BORLETTI, Romualdo (Aldo)
Nacque a Milano il 15 ott. 1911 da Senatore e da Anna Dell'Acqua. In seguito assunse anche il cognome della madre ed ereditò dal padre il titolo di conte d'Arosio. Laureato in scienze commerciali all'università Bocconi, nel 1938 entrò nel consiglio d'amministrazione della Rinascente, società che il padre aveva fondato e di cui era presidente. Dopo la morte di questo, nel 1940, mentre lo zio U. Brustio amministratore delegato dell'azienda dal 1919 ne assunse la presidenza, il B. in rappresentanza del maggior pacco azionario, detenuto dalla famiglia Borletti, fu nominato vicepresidente, senza tuttavia possedere una diretta esperienza di lavoro nel campo della grande distribuzione. Partito per la guerra come ufficiale dell'aeronautica, nel 1941 fu seriamente ferito in combattimento, in Africa, e fatto prigioniero. Dopo due anni passati in campo di concentramento in Australia, venne liberato nel 1943 grazie ad uno scambio di prigionieri. In seguito partecipò alla Resistenza; fu arrestato dai Tedeschi, ma riuscì a fuggire. Questo intenso coinvolgimento nelle vicende belliche gli valse una medaglia d'argento e una di bronzo al valor militare, ma gli procurò anche una malattia nervosa che gli impedì di lavorare sino al 1948. Ritornato all'attività economica che gli derivava dall'eredità patema, non riuscì a mantenere il controllo che Senatore Borletti aveva esercitato su diverse aziende di primaria importanza nei più vari settori: la Fratelli Borletti, la Mondadori, la SNIA Viscosa, il Linificio e canapificio nazionale (di queste ultime due restò però a far parte del consiglio d'amministrazione). Di fatto il B. indirizzò tutti i suoi sforzi sulla Rinascente dove poteva contare su un ambiente a lui favorevole dati i legami di parentela e la fraterna amicizia che aveva legato Senatore Borletti. e Umberto Brustio. Nel 1950 il B. entrò a far parte dell'alta direzione con la carica di vicedirettore generale: divenne direttore generale cinque anni dopo, e infine, nel 1957, quando il Brustio abbandonò la carica, presidente. Il B. inoltre restò a far parte della direzione generale della società insieme con i cugini Cesare e Giorgio Brustio.
La Rinascente era all'apice dei successo e nel decennio che seguì la crescita dell'azienda proseguì senza interruzioni: le filiali Rinascente passarono da 4 a 7, i magazzini UPIM da 58 a 110, il capitale sociale fu elevato da 5 a 18 miliardi, le vendite (54 miliardi nel 1957) nel 1967 superarono i 160 miliardi. In questi anni la Rinascente si impegnò anche in iniziative al di fuori del suo tradizionale campo d'azione. Per superare le difficoltà che le derivavano dalle carenze dell'industria italiana dell'abbigliamento dette vita ad una società per la confezione in serie di abiti femminili, l'Abbigliamento produzione esportazione Milano (APEM), che controllava con una partecipazione di larga maggioranza; mentre nel 1961, dopo aver rilevato due aziende operanti nella distribuzione alimentare, la Supermercato di Roma e la SES di Milano, creò la SMA Supermercati che, con una gestione completamente separata da Rinascente e UPIM, nel 1967 poteva contare su 45 unità di vendita. Intanto nel 1958 aveva avuto inizio un ardito tentativo di riorganizzazione dell'intero complesso aziendale basato sul decentramento gestionale, e allo stesso tempo si assistette ad un profondo rinnovamento delle tecniche aziendali e ad un vasto impegno nella formazione di nuovi manager. Il cambiamento interno apparve indispensabile alla Rinascente per mantenere il ruolo d'avanguardia nella grande distribuzione, ruolo che si esprimeva non solo m una crescita quantitativa ma anche nel contribuire in modo decisivo ad innalzare la qualità dei consumi nel paese àttraverso un'attenta selezione delle merci ed uno stretto contatto con i produttori. Testimonianza di quest'opera pedagogica nei confronti dell'industria èl'istituzione nel 1954 del premio "Il compasso d'oro" che, avendo come scopo il mettere in risalto i meriti di industriali, artigiani, progettisti capaci di unire nelle loro produzioni funzionalità e qualità estetiche, molto ha contribuito allo sviluppo dei design italiano. Negli anni Sessanta il cammino dell'impresa non fu privo di ostacoli. Il processo evolutivo dell'economia italiana si dimostrò meno rettilineo di quanto poteva prevedersi e la strategia aziendale dovette tener conto di una serie di costi e di vincoli che in precedenza non sembravano disturbame la crescita. Particolarmente serio fu il balzo unitario del costo del lavoro, raddoppiato fra 1960 e 1965; ma ancora più gravi furono gli impedimenti posti all'espansione del numero dei magazzini dalle restrittive leggi, ancora in vigore, del 1926 e del 1938, una normativa il cui superamento in'senso liberistico, data la forza politica dei piccoli commercianti, appariva molto problematico. Anche i tentativi al di fuori dei tradizionali settori dei grande magazzino e del magazzino popolare, l'APEM e la SMA, incontravano difficóltà insospettate. In particolare per la SMA emergeva una insufficiente conoscenza delle particolarità dei settore ed una scarsa disponibilità di risorse manageriali. Alla metà degli anni Sessanta tutto ciò costituiva un elemento di viva preoccupazione per la leadership aziendale, poiché nel frattempo la concorrenza si era fatta incalzante sia nella distribuzione alimentare sia sul terreno del grande magazzino. Una vera e propria sfida globale veniva lanciata dalla rivale di sempre, la Standa, che nel 1958 con grande decisione entrò nel campo degli alimentari, riunendo, in una stessa organizzazione, mercati e magazzini. Dopo il 1961 lo sviluppo della Standa divenne incontenibile, tanto che dal 1965 per fatturato e superfici di vendita operò un vistoso sorpasso nei confronti della Rinascente.L'azienda perdeva quindi un primato che, quando il B. aveva assunto la massima carica, sembrava inattaccabile. Tuttavia a dieci anni di distanza dalla sua ascesa alla presidenza i risultati in senso assoluto erano pur sempre rimarchevoli come dimostravano il numero delle filiali, la consistenza del fatturato, il totale dei dipendenti (ottomila). Del resto proprio nel 1967 si registravano tre miliardi di profitti, un risultato mai raggiunto nella storia della società. E di grande importanza era il dato per cui nei dieci anni considerati l'utile era aumentato più della crescita grazie ad una efficace politica commerciale e all'efficienza dei corpo manageriale. In ogni caso non si può dire che il B. sia stato il principale artefice di ciò che il complesso aziendale era divenuto. Nonostante avesse conservato la carica di direttore generale la sua partecipazione alla gestione dell'impresa restò sempre limitata. Per unanime riconoscimento rappresentò molto bene l'azienda all'esterno, mettendo in evidenza uno stile, una signorilità inconsueti nel mondo imprenditoriale italiano. Egualmente dette buona prova di sé dal 1962 al 1967 alla presidenza dell'AIGID (Associazione italiana delle grandi imprese di distribuzione al dettaglio) in un difficile momento per il settore. Meno positivi furono gli esiti della sua azione all'interno dell'impresa. Egli volle, ad esempio, occuparsi direttamente dell'APEM, ma questa azienda risultò costantemente una fonte di perdite per la Rinascente. L'insuccesso più grave per il B. fu però l'incapacità di tenere unito il vertice aziendale. Vi furono spesso seri contrasti fra lui e gli altri due direttori generali, i suoi cugini Cesare e Giorgio Brustio, sulle scelte di fondo dell'azienda. Particolarmente dannoso risultò il fatto che all'interno della direzione si dividessero compiti che avrebbero dovuto essere affrontati unitariamente per cui il B. si occupò della politica immobiliare mentre i Brustio della politica commerciale. I contrasti oltretutto si acuirono nel momento meno opportuno, quando cioè alla metà degli anni Sessanta avvenne un importante mutamento nella composizione della proprietà dell'impresa: i Grandi Magazzini jelmoli di Zurigo, che per trent'anni avevano costituito una coniponente essenziale del sindacato di controllo, cedettero le loro quote all'Istituto finanziario italiano e a Mediobanca.
Il B., che nel 1966 era stato nominato cavaliere del lavoro, morì improvvisamente a Milano il 26 sett. 1967.
Lasciò una lettera-testamento in cui invitava i membri della famiglia Borletti - che nel patto di sindacato avevano un peso determinante - ad eleggere alla massima carica aziendale il cugino Senatore Borletti, presidente dell'azienda meccanica Fratelli Borletti, completamente estraneo al management della Rinascente. Sebbene la lettera non avesse alcun valore legale, Senatore Borletti fu effettivamente eletto alla presidenza della società. Da questa scelta scaturì una situazione di crisi del vertice aziendale, cosicché in poco più di due anni le due famiglie che per mezzo secolo avevano retto le sorti dell'impresa, i Borletti e i Brustio, uscirono sia dalla gestione sia dalla proprietà di essa.
Fonti e Bibl.: La principale fonte per ricostruire un Drofilo biografico del B. è l'Archivio della famiglia Brustio, attualmente in corso di catalogazione e di versamento presso l'istituto di storia economica dell'università Bocconi. Sul B. e la storia della Rinascente si vedano, oltre alle relazioni sull'esercizio della società, la pubblicazione giubilare da essa edita La Rinascente: cinquant'anni di vita italiana, I-III, Milano 1968, ed in particolare, II, A. Todisco, L'azienda e la sua storia, pp. 73, 91, 93, 118, 121; ed inoltre il n. 42 della rivista aziendale Cronache, autunno 1967, pp. 1, 3, 71, 89, 98, 99; il n. 43 della stessa rivista, inverno 1967, pp. 1-8. Sui contrasti fra il B. e i fratelli Brustio e sull'uscita dall'azienda delle due famiglie si veda il documentato articolo di F. Vegliani, La Rinascente dalla monarchia assoluta alla repubblica federale, in Successo, luglio 1970, pp. 70-76. Sul B. infine Il Chi è? nella finanza italiana, Milano 1957, p. 109; Who's Who in the Italian Economic Life, Milano 1959, p. 32; Il Chi è? nella finanza italiana, Milano 1966, p. 108; Federazione nazionale dei Cavalieri del lavoro, Elenco dei Cavalieri del lavoro dalla fondazione dell'Ordine, Roma 1967, p. 83; necrologio di A. Todisco, in Corriere della sera, 27 sett. 1967.