rompere [ind. imperf. III plur. rompieno; pass. rem. III singol., in rima, rompeo]
Nell'uso dantesco r. ha un ambito semantico molto vasto, come del resto il latino rumpo. Il verbo è usato per lo più come transitivo, ma ricorre anche nella forma pronominale; una volta è in costrutto assoluto. Il passivo ha spesso valore mediale; il participio ‛ rotto ' è adoperato di frequente, con valore sia attributivo che predicativo.
Il significato proprio è quello di " spezzare ", " infrangere ", " far più parti " di una cosa intera: If XIII 117 (due [dannati]... rompieno ogne rosta, ogni cespuglio della selva), XIX 20 (cfr. L. Portier, E questo sia suggel, in " Bull. Société d'Études Dant. du C.U.M " XI [1962] 45-46), Pg XXXII 113 (l'aquila ‛ rompe ' de la scorza, / non che d'i fiori e de le foglie nove dell'albero: vale a dire, l'Impero " colpisce " l'albero simbolico); 'l vaso che 'l serpente ruppe (XXXIII 34) è il carro della Chiesa " spezzato " dal demonio; al v. 115 del canto precedente ricorre nello stesso senso il verbo ‛ ferire '. Quest'ambiguità di valori che r. assume dipende dal fatto che gli oggetti del verbo (l'albero, il carro) sono insieme cose concrete e simboli. Cfr. ancora Pg XVII 31 (l'imagine rompeo / sé per sé stessa, come bolla di sapone), e If XXIX 97 (con costrutto pronominale).
Il participio è spesso riferito alle pietre, alle rocce, alle ripe dell'Inferno e del Purgatorio, nei vari punti in cui esse sono " spezzate ", " spaccate ": If XI 2 (pietre rotte), XII 11 (rotta lacca), XXIII 136, Pg III 50 (rotta ruina), IV 31 (sasso rotto); lo stesso senso in If XIII 43 (la scheggia rotta da cui usciva insieme / parole e sangue è il ramo spezzato dell'albero di Pier della Vigna). Disputato è il luogo di Pg IX 74 là, dove pareami prima rotto, / pur come un fesso che muro diparte, / vidi una porta, se debba intendersi sostantivo (v. ROTTO) o participio, come oggi sembra prevalere con la nota del Petrocchi al testo; va soggiunto che appare strano, consentendolo possibilità metriche, che rotto sia senza articolo, anche indeterminato, come il successivo fesso verso il quale sarebbe stato d'obbligo un certo parallelismo.
Piuttosto " stracciare " vale il verbo in Rime CIV 27, dove il participio è riferito alla gonna della figura simboleggiante la giustizia.
Vale " infrangere ", " spezzare ", ma in senso traslato (cioè " violare " una legge, un decreto), in Pg I 46 (Son le leggi d'abisso così rotte?) e XXX 142 (Alto fato di Dio sarebbe rotto). Un traslato non molto diverso porta il verbo a significare " venir meno a ", " mancare a ", quando l'oggetto è fede: If V 62 e XIII 74.
Dal senso di " infrangere " si passa al più specifico valore di " fendere ", " dividere ", in If XIV 112 (Ciascuna parte [del veglio di Creta], fuor che l'oro, è rotta / d'una fessura). Se l'oggetto è una persona, il verbo assume il valore di " trafiggere ", " colpire ", " ferire ", con forte icasticità: vidi un... / rotto dal mento infin dove si trulla (If XXVIII 24): Maometto è " spaccato " letteralmente in due, mentre Alì è fesso... dal mento al ciuffetto, con una ferita orribile ma non altrettanto mostruosa (per la differenza tra questi due participi cfr. Petrocchi, ad l.). Similmente, quelli a cui fu rotto il petto e l'ombra / con esso un colpo per la man d'Artù (XXXII 61) è Mordret, personaggio del romanzo di Lancillotto, e che fu da re Artù passato " per lo petto d'una lancia dall'uno lato all'altro, e... il sole passò per la fedita, sì che ivi si ruppe l'ombra del corpo " (Anonimo). Si aggiungano qui i casi in cui la luce del sole è interrotta dall'ostacolo costituito dal corpo di D., sì che l'ombra si proietta al suolo, e nasce nelle anime del Purgatorio il caratteristico stupore: Pg III 17 e 88, V 9 e VI 57. Così ancora il participio ricorre, con valore predicativo, nelle parole di Manfredi, che ricorda di aver avuta rotta la persona / di due punte mortali (Pg III 118), " aperto il corpo di due ferite mortali " (Venturi).
Nel senso di " sconfiggere ", r. è vocabolo tecnico: i Senesi furono rotti... e vòlti ne li amari / passi di fuga (Pg XIII 118; cfr. la dolorosa rotta di Carlomagno, If XXXI 16); e anche: 'l falcon... ritorna sù crucciato e rotto, If XXII 132.
Per " distruggere ", con valore figurato, in If XVII 2 la fiera con la coda aguzza / ... rompe i muri e l'armi. Anche in senso astratto: " vincere ", " superare ", " annullare " (li 'nnati vizii, in Cv III Amor che ne la mente 66; e cfr. VIII 20) o, con valore traslato, " vincere " nel senso di " confutare ", " dimostrare falsa un'opinione " (III V 7 e IV XIV 3). Al contrario più debole è il significato in Cv I VII 14, dove r. vale " guastare ", " sciupare ".
Un altro valore è quello per cui r. equivale a " interrompere ", con l'idea di un ostacolo, un diaframma, una frattura che ‛ s'interpone ' fra due cose prima unite: Indi [i tre sodomiti] rupper la rota (If XVI 86; cfr. anche XXI 114). Così il cerchio (il movimento dell'aria) è rotto (" interrotto e impedito ") dall'altissima montagna della purificazione (Pg XXVIII 105).
Sempre " interrompere ", ma con l'idea specifica dell'ostacolo attenuata: ‛ r. il sonno ' vale " destare ", sempre molto bruscamente: If IV 1, Vn III 7 (lo mio ... sonno... si ruppe, con valore mediale: cfr. Pg IX 33) e XII 9 (al passivo, come in Pg XXXII 78). Analogamente, in Vn XXIII 13 è la voce a essere rotta [" interrotta " e quasi impedita nel formular parole] dal singulto del piangere (cfr. il § 19 16 rotta... da l'angoscia del pianto). In Pg XXII 130 l'improvvisa visione dell'albero dei golosi ruppe le dolci ragioni, " interruppe la grata conversazione " fra D., Virgilio e Stazio. ‛ R. il silenzio ' vale " incominciare a parlare " (Pd XIII 31). Si ricollega forse a questi usi quello di Pg XII 103 si rompe del montar l'ardita foga, nel senso di " s'interrompe ", " cessa " (ma cfr. montare).
Particolarmente interessante l'espressione di If V 55: Semiramide a vizio di lussuria fu... rotta. Qui è testimoniato l'uso, vivo ancor oggi, del participio passato unito al complemento con la preposizione ‛ a ', nel senso di " dedito a " (quasi sempre con valore negativo).
L'unico caso di uso assoluto del verbo è in Cv IV XXVIII 7 per lo impeto del vento rompete, e perdete voi medesimi, dove si sottintende la specificazione ‛ in mare ' (e ‛ r. in mare ' nel senso di " naufragare ", altro significato tecnico, è testimoniato in diversi testi trecenteschi, dal Passavanti al Boccaccio, nei quali tuttavia la specificazione ‛ in mare ' non è mai omessa).
Nelle occorrenze del Fiore ritroviamo i valori elencati: in CCXX 11 r. vale " conquistare ", " distruggere " (un castello); in CXXXVI 13 e CXLVII 9 ha come oggetto porta (uscio) e varrà " sfondare ", " scardinare "; in CXIX 8 significa " disturbare ", " ostacolare "; in XCIV 3 " interrompere " (rompendo su' parlare); in CCXVIII 9 r. le trieve (" tregue ") equivale all'espressione odierna ‛ r. gl'indugi '.
Per quanto riguarda l'improbabile lezione rotta la tempia di Pd XVII 66, cfr. Petrocchi, ad locum.