DE STERLICH, Romualdo
Nato a Chieti il 12 sett. 1712, da Rinaldo e da Margherita Alfieri, dopo i primi studi in casa fu mandato a Napoli, dove frequentò il collegio dei nobili e la scuola privata di Francesco Serao, noto medico e professore universitario. Abbiamo anche notizia di suoi studi di medicina a Roma. Nel 1732 - essendo figlio unico - fu indotto a sposarsi e a seguire gli affari della sua famiglia.
Tornato a Chieti, vi intraprese una vivace attività di promozione culturale. Creò infatti una biblioteca aperta al pubblico che nella Chieti del Settecento ebbe un'importanza notevole, sia per il numero dei volumi, sia per la tempestività con cui veniva aggiornata e per il valore delle opere che vi si trovavano.
Ricca di classici greci e latini, la biblioteca era ben fornita di autori della letteratura italiana, soprattutto del Trecento. Numerose erano poi le opere di storia, di filosofia, i dizionari enciclopedici; numerosissimi i giornali, italiani ed esteri. Presenti anche molte opere scientifiche, soprattutto di medicina, di cui il D. era un ottimo cultore. La caratteristica più importante, però, che faceva di questa biblioteca un momento di rottura con la cultura circostante, era la presenza delle opere degli illuministi europei.
Nella seconda metà del Settecento la biblioteca De Sterlich divenne uno dei centri più attivi del rinnovamento della cultura abruzzese. In essa si formò una nuova generazione di intellettuali che diedero un contributo politico notevole nel periodo delle riforme prima e della rivoluzione dopo. Ma l'attività culturale del D. e il ruolo che andava acquistando la biblioteca non passarono inosservati ai gesuiti: nella primavera del 1750 lo attaccarono pubblicamente accusandolo di empietà e di possedere libri proibiti. Il D. non si fece intimorire; anzi, per controbattere le accuse, compose i Duedialoghi di fra' Cipolla e la Nanna, che circolarono manoscritti a Chieti suscitando molte polemiche. Una copia fu mandata a Firenze a Giovanni Lami per la pubblicazione, che fu però bloccata dalla censura. I Dialoghi restarono così inediti tra le carte del Lami, a cui F. Fontani -suo biografo - li attribuì. Anche manoscritti, ebbero comunque una notevole diffusione.
Scritti per difendersi dalle accuse dei gesuiti, i Dialoghi sono caratterizzati da una forte carica polemica. In essi l'autore non nega l'accusa dei reverendi padri, anzi la conferma con le numerose citazioni di autori licenziosi (Boccaccio, Berni, Aretino) o poco ortodossi dal punto di vista della dottrina (Pascal, Bayle). Egli si difende facendo discutere due personaggi letterari: Nanna e fra' Cipolla. Il primo è il noto personaggio dei Ragionamenti di Pietro Aretino, che qui viene rappresentato sulla via della redenzione. È però ignorante, bigotto e superstizioso, quindi facile vittima dei gesuiti. In realtà - così come viene caratterizzato - Nanna rappresenta chiaramente il pubblico cui il D. si rivolgeva: gli abitanti di Chieti, come lui li descriveva nelle sue lettere. Fra' Cipolla - personaggio intelligente e disincantato tratto dal Decamerone - è il personaggio da cui il D. si fa rappresentare nel compito di illuminare i suoi concittadini.
Pur se scritti in modo brillante - soprattutto il secondo - i Dialoghi non risultano comunque originali e di ciò era cosciente lo stesso autore, che attribuiva loro piuttosto una funzione divulgativa. Egli utilizza ampiamente, come fonti, da un lato le Lettere provinciali e altre opere antigesuitiche allora molto diffuse, dall'altro i Dizionari di P. Bayle e di L. Moreri, da cui trae un vasto repertorio di accuse contro i gesuiti. Il materiale è però ben organizzato e l'autore riesce a mettere in luce le contraddizioni sia della dottrina sia dell'azione della Compagnia. Attraverso i richiami a quegli autori licenziosi di cui si è detto, egli riesce, inoltre, a fare una critica di costume pungente e a volte anche divertita e compiacente.
Per superare l'isolamento culturale della sua città, intanto, il D. si era andato creando una vasta rete di amici e di corrispondenti in tutti i centri più importanti dell'Italia del Settecento. La gran mole di lettere pervenutaci - risultato di un'attività di epistolografo molto intensa - oltre a documentare la ricchezza e vivacità culturale del nobile chietino, costituisce oggi una fonte importante per lo studio di vari argomenti: la formazione del pensiero illuministico nel Regno di Napoli, l'attività culturale di A. Genovesi e, soprattutto, lo studio della fortuna della cultura europea nell'Italia del Settecento. Tra i suoi molti corrispondenti ricordiamo: A. M. Bandini, A. F. Gori, L. A. Antinori, F. Argelati, A. e F. Vettori, T. M. Mamachi, il suo maestro F. Serao, i ministri della corte di Napoli M. Imperiali principe di Francavilla, C. De Marco, N. Fragianni e anche B. Tanucci, che incontrerà più volte in occasione di un suo viaggio a Napoli. I corrispondenti più importanti furono comunque G. Lami, G. Bianchi e, soprattutto, A. Genovesi.
Con Giovanni Lami - il redattore delle Novelle letterarie di Firenze - la corrispondenza si protrasse dal 1750 al 1768. Attraverso il Lami il D. collaborò per molti anni alle Novelle letterarie con notizie sulla cultura napoletana e con recensioni di opere dell'illuminismo francese, argomenti sui quali scrisse anche per il Giornale de' letterati di Roma. Sempre tramite il Lami, nel 1751 entrò nell'Accademia della Crusca, per la quale compose una Lezione, di cui ci è pervenuto solo il riassunto nel verbale della seduta del 7 sett. 1754 in cui fu letta.
Nella Lezione "sidimostrava - come si legge nel verbale della seduta - che le scienze ed arti più nobili hanno sempre ricevuto illustrazioni ed ingrandimento dalle lingue più celebri e rinomate, cioè dalla greca, latina e toscana; e di queste si lodavano principalmente i più insigni scrittori, che coll'opere loro l'avevano sommamente arricchita".
Con Giovanni Bianchi - il noto medico riminese - egli iniziò la corrispondenza nel 1754 e per vent'anni i due polemizzarono, il D. sostenendo i valori di una nuova cultura politica ed economica capace di trasformare la realtà, il Bianchi facendosi fautore della cultura erudita ed antiquaria. Di qualche interesse in questo carteggio sono le discussioni scientifiche.
Per quanto riguarda il Genovesi, è sicuro che il D. non lo conobbe nel suo primo soggiorno di studi a Napoli e che non fu suo discepolo. Infatti, quando il Genovesi arrivò a Napoli, nel 1735, egli era già tornato in Abruzzo da tre anni. Il primo contatto con Genovesi fu invece epistolare e non avvenne prima del 1751. A far da tramite tra i due era stato G. Thaulero, che aveva studiato con il Genovesi e che nel '51 era a Chieti, in familiarità con il De Sterlich.
L'amicizia col Genovesi sarà determinante per il nobile chietino. L'amico di Napoli lo rese partecipe dei progetti e degli entusiasmi che andavano maturandosi nel gruppo di B. Intieri, e quando il D. gli mandò una lunga lettera sulla natura dell'uomo e sull'origine del male, il Genovesi lo invitò a lasciar perdere la metafisica e ad impegnarsi attivamente per conoscere lo stato dell'economia in Abruzzo e cercare di migliorarla. Col passare degli anni il Genovesi si convinse sempre di più di aver trovato nel D. l'uomo capace di realizzare praticamente le sue idee. Non a caso, a lui dedicherà la traduzione della Storia del commercio della Gran Bretagna del Cary.
Sotto l'influenza dell'economista napoletano, il D. evolse verso una cultura illuministica. Infatti, se ancora agli inizi degli anni '50 lo vediamo impegnato in discussioni erudite intorno alla storia ecclesiastica e in ormai stanche discussioni teologiche (ne è un esempio la polemica con T. M. Mamachi sulla residenza dei vescovi), negli anni '60 e '70 sarà uno dei più attivi rappresentanti del "partito genovesiano". In questo processo di maturazione ebbero però una notevole importanza anche le letture di autori come Montesquieu, Rousseau, Morelly e Beccaria, intorno ai quali più di altri si concentrò la sua riflessione.
Primo - insieme a G. De Sanctis e a G. Thaulero - ad aderire in Abruzzo al programma genovesiano e sicuramente il più attivo nella diffusione di queste idee nella sua regione, il D. fece conoscere le opere del Genovesi anche in Toscana, dove ne diventarono propagatrici le Novelle letterarie e l'Accademia dei Georgofili, alla quale sia il Genovesi sia il D. furono associati nel 1754. Negli anni successivi quest'ultimo fu eletto socio anche di un'altra accademia fiorentina: La Colombaria.
Ad aumentare l'impegno del D. nel campo degli studi economici giunse, nel 1760, l'incarico della reggenza di preparare una relazione sulla situazione economica dell'Abruzzo. Questa relazione - dal titolo Riflessioni economiche - circolò a Napoli in molte copie manoscritte ed ebbe un encomio personale del re, ma non ci è pervenuta. Possiamo comunque ricostruirne parzialmente il contenuto da alcune lettere.
Dopo alcune considerazioni generali sulla natura fisica della regione e sull'indole dei suoi abitanti - chiaramente ispirata al Montesquieu - l'autore si soffermava sugli inconvenienti e sui sacrifici che la transumanza portava ai pastori, si lamentava inoltre per "gli abusi delle dogane e le avanie de' pubblicani"; raccomandava una riduzione del numero e del potere del clero, la creazione di porti e di strade, un servizio postale più efficiente. Infine, proponeva di rendere navigabile il fiume Pescara, che così sarebbe diventato la principale fonte di ricchezza della provincia.
Il D. morì a Chieti il 6 marzo 1788.
Fonti e Bibl.: Firenze, Arch. dell'Accademia della Crusca, Diario 1751, verbali delle sedute 4, 11, 18, 25 settembre; Ibid., Diario 1754, verbale della seduta 7 settembre; Ibid., Bibl. Marucelliana, ms. B. VIII.4. V 30.: Lettera di D. ad A. F. Gori, 11sett. 1755; Ibid., mss. B.II.27. XXVII. 50; B.II.27. XXVII.59; B.II.27. XXIX.55; B.II.27- XXX.61; B.II.27- XXXII.74; B.II.27. XXXXV.103: Lettere di D. ad A. M. Bandini, 1771-79; Ibid., Bibl. Riccardiana, mss. 3755-56: Lettere di D. a G. Lami, 1750-68; Ibid., ms. 3815: Dialoghi di fra' Cipolla e la Nanna, cc. 238r-252v; Ibid., ms. 3755: Lettera di T. M. Mamachi a D. sulla questione della residenza dei vescovi; Ibid., ms. 3820: Lettera di C. I. Ansaldi al marchese De Crescenzi sulla polemica tra D. e Mamachi; Ibid., ms. 3809: G. Lami, Diario storico, alle date 10, 20 e 26 giugno 1750; Ibid., ms. 3820: Lettera di D. in risposta alla lettera di C. I. Ansaldi sulla residenza dei vescovi; Milano, Bibl. Ambrosiana, Mss. Trotti 284: Lettere di D. a F. Argelati, 1752-54; Rimini, Bibl. civica Gambalunga, Fondo Gambetti, Lettere di D. a G. Bianchi, 1754-1772, in Lettere autografe al dottor G. Bianchi (in due buste al nome del mittente); Ibid., Sc. Ms. 971-972: G. Bianchi, Minute di lettere; Bibl. apost. Vaticana, Autografi Ferraioli, I, nn. 18.866 ss.: Lettere di R. D. a G. Bianchi, 1773-74; Savignano sul Rubicone, Accad. Rubiconia dei Filopatridi, ms. 14.1.314: Lettere di D. a G. C. Amaduzzi, 1774-1786; A. Genovesi, Lettere familiari, Venezia 1787 (ora in Autobiografia e lettere, a cura di G. Savarese, Milano 1962, passim). Molti riferimenti al D. sono nelle Novelle letterarie di Firenze, dove furono pubblicati anche numerosi suoi articoli, per lo più anonimi; le sue lettere al Lami ci hanno consentito d'identificarne molti: XI (1750), coll. 735, 741, 751; XII (1751), coll. 72, 206, 767, 798, 856; XIII (1752), coll. II, 141, 460, 523, 805; XIV (1753), coll. 75, 87, 521; XV (1754), col. 458; XVI (1755), coll. 20, 26, 251, 419, 428, 443; XVII (1756), coll. 144, 250, 396, 731; XVIII (1757), col. 421; XIX (1758), coll. 137, 446, 488, 829; XX (1759), coll. 357, 629; XXIII (1762), coll. 134, 606.
Sul D. si veda: G. Ravizza, Notizie biografiche che riguardano gli uomini illustri della città di Chieti, Napoli 1830, pp. 114-17; C. Justi, Winckelmann und seine Zeitgenossen, II, Leipzig 1923, p. 244; E. Appolis, Le "tiers parti" catholique au XVIIIe siècle, Paris 1960, p. 123; P. Berselli Ambri, L'opera di Montesquieu nel Settecento italiano, Firenze 1960, passim; Illuministi italiani, V, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1962, p. 286, n. 1; F. Venturi, Settecento riformatore, Torino 1969, pp. 586-90; Id., Utopia e riforma nell'Illuminismo, Torino 1970, pp. 119 s.; G. L. Masetti Zannini, La storia del nostro baronaggio, in Rivista araldica, LXX (1972), pp. 210-13; Id., Chieti e l'Abruzzo nella seconda metà del Settecento, in Atti del III Convegno sui viaggiatori europei negli Abruzzi e Molise nel XVIII e XIX secolo, a cura di G. De Lucia, Teramo 1975, pp. 111-132 (pubblica anche alcune lettere del D.); U. Russo, Nel museo di R. D., in Riv. abruzzese, XXX (1977), 3-4, pp. 153-66; G. L. Masetti Zannini, Voltaire e Rousseau nel carteggio R. D.-Jano Planco (1754-1774), in Misura, I (1977), 4, pp. 97-112, e II (1978), 1, pp. 41-73; U. Russo, Figure e aspetti della vita culturale a Chieti nell'età illuministica, in Abruzzo, XVI (1978), 1-3, pp. 61-81; W. Bernardi, Morelly e Dom Deschamps, Firenze 1979, passim (riporta ampi brani di lettere del D.); F. Montefusco, La cultura illuministica in Abruzzo: la figura di R. D., in Incontri meridionali, 1982, n. 2, pp. 215-18; S. Parodi, Quattro secoli di Crusca 1583-1983, Firenze 1983, p. 109; A. Genovesi, Scritti economici, a cura di M. L. Perna, Napoli 1984, I-II, ad Ind.; U. Russo, L'accesso a Rousseau del "genovesiano" R. D., in Itinerari. Riv. bim. di storia e lett., 1985, nn. 1-3, pp. 195-219.