Vedi Romania dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
I territori dell’odierna Romania comprendono le storiche regioni della Valacchia e della Transilvania. La Valacchia ottenne l’indipendenza dall’Impero ottomano nel 1878, mentre solo in seguito alle guerre balcaniche e alla Prima guerra mondiale la Romania raggiunse una dimensione paragonabile a quella odierna, con l’annessione della Transilvania a ovest, della Bessarabia e della Bucovina a nord-est e della Dobrugia a sud-est. Gli ultimi tre territori furono ceduti al termine della Seconda guerra mondiale, rispettivamente all’Unione Sovietica (Bessarabia e Bucovina) e alla Bulgaria (Dobrugia). Attualmente, la Bessarabia è incorporata nel territorio della Moldavia, mentre la Bucovina è condivisa tra Romania e Ucraina. Con altri paesi dell’Europa centro-orientale la Romania condivide la passata appartenenza al Patto di Varsavia e più in generale al sistema di influenza sovietico durante gli anni della Guerra fredda. Tra il 1965 e il 1989 il paese fu governato da Nicolae Ceauşescu, che instaurò uno dei regimi più repressivi tra quelli vigenti nei paesi satelliti di Mosca, centralizzando il potere nelle mani della propria famiglia fino a quando non fu deposto e giustiziato nel dicembre del 1989. Nel contesto internazionale successivo alla fine dell’era bipolare, la Romania si è progressivamente inserita nelle dinamiche politiche euro-atlantiche ed è diventata membro della Nato nel 2004. Tre anni più tardi ha fatto il suo ingresso, assieme alla Bulgaria, nell’Unione Europea (Eu). La Romania è tra i più grandi paesi dell’Europa centro-orientale per estensione territoriale e popolazione, dopo l’ingresso nell’Eu e nella Nato: i suoi confini costituiscono una parte delle frontiere orientali delle due organizzazioni e ne fanno un importante attore strategico tanto per Bruxelles quanto per l’Alleanza atlantica. Bucarest intrattiene ottimi rapporti con buona parte dei paesi confinanti, benché resti irrisolta una disputa territoriale con l’Ucraina su alcuni territori in corrispondenza della foce del Danubio, nel Mar Nero. Si tratta di un’area geopolitica fondamentale per la politica estera rumena: lo sbocco al mare è importante sia per le relazioni commerciali di Bucarest, sia per la possibile costruzione di infrastrutture energetiche che da est si dirigano verso l’Europa occidentale. La Romania è tra i fondatori dell’Organizzazione della cooperazione economica del Mar Nero (Bsec): inaugurata nel giugno 1992, ha l’obiettivo di incoraggiare relazioni amichevoli e di buon vicinato tra i paesi rivieraschi. L’importanza dell’area è stata riconosciuta anche dall’Unione Europea, che dal 2008 ha inaugurato la Sinergia del Mar Nero. Per ciò che riguarda i paesi vicini non membri Eu, particolarmente amichevoli sono le relazioni con la Serbia: per questo Bucarest ha optato per il non riconoscimento del Kosovo.
Più difficoltosi, invece, restano i rapporti con la Russia, soprattutto dopo l’adesione rumena alla Nato e la concessione di alcune basi aeree e navali agli Usa, usate da Washington e dalla Nato per esercitazioni militari nel Mar Nero, a seguito dell’escalation di tensioni in Ucraina. A questo scenario già complesso bisogna aggiungere la partecipazione di Bucarest alle sanzioni europee contro la Russia, per ora limitatamente ai soli settori del petrolio e derivati, delle banche, delle tecnologie dual use e della difesa. Tutti questi elementi, interpretati da Mosca come una minaccia immediata sia per i propri confini sia per i propri interessi nella regione, hanno portato a un rafforzamento delle relazioni euro-atlantiche di Bucarest e nello specifico del suo peso all’interno della Nato.
Data la sua importanza geostrategica e la sua posizione in funzione anti-russa su alcuni capitoli di politica estera regionale – tra tutti, la competizione tra i paesi rivieraschi del Mar Nero, lo status della Moldavia e la Transnistria, e contese confinarie con l’Ucraina –, la Romania è uno dei paesi più vulnerabili (dopo gli stati baltici e la Polonia) alla possibilità di un inasprimento delle relazioni e delle tensioni con la Russia.
Sul piano interno, la Romania è una repubblica semipresidenziale, con le funzioni legislative concentrate in un parlamento bicamerale, i cui membri sono eletti a suffragio universale ogni quattro anni. Anche il presidente è eletto direttamente dal popolo e rimane in carica per cinque anni, con il vincolo di poter esercitare al massimo due mandati. Nel 2008 il governo ha approvato una nuova legge elettorale che, per la prima volta, ha introdotto il sistema uninominale con una soglia di sbarramento in parlamento fissata al 5%. Dalla caduta del regime di Ceauşescu, il paese ha continuato a essere governato da politici che già facevano parte della nomenclatura del periodo comunista. Gran parte di loro fanno parte del Partito socialdemocratico (Psd), che ha avuto ripetutamente le redini del governo dal 1990 a oggi. Negli ultimi anni il paese è andato incontro a numerose crisi di governo, l’ultima delle quali nel febbraio 2014, subito rientrata con un rimpasto nell’esecutivo.
Le elezioni del dicembre 2012, che hanno sancito la larga vittoria (60% circa dei consensi) dell’Unione social-liberale, l’alleanza elettorale tra il Psd del premier Victor Ponta, il Partito nazionale liberale di Crin Antonescu e il Partito conservatore di Daniel Constantin, hanno posto termine a un periodo di particolare instabilità politica. Nonostante l’alleanza, però, l’estrema eterogeneità dei partiti della maggioranza ha posto il governo in una condizione di estrema precarietà. Il 2012 è stato comunque l’anno più turbolento e ha registrato, nell’ordine: le dimissioni del premier liberal.democratico Emil Boc, in carica dal 2008, a seguito delle massicce proteste sociali contro le severe misure di austerità anti.crisi varate dal suo esecutivo (gennaio 2012); un governo ad interim nelle mani del capo dell’intelligence rumena Mihai Răzvan Ungureanu (tra febbraio e maggio 2012); il successivo affidamento del governo all’allora leader dell’opposizione Ponta nell’ultimo semestre prima del voto, caratterizzato da una fortissima contrapposizione tra il primo ministro e il presidente della repubblica Traian Băsescu (maggio-novembre 2012); la contrapposizione è sfociata infine, nel mese di luglio, in un referendum, poi annullato per il mancato raggiungimento del quorum, per la destituzione di Băsescu, storico leader dello schieramento di centro-destra rumeno, al suo secondo mandato presidenziale. Le tensioni tra il presidente e il primo ministro costituiscono un’altra fonte di instabilità che hanno caratterizzato tutto il mandato di Băsescu e di Ponta. L’elezione a presidente della Repubblica di Klaus Werner Iohannis nel novembre 2014 dovrebbe garantire un nuovo corso nelle relazioni tra le istituzioni.
La Romania è il secondo paese per abitanti in Europa centro-orientale dopo la Polonia, sebbene tra il 1995 e il 2005 si sia registrato un calo demografico di circa due milioni di persone a causa tanto dell’emigrazione, quanto del calo delle nascite. A oggi si stima che circa due milioni di rumeni risiedano all’estero: tuttavia molti non si sono trasferiti in modo permanente e dunque vige una sostanziale incertezza su quanti potrebbero rientrare in patria.
Nell’ultimo decennio la Romania ha avviato una fase di trasformazione socio-culturale che sta colmando lentamente il divario che la separa dagli stati dell’Europa occidentale. La Romania è uno stato molto omogeneo dal punto di vista etnico: l’89% della popolazione è di etnia rumena; si distingue inoltre dagli altri stati della regione poiché la sua lingua discende principalmente dal latino, da cui deriva quasi il 90% del vocabolario rumeno.
Nel paese sono presenti diverse minoranze etniche, seppur di esigue dimensioni, rappresentate in parlamento, per legge, da almeno un esponente. La più consistente è quella ungherese, che risiede nella zona centrale del paese e costituisce il 6,6% della popolazione seguita dai rom che rappresentano il 2,5%. Sotto il profilo etnico, il paese ha vissuto una profonda trasformazione, coincisa con lo spartiacque della Seconda guerra mondiale: prima dello scoppio del conflitto, le minoranze etniche costituivano quasi un terzo della popolazione totale, ma le perdite territoriali che seguirono la guerra, il ritorno in patria dei tedeschi e il trasferimento dei sopravvissuti ebrei nel nascente stato d’Israele comportarono una drastica riduzione delle differenze etniche.
A eccezione della capitale, Bucarest, che conta quasi due milioni di abitanti, in Romania vi sono solo una dozzina di città di medie dimensioni (tra i 160.000 e i 310.00 abitanti), caratteristica che rende il paese il secondo stato meno urbanizzato all’interno dell’Eu.
Tra le aree urbane e le campagne corrono poi molteplici differenze, per esempio per quanto riguarda il sistema educativo: nelle aree rurali il livello degli insegnanti è mediamente inferiore e l’istruzione è dunque meno incisiva rispetto alle città, dove si percepisce maggiormente il riflesso dell’integrazione europea, specie nelle università che sono sempre più connesse con gli atenei dell’Europa occidentale. Negli scorsi anni si è inoltre assistito allo sviluppo di istituti privati, che oggi accolgono circa un terzo degli studenti in età da college. La corruzione resta uno dei maggiori problemi della Romania, tra i paesi più afflitti dal problema nell’Eu: l’ingresso nell’Unione non ha rappresentato un’inversione di tendenza. Questo fattore, unito alla mancata riforma del sistema giudiziario, frena ancora l’ingresso del paese nel gruppo di Schengen.
Dopo la caduta del regime comunista, la Romania ha vissuto una fase di transizione caratterizzata da una forte recessione economica, cui sono seguite una fase di crescita a metà degli anni Novanta e una nuova crisi a fine decennio. Dal 2001, invece, l’economia rumena è cresciuta costantemente a una media annuale del 6,3%, salvo poi crollare del 9% nel 2009 in conseguenza della crisi economica internazionale. Nel biennio 2011-12, infine, la crescita è ripartita, seppur a ritmi molto più contenuti rispetto al 2008-09. Allo stesso tempo, i tentativi di riforma del governo – a partire dalle privatizzazioni nel settore pubblico e dalla riorganizzazione dell’apparato amministrativo dello stato – e l’impegno nel riordinare i conti pubblici hanno suscitato vivaci proteste politiche.
Ad alimentare le tensioni sono, da un lato, le trattative per la concessione condizionata di aiuti internazionali, come i circa 2 miliardi di euro erogati dall’Eu in progetti infrastrutturali e aiuti per l’agricoltura e lo Stand-By Agreement da 1,75 miliardi di dollari del Fondo monetario internazionale, in cambio dei quali sono state richieste alle autorità locali l’applicazione di rigide misure di austerity, quali il taglio del 5% delle retribuzioni dei dipendenti del pubblico impiego. Dall’altro, il pesante fardello del deficit di bilancio e i contrasti in seno all’esecutivo e alle istituzioni contrarie a sottoscrivere un accordo precauzionale, a suo dire, svantaggioso, che costringerebbe il governo a imporre un aumento delle tasse. Ciononostante, l’economia è cresciuta del 2% nel 2013 e del 2,4% nel 2014.
Durante l’epoca comunista l’economia era dominata dall’industria pesante e dall’agricoltura, mentre il terziario, fino al 1990, non superava il 25% del pil. Oggi invece il settore rappresenta la metà del prodotto interno lordo rumeno.
Oltre al ridimensionamento dell’industria si è assistito a un incremento della produzione a più elevato contenuto tecnologico, favorito dall’afflusso di capitali e know-how da imprese estere, attratte dai bassi costi della forza lavoro rumena. Nei primi anni del Ventunesimo secolo il governo ha attuato una più decisa politica di privatizzazioni, imposta peraltro dal percorso di avvicinamento alle strutture dell’Eu. Ancora oggi, tuttavia, il settore pubblico resta di dimensioni rilevanti rispetto agli altri stati comunitari e, stando alla classifica Doing Business stilata dalla Banca mondiale, la Romania ha un sistema economico meno attraente per gli investimenti esteri rispetto alla gran parte delle altre economie di recente ingresso nell’Eu. Parallelamente allo sviluppo economico e alla conseguente crescita dei consumi, la bilancia commerciale rumena si è andata progressivamente deteriorando, benché le rimesse inviate in patria dagli emigrati permettano di bilanciare il saldo commerciale.
Un settore che avrebbe un potenziale elevato ma che al momento rappresenta solo una minima parte del pil è il turismo, che negli ultimi anni ha visto aumentare gli investimenti in progetti che puntano a valorizzare la grande varietà paesaggistica.
Sotto il profilo energetico, la Romania ha sfruttato da sempre la sua ricchezza di petrolio: prima della Seconda guerra mondiale, quando dai suoi pozzi attingeva la Germania per sostenere i propri sforzi bellici, era il secondo paese per riserve in Europa, il settimo alivello globale. Sotto Ceauşescu, tuttavia, gran parte delle riserve di idrocarburi è stata consumata e oggi il paese è importatore netto di petrolio e di gas. La maggior parte di queste importazioni proviene dalla Russia: una dipendenza che incentiva Bucarest a guardare di buon occhio a quei progetti infrastrutturali che, collegandola ai giacimenti del Mar Caspio e del Vicino Oriente, ne modificherebbero la rete di approvvigionamenti energetici. A causa della continua erosione delle riserve di idrocarburi, l’unica risorsa energetica sulla quale la Romania potrà contare nel lungo periodo è il carbone, di cui si stima detenga 4,1 miliardi di tonnellate e che attualmente rappresenta la terza voce nel mix energetico nazionale (22,5%).
In materia ambientale, l’Eu ha più volte criticato il governo per l’elevato tasso di emissioni, l’inquinamento delle acque e la cattiva gestione dei rifiuti. Malgrado ciò, il livello di emissioni pro capite della Romania è inferiore a quello registrato in molti stati europei, tra cui Germania, Regno Unito, Francia, Italia e paesi scandinavi.
L’elemento più rilevante della politica di sicurezza e di difesa rumena negli ultimi anni è stato l’ingresso nella Nato nel 2004 e il rafforzamento delle relazioni in seno all’Alleanza atlantica nel 2014 a seguito dell’aggravarsi delle tensioni nella crisi in Ucraina. Tale fattore ha contribuito a rafforzare le relazioni tra Bucarest e gli Usa e ha offerto alla Romania un posto ben definito nell’ambito dei nuovi equilibri internazionali. Il paese ospita una base militare statunitense, la Mihail Kogălniceanu, a nord della città portuale di Costanza, sul Mar Nero. La Romania, che ha lanciato un programma di ammodernamento delle proprie forze armate, è un importante alleato statunitense anche a livello globale: ha partecipato alle operazioni in Iraq, fino alla loro conclusione, e a quelle in Afghanistan, dove ancora oggi schiera uno dei contingenti più numerosi della missione Isaf (1077 soldati). Inoltre, la prospettiva di stabilizzazione regionale e quella di contenimento dell’influenza russa hanno reso Bucarest favorevole all’allargamento verso est della Nato
La Sinergia del Mar Nero è un’iniziativa avviata nel febbraio del 2008 a seguito di un incontro a Kiev tra i ministri degli esteri dell’Eu e quelli dei paesi che si affacciano sul Mar Nero. Un’iniziativa che ha visto protagonista soprattutto la Romania, all’epoca appena ammessa nell’Eu, e l’Ucraina. La Sinergia del Mar Nero si inscrive nel quadro della Politica di vicinato (Enp) dell’Unione Europea, con lo specifico scopo di ampliare la cooperazione tra i paesi che si affacciano sul Mar Nero e tra questi ultimi e l’Eu. In tal modo la Enp, che si concentra sui singoli paesi, è stata completata da una dimensione regionale anche per l’area del Mar Nero. Obiettivi dichiarati dell’iniziativa sono stimolare la crescita economica, sostenere la stabilità regionale, facilitare progetti pratici in aree di interesse comune e incoraggiare la risoluzione pacifica dei conflitti nella regione. La Sinergia individua specifiche partnership per il conseguimento dei suoi obiettivi, concentrandosi nei settori dei trasporti, dell’energia e dell’ambiente. Nei prossimi anni, la Sinergia potrebbe essere ampliata agli ambiti dell’istruzione superiore, della salute pubblica e delle attività di contrasto al crimine organizzato. Allo stato attuale l’Eu ha anche predisposto un programma di cooperazione transfrontaliero, destinato ai governi dei paesi europei che si affacciano sul Mar Nero (Romania e Bulgaria). Nel biennio 2009-2010 la Sinergia ha subito un’apparente battuta d’arresto, soprattutto per la mancanza di fondi, destinati invece alle partnership bilaterali. Passi in avanti sono tuttavia stati compiuti nella cooperazione in alcune aree e per progetti specifici. Nel marzo 2010 l’Eu ha lanciato la partnership ambientale collegata alla Sinergia, per una battaglia condivisa contro l’inquinamento dei fondali e delle coste del Mar Nero.
I rom, spesso impropriamente definiti con gli eteronimi ‘zingari’ e ‘nomadi’, sono altrettanto spesso associati alla Romania. Si stima che solo il 30% sia nomade, mentre la maggior parte dei 12 milioni di rom sparsi per il mondo (dato ufficiale che, considerate le difficoltà riscontrate nei censimenti dei vari paesi, rappresenta verosimilmente una sottostima) risiede nel paese di destinazione. Inoltre l’assonanza rom-Romania è puramente casuale poiché l’origine del termine è ignota: secondo alcuni studiosi deriva dall’etnia dom della regione nord-occidentale dell’India. In più, per tutto il primo millennio d.C., non è stata riscontrata la presenza di popolazioni rom nel territorio corrispondente all’attuale Romania. Nel corso dei primi secoli del secondo millennio pare che i rom si siano spostati dall’India sempre più verso ovest, fino a espandersi in tutto il continente europeo, ma fermandosi in particolare nei ricchi principati di Valacchia, Moldavia e Transilvania. Quella dei rom è stata una storia di mancata assimilazione, discriminazione e povertà che li ha visti emarginati e cacciati dai vari stati in cui tentavano di insediarsi. In particolare, con l’affermazione dello stato-nazione, lo spazio per un’etnia in parte nomade e in parte sedentaria, ma comunque estranea alle logiche nazionalistiche, si è andata progressivamente riducendo. Le violenze si sono così estese fino a giungere al tentativo di sterminio perpetuato dalla Germania nazista. Tra i rom non si è mai sviluppato un senso di appartenenza comune, benché nel 1971 si sia tenuto il primo congresso dell’Unione internazionale dei rom a Londra. Questo organismo gode del ‘Consultative Status’ presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite in base all’articolo 71 della Carta ma è ben lungi dall’aver conseguito quella riunificazione per il quale fu costituito, in quanto i rom continuano a vivere sparsi tra i vari continenti.
Nonostante la dispersione, lo stato che a oggi annovera il maggior numero di rom è proprio la Romania, erede del territorio un tempo controllato dai principati danubiani. Grazie alla presenza secolare, la popolazione rom qui ha gettato radici più che altrove: per esempio parla quasi solo rumeno e non conosce l’idioma romanì. Stando ai dati ufficiali, in Romania, i rom costituiscono il 2,5% della popolazione, ma si stima che possano raggiungere i due milioni (ovvero quasi il 10%) e che non dichiarino la propria origine etnica per evitare discriminazioni. Considerando i rilevanti problemi di relazione con la comunità rom, nel 2001 il governo di Bucarest ha varato una strategia nazionale per migliorarne le condizioni di vita, incrementandone la scolarizzazione, la comprensione della lingua rumena e in generale l’integrazione sociale: un tentativo che tuttavia non ha avuto esito positivo.
Sul piano politico quella rom resta l’unica minoranza etnica sottorappresentata nel paese, avendo un peso nelle istituzioni pari allo 0,36%, ovvero una rilevanza analoga alle minoranze etniche quasi dieci volte inferiori in termini numerici. Con la fine della Guerra fredda prima e l’ingresso nell’Eu poi, la minoranza rom ha iniziato ad abbandonare il paese in direzione degli stati dell’Europa occidentale in modo sempre più consistente. Ciò sta costituendo un elemento di frizione tra Bucarest e altre capitali europee, che negli scorsi anni hanno proceduto al rimpatrio di migliaia di rom.