TECCO, Romualdo
– Nacque a Boves, nel Cuneese, il 4 luglio 1802 da Paolo Carlo e da Angela Barbaroux.
La madre, di origini nizzarde, era nipote del conte Giuseppe Barbaroux, avvocato e giurista, che dal 1816 fu in missione diplomatica presso lo Stato pontificio per conto di Vittorio Emanuele I.
La frequentazione dello zio Giuseppe costituì per il giovane Romualdo l’occasione di un primo contatto con il mondo della diplomazia e con le idee più avanzate che circolavano negli ambienti governativi della restaurazione in Piemonte. Il conte Barbaroux, capo di gabinetto di Carlo Felice e poi di Carlo Alberto e nel 1831 anche ministro guardasigilli, fu magna pars nella riforma organica di tutta la legislazione del Regno di Sardegna. Già agli inizi degli anni Venti Romualdo mostrava tendenze liberali e nazionali, insofferente al clima di reazione instauratosi dopo i moti costituzionali, ciò che probabilmente lo spinse a lasciare l’Italia nel 1825, per raggiungere Costantinopoli come allievo in lingue orientali presso quella legazione.
Nominato dragomanno onorario nel 1827, fu protagonista di una prima missione a Smirne per la stipula del trattato commerciale sardo-siriaco, entrando in buoni rapporti con la casa regnante e affinando lo studio delle lingue del luogo, di cui divenne un vero esperto, tanto da essere incaricato da Carlo Alberto della traduzione della bibbia in arabo. Apprezzato da Domenico Pareto, capo missione sardo a Costantinopoli, nel 1834 questi lo nominò secondo dragomanno della legazione, di cui fu anche reggente in un momento delicato per le controversie commerciali tra il governo sardo e il bey di Tunisi, che dipendeva dalla Sublime porta. Nel 1846, anno in cui fu nominato consigliere di legazione, sposò Carolina Corsi di Bosnasco, ciò che gli fece guadagnare il titolo di barone. Con lei ebbe tre figli: Costantina, Paolina e Melchiorre.
In quel periodo Tecco si applicò al trattato commerciale con l’Impero ottomano, in vigore dal 1839, ma che il governo di Torino voleva modificare in senso più favorevole ai suoi interessi, mentre in conseguenza dei fatti del 1848, riuscì a far sì che i sudditi toscani e lombardi, che vivevano sotto protezione austriaca, venissero protetti dagli agenti sardi. Nel 1848 fu nominato chargé d’affairs en titre per meriti di servizio e si adoperò a che i legni battenti bandiera sabauda venissero riconosciuti, ciò che riuscì a ottenere formalmente nel 1849. Dalle sue posizioni orientali Tecco fu testimone dell’evoluzione del quadro internazionale, con il progressivo deteriorarsi dei rapporti tra la Sublime porta e la Russia, e delle turbolenze slave nei confronti dell’Impero ottomano, quando il governo di Torino cercava di stabilire un rapporto con le popolazioni balcaniche.
Rientrano in questa condotta di politica estera il tentativo di stabilire un consolato italiano con finalità politiche a Belgrado, dove fu inviato Marcello Cerruti, cui si opponeva la Russia, che vi vedeva un progetto liberale e che infatti fu soppresso dopo la sconfitta di Novara, e l’invio della missione del colonnello Alessandro Monti in Ungheria, per la formazione di una legione di volontari a sostegno della libertà magiara, iniziativa di cui Tecco fu grande patrocinatore.
Trovando sponda negli ambienti governativi più avanzati vicini al gran visir Rascid Pascià, Tecco operava per stringere i rapporti tra il Piemonte e la Sublime porta, convinto che la Turchia avrebbe potuto essere utile alla causa italiana. Premette quindi per l’accreditamento di una legazione ottomana a Torino come segnale di distensione dei rapporti raffreddatisi per le questioni legate al trattato commerciale, che giunse a perfezionamento soltanto il 27 luglio 1854.
Ministro residente con il governo d’Azeglio, nel 1852 Tecco fu promosso a inviato straordinario e ministro plenipotenziario presso la Sublime porta, nomina tutta politica e di segno chiaramente liberale e nazionale.
La sua condotta può essere collocata in quella strategia moderata che legava la questione italiana all’evoluzione della situazione internazionale, laddove le rivendicazioni nazionali che si agitavano al di là dei confini orientali avrebbero potuto tradursi in fattore di destabilizzazione nei rapporti tra le potenze. Ciò anche per precisare che Tecco non amava le istanze mazziniane di solidarietà tra le nazionalità oppresse, ma era interessato a esse in quanto strumentali alla causa italiana, come poi il conte Camillo Benso di Cavour.
Testimone a Costantinopoli del contrasto tra gli ambienti reazionari e quelli più riformatori, nel 1852 Tecco fu vittima di un attentato, che minimizzò per non guastare i rapporti diplomatici dell’Impero ottomano con Torino. La rottura tra la Sublime porta e la Russia, a seguito della missione a Costantinopoli del principe Aleksandr Sergeevič Menšikov nel 1853, il quale chiedeva di estendere la protezione russa su tutti i greco-ortodossi presenti nei territori ottomani, fu letta da Tecco come l’occasione giusta per il piccolo Regno di Sardegna di entrare nel grande ‘gioco’ internazionale.
Dietro al rifiuto turco di assecondare le recriminazioni dello zar Nicola II vi era infatti la Gran Bretagna, in quel frangente riavvicinatasi alla Francia, quest’ultima tradizionalmente interessata alla protezione dei cattolici nei luoghi santi. L’occupazione russa dei principati danubiani di Valacchia e Moldavia, cui lo zar aveva proceduto per tutta risposta al diniego turco e che significava il soffocamento delle istanze nazionali romene, si scontrava non soltanto a livello ideale con i principi liberali ma anche con il disegno di Cavour, giunto alla presidenza del Consiglio nel novembre del 1852 e favorevole a una riunificazione romena sia quale barriera tra la Russia e le entità slave del sud sia perché significativo precedente per l’unificazione italiana.
Nei passaggi diplomatici chiave che determinarono il quadro degli schieramenti della guerra di Crimea, Tecco fu sostenitore del protagonismo ‘a ogni costo’ del Piemonte a fianco della Sublime porta e delle potenze occidentali. Il 10 maggio 1854 giudicava il trattato di alleanza tra Francia e Inghilterra del 10 aprile precedente come una grande opportunità per il Regno di Sardegna, che avrebbe così potuto partecipare «à la grande transaction qui devra terminer la question d’Orient, qui n’est rien moins que celle de l’avenir de l’Europe» (Quazza, 1961, p. 671), in ciò divergendo con il ministro degli Esteri Giuseppe Dabormida, sostenitore della neutralità del Piemonte. Accolta quindi con favore la notizia dell’interim degli Esteri di Cavour, con il quale la sintonia di intenti era totale, Tecco si adoperò per la preparazione dell’arrivo del contingente italiano in Turchia, al quale fu funzionale il trattato supplementare concluso il 15 marzo 1855. Da quel momento, principale preoccupazione di Tecco fu il ruolo di intermediazione assunto dall’Austria, che ovviamente avrebbe potuto frustrare le aspettative italiane e vanificare tutto il lavoro svolto sino ad allora. Manifestò infatti il proprio malumore quando si aprì la conferenza interalleata a Vienna che non prevedeva la presenza del Piemonte, così come protestò vivacemente quando fu tenuto fuori dai colloqui che si svolsero, sempre nel 1855, a Costantinopoli tra gli ambasciatori di Francia, Regno Unito, Austria e il ministro degli Esteri turco, giudicando umiliante la sua esclusione e soprattutto temendo che l’Austria, che aveva sottoposto alla Russia alcune condizioni di pace, avrebbe potuto prendere parte alla guerra. Fu proprio il disappunto manifestato espressamente all’ambasciatore francese Éduard-Antoine de Thouvenel a convincere il nuovo ministro degli Esteri Luigi Cibrario dell’opportunità di richiamare Tecco a Torino, per non suscitare altro risentimento in Francia e Gran Bretagna.
Nel 1857 Tecco fu inviato a Madrid in qualità di ministro plenipotenziario, sede dalla quale si adoperò prima per la preparazione diplomatica dell’annessione dei territori meridionali, dati i legami dinastici tra il Regno delle due Sicilie e la Spagna di Isabella II, e poi nel fare in modo che Madrid non assumesse posizioni analoghe a quelle austriache o francesi di protezione del papa in ordine alla questione di Roma. Tecco aveva dovuto infatti constatare la freddezza del governo spagnolo riguardo al riconoscimento del Regno d’Italia, quando il presidente del Consiglio Leopoldo O’ Donnel mosse addirittura dubbi sulla sincerità di quello inglese. Avvertito prontamente Cavour, questi dette istruzioni di procedere con cautela, facendosi riconoscere come ministro plenipotenziario di Vittorio Emanuele II, «sans y ajouter pour le moment d’autres qualifications» (Cavour a Tecco, 11 aprile 1861, in Documenti diplomatici italiani, 1952, p. 70). Si trattava di una soluzione compromissoria, ma ciò che Cavour raccomandava era però assoluta intransigenza sul fatto che i diplomatici italiani non fossero «costretti a sopprimere nei loro atti il titolo legale del Governo sotto l’autorità del quale agiscono» (Cavour a Tecco, 13 maggio 1861, ibid., p. 129).
E difatti il diplomatico italiano dovette affrontare un’altra questione formalmente legata a quella del riconoscimento, precisamente quella degli archivi napoletani, che i consoli delle Due Sicilie dopo l’impresa di Giuseppe Garibaldi rifiutarono di consegnare ai rappresentanti del Regno d’Italia, trovando una protezione nel governo di Madrid. La vertenza permise a Tecco di far presente al ministro degli Esteri spagnolo la differenza tra il principio del diritto divino e quello della sovranità nazionale, laddove il legittimo reclamo italiano si fondava su un principio previsto «dans tous les Etats libres et constitutionnels, où l’on ne confond pas l’Etat lui même avec la personne du Prince» (Tecco a Saturnino Caldéron Collantes, 17 settembre 1861, in Dalmasso di Garzegna, 1968, p. 129), che in quel caso era Francesco II. Tecco non riuscì a risolvere la questione, opponendosi alla soluzione proposta dal governo spagnolo di voler concedere soltanto la cessione degli archivi degli affari privati. Con una durissima lettera di denuncia del comportamento del governo di sua maestà cattolica, il 30 novembre 1861 Bettino Ricasoli informava gli agenti italiani all’estero del richiamo di Tecco da Madrid a causa della rottura dei rapporti diplomatici tra i due Paesi.
Rientrato a Torino e collocato a riposo nel 1863, l’anno seguente fu nominato senatore per la settima categoria e partecipò attivamente ai lavori della Camera alta, prendendo la parola più volte su varie urgenze del momento, come l’unificazione legislativa del Regno. Pur non nutrendo dubbi sull’importanza di Roma capitale, che giudicava una necessità storica, criticò la Convenzione di settembre, ritenendola difettosa e foriera di dissidi interni, così come giudicò oltraggioso il modo con cui nel 1866 il Regno d’Italia acquisiva il Veneto e cioè per retrocessione da parte della Francia come conseguenza della sconfitta austriaca contro la Prussia.
Morì a Torino il 19 maggio 1867.
Fonti e Bibl.: F. Valsecchi, Il Risorgimento e l’Europa. L’alleanza di Crimea, Milano 1948, ad ind.; Documenti diplomatici italiani, s. 1, I, Roma 1952, passim; A. Tamborra, Cavour e i Balcani, Torino 1958, pp. 87 s.; G. Quazza, La politica orientale sarda nei dispacci del T. (1850-1856), in Rassegna storica del Risorgimento, XLVIII (1961), 4, pp. 663-680; E. Anchieri, Il riconoscimento del Regno d’Italia, in Atti del 40° Congresso di storia del Risorgimento italiano..., Torino... 1961, Roma 1963, pp. 17-45; M.T. Dalmasso di Garzegna, Un diplomatico dell’epoca cavouriana barone R. T., in Bollettino della Società per gli studi storici, archeologici ed artistici della provincia di Cuneo, 1968, n. 58, 1, pp. 73-143; La formazione della diplomazia nazionale (1861-1915). Repertorio bio-bibliografico dei funzionari del ministero degli Affari Esteri, Roma 1987, ad vocem; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/T_l2?OpenPage.