagli esemplari raccolti si riconosce un'antica arte popolare sviluppata armonicamente in tutti i sensi, ciò che fa supporre un lungo periodo di preparazione e di sviluppo. La tendenza ad abbellire gli oggetti utili si nota già nei vestiti: camicie, camicette rustiche ricamate, gonnelle, veli ricamati con lana e filo nei più vivi colori (rosso, giallo, arancione, verde, nero, azzurro), armonicamente combinati, secondo modelli antichissimi, con motivi geometrici e floreali. Di rado si presenta in essa la figura umana, e anche le bestie si presentano solo in casi singoli, quasi sempre sono raffigurate piante, ma non come rappresentazione concreta della natura, bensì in una progressiva stilizzazione geometrica. Nell'arredamento della casa un posto speciale è occupato dai tappeti, non annodati ma piuttosto intrecciati o tessuti secondo la tecnica orientale, giunta in Romania attraverso il Danubio meridionale e in cui si possono sorprendere qualche volta motivi simili a quelli copti, o a quelli della Russia, della Svezia e della Norvegia, ma che tuttavia si distinguono per la loro specifica natura; sono di una rara ricchezza di colori (predomina il rosso) e di un'infinita varietà di ornamenti (foglie, fiori, uccelli, figure geometriche, comunemente rombi, ecc.). I tappeti della Bessarabia a tinte più scure sono ricchi e variati nella rappresentazione di uccelli e di fiori stilizzati. Nei tappeti dell'Oltenia non predominano i motivi decorativi, ma invece è presa a modello la natura (piante e fiori) che spesso conserva i colori più delicati. In epoche più recenti furono fatti dei tappeti anche nelle località lontane della Transilvania.
La ceramica ha avuto anch'essa uno sviluppo assai rilevante. Nell'antico regno di Romania essa ha rapporti immemorabili con la tradizione mediterranea, come si può vedere dagli enormi vasi del tipo dell'anfora, usati per conservare l'aceto e legumi sott'aceto. I motivi ornamentali ritorio romeno.
Nella Transilvania settentrionale e occidentale, come pure nelle regioni circondanti i centri sassoni, si osserva l'influsso della ceramica tedesca: i maestri stranieri davano anche agli oggetti di terracotta fatti per i Romeni l'impronta del proprio gusto.
Una parte cospicua nell'arte popolare romena spetta agl'intagli in legno, spesso a colori, fatti sulle troiţe (croci-tabernacoli), lungo le strade e che rievocano i "calvarî" della Bretagna; su piccole croci, su troni e cassapanche; su conocchie, persino su cucchiai, saliere, zufoli, bastoni, porte, ecc. M. Haberlandt (Österreichische Volkskunst, Vienna 1911) ha constatato che l'arte della scultura in legno della Bucovina romena supera, per età e per varietà ornamentale, quella rutena, e riconosce che: "in ogni modo, abbiamo qui da fare con creazioni che vanno messe fra le più interessanti e più antiche manifestazioni dell'arte popolare europea".
Danze. - Fra le danze popolari tiene il primo posto la Hora, una danza a giro tondo, che viene anche accompagnata dal canto, e poi vi sono la Sârba, la Bătuta e il Brâulet, mentre le vecchie danze rituali come il Cǎluşeri e la Turca stanno gradatamente cadendo nell'oblio. Nelle montagne i pastori suonano volentieri il flauto, ma in alcuni paesi sono ancora in uso la cornamusa e la zampogna.
Ungheresi. - Degli Ungheresi viventi in Romania la maggioranza sono Siculi (Székler), ed il resto si suddivide fra i due paesi di Kalotaszeg nella Transilvania occidentale e Torockó, a sud-est di quello, oltre a circa 40.000 Csángó nella Moldavia e ad elementi sparsi variamente nelle singole città. Fra tutti questi gruppi i Siculi hanno una posizione speciale, e alquanto diversa da quella degli altri Ungheresi. Essi abitano in una massa compatta i paesi di Czik, Haromszek e György sulle pendici occidentali dei Carpazî orientali. La loro provenienza è discussa. Essi vogliono derivare dagli Unni, che si sarebbero stabiliti in questa località dopo il saccheggio del paese: ma è presumibile che essi, quale armata di confine, si siano trapiantati nel sec. XI dall'Ungheria occidentale (il territorio intorno al Balaton) nella Transilvania orientale e qui si siano fissati con determinati privilegi. Loro caratteristica sono la statura alta o media, i capelli biondi, la testa rotonda, contrassegni della razza baltica orientale. Parlano un vecchio dialetto ungherese, e sono per lo più agricoltori: l'allevamento delle pecore è stato appreso dai Romeni. Nelle regioni boscose predomina la lavorazione del legno; molti di essi si guadagnano il pane facendo anche i carrettieri, i pentolai girovaghi e i servi.
Le ragazze vanno come domestiche in città, ma poi ritornano sempre al loro paese. L'aspetto delle agglomerazioni poco concentrate e piuttosto sparse ci mostra le case rettangolari, di legno, col tetto a padiglione, e più raramente di pietra, coperte di paglia o di assicelle, e provviste di un portico di legno dal lato della strada e da quello della corte. La parte più stretta della casa di solito è rivolta verso la strada. Sono rinomate le porte dei Siculi: bene intagliate, dipinte sì da ricordare i modelli della Germania occidentale, munite di una colombaia, esse chiudono l'accesso al cortile. Separati dalla casa d'abitazione vi sono il granaio con annesse le stalle, un piccolo forno di legno (la cucina estiva), stalle per i maiali e per i cavalli e la rimessa.
La casa d'abitazione è divisa in tre parti. Nel mezzo il pianerottolo, a destra verso la strada la "casa grande" (la camera di soggiorno o di festa), a sinistra la "piccola casa". La mobilia di casa usuale è composta da una tavola allungabile, da panconi lunghi, stretti e dipinti in uno stile barocco o rinascimento trasformato dal gusto popolare, poltrone dipinte, scaffali d'angolo per vasi dipinti, scodelle, ecc. Gli uomini portano lunghi calzoni che scendono stretti, "calze" fatte di una specie di rozzo feltro con lacci neri e rossi, e inoltre panciotto e giacchetta, nell'inverno una corta camiciola di pelle di pecora o una pelliccia di pecora, rozze scarpe o stivaletti di capretto. Le donne amano vesti larghe, rosse e variopinte, camicette bianche, inoltre un giubbetto nero o rosso coperto di galloni neri o rossi, e un grembiule bianco. Le ragazze nubili portano i capelli in lunghe trecce adorne di nastri rossi. Il senso artistico e la ricchezza inveritiva dei Siculi sono grandi. Il ricamo fatto in punto a catenella preferisce i due colori azzurro e rosso, la decorazione è in parte geometrica, in parte ripete motivi di piante assai stilizzati. Essi sanno anche tessere bei tappeti, e la loro ceramica trova grande smercio in lontani paesi, soprattutto nei mercati annuali della Transilvania, a cui i Siculi partecipano sempre come calderai. Le danze, i giuochi e i costumi testimoniano di un'impronta ungherese indubbiamente assai antica, che si è conservata facilmente, data la loro posizione geograficamente chiusa. La vita familiare è regolata in modo strettamente patriarcale. Da quei cattolici ferventi che sono, essi tributano una speciale riverenza, all'ordine dei francescani, che con le sue missioni in questa regione, si è acquistato grandi meriti.
Tedeschi. - L'elemento tedesco in Romania si raccoglie in un'isola linguistica compatta, che comprende villaggi e città. Numericamente il gruppo più forte è formato dai Sassoni del Banato, ivi stabiliti nel sec. XVIII, provenienti dal Reno superiore e medio, dalla Saar, dall'Alsazia, dal Württemberg e dal Baden. Subito dopo bisognerebbe porre i Sassoni della Transilvania, che diventarono Transilvani nei secoli XII e XIII. Il flusso d'immigrazione si riversò da tutte le parti della Germania, ma soprattutto dalle Fiandre e dai territorî del Reno e della Mosella. Poi verrebbero i Sassoni Satmari (sec. XVIII), i Tedeschi della Bucovina (secoli XVIII e XIX) e i Tedeschi della Bessarabia (sec. XIX), della Dobrugia (sec. XIX) e quelli venuti dall'Austria nella Transilvania (sec. XVIII). I Sassoni della Transilvania sono, fra tutti i Tedeschi romeni, quelli che hanno raggiunto la più grande importanza culturale.
I Sassoni della Transilvania si suddividono in tre territorî distinti: il paese dei Nosni a nord, il distretto principale (Paese vecchio) a sud-ovest e il Burzenland a sud-est. Il loro dialetto è affine a quello della Mosella e della Franconia. Sono caratteristici i villaggi raccolti intorno alle strade e i cortili tenuti a giardino, come in Franconia, con gli edifici d'abitazione e la fattoria separati. La casa d'abitazione è quasi sempre stretta e con la fronte volta verso la strada. Attraverso un atrio tenuto a pergolato si perviene nella "casa", il vano di mezzo, dove sta il focolare. Di qui si aprono due stanze, una a destra e una a sinistra. I sistemi di agglomeramento e di costruzione dei Sassoni transilvani hanno avuto un durevole influsso sui popoli vicini di lingua diversa (Romeni e Ungheresi). Sono degne di nota anche le chiese parrocchiali medievali, che dànno al paesaggio un aspetto caratteristico, poiché appaiono come vere fortezze dei contadini dell'epoca degli assalti turchi e mongoli. Le città tedesche transilvane mostrano anche un'impronta medievale, in cui si palesa la stretta unione culturale tra questi Sassoni e la madrepatria. Lo stesso fenomeno si ripete per i costumi, che in molti casi mostrano forme tedesche del sec. XIII e XIV accanto a elementi ungheresi, per es., il mantello tedesco delle donne, il concetto del capo velato nella donna sposata, i galloni come contrassegno delle vergini, le cinte con fermagli di metallo e le grandi fibbie fatte di piastre rotonde con incastrate pietre preziose e portate sul petto. I contadini sassoni di Transilvania appaiono attivi e socievoli e hanno un'organizzazione familiare con strette regole, che si fonda non solo sulle organizzazioni maschili e femminili, ma anche sui legami di vicinato.
Nelle confraternite si raccolgono tutti i giovani scapoli, che sono tutti insieme chiamati "servi" del villaggio. Hanno le loro leggi, che senza dubbio hanno risentito assai l'influsso delle corporazioni. Le confraternite rivolgono una grande sorveglianza al contegno dei loro membri nelle solite festività, ed esigono molta disciplina. Le associazioni degli ammogliati hanno lo scopo di aiutarsi reciprocamente nel bisogno e nel pericolo e sono pure regolate da norme ben definite. Usi e costumi spesso palesano antichi elementi etnici tedeschi, e nell'arte popolare sono soprattutto notevoli i bei ricami delle donne sassoni e le ceramiche di tipo rustico; e in queste ultime la rassomiglianza con quelle ungheresi, e anche con quelle romene, è molto grande. I Sassoni di Transilvania appartengono quasi tutti al protestantesimo, che ha fatto molto per la conservazione della nazione sassone.
Altre nazionalità. - Di tutti coloro che appartengono ad altre nazionalità, se si vuol fare astrazione dai Turchi, gli zingari sono i più notevoli per il numero maggiore e per la loro distribuzione in colonie e villaggi. Si tratta degli Zingari domiciliati nei quartieri loro proprî costruiti nei villaggi sassoni o romeni; essi trovano occupazione come fornaciai, o nei mestieri manuali o come musicanti. La loro nazionalità è gradatamente assimilata dai Romeni. Assai più tenacemente attaccati alle vecchie istituziom e ai vecchi costumi si mostrano gli Zingari nomadi, che vivono sotto le tende e s'incontrano ancora in Romania in numero relativamente grande. Vi è un certo contrasto tra essi e gli Zingari sedentarî, che non vogliono essere considerati simili a loro. Greci ed Armeni sono padroni soprattutto del commercio e, al pari degli Ebrei, formano la maggior parte delle popolazioni cittadine.
I Bulgari si sono racchiusi in un'unica isola linguistica nel Banato, ma sono pervenuti anche ad una certa importanza in altre parti della Romania come orticoltori. Sono caratteristiche le loro ruote idrauliche, con l'aiuto delle quali essi irrigano d'estate i campi di ortaggi. I Turchi sono in maggior numero nella Dobrugia, e ad Ada Kaleh (Isola dei Turchi sul Danubio, presso la Porta di Ferro). È interessante anche la razza russa dei Lipovani, una setta mistica russa, che si è fissata nella Bucovina e sul delta del Danubio tra popoli stranieri. Sul Danubio ci sono attivi ed intrepidi pescatori: il costume degli uomini forti e barbuti ricorda nella camicia, nei calzoni e negli stivali il costume popolare russo, e così pure la cuffietta delle donne. Il loro nutrimento principale è composto di pesci e pane di granoturco. Vanno ricordati i Serbi, gli Ucraini e i Polacchi tra gli elementi minori delle popolazioni della Romania.
Bibl.: Gli usi, le leggende e le superstizioni della Bucovina sono state raccoltate da S. Fl. Marian e pubblicate dall'Accademia romena.
L'Accademia romena ha stampato anche una grande collezione di testi e di studî: Din viaţa poporului român. Culegeri şi studii, Bucarest 1908-1929, voll. 39: tra queste pubblicazioni meritano un cenno speciale le collezioni di testi e gli studî di Tudor Pamfile e di Artur Gorovei. La collezione dell'Accademia è continuata oggi coll'Anuarul Archivei de folclor diretto da I. Muşlea (1932-1935); I. A. Candrea, Jarba fiarelor, Bucarest 1928; O. Dähnhardt, Natursagen, Lipsia e Berlino 1907. Collezione di poesie popolari: G. Dem Teodorescu, Poesii populare române, Bucarest 1885; Gr. G. Tocilescu, Materialuri folkloristice, ivi 1900, voll. 2; I. Urban Jarnik e A. Bârseanu, Doine şi strigături din Ardeal, Braşov 1895; P. Ispirescu, Legendele sau basmele Românilor, Bucarest 1883; L. Şaineanu, Basmele române, ivi 1895; I. Slavici, Die Rumänen in Ungarn, Siebenbürgen und der Bukowina,Vienna e Teschen 1881; E. Fischer, Die Herkunft der Rumänen, 1904; H. v. Wlislocki, Aus dem Leben der Siebenbürger Rumänen, Amburgo 1889. - Letteratura popolare scritta: Dr. M. Gaster, Literatura populară română, Bucarest 1883; N. Cartojan, Cărtile populare în literatura românească, I, ivi 1929 (il II in preparazione). - Arte popolare: E. Cornescu, Cusături românesti, ivi 1906; D. Comşa, Album de crestături in lemn, Sibiu 1909; G. Oprescu, Arta tărăneasca la Români, Bucarest 1922; N. Iorga, Portul popular românesc, Vălenii de Munte 1912; L'arte popolare in Romania (trad. di A. Silvestri-Giorgi), Roma 1930; Tzigara-Samurcaş, Arta in România, Bucarest 1909; Izvoare si crestături ale tăranului român, 1928.
Siculi e Ungheresi: B. v. Jancsö, Die Székler, Budapest 1922; K. Viski, Székely himzések, I, Budapest 1924; H. v. Wlislocki, Die Szekler und Ungarn in SIebenbürgen, Amburgo 1891.
Sassoni di Transilvania: Fr. Gentsch, BIlder aus der Kulturgeschichte der Siebenbürger Sachsen, Sibiu 1928; A. Schullerus, Siebenbürgisch-sächsische Volkskunde, 1926.
Letteratura.
Una letteratura popolare sostanzialmente analoga all'attuale dovette esistere in Romania assai prima del sec. XV, quando incominciano ad apparire i primi documenti di letteratura colta. Lo stesso nome di Cântece bătrânesti (Canti dei vecchi) mostra come il popolo romeno sia cosciente dell'antichità della sua poesia popolare narrativa. Si tratta di canti che ci raccontano in una forma melodica particolare antiche leggende intorno ai voivoda romeni (storici e leggendarî), lotte contro i Tartari o i Turchi, tra pastori di diverse provincie, e soprattutto le gesta di quei popolari briganti vendicatori dei soprusi, che sono gli haiduci. Capolavori di questa specie di ballate epico-liriche sono la delicatissima Mioriţa (Agnellina), in cui la più affezionata delle pecore rivela al pastore, che l'accetta con serenità commovente, la sua prossima morte per mano di tre pastori rivali, e la drammatica Legenda Mânăstirei Argeşului (Leggenda del Monastero di Argeş), in cui un leggendario architetto, Mastro Manole, s'induce a murar viva nella nuova fabbrica la donna amata per rompere il maleficio che pesava sul suo lavoro. Un'altra forma dell'epica popolare romena è il Plugusor (Aratrino), che si canta dai contadini la vigilia o la mattina dell'anno nuovo quando vengono in città con i buoi e l'aratro. Una terza forma dell'epica popolare romena è rappresentata dalle basme (leggende) o poveşti (racconti), che corrispondono in certo modo alle nostre novelline popolari e i cui protagonisti obbligati sono lo Smuel (specie di drago), Făt-Frumos (il reuccio) e Ileana Cozinzeană (la reginotta).
La poesia lirica popolare prende le forme della doina (poesie d'amore e di lontananza); delle hore (canzoni a ballo), cântece de lume (canti mondani), bocete (nenie funebri), colinde (canti di Natale), cântece de stea (canti della stella), che si cantano anch' essi in occasione del Natale, e delle snoave (satire popolari).
La p0esia drammatica popolare romena (Vicleimul), molto simile a quella dei misteri francesi e delle sacre rappresentazioni italiane, è rappresentata dagli Irozi, i cui personaggi principali sono Erode e i Re Magi e trattano della strage degl'innocenti e della natività del Signore. Un'altra forma ci è offerta dalle oraţii de nuntă (orazioni nuziali), che si cantano, spesso in forma dialogata, dai giovani che vanno a chieder la mano di una ragazza da parte del futuro sposo. Esiste anche una specie di letteratura popolare didattica, rappresentata dai proverbe (proverbî), dalle ghicitori o cimilituri (indovinelli) e dalle descântece (scongiuri).
La letteratura colta, si svolge dapprincipio quasi esclusivamente all'ombra dei monasteri, che, anche in Romania, furono i più antichi focolari di cultura e i primi a possedere scuole e stamperie. I più antichi documenti che si possiedono di essa sono traduzioni dal paleoslavo di libri ecclesiastici, determinate dal movimento eretico degli ussiti, che, per meglio diffondere le loro dottrine, furono i primi a scrivere nella lingua parlata dal popolo. Abbiamo così la Psaltirea Scheianţ, la Psaltirea Voroneţeană e il Codicele Voroneţean contenenti traduzioni dal paleoslavo del Salterio e degli Atti degli Apostoli eseguite nel sec. XV nei monasteri transilvani di Scheia e di Voronei, ma che possediamo solo in copie posteriori della seconda metà del sec. XVI. Queste traduzioni furono stampate alquanto più tardi, quando, verso la fine del sec. XVI, giunse a Braşov (Transilvania) il diacono Coresi che portava con sé dei caratteri tipografici cirillici e che sostituì nei testi da lui pubblicati le forme dialettali di Transilvania con quelle del dialetto valacco, che doveva poi divenire la lingua nazionale. Le guerre però che desolarono i principati romeni durante i primi decennî del secolo seguente interruppero codesta attività letteraria e solo all'epoca di Matei Basarab (1633-1654) in Moldavia e di Vasile Lupu (1634-1653) in Valacchia si possono registrare i nomi dei metropoliti Varlaam (1590-1657) e Simion Ştefan (morto nel 1651), che tradussero rispettivamente il Nuovo Testamento (Noul Testament dela Bălgrad) e una Cazanie (Raccolta di prediche) da testi ecclesiastici greci, paleoslavi e latini. La prima opera veramente letteraria è rappresentata dalla Psaltirea în versuri (Salterio versificato) del metropolita Dosoftei (1624-1696). Nello stile romeno del Dosoftei riscontriamo un influsso assai visibile della poesia popolare e forse per questa ragione molti versi del suo salterio son passati a far parte delle colinde e dei cântece de stea. Del 1688 è la prima traduzione integrale della Bibbia, che, dal nome del principe Şerban Basarab, sotto i cui auspici fu condotta a termine, prende il nome di Biblia lui Şerban. Codesta traduzione rappresenta uno dei più importanti documenti letterarî dell'antica letterarura romena e ha spesso il sapore delle migliori scritture toscane del Trecento.
Durante il periodo di massimo splendore della civiltà romena, che corrisponde al regno di Constantin Brâncoveanu (1688-1714), avviene, per opera soprattutto del metropolita Antim Ivireanu (morto nel 1716), che fu uno dei prelati più colti che abbia avuto la Romania, la completa sostituzione della lingua nazionale a quella paleoslava ormai divenuta inintelligibile al clero. Di lui abbiamo una serie di Didahii (Prediche), scritte con molto senso artistico, e innumerevoli traduzioni di libri liturgici. Verso quest'epoca si tradussero, sempre da testi slavi o bizantini, parecchie opere profane, quali, p. es., l'Alexandria (Romanzo d'Alessandro), Războiul Troadei (Romanzo di Troia), il Varlaam şi Iosafat, il Sindipa (Romanzo dei Sette Savî), le favole d'Esopo e una quantità di leggende apocrife sulla discesa della Madre di Dio all'inferno, il combattimento di San Sisinnio col diavolo, l'Apocalisse di San Paolo, un ciclo di leggende su Adamo ed Eva, sull'Anticristo, sul Giudizio Universale, la leggenda dell'albero della Croce, oltre a moltissime descrizioni del viaggio delle anime attraverso le ventiquattro dogane dell'oltretomba o Vămile vazduhului. Ma il rifiorimento letterario nell'epoca antica della letteratura romena è legato soprattutto all'opera dei cronicari (cronisti). Anche questo genere di letteratura prende le mosse dai monasteri (soprattutto di Bistriţa e di Putna), dove, per gratitudine verso i principi che li avevan fondati (editori), ben presto gli obituarî si trasformarono in necrologie (pomelnice) e quindi in annali. Continuati dai monaci del monastero di Neamţu con le biografie dei principi contemporanei, codesti annali si trasformarono ben presto in vere e proprie cronache. Tutta questa letteratura d'argomento encomiastico, biografico e annalistico era però scritta in paleoslavo. Le prime cronache scritte in romeno (Letopiseţi) le dobbiamo al Rinascimento italiano, che ebbe una grande diffusione in Polonia, donde influì moltissimo sui più antichi cronisti moldavi Grigore Ureche (1590-1647) e Miron Costin (1633-1691), che furono i primi a trarre dalla cultura classica ricevuta i primi barlumi di coscienza nazionale e ad affermare l'origine latina del loro popolo. "Da Roma discendiamo e di parole romane è misto il nostro linguaggio" scrive l'Ureche nella sua opera principale, intitolata Domnii Tărü Moldovii şi viaţa lor (I principi della Moldavia e la loro vita), e la sua idea verrà sviluppata da Miron Costin nel suo Letopisetul Tării Moldovii dela Aron Vodă, che continua l'opera dell'Ureche dal 1594 al 1661. Il Costin scrisse anche una Cartea pentru descalecatul dintâiu a Ţării Moldovii şi a neamului moldovenesc (Libro della prima discesa in Moldavia del popolo moldavo) e altre opere d'indole storica in polacco. Ampliato (per ciò che riguarda soprattutto le origini del popolo romeno) da suo figlio Niculae Costin (morto nel 1712), il Letopiseţul Ţării Moldovii fu poi continuato fino al 1743 da Ioan Neculcea (1672-1745?) nel suo Letopiseţul Tării Moldovii dela Dabija-Voevod până la domnia lui Ion Mavrocordat (Cronaca della Moldavia dal regno del voivoda Dabija a quello di Ion Maurocordato). Ma il punto culminante nell'evoluzione della storiografia moldava è rappresentato da Dimitrie Cantemir (1674-1723) che, nobile di nascita, dottissimo non solo nelle lingue classiche ma anche in quelle slave e orientali, scrisse in latino una Historia incrementorum atque decrementorum aulae othomanicae (1715-1716), che fu tradotta in francese (1743), in tedesco (1745) e in inglese (1756). Per incarico poi dell'accademia di Berlino, di cui era socio, scrisse quella Descriptio Moldaviae (1716), che, pubblicata dapprincipio in tedesco, poi in romeno, sotto il titolo di Scrisoarea Moldovei (Lettera sulla Moldavia), rappresenta anche oggi una delle più preziose fonti per la storia del costume moldavo. Il suo Hronicul Româno-Moldo-Vlahilor (Cronaca dei Romeno-Moldo-Valacchi), pubblicato nel 1718, rappresenta una delle più importanti opere storiche che possegga la Romania e la sua Historia Hieroglifică (1704-1705), imitazione della Storia di Etiopia di Eliodoro, è una gustosa satira storico-sociale sotto forma di lotte fra animali, che ricorda in certo modo gli Animali parlanti del Casti.
In Valacchia la storiografia ebbe probabilmente un'origine non diversa da quella moldava, ma di codesta fase non ci resta alcun documento. Ci son pervenute soltanto vaste compilazioni in sostegno delle rivendicazioni delle diverse famiglie di boieri in lottȧ fra di loro. Se, per questa ragione, le croniche di Mihail Moxa (1620), Stoica Ludescu (1688) e di Costantin Capitanul Filipescu (1696) sono poco attendibili, ben diversa appare quella di Constantin Stolnicul Cantacuzino (1650-1716), che fece a Padova i suoi studî di diritto e di filosofia, fu consigliere dell'infelice e magnanimo principe Constantin Brâncoveanu, che si valse di lui per introdurre alla sua corte le eleganze della vita e dell'arte italiana; e la cui Istoria Ţării Româneşti è un'opera di grandissimo valore sia per la perfetta informazione sia per l'acume critico con cui gli avvenimenti vengono giudicati. Con la seconda metà del sec. XVIII, incomincia un periodo nuovo nella storia della letteratura romena: i contatti con l'occidente (Roma e Parigi) si moltiplicano, e ciò serve a ridestare nelle masse, illuminate dagli scritti degli storici e dei filologi, la coscienza nazionale. L'unione avvenuta (1700) col nome di Biserica unită di parte degli ortodossi di Transilvania con la Chiesa cattolica permise ad alcuni giovani ecclesiastici romeni di fare i loro studî nelle università cattoliche di Vienna e di Roma, dove ascoltarono la voce dell'antica madre di tutti i popoli neolatini. Quel senso di romanità che non s'era mai spento attraverso i secoli più oscuri del Medioevo, e di cui fanno fede le parole rivolte da Innocenzo III in una sua lettera a Kalojan (Ioanniţu) zar dei Bulgari e dei Valacchi (Populus terrae tuae, qui de Romanorum sanguine se asserit descendisse), rinforzato dalle opere storiche dei cronisti moldavi, divenne allora coscienza nazionale, idea direttiva della cultura romena. Samuil Micu, detto anche tedescamente Klein (1774-1806), Gheorghe Şincai (1753-1816), Petru Maior (1755-1821), tornati in patria, riprendono la tesi dell'origine romana del popolo romeno e combattono le teorie degli storici tedeschi e ungheresi che negavano la continuità e la persistenza dell'elemento romano sulla riva sinistra del Danubio. Con gli Elementa linguae daco-romanicae sive valachicae (Buda 1780) di Samuil Micu e Gheorghe Şincai, la Orthographia romana sive latino-valachica (Buda 1819), la Istoria pentru începutul Românilor în Dachia (Buda 1812) e il Lexicon românesc, latinesc şi unguresc (Buda 1785) di Petru Maior, incomincia l'attività di quella scuola latinista di Transilvania, che, con numerosi opuscoli pubblicati a Blaj, cittadella del cattolicismo romeno, si proponeva l'abolizione dell'alfabeto cirillico e la sostituzione delle parole d'origine slava con altrettante di origine latina. Affermatasi sempre più in Transilvania per mezzo degli scritti di Simion Bărnu ţiu (1808-1874), Gheorghe Bariţ (1812-1893), Andrei Mureşanu (1816-1863) e Timotei Cipariu (1805-1887) e in Bucovina con Aron Pumnul (1818-1866), la scuola latinista passa nella Romania propriamente detta con Gheorghe Lazăr (1779-1823) e August Treboniu Laurian (1810-1881), che, in collaborazione con Ioan Maxim, pubblicò per incarico dell'Accademia romena il primo Dicţionarul Limbii Române (1871 e 1876) in voll. 2, in cui, conseguentemente con le teorie filologiche da lui seguite, tutte le parole slave sono sostituite con altrettante d'origine latina spesso grottescamente inventate. Alla scuola latinista tenne dietro quella italianista di Ion Heliade-Rădulescu (1802-1872) e di Gheorghe Asachi (1788-1869), che, rispettivamente in Valacchia e in Moldavia, introdussero l'influsso della lingua e della letteratura italiana. Mentre però l'Asachi si tenne stretto al campo più propriamente letterario, I. Heliade-Rădulescu, accanto a una intensa attività di critico e di traduttore, ne esplicò anche una filologica, ricollegandosi alla scuola latinista di Transilvania nella sua pretesa di sostituire le parole d'origine slava con altrettante derivate dall'italiano e trasformando, soprattutto nel secondo periodo della sua attività di filologo, la lingua romena in un comico gergo romeno-italiano, al punto da provocare una violenta reazione, mediante la quale quasi tutte le parole slave proscritte ripresero il loro posto nella lingua. Il più importante dei suoi scritti filologici è il Parallelism între dialectul italian şi român (1841), in cui si considera il romeno come un dialetto dell'italiano; ma la sua opera letteraria è molto varia: egli fondò (1829) il primo giornale politico valacco: Curierul Românesc e, nel 1836, la prima rivista letteraria: Curierul de Ambe Sexe (Corriere d'ambo i sessi); pose le basi di una Societate Filarmonică, che costituì il primo germe dell'attuale Teatrul Naţional. Organo di questa società fu la Gazeta Teatrului, che fu il primo giornale romeno di critica teatrale, fondato anch'esso dal Heliade. Oltre a un poema epico sulle gesta di Michele il Bravo intitolato Mihaida, in cui si sente spesso l'influsso della Gerusalemme Liberata, e a parecchie poesie liriche originali, tra cui quella intitolata Sburătorul (Il Vampiro) merita d'esser ricordata per la facilità e scorrevolezza del verso e per la delicatezza di alcune descrizioni naturali, egli tradusse dall'italiano i primi cinque canti della Divina Commedia, parecchi canti della Gerusalemme Liberata, qualche ottava dell'Orlando Furioso, poesie del Rolli, del Vittorelli, del Pindemonte.
Gheorghe Asachi fu per la Moldavia ciò che Heliade-Rădulescu fu per la Valacchia. L'episodio più saliente della sua vita fu l'amore per Bianca Milesi, la ben nota ammiratrice dell'Alfieri e una delle "giardiniere" più attive del nostro Risorgimento. La conobbe a Roma nello studio del Canova che ambedue frequentavano e scrisse per lei di una "società letteraria romana", di cui non sappiamo più nulla, e pubblicò dapprima nelle colonne di un giornaletto letterario intitolato Il Campidoglio, che pare fosse l'organo di detta società, poi in un volume di Poezii, accompagnandole con una traduzione in versi romeni. Tornato in patria, fondò l'Albina Românească (L'Ape Romena), il cui motto ricorda i noti versi del Meli e che, come il Curierul de Ambe Sexe di Heliade-Rădulescu, abbonda di articoli riferentisi all'Italia. Piena di sentita ammirazione è la sua Oda la Italia, benché l'Italia dell'Asachi non fosse che la solita "terra dei suoni, dei canti, dei carmi" cara ai romantici, non quella che all'epoca in cui egli visse a Roma, affilava già nell'ombra le spade che presto sarebbero brillate al sole delle battaglie del Risorgimento.
Alla corrente latinista e italianista possiamo riconnettere l'attività letteraria del transilvano Ioan Budai-Deleanu (1764-1820) che, oltre a una grammatica romena in lingua latina e altri scritti d'indole filologica ancora inediti alla Biblioteca dell'Accademia romena, scrisse un interessante poema eroicomico a imitazione della Secchia rapita del Tassoni intitolato Ţiganitada, e, nella Romania propriamente detta, quella di Ienăchiţă Văcărescu (1740-1798), autore di brevi poesiole, in cui, come in quelle di Costache Conachi (1777-1849) e Costache Stamati (1777-1868), si sente l'influsso anche della poesia anacreontica del poeta neo-ellenico A. Christópoulos. I suoi figli Alecu e Niculae e il nipote Iancu, traduttore dell'Attilio Regolo del Metastasio, ma anche di tragedie classiche francesi, insieme con Alecu Beldiman (1760-1826), subirono un po' tutti gl'influssi (latinista, italianista, neo-ellenico e francese) del loro tempo, e non possono perciò essere collocate che in un gruppo a parte, che potrebbe definirsi "di transizione".
Converrà ora tornare un poco indietro per cogliere alle origini i primi segni di quell'influsso francese che doveva assumere col tempo tali proporzioni da provocar le proteste dello Iorga nei primi anni della sua attività politica e anche recentemente vivaci reazioni, specialmente nelle colonne della rivista Vremea. I primi germi di questa cultura furon portati in Moldavia e in Valacchia dai principi Fanarioti (v.), che chiamarono alla loro corte segretarî e precettori francesi, che contribuirono molto alla diffusione della lingua, e, con la lingua, della cultura francese. Ma ci furono anche altre cause concomitanti, quali, p. es., l'occupazione russa della Moldavia, che mise il mondo elegante a contatto degli ufficiali russi (quasi tutti di cultura francese) e determinò, con l'abbandono dei caftani e degli enormi cappelli (islic) di tipo orientale, la moda dei viaggi a Parigi e della lingua francese come lingua di salotto e dei ritrovi eleganti. Ci fu poi la rivoluzione francese che costrinse molti intellettuali a emigrare e a guadagnarsi il pane insegnando la loro lingua. Gli allievi di tali precettori, spesso coltissimi, preferirono naturalmente l'università di Parigi a quelle italiane, tedesche e polacche frequentate fino ad allora e la cultura francese si venne sempre più che ragioni storiche imprescindibili avevano eliminato, essa rappresentò per la Romania la cultura latina viva nella sua forma moderna più assimilabile e fu feconda di risultati artistici e letterarî.
Codesto influsso francese, il cui vero rappresentante è l'Alexandrescu, fu, negli altri, temperato da una nuova tendenza di carattere eminentemente nazionale, che comincia ad apparire dopo il 1840 e si propone di reagire contro le esagerazioni della scuola latinista e di quella italianista. Attingendo la sua ispirazione alle tradizioni popolari e nazionali, essa riuscì a fondere il movimento letterario valacco con quello moldavo. Il rappresentante principale di questa nuova corrente fu Mihail Kogălniceanu (1817-1891), letterato e uomo politico, che aveva fatto i suoi studî in Francia e in Germania ai tempi del Junges Deutschland, alle cui tendenze aderì, e che, nella sua rivista Dacia Literară propugnò l'unificazione della nazione romena per mezzo della cultura. Incominciarono allora a pubblicarsi le antiche cronache e i canti popolari e la lingua romena si arricchì di una gran quantità di vocaboli e di espressioni letterarie colte sulle labbra del popolo. Dal punto di vista teorico i più attivi collaboratori del Kogălniceanu furono Niculae Bălcescu (1819-1852) e Alecu Russo (1819-1859), il primo dei quali scrisse nella più pura ed elegante lingua romena, che si fosse mai adoperata prima di lui, la sua Istoria Românilor sub Mihai-Vodă Viteazul (Storia dei Romeni sotto Michele il Bravo), l'altro un poemetto in versetti biblici intitolato Cântarea României (Cantico della Romania), che probabilmente gli fu ispirato, piuttosto che dalle Paroles d'un croyant del Lamennais, con le quali non ha altro di comune che la forma biblica, dalle pagine del Mazzini Ai Giovani d'Italia. Ma, tra i seguaci delle teorie letterarie del Kogălniceanu, il più importante dal punto di vista letterario è senza alcun dubbio Costache Negruzzi (1808-1868), che, oltre che per un poemetto intitolato Aprodul Purice (Il paggio Pulce), il cui argomento è tolto da un episodio delle antiche cronache romene, è noto soprattutto come novelliere e autore di quel vero capolavoro ch'è Alexandru Lăpuşneanu, vigorosa novella storica tratta anch'essa da un episodio della vita di questo feroce principe romeno. Sebbene, come aderente al programma del Kogălniceanu, il Negruzzi s'ispiri di preferenza alle antiche cronache, risente però nel contempo dell'influsso letterario francese soprattutto del Mérimée, del quale tradusse, localizzandola in Romania col titolo di Toderică, la novella Federigo.
Se, da una parte, come raccoglitore e primo editore (1866) dei canti popolari romeni (Poezii populare ale Românilor) anche Vasile Alecsandri (1819-1890) si deve considerare strettamente legato al movimento letterario della Dacia Literară, d'altra parte come poeta, prosatore e soprattutto come commediografo e drammaturgo, egli ci appare sotto un preponderante influsso francese. Dopo la morte della madre, si ritirò nella sua tenuta di Mirceşti e ivi compose poesie originali di movenza popolare che raccolse sotto il titolo di Doine e che destarono vivissima ammirazione. Il dolore per la perdita della donna amata, morta di tisi mentre col poeta ritornava da un viaggio in Italia, gl'ispirò i versi, raccolti sotto il titolo Lăcrimioare, che vuol dire in romeno "mughetti" ma anche "lagrime" (celebre, tra le altre poesie, Stelută, "Stellina"); ma la sua fama è raccomandata soprattutto ai Pastele (Pastelli), brevi poesie in cui si descrivono paesaggi e scene campestri. Come scrittore drammatico l'Alecsandri oltre ad alcuni vaudevilles in prosa e in versi, come, p. es., Coana Chirita la Iaşi (La sora Chirita a Iaşi), scrisse alcuni drammi di gran valore quali Ovidiu, Fântâna Blandusiei, Lipitorile satelor (Le sanguisughe dei villaggi), Barbu Lăutarul, ecc. In prosa scrisse descrizioni di viaggi, relazioni delle sue missioni diplomatiche e una novella (Buchetiera din Florenţă) di argomento italiano.
Rappresentante della corrente della Dacia Literară (ma più di nome che di fatto, visto che la sua opera letteraria appare tutta sotto l'influsso della letteratura francese), fu Grigore Alexandrescu (1812-1885) che nelle satire, nelle sue favole e soprattutto nelle sue Elegii, che sono considerate come le più belle della letteratura romena, subì l'influsso delle Méditations del Lamartine, delle Ruines del Volney, delle Satires e dell'Art poétique del Boileau, e delle favole del Lafontaine.
Dell'influsso francese risente anche Dimitrie Bolintineanu (1819-1872) d'origine macedo-romena, che in francese pubblicò le'sue Brises d'Orient e, dalla Captive di Andrea Chénier, trasse l'ispirazione per la sua elegia O fatătânără pe patul morţii (Una fanciulla sul letto di morte). Fecondissimo, colorito, spesso elegante, armonioso e vario nei metri, il Bolintineanu è poeta ineguale e spesso prolisso. In quasi tutte le sue liriche si trovano strofe bellissime, ma non sa fermarsi a tempo e l'intuizione lirica è troppo spesso annegata in troppe parole. Egli raccolse le sue liriche in diversi volumi intitolati: Legende istorice, Florile Bosforului, Basme, Macedonèle (Poesie di Macedonia), Reverii.
Con Tito Maiorescu (1840-1917) e la società letteraria da lui fondata Junimea (La giovinezza) l'influsso francese subisce una momentanea interruzione. Egli fu uno dei capi spirituali più importanti della Romania moderna, iniziatore di un movimento di riforma non solo critica e letteraria, ma anche politica e, in un certo senso, umana, in quanto si proponeva di sostituire all'antico un nuovo ideale di vita, consistente in una fusione armonica di tutte le diverse attività dello spirito in un'unità di aristocratico, benché un po' freddo, manierato e accademico equilibrio. Introduttore in Romania della filosofia tedesca, soprattutto kantiana e schopenhaueriana, fu il primo ad affermare la necessità per la cultura romena di liberarsi da ogni preoccupazione politica e nazionale, seguendo il metodo scientifico della ricerca e dello studio delle fonti. All'influsso francese dilagante tentò sostituire quello del pensiero e della cultura tedesca, si oppose con successo alla faciloneria degli scrittori del tempo e mosse guerra senza quartiere alle esagerazioni tanto dei latinisti quanto degli italianisti. Organo della Junimea fu una rivista intitolata Convorbiri Literare (Conversazioni letterarie) e la direzione effettiva ne fu affidata al novelliere Iacob Negruzzi, morto nel 1933 dopo essere stato segretario e poi presidente dell'Accademia romena. Il Maiorescu ha lasciato tre volumi di Critice (Saggi critici), tra i quali interessanti anche oggi sono quelli sulla personalità e la poesia di Mihail Eminescu, l'articolo intitolato Directia nouă (La nuova corrente) e un saggio pieno d'acume e di buon senso contro lo stile vuoto e roboante, vera Beţia de cuvinte (Ubbriacatura di parole), di molti scrittori suoi contemporanei.
Al Maiorescu, alle Convorbiri Literare e al suo direttore Iacob Negruzzi dobbiamo la scoperta del genio poetico più grande che abbia mai avuto la Romania: Mihail Eminescu, che ancor oggi esercita il suo influsso sulla nuova generazione, orientata verso nuove finalità artistiche, e che, a ogni modo, è sempre vivo nella coscienza e nella sensibilità dei lettori. Imitatore dapprima dell'Alecsandri e dei metri variati e sonori del Bolintineanu, l'Eminescu affermò giovanissimo la sua potente personalità poetica con una nuova, dolcissima e serena armonia ch'egli seppe imprimere alla poesia romena. Profondo conoscitore della poesia tedesca, ben poche influenze si possono notare nei suoi versi delle poesie del Goethe, dello Schiller, del Heine e del Lenau, che furono i poeti suoi preferiti. Pessimista e nutrito della filosofia dello Schopenhauer, con influssi sporadici di buddhismo, si distingue per una visione sua particolare della vita; per un fresco, profondo, intimo senso della natura, per cui rappresenta l'interprete più sincero e autoctono del paesaggio romeno; per il suo costante entusiasmo per la storia, le tradizioni e soprattutto per la poesia popolare romena; finalmente per una certa sua serenità nel dolore che gli fa guardare dall'alto le passioni umane. Ma ciò che distingue Eminescu da qualsiasi altro poeta romeno è la sua musicalità; musicalità profondamente e intimamente romena come quella della doina, il dolce canto d'amore e di dolore caratteristico del popolo romeno. Eminescu scrisse anche in prosa: un romanzo Geniu pustiu (Genio sterile), tre novelle: Sărmanul Dionis (Il povero Dionigi), La aniversară (Un anniversario), Cezară (Cesira) e una graziosa fiaba in stile popolare intitolata: Făt-Frumos din lacrimă (Il Reuccio figlio d'una lagrima) e numerosissimi articoli politici e sociali, molti dei quali sono veri capolavori di buon senso, di esatta visione della realtà, d'intuitti storico e sociale.
Degli epigoni di Eminescu, Alexandru Vlahuļă (1858-1919) merita certo di esser segnalato per una certa sua originalità di atteggiamenti nelle poesie migliori. Pessimista per natura, il Vlahuţă trova però rifugio nella religione e parecchie delle poesie ispirate a questo sentimento son degne di attenzione. Coltivò anche la poesia sociale inveendo contro le cosiddette ingiustizie e colpe della società borghese con accenti di un vago, superficiale e lacrimoso socialismo. In prosa scrisse un romanzo: Dan, la vita del grande pittore Grigorescu suo amico e una specie di guida del paesaggio romeno intitolata România pitorească (La Romania pittoresca).
Frequentatore delle riunioni delle Convorbiri e carissimo al Maiorescu fu un altro poeta di cultura preponderantemente tedesca: Gheorghe Coşbuc (1866-1918), che tradusse in magnifiche terzine la Divina Commedia. Come tecnica e colore locale, le liriche del Coşbuc sono talvolta superiori a quelle dello stesso Eminescu, del quale però non raggiunge la profondità di pensiero. Poeta dei contadini; come gli piaceva di chiamarsi, non ne cantò solo le aspirazioni materiali al possesso della terra nella poesia intitolata: Noi vrem pământ (Noi vogliamo la terra), ma gli usi, i costumi e le leggende con una delicatezza di tocchi, che ricorda gli armoniosi colori dei ricami e dei tappeti popolari, raggiungendo in due dei suoi poemetti: Mortea lui Fulger (La morte di Folgore) e Nunta Zamfirei (Le nozze di Zanfira), una tal perfezione d'ispirazione e di forma, da farne due veri capolavori del genere. Oltre ai volumi di versi intitolati Balade şi Idile (Ballate e Idillî), Feri de tort (Fili di ritorto) e Ziarul unui pierde-vară (Taccuino d'un perdigiorni), il Coşbuc ha scritto in prosa Povestea unei Coroane de oţel (Racconto d'una corona d'acciaio), che contiene una breve storia del risorgimento nazionale romeno e moltissime traduzioni dalle lingue classiche e moderne e perfino dal sanscrito (Sacuntala), eseguite non sempre direttamente, ma aiutandosi con traduzioni tedesche.
Al cenacolo della Junimea, dove ebbe come introduttore Eminescu, appartenne anche Ion Creangă (1837-1889), che, nel suo genere, può considerarsi come uno dei più grandi scrittori romeni. Figlio di contadini benestanti, prese da giovane l'abito talare, che però abbandonò presto non confacendosi alla sua natura libera e spregiudicata. Fu amicissimo di Eminescu, e, come lui, innamorato dell'arte popolare. Di lui ci restano le deliziose Amintiri de copilărie (Ricordi d'infanzia) e moltissime favole e leggende scritte nella lingua dei contadini romeni, ma ripulita e portata da lui al massimo dell'eleganza e dell'arte. Tra queste favole e leggende citeremo come le più caratteristiche: Capra cu trei iezi (La capra con tre capretti), Soacra cu trei nurori (La suocera con tre nuore), Punguţa cu trei bani (La borsa con tre soldi), Harap alb (Il moro bianco) e Moş Nichifor coţcarul (Zio Niceforo il birichino).
Uno scrittore che del culto della forma, intesa non come vanno artifizio stilistico, ma come freno e laboriosa ricerca dell'espressione più chiara e concisa fu Ion Luca Carageale (1852-1912), autore ddrammatico soprattutto, ma anche novelliere dei più grandi dei più grandi che abbia avuto la Romania. Spirito arguto e beffardo, insofferente di adattȧmenti, passò la sua vita in continui tentativi di guadagnarsi il pane restando il più che fosse possibile libero e indipendente. Fu nel 1888 direttore del Teatro nazionale di Bucarest, sulle scene del quale fece rappresentar le commedie O noapte furtunoasă (Una notte indiavolata), Conu Leonida faţă cu reacṭiunea (Il sor Leonida alle prese con la reazione), U scrisoare pierdută (Una lettera smarrita), De ale Carnavalului (Cose che avvengono di Carnevale) e il potente dramma Năpasta (La sciagura). Le sue novelle più celebri sono: O făclie de Paşti (Un cero di Pasqua), Păcat (Peccato), La hanul lui Mânjoală (All'osteria di Mânjoală); ma anche tra i suoi bozzetti umoristici, riuniti sotto il titolo di: Momente, schiţe, amintiri (Momenti, bozzetti e ricordi) ce ne sono di originalissimi ed esilaranti.
Alexandru odobescu (1834-1895) oltre all'essere archeologo e storico di valore, è interessante soprattutto come novelliere (Doamna Chiajna, Mihnea-Vodă-cel-Rău) e come autore dì quell'originalissimo libretto che è il Pseudokineghetikòs (Pseudo-trattato di caccia), in cui, sotto colore di voler comporre un trattato di cinegetica, parla delle più svariate questioni in uno stile giocoso, ma pieno di attrattive anche per la svariata e profonda cultura dalla quale è tutto pervaso.
Novelliere elegante fu anche Niculae Gane (1835-1916), che appartenne anch'esso alla Junimea e tradusse l'Inferno in terzine irregolari, troppo spesso allontanandosi dal testo dantesco.
Ion Ghica (1816-1897), nelle sue interessanti Scrisori către Vasile Alecsandri (Lettere a Vasile Alecsandri), contenenti una infinità di notizie sugli uomini e le cose dell'antica Romania, si rivela scrittore elegante e arguto, sì che la sua prosa, oltre all'importanza documentaria, acquista importanza artistica e letteraria.
Arriviamo così a Barbu Delavrancea (1858-1918), novelliere, drammaturgo, oratore e uomo politico, la cui trilogia drammatica Apus de soare (Tramonto), Viforul (Il turbine) e Luceafărul (La stella del mattino), benché risenta del doppio influsso dello Shakespeare e del D'Annunzio, rappresenta qualcosa di nuovo nella letteratura drammatica romena, che, fino a lui, eccezion fatta di Năpasta di Carageale, non s'era innalzata a voli troppo arditi. Tra le sue novelle, Sultanica e Hagi Tudose sono tra le migliori della letteratura narrativa romena. Nel 1907 commemorò Giosue Carducci all'Ateneo romeno con una calda e nobile orazione.
Innamorato della bellezza del paesaggio, dell'arte e della letteratura italiana fu anche Duiliu Zamfirescu (1858-1922), che tradusse molte poesie del Leopardi, e s'ispirò alle Odi barbare del Carducci. Egli passò parecchi anni a Roma come segretario di legazione. Il classicismo delle poesie dello Zamfirescu consiste però, più che nell'imitazione dei classici, in una certa tendenza alla purezza della linea e all'armonia della composizione. Le sue novelle d'argomento italiano e il romanzo Lydda sono tentativi poco riusciti, ma la sua passione per la bellezza traspira da tutte le sue lettere da Roma agli amici. Il capolavoro di questa aristocratica, benché un po' manierata, figura d'artista, è il primo romanzo del ciclo Neamul Comăneştilor (La famiglia dei Comăneşti) intitolato Viaţa la ţară (La vita in campagna) che si può considerare il primo romanzo romeno all'altezza di quelli dell'Occidente. Soprattutto il tipo della protagonista, l'indimenticabile Sascia, ispiratogli da una delicatissima anima femminile conosciuta quando era segretario di legazione a Bruxelles, e la poesia della vita familiare delle antiche famiglie di boieri che vivevano ancora sulle loro terre, in contrasto con la grossolanità dei contadini arricchiti che, a poco a poco, ne andavano prendendo il posto, fanno di questo delicato romanzo un gioiello della letteratura narrativa romena. Gli altri che seguirono: Tanase Scatiu; În răsboiu (In guerra); Anna, sau ceeace nu se poate (Anna, ovvero ciò che non è possibile), pur essendo ricchi di molti pregi, non arrivano all'altezza del primo.
Alla corrente della Junimea appartennero anche i novellieri Ion Slavici (1848-1925), osservatore attento e felice descrittore del piccolo mondo primitivo, laborioso e patriarcale dei villaggi di Transilvania; Ioan Popovici Bănăţeanu (1868-1893) che, nel volume intitolato Din viaţa meseriaşilor, ci descrive appunto la vita degli operai romeni del Banato; e soprattutto Ion Brătescu-Voineşti (nato nel 1868) che, nei volumi În lumea Dreptăţii (Nel mondo della Giustizia), Intuneric şi lumină (Tenebre e luce), Rătăcire (Traviamento), Firimituri (Briciole), si rivela scrittore delicato, cesellatore pieno di grazia, impeccabile nel taglio della novella, poeta dei deboli e dei vinti, cantore delle pure e sane gioie familiari. Narratore squisito benché poco fecondo, egli è, col Sădoveanu, uno dei maestri della novellistica romena.
A questo punto interviene il movimento letterario che fu detto del "Sămănătorul" (Il seminatore) dalla rivista di questo nome, fondata verso la fine del 1881, probabilmente con altri intenti da quelli che poi ebbe, dal Coşbuc e dal Vlahuţă, ma che, per opera del suo critico Niculae Iorga (nato nel 1871) si ricollega alla tendenza, già propugnata dal Kogălniceanu nella sua Dacia Literară, verso una letteratura ispirata alla sana tradizione nazionale. Uomo coltissimo, fondatore, capo e teorico del partito nazionalista romeno, lo Iorga, ch'è anche letterato e scrittore di molto merito, poeta e autore drammatico, storico illustre, giornalista vigoroso e oratore dei più grandi che abbia mai avuto la Romania, non propugnò, nella rivista di cui presto assunse la direzione effettiva, uno sterile nazionalismo letterario, ma si schierò decisamente contro l'influsso esclusivo di questa o quella letteratura straniera. Le pagine del Sămănătorul, come quelle degli altri giornali e riviste letterarie da lui fondate e dirette in seguito (Floarea Dărurilor, Drum drept, Rămuri, ecc.), sono piene di riuscitissime traduzioni dalle più svariate letterature straniere ch'egli conosce perfettamente, ma ospitano soprattutto prose e poesie originali ispirate alla vita nazionale romena (rurale nella sua essenza), il cui interprete più geniale, Mihail Sădoveanu, egli fu il primo a scoprire e incoraggiare accogliendone nel Sămănătorul i primi saggi ancora incerti. L'opera scientifica e letteraria dello Iorga è così vasta che è difficile parlarne brevemente. Ricorderemo perciò solo i volumi più propriamente letterarî, cioè quello intitolato O luptă literară (Una lotta letteraria) nel quale raccolse gli articoli critici da lui pubblicati nel Sămănătorul, quello che comprende la raccolta delle sue poesie (Opera poetică), qualcuno dei suoi drammi più riusciti: Un Domn pribeag (Un principe in esilio), Doamna lui Ieremie (La moglie del principe Geremia), Cleopatra, Sfântu Francisc, i suoi deliziosi volumi di viaggi attraverso le diverse provincie della Romania, in Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, ecc., la sua Istoria Romînilor în chipuri şi icoane (Storia della Romania in ritratti e icone), la sua eruditissima Istoria Literaturii Romîne in cinque grandi volumi, e i recentissimi saggi autobiografici: Memorii, Subt trei Regi (Sotto tre re), Viaţa unui om (La vita di un uomo).
Recensioni piene di buon senso e di spirito combattivo scrisse nel Sămănătorul anche il critico transilvano Ilarie Chendi (1872-1913). Oltre al Sădoveanu, presero parte al movimento del Sămănătorul i novellieri Emil Gârleanu (1878-1914), rievocatore della vita patriarcale e mollemente orientale degli antichi boieri nel volume intitolato Bătrânii (I vecchi) e di quella degli animali in Din lumea celor ce nu cuvântă (Nel mondo di quelli che non parlano); Callistrăt Hogaş (1847-1916), che, nei due volumi Pe drumuri de munte (Per sentieri alpestri) e In munţii Neamţului (Tra i monti di Neamt), ci descrive i suoi deliziosi vagabondaggi in uno stile, che ricorda vagamente quello del Panzini; Ion Agârbiceanu (nato nel 1882) autore di romanzi dalla tendenza un po' predicatoria sulla vita della borghesia transilvana; Gala Galaction (nato nel 1879), il cui misticismo, spesso inquinato di sensualismo, interessa per una potente nota di sincerità, che ci rivela un'anima ardente e in perpetuo dissidio con sé stessa; Ion Drăgoslav (morto nel 1928), che, nelle sue novellette e leggende popolari, si mostra seguace del Creangă; Ştefan Octavian Iosif (1875-1913), poeta elegiaco; Dimitrie Anghel (1872-1914), poeta raffinato, che, in certo senso, anticipa il simbolismo e scrisse in collaborazione con lo Iosif la maggior parte delle sue poesie (potente quella intitolata Vezuviul); Panait Cerna (1881-1913), che, nei suoi poemetti filosofici, riprese la tradizione di Eminescu; Octavian Goga (nato nel 1879), che, in note piene di malinconia, canta le sofferenze dei Romeni di Transilvania sotto l'oppressione straniera e l'interno dissidio, per cui vorrebbe non aver mai lasciato l'aratro per la penna.
Al "seminatorismo" e a quella sua varietà successiva che fu detta poporanism ed ebbe il suo critico in Garabet Ibrăileanu (Spiritul critic în cultura românească; Scrittori şi curente; Scrittori Romani şi străini; Note ţi Impresi; Studii Literare) e la sua rivista Viaţa Romanească (La vita romena), si opposero dapprincipio alcuni poeti, quali lo Zamfirescu, il cui discorso inaugurale all'Accademia romena fu tutta una carica a fondo contro la poesia popolare; Alexandru Macedonski (1854-1920), i cui due volumi di poesie: Flori Sacre (Fiori sacri) e Cartea nestematelor (Il libro dei gioielli) anticipano il simbolismo; finché Ovid Densusianu, professore di filologia romanza all'università di Bucarest e delicato poeta egli stesso sotto lo pseudonimo dì Ervin, con una lotta strenuamente combattuta per vent'anni dì seguito nella sua Via;ta Nouă (Vita nuova), affermò i diritti della nuova scuola simbolista, seguito più tardi da Eugen Lovinescu, allievo del Faguet e impressionista dapprima, poi decisamente "modernista" (voll. 12 di Critice; Istoria civilizatiei Române Moderne, in voll. 3; Istoria Literaturii Ronlâne Contimporane, in voll. 4), che, nella sua rivista Sburătorul e col cenacolo del medesimo nome, è anche ora il capo della letteratura romena d'avanguardia.
Menzioniamo qui la critica sociale di C. Dobrogeanu-Gherea (1852-1920) e quella di Mihail Dragomirescu, professore di estetica letteraria all'università di Bucarest (Stiinţa Literaturii; Critica ştiinţifică şi Eminesm; Dela misticism la raţionalism), che, staccatosi a un certo punto dalle Convorbiri Literare, fondò e diresse le Convorbiri Critice, inaugurando un suo sistema critico basato sulla teoria del capolavoro, con una tendenza forse soverchia a sistematizzare e classificare le opere d'arte con distinzioni un po' artificiali di plasticità, tonalità, emotività, ecc., ma che scoperse molti talenti di prosatori, poeti e autori drammatici, che poi si svilupparono indipendenti da ogni scuola e sono oggi fra i migliori rappresentanti della letteratura romena contemporanea. Tra i giovanissimi critici vanno menzionati Ion Trivale seguace del Dragomirescu e morto combattendo per la patria; Pompiliu Costantinescu, seguace del Lovinescu, e soprattutto Gheorghe Calinescu, la cui recentissima Viaţa lui Eminescu è un vero capolavoro di serietà scientifica e di buon gusto.
La letteratura contemporanea oscilla tra i due poli del "tradizionalismo" e del "modernismo". Alla prima tendenza appartengono i prosatori: Mihail Sădoveanu, romanziere fecondo, che, interprete perfetto dell'anima popolare moldava, sembra impersonare così nella sua prosa di una limpidezza cristallina come nella sua figura massiccia e bonaria di gigante mite e sognatore, il tipo del patriarca primitivo e che nel suo recentissimo romanzo Baltagul (La scure) ha creato uno dei più puri capolavori dell'arte narrativa romena; Liviu Rebreanu, il cui romanzo Ion è tale da potersi mettere solo accanto ai Contadini del polacco Ladislao Reymont, che forse supera in organicità e perfezione di taglio pur mancando della nota poetica che costituisce l'attrattiva maggiore del romanziere polacco; Cezar Petrescu (Lettere di un proprietario di campagna; Oscuramento; Il ballo meccanico, ecc.); Ionel Teodoreanu (A Medeleni; La torre di Milena; Golia, ecc.); Corneliu Moldovanu (Purgatoriul); Gheorghe Brăescu (Arriva il signor Generale con la signora; Due volponi, ecc.), fine umorista; D. D. Patrascanu, autore anche lui di riusciti bozzetti umoristici; Damian Stanoiu, le cui gustose caricature di monaci e monache si leggono con diletto; Caton Theodorian, I. Ardeleanu (Il diplomatico, il conciatore di pelli e l'artista); Iean Barth, Victor Eftimiu, Alexandru Cazaban (Tra la donna e il gatto). Tra i poeti sono da segnalare: D. Nanu, Corneliu Moldovanu, G. Talaz, George Gregorian, e soprattutto Nichifor Crainic che, tra i poeti tradizionalisti, rappresenta, con Ion Pillat, la personalità più importante. Degli scrittori drammatici che appartengono a questa corrente menzioniamo: Alexandru Davilà (nato nel 1862), il cui dramma storico Vlaicu-Vodă è uno dei capolavori del teatro romeno; Mihail Sorbul (nato nel 1885) che, con Patima roşie (Passione di sangue) si è affermato come drammaturgo originale e vigoroso; Victor Eftimiu, autore di Inăirş-te mărgărite (Infila le tue perline), Cocoşul negru (Il gallo nero) e di numerose altre produzioni; A. De Hertz, autore di graziose commedie; Caton Theodorian (Bujoreştii); Zaharia Bârsan (Trandafirii roşi); Octavian Goga (Domnul notar); C. Ciprian, la cui opera più nota è Omul cu mârzoaga (L'uomo dal ronzino); Victor Ion Popa, di cui va ricordata Ciuta (La capriola) e la delicatissima Muşcata din fereastră (Il geranio del davanzale).
Alla corrente modernista appartengono invece i prosatori: Hortensia Papadat-Bengescu, i cui romanzi ci rivelano una collezionista d'impressioni rarem e complicate e un'analizzatrice minuziosa di stati di coscienza in penombra (La donna davanti allo specchio; Concerto di musica di Bach; Disegni tragici, ecc.); N. Davidescu (Conservatore e C.; Il violino muto); Demetriu Theodorescu (Nella città dell'ideale); Emanoil Bucuţa (La fuga di Scefki); Gib Mihăescu (Alla Grandiflora); F. Aderca (L'uomo smontabile; La donna dalla carne bianca, ecc.); Ion Minulescu (Rosso, giallo e azzurro; Riprovato in quarta ginnasiale; Il barbiere del Re Mida, ecc.); Ticu Archip (Il collezionista di pietre preziose; L'avventura); Camil Petrescu (Ultima notte d'amore e prima di guerra; Il letto di Procuste); I. Peltz (Vita imeressante sì e no di un certo Stan; Strada Văcăreşti); Matei Ion Carageale (I Re della Corte antica). Tra i poeti Ion Minulescu è senza dubbio il rappresentante più autorevole del "modernismo" romeno. I suoi volumi (Romanze per l'avvenire; Conversazioni con me stesso; Confessioni; Da leggersi di notte), sono tra i più significativi della poesia romena contemporanea, il cui maestro può oggi considerarsi Tudor Arghezi (Parole misurate; Fiori di muffa), che, per la sua tecnica perfetta e ardita, più ancora che per l'ispirazione (rimasta qua e là tradizionale), deve ritenersi come il più grande poeta romeno contemporaneo. N. Davidescu, Mihail Săulescu, morto combattendo per la patria, Adrian Maniu, Camil Balthasar, Ilarie Voronca, Lucian Blaga, G. Bacovia, e soprattutto Ion Barbu (Gioco secondo) sono tra i più caratteristici rappresentanti della poesia romena d'avanguardia. Nella drammatica la tendenza modernista si afferma da principio con Mihail Săulescu (La settimana dei miracoli); Ion Marin Sadoveanu (Anno Domini), Ticu Archip (L'anello, Lumicino), Camil Petrescu (Anime forti; Atto veneziano; Mitica Popescu; Danton); Adrian Maniu (Mastro Manole, in collaborazione con I. Pillat); Lucian Blaga (La crociata dei bambini); e soprattutto G. M. Zamfirescu (La signorina Anastasia; Sam, ecc.), che, seguace del surrealismo, tende a proiettare nel cosmico avvenimenti della vita quotidiana e ha studiato un lato dei costumi della piccola borghesia dei quartieri della periferia di Bucarest, che era stato trascurato dal Carageale. Anche il Minulescu ha dato al teatro opere interessanti (Parton le cicogne; L'amante sconosciuto, ecc.) piene di spirito, paradossi e ghiribizzi.
La critica storico-letteraria è rappresentata da Ion Bianu (morto nel 1935), allievo del Rajna, che ha lumeggiato i problemi più oscuri dell'antica letteratura ecclesiastica romena; dallo Iorga, dal Densusianu; Pastoritul la Români; Dante şi sufletul latin; Sufletul latin şi poezia nouă, ecc.); Sextil Puşcariu che dirige la rivista scientifica Dacoromnnia e, in collaborazione con Matteo Bartoli, ha scritto uno studio esauriente sull'istro-romeno; dal Bogdan-Duică (morto nel 1935), dal Pascu, dal Caracostea, dal Cartojan e da altri minori.
Le riviste letterarie più importanti sono: la Viaţă Românească, la Gândirea, Vremea, Adevărul Literar, Viaţă Literară, a non parlar di una quantità di riviste giovanili che spuntano dappertutto a primavera per morir nell'autunno, ma che spesso riflettono tendenze interessanti, e di altre regionali, quali, p. es., Datina (La Tradizione) di Turnu Severin (Oltenia), Arhivele Olteniei e Rămuri di Craiova, Cele Trei Crişuri di Oradea-Mare (Transilvania), Analele Dobrogei di Costanza, ecc., che fanno partecipare la provincia romena al movimento letterario nazionale.
Bibl.: Sextil Puşcariu, Istoria Literaturii Române (Epoca veche), Sibiu, 1930; G. Pascu, Istoria Literaturii si Limbii Române din sec. XVI, Bucarest 1921: id., Istoria Literaturii şi Limbii Române din sec. XVII, ivi 1923; N. Iorga, Istoria Literaturii religioase a Romînilor până la 1688, ivi 1904; id., Istoria Literaturii Romîne in veacul al XVIII-lea, voll. 2, ivi 1908; id., Istoria Literaturii Romîne în veacul al XIX-lea, voll. 3, ivi 1907-1909; O. Densusianu, Literatura Română Moderna, voll. 2, ivi 1920 e 1923; G. Bogdan-Duică, Istoria Literaturii Române Moderne, Cluj 1923; C. Adamescu, Istoria Literaturii Române, Bucarest 1920; E. Lovinescu, Istoria Literaturii Române contimporanee, voll. 4, ivi 1924-25-34; Costantin Loghin, Istoria Literaturii Români dela început pâna în zilele nostrae, Cernăuţi 1929; C. Tagliavini, Antologia Rumena (con una larga introduzione sulla storia della letteratura romena), Heidelberg 1924; S. Puşcariu, La letteratura rumena, in Studi sulla Rumania, Roma 1923; N. Cartojan, Breve storia della letteratura rumena, Roma 1926; D. Russo, Elinismul în România, Bucarest 1921; P. Eliade, De l'influence française sur l'esprit public en Roumanie, Parigi 1898; N. I. Apostolescu, L'influence des Romantiques français sur la poésie roumaine, ivi 1909; A. Marcu, Romanticii Italieni ş Români, in Cultura Natională, Bucarest 1924; R. Ortiz, Per la storia della cultura italiana in Rumania, ivi 1916; id., Gheorghe Asachi e il petrarchismo rumeno, in Varia Romanica, Firenze 1932; id., in Mihail Eminescu, Poesie, tradotte per la prima volta dal testo rumeno con introduzione e commento, Firenze 1927; id., Correnti nella letteratura rumena contemporanea; La prosa rumena contemporanea; Poeti rumeni contemporanei, in Varia romanica citata.
Arti figurative.
I monumenti dell'arte antica della Dacia, e i monumenti religiosi bizantini dei secoli V e VI, conservati nella Dobrugia (fondamenti di chiese nella città di Tropaeum Traiani), non hanno avuto seguito, mentre le invasioni barbariche consecutive ostacolavano lo sviluppo delle arti. È da ammettere invece una persistenza dell'arte popolare, ma di essa non si sono conservati i documenti, quasi esclusivamente di legno. Quest'arte tradizionale si sviluppò dal tardo Medioevo in poi parallelamente alle correnti artistiche provenienti dall'Oriente e dall'Occidente. Dal sec. XIII possiamo seguire lo sviluppo dell'arte tra le varie vicende politiche che vi ebbero influenza. I periodi più notevoli furono dal sec. XIV al XVI, e inoltre quelli del regno di Matei Basarab (1632-1654), di Constantin Brâncoveanu (1688-1714) in Valacchia, e di Vasile Lupu (1634-1653) in Moldavia: allora spesso i principi romeni furono mecenati dell'arte cristiana dei paesi balcanici e soprattutto del Monte Athos. Infine un nuovo sviluppo artistico si deve al rinascimento nazionale nella seconda metà del sec. XIX.
Dalle origini al sec. XIX. Muntenia. - Le chiese di legno vi sono scarse, conservandosi nondimeno esempî dal sec. XVII in poi (Grămeşti, 1664; Slăvuţa-Socoteni, 1684). Ma già dalla fine del sec. XIII o dal principio del XIV si notano influssi romanici (fondazioni di basilica a Câmpulung) e gotici (al palazzo principesco di Curtea de Argeş), mentre le chiesette con una sola navata (S. Nicolò a Curtea de Argeş e due chiesette a Turnu-Severin) ricordano nei loro paramenti di pietra e mattoni e nella pianta l'influsso bizantino e bulgaro. Agli influssi delle stesse contrade si deve poi la chiesa principesca (Biserica Domnească) di Curtea de Argeş (v.) con pianta a croce greca. Poco dopo l'orientazione artistica si volge verso la Serbia (scuola morava), donde deriva la pianta triabsidata delle chiese di Vodiţa, di Tismana (1374) e di Cozia (1393). Infine dal Monte Athos proviene la pianta a croce greca con absidi laterali e con vestibolo a colonne (Snagov, 1517). Dalle varie combinazioni di questi influssi risulteranno tipi con carattere locale. La chiesa metropolitana (1518) e la chiesa principesca (1583) di Târgovişte si debbono alla combinazione del tipo dell'Athos e di quello costantinopolitano, mentre al tipo serbo, modificato con elementi del Monte Athos, si devono la chiesa del monastero di Dealu (1500) e la celebre costruzione del leggendario maestro Manole, la chiesa vescovile di Argeş (1517). Questa chiesa, che rappresenta un punto culminante dell'attività architettonica, influì non soltanto sullo sviluppo dell'arte valacca (cfr., per esempio, la chiesa metropolitana di Bucarest dal 1658 e il monastero di Cotroceni dal 1679), ma fu imitata anche nella Moldavia (Trei Ierarhi a Iaşi).
Nei seeoli XVI e XVII penetrarono anche certi caratteri moldavi, manifesti nella sveltezza delle chiese e nei profili goticheggianti delle finestre, mentre dall'Oriente viene l'esonartece aperto con colonne, o pilastri, e archi (chiesa dell'ospedale del monastero di Cozia del 1542, Stelea del 1646 e Ss. Imperatori, circa 1650, a Târgovişte). Durante la seconda metà del secolo XVII si sviluppa lo stile barocco costantinopolitano, amalgama di elementi italiani (loggia, colonne e cornice) con archi inflessi e arabeschi orientali, e decora lussuosi palazzi (Măgureni, 1667; Potlogi, 1699; Mogoşoaia, 1702), e le chiese (monastero di Hurezi, 1693), persistendo durante tutto il secolo XVIII (monastero di Văcăreşti, 1716-1722; chiesa Stavropoleos, 1724-1733, a Bucarest).
La storia della pittura valacca comincia con un importante insieme di affreschi, conservati nella chiesa principesca di Curtea de Argeş (secolo XIV), ove si possono distinguere due scuole, la macedone e la cretese. Dopo gli affreschi del vestibolo di Cozia (fine del sccolo XIV), segue un'epoca oscura fin verso il 1526, quando furono terminate le pitture della chiesa vescovile di Curtea de Argeş In queste, come in quelle dell'epoca seguente (chiesa dell'ospedale del monastero di Cozia, 1542, e chiesa del monastero di Snagov, circa 1550), domina la scuola italocretese, la quale si mantiene fino all'epoca di Constantin Brâncoveanu (chiesa di Săcueni, 1655; monastero di Hurezi, fine del sec. XVII).
Dal disegno semplice di queste pitture e dalla rappresentazione con carattere narrativo si passa col tempo a uno stile ieratico, isolandosi più e più ciascuna figura, disegnata in modo decorativo. Tuttavia penetra nella pittura a mano a mano un naturalismo discreto, dovuto all'influsso del Rinascimento, che giungeva sia direttamente da Venezia sia attraverso la Transilvania. Nella seconda metà del sec. XVIII questo naturalismo si diffonde, ma senza poter sostituire l'arte bizantina.
Transilvania. - I più antichi monumenti di architettura religiosa romena conservati appartengono al principio del sec. XIII. Eccetto le chiese di Denşuş e di Gurasada (sec. XIII), edifizî a pianta centrale di tipo particolare, le chiese sono composte di una sola navata con campanile verso ovest e un'abside verso oriente (Strei, sec. XIII, Stă-Marie, Strei-Sân-Georgiu, sec. XIV-XV). La pianta di queste chiesette rassomiglia a quelle di Curtea de Argeş di Turnu-Severin, e delle chiese di legno; ma vi si trovano anche elementi romanici e, più tardi, gotici. Poi, a Prislop (1403) e nella chiesa di Hunedoara (1456), appaiono influssi serbi. Quanto all'arte romanica, essa si sviluppa prima grazie all'attività della chiesa cattolica e poi delle città sassoni. Il primo monumento è il duomo di Alba-Iulia, (fine del sec. XI, ricostruito alla fine del sec. XIII). Tra le piccole chiese sassoni notiamo quelle di Sebes, Cisnădie e Cisnădioara, nonché la chiesa a croce di Turnişor (sec. XIII). I primi elementi gotici di transizione appaiono nella badia cisterciense di Cârţa, appartenente alla seconda metà del sec. XIII, e nella chiesa di Bistriļa (verso il 1330).
Lo stile gotico fiorisce alla fine del sec. XIV e nel sec. XV. È un gotico tardivo che si deve all'influsso tedesco. All'infuori della chiesa evangelica di Sibiu, tutte le chiese hanno le navate di uguale altezza (esempî: il coro della chiesa di Sebeş San Michele di Cluj, la chiesa evangelica di Mediaş, la "Chiesa Nera" di Braşov). Frattanto nei villaggi si costruivano delle chiese fortificate. Soltanto il castello di Hunedoara (v.) si deve al gotico francese.
Le guerre dell'epoca seguente non favorirono lo sviluppo del Rinascimento; pure l'influsso italiano si vede nella trasformazione del castello di Fágăraş (finito nel 1613), e nei piccoli castelli di campagna dei nobili ungheresi. Tra i monumenti tardi barocchi notiamo il palazzo Banffy a Cluj (fine del sec. XVIII) e quello del governatore Bruckenthal a Sibiu (1791). L'architettura religiosa romena in questo periodo non si poté sviluppare, essendo costretta a costruire esclusivamente in legno (decreti reali contro gli eretici). Le chiese di legno conservate non sono anteriori al sec. XVII, ma riproducono un tipo antichissimo che si può riconoscere anche tra gl'influssi gotici e quelli barocchi. Le chiese di pietra di Făgăraş e di Sâmbăta si debbono alla magnificenza del principe valacco Constantin Brâncobeanu e riproducono il tipo allora corrente in Valacchia.
Anche nella pittura dobbiamo distinguere quella bizantino-romena e quella occidentale. La pittura romena discende dall'arte della Valacchia e segue lo stesso sviluppo. I suoi più antichi avanzi risalgono al sec. XV (Strei-Sân-Georgiu, e nella rovina di Râv-de-Mori). Esempî più tardi si trovano a Hunedoara (1656) e nelle chiese di Brâncoveanu. Una scuola importante per l'arte popolare si sviluppa nel sec. XVIII a Nicula, sotto l'influsso moldavo (icone dipinte sul vetro). Le prime tracce di pittura occidentale s'incontrano nella chiesa di Stă-Mărie (secolo XLV-XV), miste qui con elementi bizantini. Epoca feconda fu il sec. XV e la prima metà del XVI: furono prodotti allora molti trittici e affreschi sotto l'influsso delle varie scuole tedesche meridionali (Johannes von Rosenau a Sibiu, e Johann Stoss, figlio del celebre Veit Stoss a Sighişoara).
Nelle chiese gotiche operò anche la scultura (Sebeş Sighişoara); e negl'intagli degli altari si scorge talora l'influsso diretto del Veit Stoss (Sebeş).
Moldavia. - Esempî dell'architettura tradizionale in legno vi restano soltanto, copiosi, dal sec. XVII in poi; e seguono schemi assai varî. Accanto al tipo longitudinale transilvano, vi si vede quello a pianta centrale, come in Polonia e nell'Ucraina, composto da tre vani quadrati coperti da tetti piramidali. Le più importanti chiese furono sostituite da costruzioni in pietra, ma non senza conservare in queste ultime alcuni caratteri di quelle. Le prime chiese di pietra si debbono all'influsso romanico (Rădăuţi, forse dal 1360) e gotico (chiesa cattolica di Baia, prima metà del sec. XV). Ma le forme più caratteristiche nelle chiese moldave si costituirono sotto l'influsso serbo, giunto dalla Valacchia. A questo devono la pianta e la struttura, mentre l'ornamentazione appartiene al gotico polacco e transilvano, e le strane combinazioni di archi, dette "vòlte moldave", ricordano l'architettura in legno. L'esterno è ornato da archi finti, nicchie e dischi di terracotta colorata. Questo tipo si mostrò prima dell'epoca di Stefano il Grande, ma i suoi primi monumenti non si conservano intatti (esempî: San Nicolò di Dorohoi, 1495; S. Giovanni di Piatra, 1497-1498; chiesa del monastero di Neamţu, 1497-98).
Nel sec. XVI s'aggiunsero alla pianta primitiva delle chiese una camera mortuaria e un esonartece; inoltre, s'introdussero forme ornamentali del Rinascimento, mentre talvolta l'esterno era coperto di affreschi (monasteri di Probota, 1530; Bistriţa, 1554; Suceviţa, 1585).
Un nuovo periodo comincia alla fine del secolo decimosesto, dovuto agl'influssi bizantini (monastero di Galata, 1584) e a quelli valacchi (monastero di Aroneanu, 1594).
Alla pianta si aggiunge un esonartece aperto; non si usano più affreschi all'esterno. Indi s'incrociano nelle costruzioni più insigni lo spirito decorativo della Georgia (Dragomirna, 1609; Trei Ierarchi, 1639; Cetaşia, 1672, di Iaşi) col barocco polacco (Golia, a Iaşi), sostituito poi dal barocco costantinopolitano (S. Teodoru di Iaşi, 1761). Alla fine del sec. XVIII e al principio del XIX l'influsso del classicismo polacco e ucraino si diffonde largamente (Leţcani, S. Haralambie e S. Spiridon di Iaşi).
Oltre ai monumenti religiosi si conserva anche una serie di castelli. Quello bizantino di Cetatea Albă (Maurokastro, Moncastro) appartenne nel sec. XIV ai Genovesi, che dominavano allora anche il castello di Chilia (Licostomo). A Hotin c'è un castello polacco, rifatto da Stefano il Grande. Importanti sono ancora i castelli moldavi di Soroca, Suceava e Neamţu (sec. XV).
Le più vecchie vestigia di pitture appartengono alla fine del sec. XV. Sono affreschi che hanno delle affinità con la scuola macedone, ma mostrano anche dei caratteri specifici moldavi, di modo che dobbiamo ammettere l'esistenza di una scuola locale di pittura. L'iconografia conserva interessantissimi motivi medievali, originarî dell'Asia Minore, trasmessi in parte attraverso la Serbia; e a svilupparla offrono campo vastissimo l'interno e l'esterno delle costruzioni. L'abbondanza e la qualità di queste pitture producono un effetto meraviglioso (Pătrăuţi, 1487 S. Elie di Suceava, 1488; Arbora, 1541; monasteri di Homor, 1530; Moldoviţa, 1537; Voronţ,1547).
Alla fine del sec. XVI comincia ad affermarsi l'influsso della pittura russa, manifesto specie nelle icone che adornano le iconostasi, mentre dal sec. XVIII in poi si sente la penetrazione di forme occidentali, barocche, seguita da una rapida degenerazione della pittura. Tra gli affreschi più insigni di questo periodo vanno annoverati quelli dei monasteri di Suceviţa (circa 1585), Dragomirna (circa 1609) e quelli della cattedrale di Roman che vanno dal secolo XVI al XIX.
Secoli XIX-XX. - Nel sec. XIX l'arte romena lascia completamente il suo carattere bizantino; si volge in modo cosciente verso l'occidente. Gheorghe Asachi, che fece i suoi studî a Vienna e a Roma, dilettante, ma influente nella vita pubblica moldava e direttore della prima scuola d'arte di Iaşi, fondata nel 1841, fu uno dei primi campioni della nuova corrente artistica. A questo movimento contribuirono anche gli artisti stranieri, tedeschi, italiani e francesi, che visitarono i principati romeni, e i pittori C. Lecca in Muntenia e M. Popp in Transilvania. Con loro s'inaugura il periodo classicheggiante, di cui il rappresentante più degno di nota fu G. Tăttărescu, seguioi da S. Henţia e G. D. Mirea. Il realismo orientaleggiante francese fu rappresentato da Th. Aman, pittore, incisore, e primo direttore della scuola di belle arti di Bucarest. Primo realista e creatore del paesaggio romeno fu N. Grigorescu, seguito da I. Andreescu. L'impressionismo è rappresentato da G. Popescu, mentre St. Luchian passò dal realismo direttamente a uno stile più costruttivo benché riccamente colorito. Con lui s'inaugura il periodo della pittura romena contemporanea, nella quale sono rappresentate press'a poco tutte le correnti moderne, ma tutte caratterizzate da una certa misura, dovuta all'accordo fondamentale di una visione naturalista, e da una nota di lirismo. Tra i molti pittori moderni ricordiamo Sabin Popp (1896-1928), St. Dimitrescu (morto nel 1933), G. Petraşcu, M. Bunescu, Iser, N. Tonitza, Teodorescu Sion. Al principio del secolo XX ci fu anche un nuovo orientamento nella pittura religiosa. Il classicismo del sec. XIX era penetrato anche nella chiesa, ma O. Smigelschi iniziò il neobizantinismo, uno stile costruttivo moderno, il quale cerca di conservare i valori decorativi della linea e del colorito bizantino. Principî simili seguono C. Petrescu, A. Damian e C. Bogdan.
Nella pittura dei Sassoni e degli Ungheresi di Transilvania si riflettono piuttosto i movimenti artistici della Germania. Tra i pittori più importanti notiamo K. Dörschlag, H. Eder, L. Mezey, G. Müller-Merész.
Quanto alla scultura monumentale, questa non aveva mai fiorito durante l'epoca bizantina, e neanche la Transilvania ne possiede monumenti all'infuori di alcune modeste opere barocche del sec. XVIII. I primi scultori furono stranieri (p. es., K. Storck, progenitore di tutta una dinastia di scultori romeni). Vennero poi i romeni I. Georgescu e Şt. IonescuValbudea, che studiarono a Parigi, e rappresentano il classicismo. Nello spirito delle varie scuole moderne lavorano D. Paciurea, I. Falea, C. Medrea, O. Han e altri. C. Brâncuşi è uno dei creatori della scultura "sintetica".
L'architettura subì verso la fine del sec. XVIII l'influsso decisivo dell'Occidente. Ma l'epoca feconda di costruzioni moderne cominciò soltanto dopo la proclamazione dell'indipendenza romena (1877). Verso la fine del secolo I. Mincu creò il cosiddetto stile "romeno". Seguaci del Mincu sono G. Cerchez, P. Antonescu, Duiliu Marcu, ecc.
Le arti minori. - Tra queste la più caratteristica è l'intaglio in legno che orna le case, gli oggetti rustici, e numerose porte di chiese (Cotmeana, circa 1389; Snagov, circa 1517). La scultura in pietra si sviluppa nella Valacchia e nella Moldavia sotto l'influsso bizantino e orientale, sui coperchi delle tombe, mentre nella Transilvania essa fiorisce nell'epoca barocca sugli epitaffî. L'oreficeria, assai ricca, al principio del sec. XIV risenti l'influsso occidentale; dal sec. XVII in poi è sotto quello dell'Oriente. Suoi centri di produzione erano alcuni monasteri romeni e alcune città sassoni. Tra gli orafi ricordiamo Sebastian Hann (1644-1713). I lussuosi ricami di uso liturgico e i lenzuoli funerarî costituiscono un importante ramo artistico, coltivato nei monasteri dal sec. XIV (a Tismana) o dal sec. XV (a Putna) in poi. All'opera dei contadini si debbono i bei costumi e i tappeti nazionali romeni.
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Per la Muntenia: N. Ghika-Budeşti, Evolutja arhitecturii în Muntenia şi Oltenia, I-II, in Bul. Com. Mon. Inst., XX (1927) e XXIII (1931); O. Tafrali, Monuments byzantins de Curtea de Arges, Parigi 1931; I. D. Stefânescu, Contribution à l'étude des peintures murales valaques, in Orient et Byzance, III, Parigi 1928; id., La peinture religieuse en Valachie et en Transylvanie depuis les origines jusqu'au XIXe siècle, ibid., VIII (1932).
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Per la Moldavia: Comisiunea Monumentelor Istorice, Secţia din Basarabia, 1924 segg.; K. Romstorfer, Die moldauisch-byzantinische Baukunst, Vienna 1896; G. Bals, Bisericile lui Ştefan cel Mare, in Bul. Com. Mon. Ist., XVIII (1925); id., Bisericile moldoveneşti din veacul al XVI-lea, ibid., XXI (1928); id., Bisericile moldoveneşti din veacurile al XVII-lea şi al XVIII-lea, Bucarest 1933; I. D. Stefănescu, L'évolution de la peinture religieuse en Bucovine et en Moldavie, in Orient et Byzance, II, Parigi 1928; P. Henry, Les églises de la Moldavie du Nord. Architecture et peinture, Parigi 1930 (con bibl.); V. Vătăsianu, Contribuţie la cunoaşterea bisericilor de lemn din Moldova (estratto dalla Inchinare lui N. Iorga), Bucarest 1931.
Per l'arte dei secoli XIX-XX: Art roumain moderne (Coll. "Apollo"), Bucarest (monografie); E. Bucuţa, Pictură, sculptură, arhitectură, grafică in Transilvania după Unire si putin înainte, in Transilvania, Bănatul, Crişana si Maramureşul, 1918-1928, II, ivi 1929; V. Roth, Zece ani de artă săsească ardeleana, ibid., II, ivi 1929.
Per le arti minori: Sp. Ceganeănu, Muzeul National de Antichităţi. Secţia eclesiastică: Obiecte bisericeşti, Bucarest 1911; St. Petrescu e Al. Lapedatu, Album cu odoarele dela Neamṭu si Secu, ivi 1911; O. Tafrali, Le trésor byzantin et roumain du monastère de Poutna, Parigi 1925; Al. Tzigara-Samurcaş, Izvoade de crestături ale ţăranului român, I, Bucarest 1928; V. Roth, Geschichte des deutschen Kunstgewerbes in Siebenbürgen, Strasburgo 1908; id., Kunstdenkmäler aus sächsischen Kirchen Siebenbürgens, I: Goldschmiedearbeiten, Sibiu 1922.
Musica.
Fino a tutto il sec. XVIII la vita musicale in Romania si limita alla sola tradizione popolare: i miti dell'antichità classica greco-latina rivivono nelle canzoni epiche del popolo e gli strumenti in uso derivano da quelli classici: il flauto, la siringa, il buccium (la buccina dei Romani), la cobza o cobuz, sorta di strumento a pizzico a 12 o 15 corde. La musica, nelle sue forme elementari, è alla base di tutta la vita del popolo romeno, sia religiosa sia civile: cori e danze accompagnano ogni espressione dell'anima collettiva. Ancora in queste condizioni la musica trova il più largo favore presso le corti dei signori della Valacchia e della Moldavia e la storia politica della Romania giustifica di volta in volta l'infiltrazivne orientale o occidentale nella pratica musicale.
Particolare importanza vi ebbe sempre la musica di chiesa, coltivata in tutte le regioni del paese: essa integrava l'istruzione di ogni persona colta. In essa confluirono correnti bizantine, greche e russe.
Nella seconda metà del sec. XVIII, in seguito all'invasione russa e più tardi per opera di precettori italiani e francesi fuggiti dai torbidi rivoluzionarî dei loro paesi e ospitati dalle famiglie signorili, comincia la penetrazione occidentale, dapprima con la musica di danza e poi con la musica d'arte. Alla corte della principessa Ralu (1812-1818) vengono eseguite le sonate di Beethoven e nel 1833 viene fondata una società filarmonica ove l'italiano Bongianini insegna la musica.
Tuttavia non sono ancora maturi i tempi per il sorgere di un'arte musicale romena e conseguentemente di un'attività artistica organizzata. Al contrario di quello che accade nel campo della letteratura, ove il sec. XIX segna fin dall'inizio un fervido rigoglio delle antiche leggende, canzoni e ballate per opera dei poeti che in tal modo dànno sviluppo alla lingua letteraria, l'esercizio della musica resta ancora confinato negli strati popolari, quale professione quasi esclusiva degli tzigani. Un tarof o tacâm di lăutari (una banda di violinisti) faceva parte integrante di ogni casa signorile e sono rimasti famosi i nomi di alcuni virtuosi del genere come Barbu Lăutarul e Dumitrache Lăutarul. Nel 1838 un musicista viennese, L. A. Wiest (1819-1889), invitato alla corte del principe Al. Ghika, organizza l'orchestra del teatro e scrive il primo melodramma di carattere romeno, Costantino Brâncoveanu, attingendo alle arie popolari. Da questo momento comincia la fioritura dei musicisti romeni che svolgono la loro attività specialmente a Bucarest, come A. Wachmann, che fu il primo direttore del conservatorio di musica, e suo figlio Edoardo, A. Flechtenmacher, considerato uno dei padri della musica romena, Gh. Ştefănescu, Const. Dimitrescu, Maur. Cohen Linari, ecc. Sorgono attività concertistiche sinfonico-corali cui dà notevole impulso la regina Carmen Sylva che si fa protettrice delle arti. La società corale Carmen fondata da Dim. G. Kiriac sta acquistandosi notevole rinomanza.
Nel 1860 un nuovo conservatorio di musica sorge presso l'università di Iasi, e diventa un altro centro importante, in cui svolgono la loro attività i musicisti: F. S. Caudella, Const. Gros, Ed. Caudella, considerato il secondo fondatore, dopo il Flechtenmacher, della scuola romena, G. Muzicescu, E. Mezzetti, oriundo italiano, M. A. Theodorini.
Quantunque gran parte dei musicisti romeni debba la sua educazione alle scuole straniere di Parigi, Lipsia, Berlino e Vienna, il carattere della loro musica resta spiccatamente nazionale. Tuttavia con la scuola moderna l'assimilazione della cultura musicale occidentale è un fatto compiuto e lo stesso pittoresco elemento folkloristico romeno, pure già abbondantemente sfruttato dai compositori precedenti, acquista un più universale significato artistico grazie all'apporto di personalità più imponenti e più originali, in pieno possesso di tutte le risorse della tecnica moderna. I rappresentanti di questa scuola sono, fra i più importanti: G. Enescu, presidente della Società dei compositori rumeni, I. Nona Otescu, fondatore e primo direttore d'orchestra del Teatro dell'Opera, Stan Golestan, A. C. Alexandrescu, T. Rogalisky, M. Mihalovici, M. Jora e l'italiano A. Castaldi, che, trapiantatosi giovanissimo a Bucarest, dal 1905 è insegnante di composizione in quel conservatorio e nel 1906 vi fondava l'orchestra sinfonica. Alla sua scuola si sono formati quasi tutti gli attuali musicisti di Romania. Fra i direttori d'orchestra romeni, G. Georgescu ha raggiunto una notevole rinomanza anche nel campo internazionale.
Diritto.
Cenni storici. - Il punto di partenza del diritto romeno si trova nel diritto romano, portato in Dacia dai coloni romani nei primi anni del sec. II d. C. e applicato per più di centosessant'anni accanto alle leges moresque peregrinorum. Non sappiamo quali fossero queste norme in Dacia. La prova concreta dell'importanza del diritto romano nella Dacia la troviamo nelle tavolette di cera scoperte in Transilvania ad Abrud (Alburnus maior), che contengono una serie di atti, nelle forme prescritte dal diritto romano, benché la maggioranza delle parti non fosse romana. Dalla ritirata delle legioni e dei funzionarî (270 d. C.) i legami con l'Impero si troncano, ciò che spiega la mancanza di ogni influenza del diritto postclassico e giustinianeo.
I barbari invasori, a eccezione degli Slavi, non hanno lasciato orma alcuna di ordine giuridico. Per secoli, la vita giuridica del popolo romeno è stata retta dalla tradizione orale, rappresentata da due termini sinonimi: obicei (parola d'origine slava) e lege (latina). Questo diritto non scritto che, pur risentendo profondamente l'influenza slava, presenta tuttavia anche tracce puramente romane, regge anche ora in alcune regioni la vita del contadino romeno (p. es., la limba de moarte, testamento orale non riconosciuto dal diritto civile, la simulazione del ratto primitivo della sposa, ecc.).
Nel sec. V comincia a manifestarsi la grande influenza bizantina con le pravile (legislazioni), formate mediante la traduzione, prima in slavo, e poi in romeno, dei canoni e dei nomocanoni bizantini. Le pravile slave sembrano provenire tutte da urla fonte unica. Le pravile romene sono le seguenti: la pravila di Eustratzio (1632), legislazione non ufficiale tradotta da un manuale di Manoil Malaxos; la pravila di Govora (1640), tradotta da Michele Moxalie da una pravila slava, essendo la fonte primitiva ugualmente un nomocanone bizantino; la Carte românească de invătăṭură (Iaşi, Moldavia, 1646) redatta dallo stesso Eustratzio per ordine del voivoda Vasile Lupu. Essa comprende le leggi agrarie di Leone l'Isaurico e frammenti ricavati da un riassunto greco della Praxis et theorica criminalis di Prospero Farinaccio, tradotti da Eustratzio. È la prima legislazione laica romena ufficiale. L'opinione, secondo la quale fin dal tempo di Alessandro il Buono (sec. XV) si sarebbe introdotto in Moldavia un codice ufficiale romeno, imitato dai Basilici di Leone il Filosofo, si è rivelata completamente errata; Indreptarea legii (1652) è una pravila ufficiale redatta sotto Matei Basarab da Daniele Panonschi; comprende una parte canonica, tradotta da un manuale di Malaxos, e una parte penale, derivata dalla pravila di Vasile Lupu, con in più un'aggiunta canonica secondaria. Né nella Carte româneascâ, né nell'Indreptarea legii troviamo disposizioni di diritto consuetudinario. L'uniformità delle legislazioni romene, esistente anche nelle pravile slave, è ciò che interessa di più; per ciò che riguarda la loro sfera di azione, essa è stata molto limitata. In verità, il diritto applicato da secoli nelle regioni romene consta di: canoni e nomocanoni nei processi in materia ecclesiastica, di diritto consuetudinario nelle questioni relative ai diritti reali e ai diritti di obbligazione; l'arbitrio del sovrano domina nel diritto penale. Vel sec. XVIII, le due pravile ufficiali romene, senza essere abrogate, cadono in dimenticanza.
I principi fanarioti mirarono a sostituire il diritto non scritto con legislazioni civili e penali bizantine (tra le quali l'Hexabiblos di Costantino Armenopulo). Ma urtando contro la resistenza tenace del popolo, essi vi rinunciarono e cercarono di armonizzare le norme del diritto bizantino col diritto consuetudinario. Di quest'ultimo periodo abbiamo: la Pravilnicească condica del principe Ipsilanti (1780), codice ufficiale della Muntenia; l'Adunare cuprinzătoare în scurt din cărşile împărăteţtilor pravile (1814), di Andronache Donici, uno dei grandi giureconsulti romeni; in quest'opera si sono utilizzati più i Basilici che la legislazione di Giustiniano, diverse novelle più recenti, ecc. (benché non ufficiale, l'opera di Donici ha avuto un'influenza considerevole in tutti e due i principati); la Legiuire di Caragea (1818), codice ufficiale della Muntenia, che ha come fonti: il diritto bizantino, il diritto consuetudinario e, sotto un certo aspetto, anche il codice napoleonico; il Codice di Calimah (1817), codice ufficiale della Moldavia; i suoi autori sono Flechtenmacher e Cuzanos; è ispirato specialmente dal codice austriaco del 1811, dal diritto greco-romano e comprende anche alcune norme consuetudinarie, ecc. Modificati più volte, i codici di Caragea e di Calimah sono rimasti in vigore fino alla promulgazione dell'attuale codice civile.
Alla storia del diritto appartengono ugualmente: la Condica criminală a Moldovei (1828) sotto Giovanni Sandu Sturdza; la Condica criminalicească (1850) sotto Barbu Ştirbei, in Muntenia, tradotta in gran parte dai codici francesi; il Regolamento organico (1832), specie di legge costituzionale imposta dai Russi; essa comprende in germe tutti i principî del diritto moderno.
Diritto odierno. - Diritto civile. - Il codice civile romeno è in vigore dal 1865. Doveva avere come base il progetto del ministro italiano Pisanelli; tuttavia si è utilizzato il codice civile francese, seconda edizione del 1807, con le modificazioni ulteriori. La maggior parte dei testi è tradotta dai corrispondenti testi francesi. Esistono, però, anche differenze, alcune delle quali molto importanti, tra i due codici. Da un lato sono state eliminate molte istituzioni comprese nel codice francese, come per esempio: la morte civile, le sostituzioni fedecommissarie, il regime della conversione dei beni tra coniugi (il regime legale, in mancanza di convenzione, è la separazione dei beni; la dote mobiliare è alienabile), la separazione personale (che non è stata mai conosciuta in Romania, ove il divorzio è stato sempre ammesso), la condizione di vitalità del bambino, la superficie e l'enfiteusi, la rescissione della divisione a causa di lesione, ecc. D'altra parte, sono state aggiunte o cambiate varie norme. Alcune sono state attinte al vecchio diritto romeno: l'ammissione di alcuni impedimenti matrimoniali risultanti da parentela spirituale, dalla tutela e dalla curatela; la trasformazione della caparra in vera e propria clausola penale; il quarto vedovile della donna povera (nov. 53 e 117 passate poi nel vecchio diritto romeno), ecc. Alcune modificazioni sono ispirate dal progetto italiano: il cambiamento nell'ordinamento sistematico della materia delle obbligazioni; il miglioramento di alcune definizioni (contratti, quasi contratti, delitti, quasi delitti); la responsabilità solidale dei coautori di un reato, ecc. Il regime dei privilegì mobiliari è imitato dalla legge belga del 1851. Altri cambiamenti, infine, specialmente in materia di prescrizione, sono stati derivati dal Marcadé. Sono, invece, più importanti le modificazioni introdotte dalla promulgazione del codice fino a oggi, con numerose leggi, tra cui ci limitiamo a citare le seguenti: legge del 1904 (modificata nel 1913) sulle concessioni petrolifere, consacrante il principio della proprietà apparente; legge del 1906 relativa al matrimonio, al divorzio, alla paternità, alla figliazione, alla legittimazione, all'adozione; decreto legge del 1918 e legge del 1921, con le quali si è realizzata la grande riforma agraria, con importanti ripercussioni in materia di contratti speciali e di successione; legge del 1921, che riduce il diritto di successione ab intestato in linea collaterale; legge del 1924 sulle persone giuridiche senza scopo patrimoniale; legge del 1928 sugli atti dello stato civile; legge del 1924 sui contratti di lavoro; legge del 1931 contro l'usura; legge del 1934 sulla conversione dei debiti, ecc.
Procedura civile. - Il codice di procedura civile è in vigore dal 1865. Esso è ispirato in gran parte al codice francese di procedura civile, alla legge francese del 1855 sulle trascrizioni, alla legge belga del 1851 sulle ipoteche e al codice ginevrino del 1819. Ha subito numerose modificazioni, tra le quali le più importanti sono state fatte con la legge del 1900 e con quella del 1925 (modificata nel 1929) per accelerare i processi. Citiamo i seguenti principî fondamentali: la proibizione di creare tribunali straordinarî; l'uguaglianza, dinnanzi alla giustizia, tra Romeni e stranieri; il principio dei due gradi di giurisdizione: prima istanza e istanza d'appello (il ricorso in cassazione è di ordine costituzionale; la corte di cassazione non giudica in fatto ma esamina solamente se i giudici del merito abbiano applicato esattamente la legge; essa non forma dunque un terzo grado di giurisdizione). Il processo è pubblico, orale, col contraddittorio delle parti.
Diritto commerciale. - Il codice di commercio attualmente in vigore data dal 1887. Esso ha sostituito un vecchio codice, tradotto dal codice commerciale francese del 1807. La guida principale del legislatore del 1887 è stato il codice commerciale italiano del 1883. Le fonti secondarie sono il codice commerciale francese, la legge belga del 1872 sul pegno e la commissione, la legge tedesca del 1848 sulla cambiale, il codice commerciale tedesco del 1869, ecc. Il regime giuridico del commercio romeno è completato da numerose leggi (di cui alcune anteriori al codice): sui marchî di fabbrica, sui magazzini generali e i docks, sui titoli al portatore smarriti, distrutti o rubati, sul commercio ambulante, sulle camere di industria e commercio, sulle borse commerciali, sul registro di commercio, sulla proprietà industriale (brevetti d'invenzione), sulla cooperazione, sul concordato preventivo, ecc. Il codice stesso è stato modificato più volte, nel 1895 riguardo al fallimento, nel 1906 relativamente al contratto di lavoro, ecc. Aderendo alla convenzione di Ginevra, la Romania ha promulgato la legge sulla cambiale e i biglietti all'ordine e la legge sullo chèque, ambedue del 1934.
Diritto e procedura penale. - I rispettivi codici datano dal 1865. Il codice penale è ispirato specialmente al codice penale francese del 1810 e alle successive sue modificazioni. Altre disposizioni sono prese dal codice penale prussiano del 1851. Ha subito modificazioni importanti nel 1874, quando sono stati, tra l'altro, aumentati il minimo e il massimo del carcere e dell'ammenda correzionale. Altre modificazioni meno importanti, generalmente sempre riguardo al fine correzionale, sono state apportate ulteriormente. La pena di morte non esiste in Romania se non in tempo di guerra in conformità alla legge penale militare. Il codice di procedura penale è stato elaborato secondo il codice francese di istruzione criminale del 1808. È stato modificato più volte con le leggi sulla libertà individuale, sull'istruzione e il giudizio in caso di flagranza di reato e, dopo la guerra mondiale, con le leggi sul vagabondaggio e l'accattonaggio, sull'aumento delle ammende, contro la speculazione illecita sulla repressione di alcuni reati contro la quiete pubblica, sul porto e la vendita delle armi, sulla regolamentazione del consumo degli stupefacenti, sull'organizzazione delle carceri e degl'istituti di prevenzione e con parecchie altre leggi.
L'unificazione legislativa. - Con l'annessione al vecchio regno delle provincie che fino alla guerra mondiale erano incorporate negl'imperi d'Austria-Ungheria e Russia, tre specie di legislazioni differenti sono entrate in vigore accanto ai codici romeni. L'unificazione parziale è stata adottata con le leggi promulgate dopo la guerra e con l'introduzione dei codici romeni in Bessarabia. I lavori delle diverse commissioni in vista della generale unificazione sono cominciati dopo l'unificazione nazionale. Nel 1925, con l'istituzione del consiglio legislativo, questo compito è passato al nuovo organo. La maggior parte dei progetti sono terminati e sono stati sottoposti alle deliberazioni del parlamento.
Bibl.: D. Alexandresco, Droit ancien et moderne de la Roumanie. Étude de législation comparée, Parigi-Bruxelles-L'Aia-Berlino, s. d.; I. Peretz, Précis de Istoria Dreptului Român, Bucaerst 1931. Inoltre: T. Ionacos, La famille et la propriété (Éléments de droit civil); V. V. Pella, Les infractions pénales: leur répression; leur réparation (Éléments de droit pénal et de procédure pénale); J. Cohen, Les relations d'affaires (Éléments de droit pénal et de procédure pénale); J. Cohen, Les relations d'affaires (Éléments de droit commercial); Al. Costin, Les procès entre particuliers (Éléments de procédure civile et comemrciale). Queste quattro opere sono pubblicate nel volume, La Roumanie, della collezione La vie juridique des peuples, Parigi 1933.