Romanzo poliziesco
di Peppino Ortoleva
Romanzo poliziesco, detective story, romanzo giallo: le tre espressioni hanno origini differenti (l'ultima, usata esclusivamente in Italia, nasce dalla fortunata collana di libri da edicola lanciata da Mondadori nel 1929), ma sono usate in modo sostanzialmente indifferenziato. Sebbene a più riprese si sia tentato di precisare distinzioni o almeno sfumature tra di esse, risultano nei fatti intercambiabili o quasi.
Come è normale nella cultura di massa, il giallo è un genere magmatico e insieme riconoscibile, definito non tanto da un contenuto rigidamente selezionato, ancor meno da un sistema stabile di regole formali, quanto piuttosto da un'intesa tra i produttori e il pubblico. In altri termini, è 'giallo' quello che in una certa fase storica viene definito come tale dal sistema dei media (dall'editoria, con le sue collane e le sue copertine, dalle recensioni sulla stampa, dalla promozione cinematografica e televisiva) e che viene accolto come tale dal pubblico.Questa intesa per altro è il frutto di una sorta di continuo negoziato a distanza, per cui la definizione socialmente accettata di ciò che è o non è poliziesco ha continuato a modificarsi nel corso del tempo. A partire dagli anni trenta, per limitarci a un esempio, sono incluse nel genere poliziesco storie (i cosiddetti 'gialli d'azione') che forse in precedenza non vi sarebbero state accolte.
Eppure, come ha notato Roger Caillois (v., 1974), il poliziesco presenta alcune stabili delimitazioni sia nel contenuto sia nella formula narrativa, e si differenzia in questo dall'intrinseco carattere proteiforme e dalla mancanza di confini che per lo studioso francese (come per Bachtin) sono caratteristiche del romanzo in generale.
Sul piano dei contenuti esiste fra tutti i tipi di poliziesco un denominatore comune, seppure davvero minimo: tema essenziale (non sempre centrale, ma comunque imprescindibile) è l'individuazione del responsabile o dei responsabili di un atto criminoso. Generalmente il crimine è un omicidio, la suprema delle trasgressioni e il più drammatico degli atti che possono intercorrere fra due esseri umani, anche se esistono polizieschi che hanno per tema un crimine diverso, come il rapimento di un bambino o il furto. Anzi, secondo George Orwell (v., 1944) il prevalere dell'omicidio come nodo narrativo del poliziesco è il frutto di una precisa evoluzione, o meglio involuzione. Il processo che porta all'individuazione del responsabile è un tema portante del poliziesco che quindi, secondo Tzvetan Todorov (v., 1966) contiene di norma due storie: la prima è quella del delitto, la seconda quella della ricerca del colpevole. Generalmente solo la seconda è l'oggetto diretto della narrazione, mentre la ricostruzione della prima avviene per via indiretta. Quest'ultima non è però una regola rigida: in alcuni casi le due storie sono sovrapposte (è il caso, sempre secondo Todorov, del cosiddetto giallo 'd'azione'), in altri sono raccontate entrambe per esteso. È quanto avviene in uno dei 'classici' più antichi, Monsieur Lecoq di Émile Gaboriau (1869), dove alla prima parte che narra l'investigazione ne segue una seconda che ricostruisce l'antefatto.Al di là di questi elementi essenziali comuni - la centralità del delitto e la necessità della narrazione di un'indagine - il poliziesco è un genere assai mutevole: ambientato ormai nei luoghi e nei tempi più vari (anche per un processo che Mandel - v., 1989 - chiama di "diversificazione"), aperto a una grande varietà di stili letterari, presente, nonostante il duraturo predominio anglosassone, nelle letterature di tutto il mondo.
Sul romanzo poliziesco moltissimo è stato scritto: lo dimostrano le bibliografie esistenti. A interessarsi del genere sono stati e sono non solo, e forse non tanto, i critici letterari, quanto sociologi, antropologi, storici, studiosi di comunicazione, quasi l'intero universo delle scienze sociali. "La natura di questo genere letterario [è] abbastanza semplice; viceversa la sua ermeneutica risulta inesauribile; e questo già pone un quesito", commenta Guido Morpurgo-Tagliabue (v., 1986, p. 295).Tanta curiosità nei confronti di un genere della cultura 'bassa' non dovrebbe però sorprendere.
Tra il romanzo poliziesco e le scienze sociali esiste, infatti, una complessa rete di relazioni che non va letta a senso unico.Il poliziesco (includendo nel termine non solo il romanzo ma anche il film, il telefilm, e volendo anche i tanti giochi enigmistici che vi si ispirano) è sicuramente un genere tra i più popolari, se non il più popolare in assoluto, della cultura di massa. Il romanzo giallo, in particolare, vanta un primato di vendite rispetto a tutti gli altri tipi di 'paraletteratura'. Così, alla morte di Agatha Christie, nel 1976, si è calcolato che dei suoi romanzi e volumi di racconti fossero state vendute oltre 300 milioni di copie. E negli anni settanta ben 25 romanzi di Erle Stanley Gardner, il creatore di Perry Mason, figuravano, come documenta Kenneth Van Dover (v., 1984), tra i duecento romanzi più venduti di ogni tempo negli Stati Uniti. La popolarità stessa del genere ne fa inevitabilmente un oggetto di riflessione per i sociologi e per i critici della cultura (i praticanti di quelli che nel mondo anglosassone sono chiamati cultural studies), e anche per gli storici sociali, intenti da tempo con i loro diversi strumenti a individuare i nessi tra il consumo del poliziesco e le caratteristiche evolutive del capitalismo moderno.
Del resto John Carter (citato da Narcejac: v., 1975, p. 16) ha scritto che il poliziesco produce "un corpo di opere letterarie che i Taine [...] del futuro non potranno passare sotto silenzio".Il romanzo poliziesco propone al lettore, come è stato da più parti notato, un'avventura intellettuale.
Suo tema centrale è l'intreccio fra due modelli conoscitivi, l'uno scientifico, basato sulla ricostruzione delle catene causali, l'altro etico, basato sulla ricostruzione delle responsabilità. La dosatura dei due elementi è, come vedremo, molto variabile, in quanto in alcuni modelli di poliziesco (l'esempio più classico sono le storie di Sherlock Holmes) l'elemento etico viene volutamente tenuto ai margini, mentre in altri (un esempio notissimo è quello dei gialli 'cattolici' di Gilbert K. Chesterton) viene assunto come essenziale. Nell'insieme comunque alla base di questo genere vi è l'interrogativo sulla possibilità di ricostruire rigorosamente e credibilmente le connessioni causali all'interno delle relazioni tra gli esseri umani.
Da tempo (almeno dal libro di Régis Messac apparso nel 1929) ci si chiede che nesso vi sia tra l'indagine poliziesca e la cultura scientifica. Da un paio di decenni, inoltre, l'attenzione di diversi studiosi si è concentrata sulla possibilità di individuare nel poliziesco 'paradigmi' conoscitivi confrontabili con quelli delle ricerche storiche, semiotiche, sociologiche. Il poliziesco da questo punto di vista si presenta come una sorta di sfida epistemologica, sul terreno del metodo, che le comunicazioni di massa e il senso comune propongono alle scienze sociali.
D'altra parte e complementarmente il poliziesco invita sempre i suoi lettori a ricostruire, seguendo e spesso anticipando il lavoro dell'investigatore, una rete di rapporti sociali: all'interno di comunità chiuse - come nelle classiche storie alla Agatha Christie - o nell'universo labirintico e ambiguo della metropoli moderna come nella narrativa di Raymond Chandler, o anche in quella di Georges Simenon. Il consumo di poliziesco porta quindi il lettore a confrontarsi non solo con un possibile metodo di conoscenza (automaticamente, o più spesso illusionisticamente, definito come scientifico) ma anche con uno o più modelli di società.Si è fatto notare da molte parti che si tratta quasi sempre di letture estremamente semplicistiche del sociale: le motivazioni complesse dei comportamenti umani vengono ridotte alla casistica poverissima dei 'moventi', la dinamica delle classi è spesso assente o comunque assai stereotipata. Ma non è in questione qui la fedeltà al reale di questi modelli di società, che comunque sono frutto di operazioni di schematizzazione non più estreme di quelle effettuate, per esigenze interne al loro statuto scientifico, da alcune scienze sociali come l'economia.
È invece importante ricordare che il poliziesco si è presentato sempre, lungo il corso di tutta la sua storia, non solo come strumento di 'evasione', ma anche come repertorio di un verosimile sociale e relazionale, una sorta di grado zero di quel sapere sul sociale che è presente nella cultura diffusa.Per gli studiosi dell'uomo e della società, quindi, il poliziesco è non solo oggetto di indagine, ma stimolo e provocazione all'autoanalisi e alla riflessione critica sul proprio metodo, sui propri modelli, sulle relazioni fra il proprio lavoro e il senso comune. Nelle indagini su questo genere, in particolare nelle più pensose e feconde, i diversi motivi di interesse che abbiamo richiamato sono in realtà inscindibili. È solo per chiarezza espositiva che li abbiamo distinti e ancora li distingueremo.
Se è vero che il poliziesco è un genere più vincolato del romanzo in generale, ma comunque con ogni evidenza mutevole e vario, un problema preliminare è la possibilità di trovare un ordine in questa varietà.
Il modo forse prevalente di affrontare il problema è ricostruire l'evoluzione storica del romanzo poliziesco: in effetti sulla storia del giallo si è sviluppata negli ultimi trent'anni un'abbondante letteratura, spesso di pura divulgazione ma in alcuni casi con fondamenti scientifici. È diffusa la tesi, espressa in termini programmatici dai celebri giallisti Pierre Boileau e Thomas Narcejac (v., 1964), secondo cui il genere poliziesco non si divide in specie, ma presenta varie forme storicamente diverse. In quest'ottica si dovrebbe parlare di una successione di modelli differenti, e compito dello studioso sarebbe quello di ricostruire il sistema di relazioni tra i diversi modelli di indagine e di racconto, da un lato, e i mutamenti culturali e sociali dall'altro. Un compito affrontato con particolare determinazione in alcuni tentativi di storia sociale del poliziesco, ad esempio quello di Ernest Mandel (v., 1989).
Una posizione nettamente diversa è quella assunta, in diretta polemica con i due giallisti francesi, da Todorov (v., 1966), secondo il quale, a partire dalla già ricordata individuazione della regola formale del poliziesco (la doppia storia), è possibile enucleare diversi tipi sulla base di una classificazione logica, non storica. La riduzione della tipologia alla cronologia è a suo avviso il frutto di un programmatico rifiuto dell'idea di genere e dello studio formale nelle ricerche sulla cultura di massa. Enucleare sottogeneri all'interno dei generi e definire le basi formali della distinzione è invece per Todorov uno strumento di conoscenza irrinunciabile: l'analisi della tipologia deve prevalere sulla ricostruzione delle dinamiche.La polemica può sembrare ormai superata. È indubbio però che l'osservazione dello studioso bulgaro-francese contiene un importante elemento di verità. È vero che alcuni modelli di poliziesco sono nati successivamente ad altri (è il caso come vedremo del cosiddetto hard boiled, apparso negli anni trenta), ma il risultato non è stata una sostituzione, semmai una diversificazione. E in ogni caso, i lettori di polizieschi sono abituati a riconoscere varie categorie all'interno del genere, e a orientare anche su questa base le loro scelte di lettura. Si può aggiungere che alcune linee di distinzione attraversano l'intera storia del poliziesco: ad esempio, contrariamente a quanti molti pensano, la parodia e il pastiche su cui si impernia oggi un diffuso sottogenere risalgono (come ha dimostrato Melling: v., 1996) alle origini del romanzo poliziesco e hanno sempre costituito un filone minore ma non irrilevante.
Ciò però non toglie che il genere presenti una riconoscibile dinamica evolutiva, una successione non rigida ma evidente di modelli portanti, che vale la pena di ricostruire e di porre alla base dell'analisi.
Secondo Haycraft (v., 1941) esistono due posizioni sulle origini del poliziesco: una le fa risalire agli albori della letteratura occidentale, l'altra all'opera di Edgar Allan Poe. In realtà, più che di posizioni diverse bisognerebbe parlare di una differenza di punti di vista. Coloro che cercano le origini del poliziesco nella tradizione letteraria premoderna sono generalmente mossi da un'esigenza non tanto di studio quanto di legittimità: è la ricerca che potremmo definire araldica di una genealogia illustre per un soggetto di dubbia fama.L'attribuzione a Poe del ruolo di padre fondatore nasce in parte per reazione ed è sicuramente motivata, come vedremo, dalla sorprendente capacità di anticipazione di questo autore. Ma comporta un rischio: quello di presentare un poliziesco come parto della mente di un sol uomo, rinunciando a cogliere la complessa dinamica di convergenze e differenziazioni che ne ha accompagnato la gestazione tra la metà del Settecento (pensiamo ai numerosi testi, tra cui le opere di Defoe e di Fielding, sulla figura del criminale-poliziotto Jonathan Wilde) e la fine dell'Ottocento: solo allora, infatti, a parte le anticipazioni di Poe, si può parlare davvero di un genere poliziesco a pieno titolo.
Tra l'altro, solo prestando un'attenzione maggiore alla preistoria del poliziesco è possibile fare luce sulla vexata quaestio dei rapporti tra questo genere e quello, per alcuni versi opposto ma da sempre connesso, del fantastico orrorifico: come spesso avviene nella storia della cultura (pensiamo ai rapporti tra documentario e fiction cinematografica), i due generi nascono anche per reciproca diversificazione, ed è proprio questo che determina una sorta di incessante polarizzazione tra di essi.In omaggio alla tradizione consolidata, vale comunque la pena di riprendere in esame il contributo di Poe al genere. Quasi tutti gli autori si soffermano soprattutto sui tre racconti che hanno per protagonista il proto-detective Auguste Dupin, su cui si sono modellate figure come quella di Sherlock Holmes, e sui principî di indagine scientifica da lui enunciati.È bene però ricordare che questi racconti si connettono anche ad altri aspetti della produzione di Poe. In primo luogo, come ricorda Thomas Narcejac, Poe è anche l'autore della Filosofia della composizione, dove viene enunciata in termini programmatici la tesi antiromantica secondo cui il testo letterario deve essere costruito pezzo per pezzo con una consapevole ricerca dell'effetto.
Alle origini del poliziesco viene quindi teorizzato anche uno specifico modello di costruzione, basato non sull'espressione, ma sul rapporto col pubblico.In secondo luogo, non è un caso che accanto ai racconti di Dupin (dove si fa ampia allusione al gioco degli scacchi) Poe abbia, nello Scarabeo d'oro, proposto forse il primo racconto che ha al centro un gioco enigmistico, in questo caso la crittografia. È con Poe (quindi al momento stesso della fondazione) che nasce l'intreccio duraturo fra narrazione poliziesca e divertimento enigmistico.Inoltre lo stesso Poe è autore dell'Uomo della folla, un singolare racconto-saggio dedicato alla condizione metropolitana: una delle tesi che vi sono enunciate è che l'umanità metropolitana 'non si lascia leggere', appare cioè costitutivamente inconoscibile. Letto in connessione con questo testo, il poliziesco di Dupin, che ha un forte radicamento urbano come dimostra soprattutto il meno noto dei tre racconti, Il mistero di Marie Roget, si presenta come lo sforzo, ingegnoso (ma forse vano) di definire un metodo di lettura rigoroso proprio per i comportamenti di questa inconoscibile umanità.È giusto inoltre ricordare che i racconti di Dupin presentano non uno, ma due modelli (potremmo parlare di 'paradigmi') di ricerca del colpevole. Il primo trova la sua espressione più chiara nel Doppio delitto della via Morgue, la celeberrima indagine dove per la prima volta un delitto è ricostruito passo dopo passo per mezzo degli indizi lasciati dal colpevole, in questo caso un essere doppiamente 'esotico', in quanto proveniente da paesi lontani e in quanto non umano (si tratta infatti di un orango).
Come osservano i fratelli Goncourt nei loro Diari (1856), "[Poe] inaugura una letteratura scientifica e analitica nella quale le cose giocano un ruolo più importante delle persone". Un modello del tutto diverso, se non opposto, è applicato nella Lettera rubata: qui gli indizi sono del tutto assenti, perché ogni cosa è in perfetto ordine, ed è proprio l'ordine apparente che rende invisibile la prova del crimine. Ma se le cose non parlano occorre rivolgersi a un'altra e più difficile forma di conoscenza, quella delle persone. È proprio la conoscenza della psicologia del colpevole che consente a Dupin (attraverso un processo di identificazione) di ritrovare l'oggetto scomparso.
Non è da escludere che La lettera rubata sia stata scritta da Poe, appassionato di scherzi e di umorismo, con un intento almeno in parte parodistico, quasi volesse consapevolmente rovesciare il modello appena enunciato negli altri due racconti. In ogni caso questa strana storia, che ha affascinato negli anni filosofi e studiosi di varie discipline, avrebbe avuto una duratura influenza sul poliziesco.Con Poe nascono due paradigmi del racconto di indagine, che potremmo definire rispettivamente 'indiziario' e 'paradossale'.Il modello indiziario. - "Dato un delitto, con le sue circostanze e i suoi particolari, io costruisco pezzo per pezzo un piano d'accusa che non consegno che intero e perfetto. Se si incontra un uomo al quale questo piano si applichi esattamente in tutte le sue parti, l'autore del delitto è trovato. Se no, si sono messe le mani su un innocente. Non basta che il tale o talaltro episodio combini esattamente, no, tutto o niente. Questo procedimento è infallibile". A parlare non è Auguste Dupin, e neppure Sherlock Holmes, ma 'papà' Tabaret, l'investigatore dilettante che, con il professionista Lecoq, scioglie gli enigmi dei romanzi di Émile Gaboriau.Il modello è sostanzialmente lo stesso enunciato da Poe, che poi troverà un coronamento nei racconti di Conan Doyle e non perderà mai la sua grande popolarità, diventando, in particolare con Agatha Christie, formula ripetitiva ma per qualche aspetto perfetta.
Queste storie, che Todorov classifica come 'romanzo-enigma', presentano di norma alcune caratteristiche stabili: a) un delitto (generalmente il primo delitto) è stato commesso prima dell'ingresso in scena dell'investigatore, il cui compito è quindi ricostruire una vicenda già avvenuta, destinata per altro a complicarsi; b) la ricostruzione è basata sulle cose e non sulle persone: gli oggetti presenti sulla scena vengono interrogati in quanto segni, ovvero indizi, di quanto è avvenuto; perché questo funzioni, occorre che l'ordine degli oggetti sia stato esso stesso turbato, anche impercettibilmente (le impronte digitali) in corrispondenza con il più grave turbamento dell'ordine rappresentato dal delitto stesso. È quindi necessaria una rottura anche minima della normalità, ovvero per dirla con Conan Doyle "l'eccezionalità costituisce sempre un indizio"; c) l'investigatore non è solo estraneo al delitto ma è di norma estraneo all'intera scena, non coinvolto da rapporti troppo personali con vittime, testimoni, colpevoli e generalmente poco interessato agli aspetti emotivi e a quelli etici della vicenda; tende anzi (anche se su questo punto le eccezioni sono relativamente numerose) a esibire una forma di estremo distacco, fino all'amoralità dichiarata di Philo Vance, l'investigatore immaginato da S.S. Van Dine.In questo modello la ricostruzione del delitto si presenta come risultato di una ricerca scientifica, e la narrazione fornita dall'investigatore e/o da testimoni e vittime si rivela perfettamente corrispondente alla 'prima storia' non narrata direttamente, salva la frequente presenza di piccole o grandi incoerenze, comunque involontarie.
Il modello paradossale. - Coevo, come si è visto, alla nascita del modello indiziario è il paradigma contenuto nella Lettera rubata, che è il rovescio del primo. Ma, si potrà dire, si tratta davvero di un paradigma, o non piuttosto di un geniale unicum? In realtà esiste almeno un altro caso significativo: le storie di Padre Brown scritte da G.K. Chesterton e pubblicate tra il 1911 e il 1935, in epoca quasi coincidente, almeno per le prime (che sono le migliori), con il periodo d'oro del poliziesco indiziario 'classico'.
La definizione di poliziesco 'cattolico', enunciata già da Gramsci nelle sue note sul poliziesco e poi ripresa da molti autori, può essere fuorviante. Il cattolicesimo di Chesterton appare infatti fondato, come si desume dal suo testo saggistico maggiore, Ortodossia (1922), su una sorta di teologia del paradosso: per lui la forza della fede cristiana sta nelle contraddizioni che fa continuamente emergere. E il paradosso è nei suoi polizieschi, come nella Lettera rubata, la logica-base del racconto, che quindi presenta queste caratteristiche: a) non si può fare affidamento su un disordine esterno, di tipo fisico, per scoprire le cause e i responsabili del disordine morale, in quanto spesso proprio l'ordine apparente nasconde il disordine, e viceversa l'apparenza del massimo disordine può essere ingannevole (così, nel racconto L'onore di Israel Gow, gli accaniti tagliuzzamenti operati su una serie di testi sacri e reliquie sembrano rivelare addirittura un intervento del Maligno, mentre nascono da un comportamento a suo modo perfettamente logico e lecito); b) le cose, quindi, non parlano da sole, ma è possibile farle parlare solo sulla base della conoscenza degli esseri umani: la conoscenza dell'individuo, come nella Lettera rubata, o la conoscenza dell'umanità in generale, che è prerogativa del prete Brown ma anche, mutatis mutandis, del commissario Maigret (alcune storie di Simenon si avvicinano infatti a questo paradigma); c) la 'scienza' dell'investigazione è pertanto spesso ingannevole quanto presuntuosa: così nel bellissimo L'errore della macchina si dimostra quanto possa fuorviare l'infallibile macchina della verità, perché ci svela una qualche emozione ma non basta certo a spiegarci che cosa esattamente l'ha causata.In questo modello il lettore è invitato soprattutto a lasciarsi sorprendere, quasi sempre per mezzo di un deliberato cambiamento di punti di vista.
Il modello d'azione. - Quasi tutti gli autori hanno constatato l'emergere, a partire dagli anni trenta, di un modello diverso dai precedenti e per molti aspetti nuovo. È il romanzo cosiddetto hard boiled (in italiano bisognerebbe renderlo con 'sodo', come si dice dell'uovo, o con l'espressione slang attuale 'tosto') dal punto di vista dello stile, e 'd'azione' per la sua struttura che prevede non un'indagine separata dai fatti, ma uno strettissimo intreccio fra i due momenti.
Di conseguenza le caratteristiche di questo sottogenere possono essere così sintetizzate: a) all'ingresso in scena dell'investigatore non veniamo informati di delitti già avvenuti: i crimini a volte avverranno solo in seguito, a volte sono sepolti in un oscuro passato, che non viene tanto ricostruito quanto piuttosto riemerge; b) l'inchiesta è un lungo e accidentato viaggio tra luoghi e persone: non porta a una ricostruzione integrale, ma alla raccolta di frammenti di verità, che verranno assemblati fra loro in una spiegazione finale mai o quasi mai perfettamente coerente; c) l'investigatore è sempre attivo sulla scena, stabilendo complessi (e spesso ambigui) rapporti con i diversi personaggi.In questo modello la ricostruzione del delitto non ha nulla di scientifico, e l'antefatto non è mai o quasi mai ricostruito in modo perfettamente coerente. In parecchi casi l'hard boiled abbandona anche i requisiti minimi del poliziesco, e si trasforma nel tipo puro del romanzo nero, dove non c'è nessun mistero da ricostruire: "la storia ideale è quella che leggereste anche se mancasse la fine", come ha scritto Raymond Chandler (v., 1950), maestro del genere.Una variante significativa del poliziesco hard boiled sono le storie di Perry Mason narrate da Erle Stanley Gardner, che raggiungono l'equilibrio tra questo paradigma e quello indiziario: si tratta di polizieschi d'azione in quanto generalmente è proprio mentre l'avvocato Mason è sulla scena che si producono i crimini, e in quanto l'inchiesta lo vede sempre attivo in un complesso sistema di relazioni; ma si concludono sempre con una piena e coerente ricostruzione di quel che il lettore non sapeva, lasciando quindi intatto il meccanismo dell'enigma proprio del modello indiziario.
Lo sviluppo del poliziesco è caratterizzato, come si è detto, da una moltiplicazione delle possibilità, più che da una successione di modelli. In particolare, è giusto ricordare che proprio negli anni trenta, quando nasceva il genere hard boiled e accanto a esso il tipo intermedio rappresentato da Perry Mason, il poliziesco indiziario 'classico' trovava la sua espressione più cristallizzata nelle storie di Agatha Christie o anche in quelle, diverse ma strutturalmente simili, di Ellery Queen. Il secondo modello, quello fondato sul paradosso, è rimasto invece minoritario, ma sempre presente fino ai nostri giorni.
Nelle tendenze attuali del poliziesco, quali si sono manifestate a partire dagli anni settanta, troviamo da un lato la continuazione delle formule preesistenti (il cosiddetto legal thriller di Scott Turow o di John Grisham, in particolare, si presenta come il moderno erede del poliziesco d'azione, con le sue ambiguità, con la ricostruzione distesa delle indagini, con una verità forse più coerente rispetto all'hard boiled ma mai così rassicurante come era ancora nelle vicende di Gardner), dall'altro una crescente attenzione degli autori alla formula e alle caratteristiche intrinseche del genere.Sono nati così diversi stili di metapoliziesco: dal puro e semplice pastiche che gioca con la tradizione del genere, fino a far rivivere alcune figure classiche di investigatore, o alle ipotesi sulla morte del giallo proposte ad esempio da Friedrich Dürrenmatt in La promessa: un breve romanzo che può essere considerato forse una delle più recenti espressioni del modello paradossale, in quanto introduce nel poliziesco un aspetto della vita che generalmente ne era rimasto escluso, la pura e semplice casualità. Oltre a Dürrenmatt diversi altri scrittori 'seri' si sono cimentati con il poliziesco, quasi per farne pretesto di una ricerca formale ma non per questo poco attenta al genere in quanto tale: è il caso di Peter Handke con L'ambulante, o di Giuseppe Pontiggia con L'arte della fuga.Il poliziesco attuale appare dominato, secondo una tendenza diffusa in tutta la cultura di fine secolo, da una sorta di pervasiva autoconsapevolezza e autoironia, che da un lato sembra voler sondare tutti i confini del genere, sul piano delle regole formali come su quello delle ambientazioni (dal Parco Gorkÿ di Mosca alle distese ghiacciate della Groenlandia fino agli ultimi giorni di Salò), dall'altro intreccia spesso la narrazione con la riflessione di tipo saggistico. Il giallo e il discorso sul giallo appaiono così di frequente intrecciati, anche se questa in sé non è proprio una novità: da sempre, molte delle analisi più acute del genere sono state condotte dai suoi autori.
Prodotto, secondo antiche letture, della diffusione del metodo scientifico (v. Messac, 1929) e dell'intellettualizzazione del mondo (v. Kracauer, 1925), il poliziesco si presenta, dicevamo, come forma di conoscenza 'scientifica' in qualche modo competitiva con le scienze sociali. Questa constatazione ha dato luogo a più riprese a riflessioni semischerzose: sono numerosi i saggi pubblicati negli ultimi cinquant'anni che hanno titoli come The historian as a detective o che ricostruiscono parodisticamente una ricerca scientifica nei modi stereotipati del giallo. Di recente, però, alcuni studiosi hanno provato ad andare oltre, e a confrontare effettivamente i metodi d'indagine proposti dalla fiction e quelli usati dalle scienze umane.
È quanto ha fatto, ad esempio, lo storico Carlo Ginzburg (v., 1978) in un saggio che ha avuto ampia influenza. Secondo Ginzburg, l'emergere del ragionamento indiziario nel poliziesco (il riferimento è soprattutto a Sherlock Holmes) è parte di un più generale processo che ha attraversato la cultura europea, portando all'uso di un metodo indiziario nella ricerca sull'arte come in psicanalisi.Non è a rigore una considerazione del tutto nuova. Già Umberto Saba (v., 1946) aveva osservato a proposito dei libri gialli che essi ricordano le interminabili avventure dei cavalieri erranti, ma al posto del cavaliere è stato messo il poliziotto. Nuova è l'idea che un vero e proprio paradigma scientifico, nel senso introdotto da Thomas Kuhn, possa essere ricavato dal poliziesco e messo direttamente a confronto con le scienze umane.Seguendo un percorso parallelo, alcuni studiosi di semiotica (v. Eco e Sebeok, 1983; v. Caprettini, 1990) sono giunti a interrogarsi sulle affinità tra il metodo di Sherlock Holmes (o di Dupin) e l'abduzione teorizzata da Charles S. Peirce, constatando corrispondenze invero sorprendenti. In realtà, la conclusione di Eco è scettica: il poliziesco propone una sorta di metodo scientifico stilizzato e idealizzato, e proprio per questo in parte mistificante. "La differenza tra scienziati e detectives sta nel rifiuto dei primi di imporre le proprie credenze come dogmi, nella loro fermezza nel non ripudiare le congetture motivate. [...] Nel mondo della fantasia le cose vanno meglio" (p. 261).
Emerge così una lettura del poliziesco come espressione semplificata, ma a suo modo non priva di coerenza, di un moderno metodo scientifico. Il principale limite di queste interpretazioni sta nel fatto che prendono in considerazione, sia pure criticamente, un solo modello di poliziesco, il più tradizionale e conosciuto, senza neppure interrogarsi sui motivi dei suoi successivi aggiustamenti. Come sottolineano molti osservatori (v. ad esempio Mandel, 1989), con l'introduzione dell'hard boiled il paradigma indiziario classico viene sostanzialmente sconvolto. La fiducia positivistica nelle corrispondenze rigorose tra i diversi livelli di ordine e nel distacco scientifico dell'osservatore diventa veramente applicabile solo, è il caso di dirlo, in condizioni di laboratorio (gli ambienti chiusi cari ad Agatha Christie). Quando il detective comincia a muoversi nella città, la sicurezza del suo metodo e del suo punto di vista vacilla visibilmente: Caprettini (v., 1990) parla giustamente di un'applicazione di fatto del principio di indeterminazione heisenberghiano. Un discorso in parte analogo si potrebbe fare per la diffusione delle forme di metapoliziesco nel corso degli ultimi vent'anni.
Se è vero, insomma, che il poliziesco traduce in forma popolare ma tutto sommato precisa l'epistème del suo tempo, allora il confronto andrebbe perseguito con maggiore ampiezza, tenendo conto della varietà e della storicità dei paradigmi che lo animano, e forse senza il tono di 'flirt coi bassifondi' che alcuni degli studiosi citati hanno assunto nei lavori dedicati a Sherlock Holmes.
Più antica e radicata è la tradizione di studi che, all'interno o ai margini della sociologia della letteratura e delle comunicazioni di massa, cerca nel poliziesco e nei suoi sviluppi indizi significativi relativi a diversi aspetti della vita sociale contemporanea.Così, l'avvento del poliziesco è stato da molti collegato alla condizione urbana, che costituirebbe il 'naturale' riferimento di queste storie, anche quando, paradossalmente, esse sembrano voler sistematicamente escludere la complessità e casualità dei rapporti propri della città, con ciò stesso confermandone la centralità. La tesi enunciata da Chesterton già nel 1901 è stata ripresa più volte, successivamente, da Kracauer e Benjamin fino a Boileau e Narcejac.Un'altra tesi, formulata con particolare vigore da Haycraft (v., 1941) e riproposta di frequente da allora, è quella secondo cui il romanzo poliziesco è, ed è sempre stato, un'istituzione democratica; prodotto su larga scala solo nelle democrazie. Questo tra l'altro spiegherebbe il ruolo centrale dei paesi anglosassoni nel suo sviluppo. La maggior parte degli autori che se ne sono occupati - incluso Narcejac (v., 1975), che pure consiglia di non dare eccessivo peso all'equazione poliziesco-democrazia - considerano comunque la tesi, nel complesso, fondata.
Eppure, il suo fondamento 'fattuale', la convinzione largamente diffusa che il poliziesco sia stato regolarmente vietato o comunque guardato con sospetto nei regimi totalitari, è stato sottoposto ad analisi critica da Walter Rix (v., 1973), che ha studiato approfonditamente la produzione poliziesca nella Germania nazista. La vicenda della rivista mondadoriana "Il cerchio verde" e poi dei 'libri gialli' dimostra come anche in Italia il delitto, in termini editoriali, pagasse anche durante il fascismo.
L'influente libro di Ernest Mandel (v., 1989) può essere considerato un caso estremo di lettura sociologico-deterministica del poliziesco: ognuna delle sue diverse tappe, ricostruite con indubbia competenza, viene ricollegata a una precisa fase nella storia del capitalismo. In una forma estrema, a volte quasi caricaturale, Mandel mette in luce la debolezza di fondo di molte interpretazioni sociologiche del poliziesco, che stabiliscono (come già osservava Franco Moretti nell'introduzione a Polizieschi classici) una sorta di sistema delle equivalenze abbastanza meccanico tra ipotesi generali sulla società e caratteristiche strutturali del racconto e di fatto fanno del poliziesco una variabile dipendente rispetto a processi e fenomeni di più ampia portata. Curiosamente, il poliziesco viene così letto come indizio o sintomo di malattie che si ritengono già note.
Probabilmente, se si vuole davvero percorrere la via di una ricostruzione sociologica del poliziesco, occorre accantonare l'idea di una diretta equivalenza tra forme narrative e processi sociali generali, e individuare il contesto proprio del giallo, che è una forma precoce di comunicazione di massa, non solo radicata nell'editoria libraria ma trasversale all'intero sistema dei media.Una lettura del poliziesco che mettesse in relazione i diversi modelli individuati sopra con differenti forme di comunicazione affermatesi in epoche successive può forse consentire di raggiungere alcuni risultati non banali.Così, ad esempio, già Walter Benjamin si chiedeva se non vi fosse un preciso nesso tra lo sviluppo della fotografia e il poliziesco, nato in effetti esattamente negli stessi anni. A connetterli non c'è solo l'ideale di obiettività a base scientifica che il detective classico sembra condividere con l'occhio fotografico, ma anche quell'attenzione alle cose di cui parlavano con preoccupazione i Goncourt.
Il poliziesco nella sua essenza, come ha chiarito bene Handke, ci invita a leggere diversamente il mondo degli oggetti, cercandovi di continuo segnali: si tratta esattamente, come ha intuito Susan Sontag nel suo noto saggio On photography, del nuovo modo di guardare che la fotografia ha introdotto nell'Occidente, o meglio che ha diffuso, con la forza anche persuasiva derivante dalla macchina.
Se il poliziesco classico è 'fotografico', quello hard boiled è 'cinematografico'. Su questo, Mandel ha ragione. In effetti, le storie hard boiled si apparentano al cinema non solo perché si prestano meglio di quelle classiche a essere filmate, ma anche perché di cinematografico hanno la struttura, basata sulla mutevolezza e l'incertezza dei punti di vista, sull'impossibilità di distinguere rigorosamente gli antefatti dal racconto vero e proprio, sul prevalere del piacere drammatico rispetto a quello puramente ricostruttivo.È forse significativo che proprio i romanzi di E.S. Gardner, che prima descrivevamo come un caso di equilibrio tra il poliziesco indiziario e quello d'azione, siano stati la base del poliziesco televisivo di maggior successo, la serie dedicata appunto a Perry Mason e andata in onda in molti paesi negli anni sessanta. Nella televisione del tempo la serialità non escludeva la domanda di racconti strutturati e conchiusi; l'uso di un linguaggio audiovisivo di origine cinematografica si conciliava con una forte influenza delle tecniche teatrali: e che cosa c'è di più teatrale di un processo? Successivamente, come è caratteristico del mezzo, la televisione ha ripreso e rimescolato nel suo flusso un po' tutte le tradizioni del poliziesco, e insieme le ha tutte riadattate alle sue esigenze espressive, fondate sull'abitudine e sul carattere ricorrente dell'ascolto.
Di recente, in coincidenza probabilmente non casuale con quei nuovi modelli di ascolto che sono definiti di 'neotelevisione', il poliziesco della TV si è aperto a formule ancora differenti, quasi assenti nella tradizione del romanzo (salvo alcune eccezioni importanti, come le storie police procedural di Ed McBain).In questi shows, come del resto nei romanzi di McBain, la ricostruzione non tanto della singola indagine quanto della quotidianità delle attività di polizia prevale nettamente sulla ricostruzione del delitto. Per dirla nei termini di Todorov, la doppia storia è sostituita da un'unica storia, ma interminabile e mai finita, quella dei poliziotti. E viene messo direttamente in scena il dubbio radicale che tormenta il poliziesco dalla sua origine: se il delitto, alla fine, sia veramente individuabile e punibile. Da questo punto di vista il nesso tra la neotelevisione e le forme 'postmoderne' di romanzo poliziesco è chiaro, per quanto sottile.
Numerosissimi autori, da Brecht a Nicolson, a Caillois, sottolineano un altro nesso importante: quello tra il romanzo poliziesco e il gioco, in primo luogo i giochi enigmistici e i cruciverba. "Nelle riviste, fra i reticoli di parole incrociate e altri giochi in cui il piacere della difficoltà vinta svolge il ruolo principale, una serie di immagini commentate propongono un enigma poliziesco la cui soluzione verrà pubblicata nel prossimo numero. Per contro, ogni volume della collana di 'detective novels' reca un'appendice in cui figurano problemi di scacchi", scrive Caillois.Che il romanzo poliziesco 'classico', quello per intenderci non solo e non tanto di Conan Doyle, quanto di Agatha Christie, possa essere interpretato come una sorta di divertimento enigmistico appare in effetti indubitabile, anche tenendo conto, come invita a fare Narcejac (v., 1975), delle celebri regole enunciate nel 1928 da S.S. Van Dine, le prime due delle quali suonano: "1. Lettore e detective devono avere le stesse possibilità di risolvere il problema. 2. L'autore non ha il diritto di usare, nei confronti del lettore, trucchi e astuzie diverse da quelle che il colpevole usa nei confronti del detective".Più di qualsiasi altra forma di romanzo, il poliziesco propone al lettore una forma di interazione, sia pure condizionata da precisi vincoli, come è normale trattandosi, appunto, di un gioco. Di solito si tende a vedere però in questo aspetto un limite del poliziesco stesso, quasi una rinuncia alla sua vera natura di romanzo, la premessa di una forma di 'sterilizzazione'.
Caillois prima, Narcejac poi, si sono chiesti, con un'ipotesi suggestiva e che meriterebbe di essere meglio approfondita, se in fondo tutta la storia del genere non sia leggibile come una tensione continua tra questi due poli, il gioco e il romanzo; e indubbiamente è possibile ricondurre almeno in parte a questi processi la dinamica evolutiva dei modelli analizzati sopra.In alcuni autori emerge un evidente partito preso: l'elemento ludico viene presentato come l'aspetto più corrivo del poliziesco, il più sterile e meccanico; l'appello emotivo, implicito nella drammaticità stessa dei fatti narrati, e ravvivato periodicamente nel corso dello sviluppo del genere, è presentato come un necessario correttivo, come ciò che fa del poliziesco un romanzo sui generis, ma comunque un romanzo.Questa tesi non coglie però un fenomeno che sta emergendo soprattutto in questa fine di secolo: per tutto il corso del Novecento la contrapposizione tra l'universo del gioco e quello della comunicazione di massa, in particolare della comunicazione narrativa, è andata progressivamente sfumando. Il gioco è divenuto sempre di più un prodotto editoriale, soggetto alle stesse dinamiche di mercato dei romanzi, si è legato strettamente al mercato del cinema e della TV, ha cominciato, con la bambola Barbie, a proporre ai giocatori non solo possibilità di azione ma elementi di racconto già predefiniti. D'altra parte, il racconto cinematografico e televisivo ha cominciato a proporsi al pubblico, soprattutto infantile, come l'avvio di un gioco che poteva, forse doveva, continuare a casa con particolari giocattoli.
Oggi, con l'avvento del videogame e poi, soprattutto, della narrativa computerizzata (che non a caso è spesso a carattere poliziesco), la differenza appare quasi annullata.Del resto, proprio a questo allude Narcejac nel suggestivo capitolo finale del suo libro, in cui paragona il romanzo poliziesco a un computer. "Il romanzo poliziesco si serve del lettore, esige da lui qualcosa che gli permetta di svilupparsi. [...] La lettura diventa così un atto comune dello scrittore e del lettore, che li riunisce, li accoppia [...]. Se vengono separati e considerati singolarmente, tutto si ferma, e ci si accorge che lo scrittore non è proprio uno scrittore, e che il lettore non è proprio un lettore, perché hanno troppo bisogno l'uno dell'altro".Vista in questa prospettiva, l'evoluzione del poliziesco ci svela qualcosa di significativo. Attraverso una varietà di modelli e di forme di comunicazione, il romanzo poliziesco è andato preparando gradualmente un modello di cultura di massa di cui solo ora abbiamo piena consapevolezza, quello che sovrappone come mai era accaduto in passato due modelli comunicativi presenti in ogni civiltà ma di norma separati: il racconto e il gioco.
A questo punto è forse possibile sottoporre a una revisione le regole formali del poliziesco definite nell'influente lavoro di Todorov, che vi individuava una doppia storia: l'indagine e la ricostruzione del delitto. In questo schema manca infatti un elemento importante, come aveva intuito, ben prima di Todorov, Victor Sklovskij (v., 1925).Perché, si chiedeva il maestro del formalismo russo, nelle storie di Holmes c'è sempre qualche poliziotto che fa la figura dello sciocco? È davvero, come qualcuno ha sostenuto (ancora una spiegazione deterministica), per un pregiudizio 'liberale' secondo cui il privato è migliore dello Stato? In realtà la ragione è di ordine strettamente strutturale: il poliziesco non ha bisogno solo di un enigma e di una soluzione (le due storie di Todorov) ma ha bisogno anche di una 'falsa soluzione', verosimile ma non accettabile. È quello che, a proposito dei romanzi della serie Perry Mason, J.K. Van Dover definisce il counterplot, il contro-intreccio, apparentemente inappuntabile, proposto ogni volta dall'antagonista di Mason, il procuratore distrettuale. Una terza storia: falsa, ma altrettanto indispensabile della storia vera. E una terza storia, se vi si fa caso, presente sebbene in forme diverse in tutti i modelli del poliziesco, incluso l'hard boiled, dove quasi sempre il detective rimane in stato d'incoscienza (o di prigionia) in alcuni momenti cruciali dell'azione, essendo costretto ad accettare le versioni di altri, generalmente false, su quanto è successo in quella fase.Ma oltre alla terza storia ve ne sono anche molte altre: "una serie di ipotesi laboriosamente costruite sono via via scartate fin tanto che un'ultima teoria non calzi infine come un guanto", dice Caillois. È un processo che si svolge non, o non solo, nel romanzo, bensì nella mente del lettore. E come osserva giustamente Eco, "Holmes inventa una storia. Accade semplicemente che quella storia possibile sia analoga a quella reale".
Se teniamo conto di questo aspetto, il romanzo poliziesco si presenta sì come una macchina, nel senso descritto da Narcejac, ma come una macchina per la costruzione di racconti possibili. Questa è, a ben vedere, una delle chiavi del piacere che questo tipo di romanzo produce, anche perché si accompagna non con l'esaltazione della fantasia, ma con le dichiarazioni di fede nel metodo scientifico, e perché il piacere dell'invenzione (nel senso etimologico del termine) si intreccia in modo indissolubile con l'esigenza di attribuire un significato agli oggetti e agli ambienti, nell'immaginario come nella vita quotidiana.Sta probabilmente in questo intreccio e in questa fecondità fantastica la chiave della perenne popolarità del poliziesco, e forse anche della sua stessa capacità di adattarsi ai processi storici, che lo rende probabilmente unico tra i generi della cultura di massa.
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