ROMANINO
. Girolamo da Romano, detto il R., pittore bresciano, nacque tra il 1484 e il 1487; operava ancora nel 1562. Pur non apparendo necessaria la derivazione di Girolamo dal Ferramola, o da Stefano Rizzi, è certo che un forte sedimento locale si nota nelle sue prime opere. Nella Pietà delle Gallerie di Venezia, datata 1510, proveniente da S. Lorenzo di Brescia, e nella pala di S. Rocco ivi, c'è qualcosa della solennità un po' massiccia di Andrea Solario; cioè di lombardo già intinto di veneto. Ma la crisi determinante dello stile tipico del notevolissimo caposcuola avvenne a Padova. Più esuberante del concittadino Savoldo, che mirava a Giorgione, egli guarda massimamente a Tiziano, quale gli appare nelle splendide primizie della scuola del Santo. È la pittura opulenta, sana, eloquente, propria del ciclo padovano e dell'Adultera di Glasgow, talvolta infatti assegnata al R. stesso, che trionfa nella solenne pala per Santa Giustina, affidatagli il 30 aprile 1513, insieme con una Cena di molto minore interesse; entrambe ora nel museo di Padova. Pala meno solida e fantasiosa delle opere del Vecellio, e serrata entro un'architettura lombardesca, ma che rivaleggia degnamente con esse per la grandiosità, e massime per il fuoco del colore.
Ne è una variante alquanto ridotta quella nel coro di S. Francesco di Brescia, dove domina l'intonazione argentina, quasi lunare, tanto caratteristica poi del Moretto, disceso appunto da questo momento del maestro, come provano le ante per il duomo, ora a Lovere, appunto quali opere del Bonvicino e del Ferramola documentate dal Fenaroli, e da non confondere con quelle proprie di Girolamo, in Duomo Vecchio, a Brescia, eseguite nel 1539, certa lunetta, con l'Incoronazione della Vergine in S. Giovanni Evangelista, l'Adorazione della Croce da parte dei Ss. Faustino e Giovita della pinacoteca Martinengo, e la Madonna del Carmelo delle Gallerie di Venezia, che hanno fatto fantasticare di Alessandro Romani fratello di Girolamo, di cui sappiamo appena che fu pittore. E vanno anche ben distinti dal maestro, sebbene talvolta lo plagino, il padovano Girolamo del Santo, ad es., nella pala datata 1521 del museo di Padova, e Marcello Fogolino, nello stesso periodo trentino sempre ben distinto per la mistione degli elementi montagneschi, chiari nell'affresco del cortile interno nel castello del Buonconsiglio e più nel ciclo già a Ghedi, oggi nel museo di Budapest; e soprattutto Callisto Piazza da Lodi, il quale dovette talvolta collaborare col R., specialmente in Val Camonica.
La pittura di Girolamo, sempre un po' zeppa, pigramente schiacciata e aggomitolata, sarebbe fluita nella sua quieta ricchezza fiabesca se non fosse venuto a turbarla il Pordenone, successogli per le pitture del palazzo Ceresara a Mantova e nel duomo di Cremona. Preso dalle sue intenzioni monumentali e dalla sua agitazione, egli ficca talvolta giganti fuori posto, come su per le strette scale del castello del Buonconsiglio a Trento, nell'abside di S. Francesco di Brescia e specialmente nel soffitto di S. Maria della Neve a Pisogne. Ma qui però (1534 circa) ha talvolta, e così sulle pareti, tutte dipinte da lui, forza di modellazione; come ha poi solitamente stupende effusioni coloristiche, nel cortile principale del castello di Trento, e dovunque nelle sue opere migliori: a S. Maria in Calchera, nei complessi di S. Giovanni Evangelista e del museo di Brescia, nel duomo di Asola, di Cremona (1519-20), ecc., e giorgionesca poesia nei ritratti di Budapest, di Bergamo, di Buckingham Palace a Londra e in certe freschissime pitture per cassoni del museo di Padova con storie di Adone e di Mirra.
Vissuto sino al 1562 almeno, e, per questo suo cordiale e abbondante dipingere, affine per certi lati al Dosso e al Palma, egli è il maestro più efficace della scuola bresciana, non solo per via del Moretto, ma anche del Muziano e di Lattanzio Gambara. Fuori della sua città poi l'influenza del R. appare capitale per Giulio Campi, per il Fogolino, per Giovanni e Bernardino da Asola, per la scuola padovana del Cinquecento, e persino per Francesco Vecellio, fratello di Tiziano. Ma appunto per questa sua larga influenza l'opera tanto studiata del maestro non sempre risulta nemmeno ora precisata nei suoi giusti confini. (V. tavv. XXIX e XXX).
Bibl.: G. Nicodemi, G. R., Brescia 1925; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IX, iii, Milano 1928, pp. 792-856; B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Oxford 1932; W. Suida, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVIII, Lipsia 1934 (con ampia bibl.).