PEPOLI, Romeo di Guido
PEPOLI, Romeo di Guido. – Figlio di Guido di Giovanni e di Margherita di Filippo Roberti, nacque a Bologna verso il 1400.
Il padre Guido, nipote di Taddeo, signore di Bologna dal 1337 al 1347, fu ripetutamente uno dei Sedici riformatori, istituzione di vertice del governo bolognese, fra il 1401 e il 1433, anno della morte (Guidicini, 1876, pp. 19-31). Oltre a Romeo, Guido Pepoli ebbe almeno altri cinque figli (Taddeo, Filippo, Giacomo, Obizzo e Antonio) e tre figlie (Margherita, Bianca e Diamante). Nel 1420, il matrimonio fra Romeo ed Elisabetta Bentivoglio legava i Pepoli alla famiglia che avrebbe dominato la scena politica bolognese del Quattrocento (Sommari, 143, p. 44); alcuni anni dopo, il fratello minore di Romeo, Giacomo, sposò Margherita Gozzadini, appartenente a una delle famiglie di più antico prestigio cittadino, mentre le tre figlie di Romeo (Giuliana, Margherita e Diamante) andarono spose, ma dopo la morte del padre, a esponenti della cultura giuridica universitaria (Storia, genealogia, nobiltà, 24, c. 98r-v); anche i figli di Romeo, Guido e Galeazzo, erano ancora nella minore età al momento della morte del padre (1451).
La carriera pubblica di Romeo Pepoli ebbe un’importanza decisiva nel confermare alla famiglia il prestigio che proveniva dall’ambiente dello Studium e i privilegi dell’appartenenza a quel ceto, processo già avviato un secolo prima dal bisnonno di Romeo, Taddeo. Romeo si laureò in diritto civile il 27 luglio 1437, discutendo multum eleganter con i commissari e ottenendone la piena approvazione (Liber secretus, pp. 151-168). Iniziava così una carriera accademica breve, ma assai brillante: già nel 1438 era aggregato al Collegio di diritto civile e in quello stesso anno iniziava l’attività didattica, con la lettura del Codice nei giorni festivi. Nel 1443 passò alla lettura festiva del Digesto vecchio, alternando poi, nei successivi anni accademici, le due letture (I Rotuli, I, pp. 11-25). Come dottore collegiato, Pepoli collaborò alle consuete attività universitarie, presentando candidati all’esame di dottorato e partecipando alle sedute del Collegio dei dottori, di cui fu più volte priore. Particolarmente intensi, con numerose presentazioni di laureandi, furono gli anni 1444-48 (Il “Liber secretus iuris Caesarei”, 1942, pp. 214-250).
Nonostante questi impegni accademici, Romeo non trascurava gli interessi patrimoniali della famiglia. Al contrario, le fonti documentarie dell’archivio domestico ce lo mostrano attivissimo nella vita economica e in particolare negli investimenti immobiliari e nella gestione di numerose aziende agricole disseminate nella bassa pianura bolognese (Sommari, 143, pp. 94, 119, 133, 152). Risultano invece completamente abbandonate in questi anni le attività creditizie, che ancora avevano un ruolo non secondario nelle imprese familiari all’epoca del nonno Giovanni, e che soprattutto erano state all’origine delle straordinarie fortune dell’avo Romeo di Zerra e della carriera politica del bisnonno Taddeo. Negli anni Trenta e Quaranta del XV secolo, le attenzioni economiche e gli investimenti di Romeo e degli altri figli di Guido sono quasi completamente assorbiti dall’acquisto e dalla gestione di terre arative e prative, di edifici rurali e di mulini. Le zone di intervento sono quelle in cui già nelle generazioni precedenti si addensavano gli interessi della famiglia: Crevalcore, San Giovanni in Persiceto, Nonantola e poi la pianura orientale, fra Castel San Pietro e Castel Bolognese.
Non si può certo dire, tuttavia, che le energie migliori, nella vita breve e intensa di Romeo Pepoli, siano state dispiegate nelle attività economiche, né forse, ma di ciò non sappiamo quasi nulla, nell’insegnamento. Converrà piuttosto seguirlo, per quanto consentono le fonti narrative, nelle turbinose vicende politiche del Quattrocento bolognese. Negli stessi anni in cui iniziava la sua carriera universitaria, Romeo fu uno dei più vivaci oppositori del legato pontificio: nella primavera del 1438, animò con Raffaello Foscherari una trama il cui esito fu riportare Bologna nell’orbita della signoria viscontea, rappresentata in Romagna dal capitano generale Nicolò Piccinino (Ghirardacci, 1933, I, pp. 51 s.). Già nel novembre di quell’anno Romeo ricoprì la carica di Riformatore, assecondando i progetti politici del Piccinino e dei Visconti. Ne ricevette in cambio incarichi diplomatici e ruoli di prestigio. L’appoggio al Piccinino da parte di Pepoli era tuttavia una scelta puramente strumentale, come si dimostrò con chiarezza quando, rianimatasi con vigore la fazione bentivolesca, Francesco Piccinino, rappresentante a Bologna del padre Nicolò, fece imprigionare, nell’ottobre 1442, Annibale Bentivoglio e lo deportò nella fortezza di Varano. Liberato da un audace colpo di mano di Ludovico Marescotti, Annibale rientrò a Bologna e si pose a capo della ribellione al governo di Piccinino: proprio in Romeo e nei Pepoli, oltre che nei Marescotti e nei Malvezzi, Annibale trovò allora i più validi alleati. Nel giugno 1443 Romeo guidò di persona l’assalto al palazzo comunale, in cui Piccinino si era asserragliato, bersagliandolo «con schioppi e saette» dal vicino palazzo dei Notai (Ghirardacci, 1933, I, pp. 80 s.). Anche nella città liberata e nel nuovo governo egemonizzato dai Bentivoglio, Romeo Pepoli occupò ruoli politici di primissimo piano, dimostrando doti di equilibrio e moderazione. Sostenne ad esempio, nel Consiglio dei Seicento, una mozione incline alla clemenza nei confronti degli uomini di San Giovanni in Persiceto che, nell’ottobre 1443, si erano ribellati al governo bolognese dichiarando la propria fedeltà ai Visconti; per loro Gaspare Malvezzi richiedeva una durissima repressione: il Bentivoglio adottò invece la linea conciliante suggerita da Romeo.
La sua posizione si rafforzò ulteriormente quando, il 24 giugno 1445, Annibale Bentivoglio cadde vittima di una congiura ordita dai Canetoli. La direzione politica venne allora assunta dal collegio dei Riformatori, nel quale Pepoli era affiancato da esponenti delle famiglie Malvezzi, Fantuzzi e Marescotti. Prontamente banditi i Canetoli e gli altri congiurati, Romeo si impegnò personalmente per dare continuità al potere dei Bentivoglio, richiamando in città Sante, cugino di Annibale, il quale dal 1446 assunse la guida della parte.
Di quel contributo decisivo, tuttavia, Romeo dovette pentirsi di lì a poco: i rapporti fra Pepoli e Bentivoglio si deteriorarono rapidamente e l’arrogante egemonia di Sante nella società e nelle istituzioni bolognesi divenne per Romeo e i suoi sempre più insostenibile. Nell’agosto 1449 si ritirò a Castel San Pietro, zona in cui poteva contare numerosi beni e alleati, e da lì iniziò ad allacciare relazioni con gli antichi avversari dei Bentivoglio e con la diplomazia pontificia. Il progetto di Romeo era evidentemente quello di ottenere l’appoggio del papa, per rientrare a Bologna da posizioni di forza, ma l’arrivo del nuovo legato, il cardinale Bessarione, inviato da Nicolò V nel marzo 1450, e il contemporaneo mutamento degli equilibri politici esterni, con la morte di Filippo Maria Visconti, produssero un’evoluzione degli eventi totalmente sfavorevole ai Pepoli. Per intervento diretto del Bessarione, Romeo e gli alleati dovettero abbandonare Castel San Pietro il 19 marzo 1450, ritirandosi a Lugo e successivamente a Imola. Un ultimo tentativo di rientrare con la forza delle armi a Bologna, grazie all’appoggio militare dei signori di Carpi e di Correggio, fallì nell’aprile del 1451 ed ebbe anche la pubblica riprovazione del papa. Rifugiatosi di nuovo a Imola, vi trascorse gli ultimi mesi di vita: il 15 settembre 1451 Romeo dettò al notaio imolese Luca Dal Monte il proprio testamento e pochi giorni dopo morì, secondo il Ghirardacci, avvelenato dal proprio barbiere (Sommari, 143, p. 187; Ghirardacci, 1933, I, p. 140).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Famiglia Pepoli, Istrumenti, serie I/A, Sommari, 143; Storia, genealogia, nobiltà, 24, «Volume in foglio in cui si mostra a grado a grado i sogetti che ha avuto la famiglia Pepoli»; G.N. Pasquali Alidosi, Li dottori bolognesi di legge canonica e civile, Bologna 1620; S. Mazzetti, Repertorio di tutti i professori della famosa Università di Bologna, Bologna 1848; G. Guidicini, I Riformatori dello Stato di Libertà della città di Bologna, I, Bologna 1876; I Rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese, a cura di U. Dallari, I-IV, Bologna 1888-1924; C. Ghirardacci, Historia di Bologna. Parte terza, a cura di A. Sorbelli, I-II, Bologna 1933; Il “Liber Secretus iuris Caesarei” dell’Università di Bologna, II: 1421-1450, a cura di A. Sorbelli, Bologna 1942; A. De Benedictis, Lo “stato popolare di libertà”: pratica di governo e cultura di governo (1376-1506), in Storia di Bologna, 2, Bologna nel Medioevo, a cura di O. Capitani, Bologna 2007, pp. 899-950.