romore
Compare solo in poesia, tre volte nella Commedia, una nelle Rime, quattro nel Fiore. Ha generalmente il senso oggi vulgato, forse talvolta con valore intensivo: in If XIII 111, per es., il r. che ‛ sorprende ' D. e Virgilio è violento e improvviso: è lo strepito degli scialacquatori che fuggono, delle cagne che li inseguono, e insieme il fracasso degli arbusti che schiantano al loro passaggio, simile a quello del porco e dei cani nella caccia al cinghiale (vv. 113-114); in If IX 65 un r. simile era stato indicato con l'espressione fracasso d'un suon.
Egualmente violento, improvviso, e più spaventoso, il r. che desta la madre, in If XXIII 38: il termine è usato " in senso specifico e rinforzato, come rileva il Barbi: grida di allarme, grande scompiglio di gente che accorre... lo stesso significato romore aveva anticamente nella frase ‛ levarsi a romore ' e simili: " mettersi in rivolta, tumultuare " " (Mattalia). Secondo altri si tratterebbe invece di una prima, ancora debole manifestazione sonora dell'incendio che sta per divampare: " a una madre per accorrere quasi nuda a preservare il suo bambino non bisogna più che l'indizio del primo rumore " (Foscolo).
Il senso di " chiasso ", " confusione di voci " appare anche in Fiore XXVI 1 (cfr. il sonetto che precede) ed è, pure in questo caso, un r. che desta qualcuno: lo Schifo; si aggiunga CXXVIII 6 a molto gran romore (la preposizione vale " con, alla francese " [Petronio]), dove al r. delle armi (scudo... pavese... ispade e lance) si sovrappone il chiasso dell'armata dei Baroni.
Non molto diverso l'uso del sostantivo in Rime XCIX 6 (D. avverte che la sentenzia del sonetto non richiede fretta, / né luogo di romor né da giullare: ‛ luogo di r. ' equivale a " piazza di mercato " o più genericamente a " luogo pubblico "). In Fiore XCII 14 sbandir dal reame a gran romore vale " mettere qualcuno al bando, con grande pubblicità " (per l'espressione, cfr. CXXVIII 6, citato); al contrario, sanza romore (XCIX 13) significa " in silenzio ", " in segreto ", " alla chetichella ".
In Pg XI 100 la fama viene definita mondan romore: il Landino chiosa: " fama, gloria, grido e romore, piglia per una medesima cosa ". Il traslato è di origine colta e risale a uno dei significati del latino rumor (" voce ", " diceria "); cfr. Aen. VII 144 e Boezio Cons. phil. II VII 19 " populares auras inanesque rumores ".