GAGLIARDI, Rosario
Nacque a Siracusa da Onofrio Dominico e da Maria Contisi; nei documenti d'archivio non compare la data di nascita, si suppone comunque che non sia anteriore al 1682, poiché i genitori si sposarono nel 1680 e nel 1681 fu battezzata la primogenita Agata. Altre date, come quella del 1698 a volte riportata, non concordano con l'attività nota del Gagliardi.
Questi restò nella città natale fino al 1708 quando si trasferì a Noto, dove venne nominato procuratore di Pietro Maria Lorenzo, barone di Binuni e dove risiedette, a parte brevi soggiorni in altre città siciliane, fino alla morte.
Scarse sono le notizie sull'educazione del G. che probabilmente si formò in cantiere ma che, a giudicare dalla sua attività teorica, usufruì anche di altre fonti e di apprendistati esterni alla sua città. La sua opera evidenzia, infatti, il forte ascendente della cultura rinascimentale e del barocco italiano, nonché la conoscenza di opere quali quelle di D. De Rossi, F. Galli Bibiena, P. Decker, J.B. Fischer von Erlach, A.C. D'Aviler, J.F. Blondel e J.F. Neufforge, che devono aver svolto sul G. una di suggestione non indifferente.
Sembra ormai certo un apprendistato del G. nella città di Palermo ed è probabile che egli abbia avuto contatti con la scuola dei gesuiti della città anche se non si può provare con certezza una sua diretta partecipazione a tale scuola. Secondo alcuni studiosi le trattazioni e i disegni del G., conservati nella collezione Mazza a Siracusa, potrebbero costituire i materiali della possibile "tesi" svolta presso il collegio dei gesuiti a Palermo (Krämer, in R. G.…, 1996, p. 130).
Il corpus dei disegni del G. si compone di tre volumi: il primo monografico con piante, prospetti, sezioni di chiese; gli altri due miscellanei concernono architetture religiose, esercizi geometrici, disegni di capitelli, piante militari e altari. In questi disegni è possibile ritrovare matrici per l'attività progettuale, e in alcuni casi esistono precise rispondenze tra essi e opere realizzate dal Gagliardi.
Nel 1712 un documento ricorda il G. come magister; mentre l'anno successivo viene chiamato più specificatamente faber lignarius (Di Blasi - Genovesi, 1972, p. 34). In questo stesso anno ebbe inizio ufficialmente la sua attività di architetto in qualità di collaboratore del capomastro siracusano Ignazio Puzo per il monastero di S. Maria dell'Arco a Noto. Dal 1721 lavorò assiduamente a Noto dove risulta testimone di atti di vendita di case e terreni, fornitore di materiale edile per la ricostruzione, stimatore di case e di proprietà; dal 1726 gli venne riconosciuto il ruolo di architetto. Tra il 1726 e il 1738 fu impegnato nella riedificazione e nella definizione urbanistica di Noto dopo il terremoto che nel 1693 aveva sconvolto l'intero territorio. Nella città il G. progettò le chiese più importanti e nei documenti è citato spesso come "architetto della ingegnosa città di Noto" (ibid., p. 47) e in seguito anche come "architetto e ingegnere della città di Noto e del suo Valle" (Trigilia, 1994, p. 68); in questa veste sopraintese alla ricostruzione di case di proprietà di privati e di ordini religiosi e il suo intervento non si limitò alla realizzazione degli edifici, ma riguardò anche interventi sul tessuto urbano.
Nel 1726 il G. progettò parti della chiesa del Ss. Crocifisso, sulla piazza principale dell'altopiano e nel 1730 partecipò al progetto e alla costruzione della chiesa madre di S. Nicolò (1730-70) sulla piazza principale; entrambe queste chiese hanno un ruolo importante nell'impianto urbanistico della città determinando l'asse nord-sud della pianta. Dal 1730 riprese i lavori a S. Maria dell'Arco progettando la chiesa e dirigendo i lavori di stuccatura, di intaglio del legno e delle parti in metallo. Nello stesso periodo intraprese anche la realizzazione della chiesa di S. Chiara.
Per tale edificio, a pianta ellittica ritmata da colonne fortemente sporgenti dalla parete che sostengono la trabeazione, realizzò inoltre una calotta leggera a incannucciata sorretta da un complesso sistema di carpenteria indipendente dal tetto soprastante, e diresse i lavori di stuccatura e di copertura del dormitorio del convento a essa collegato. Intorno al sesto decennio del secolo realizzò i cicli decorativi in stucco sia per questa chiesa sia per quella di S. Maria dell'Arco.
Tra il terzo e il quarto decennio del secolo il G. intraprese la realizzazione della chiesa di S. Calogero e della casa del Refugio (1731), nonché la progettazione di S. Maria la Rotunda (1728), della chiesa e del convento di S. Maria del Carmine (1732) e di palazzo Battaglia (1733). Sempre a Noto realizzò la chiesa del convento di S. Domenico il cui impianto particolare, determinato forse dalle limitate dimensioni dell'area, ha scarsi riscontri nell'architettura siciliana e viene testimoniato in alcuni dei suoi disegni.
Dal terzo decennio del Settecento fino al 1750 circa si registra la presenza del G. nell'area della contea di Modica. Nel 1723 lavorò alla ristrutturazione della chiesa di S. Martino e a quella di una parte del dormitorio e del monastero, un tempo annessi alla chiesa; nello stesso periodo risulta un documento di pagamento al "Sig. Rosario ingeniero" (Di Blasi - Genovesi, 1972, p. 38) relativo alla chiesa del Ss. Salvatore probabilmente da riferirsi alla cappella dedicata al Cristo alla Colonna (Nifosì, in R. G.…, 1996, p. 63). Nel 1725 vennero eseguiti interventi di ristrutturazione e ricostruzione di alcune stanze del monastero di S. Caterina a Modica su disegni del G. che, nella stessa città, venne poi incaricato di ristrutturare la chiesa di S. Giovanni Battista dove realizzò cinque cappelle su ogni lato utilizzando l'ordine "bastardo" (ottenuto alterando proporzioni e forma degli elementi componenti l'ordine), chiudendo porte esistenti, aprendone altre e predisponendo la parte del cornicione per la decorazione a stucco. Al G. sono state attribuite anche la chiesa del collegio dei gesuiti a Modica (ibid., pp. 66 s.) e il palazzo Battaglia a Ragusa (Gangi, 1982).Tra il 1730 e il 1740 lavorò al prospetto e all'alzato laterale della chiesa di S. Maria delle Stelle a Comiso.
Nei disegni per la chiesa, in un'annotazione a margine, è spiegata l'impaginazione degli elementi architettonici in cui il primo ordine doveva essere il dorico tratto dal Vignola, il secondo il composito tratto da Michelangelo, il terzo il composito tratto dallo Scamozzi (Nifosì, in R. G.…, 1996, p. 68).
È probabile che tra il 1740 e il 1750 il G. sia intervenuto nel progetto della chiesa di S. Maria Maggiore a Ispica: in questo caso, infatti, il sistema compositivo e il disegno di tutti gli altari laterali riportano allo stile dell'architetto siracusano.
Una delle opere più rappresentative della concezione spaziale del G. può essere considerata la chiesa di S. Giorgio a Ragusa. I primi disegni dell'edificio furono realizzati dall'artista nel 1738; mentre l'anno successivo diede inizio alla costruzione che si concluse nel 1775 con la facciata.
L'eterogeneità dei temi presenti in questa opera mostra una notevole dipendenza da esempi romani visti in particolare attraverso le incisioni del De Rossi. Il G. contamina i temi del classicismo barocco con l'uso plastico della parete curva, utilizzata per la prima volta a Palermo da G.B. Amico. La facciata-torre realizzata per S. Giorgio risolve il problema del campanile trasformando il partito centrale in una torre e costituisce una delle caratteristiche principali del linguaggio compositivo dell'architetto; tale concezione architettonica si rifà a modelli palermitani, siracusani e guariniani richiamando un tipo fortemente in uso nell'Europa settentrionale - ma estremamente raro in Italia - che diventerà in seguito un modello molto diffuso nel Val di Noto. Questo elemento, insieme con l'interesse dimostrato per l'ambientazione scenografica degli edifici, accomuna il G. all'esperienza di altri architetti attivi nell'Europa del Settecento. Altro elemento caratteristico del suo linguaggio, presente sia nella chiesa di S. Giorgio sia in alcune tavole della sua raccolta di disegni, è l'impiego della colonna libera in facciate ad andamento verticale. Lo scopo è quello di accentuare il chiaroscuro e di arricchire i prospetti convessi, mentre negli interni è volto alla ricerca di forme fortemente plastiche (Matteucci, in R. G.…, 1996, p. 102).
Dal quarto decennio del Settecento l'attività del G. si intensificò portandolo a lavorare anche a Siracusa, Caltagirone, Niscemi e Scicli. A Siracusa progettò la ricostruzione della chiesa di S. Filippo Neri, crollata con il terremoto, e la ristrutturazione di quella del collegio dei gesuiti riaperta al culto nel 1743; a Caltagirone fornì i disegni per la chiesa di S. Agata su impianto a ottagono irregolare e quella di S. Giuseppe (1740-55) a pianta circolare inserita in un pentagono. Dal 1751 risulta presente a Scicli come perito inviato dal vescovo di Siracusa, Francesco Testa, per verificare lo stato dei lavori della chiesa di S. Michele Arcangelo; in questa occasione il G. fornì preziosi suggerimenti sul modo migliore per strutturare la volta sostenendo che quella finta (non spingente) era la più adatta a resistere alle scosse sismiche (Nifosì, 1988, pp. 37 s.). Sempre a Scicli gli viene attribuita dubitativamente anche la facciata della chiesa di S. Maria del Carmine. Nel 1751 è documentata la sua presenza a Niscemi dove gli sono state attribuite le chiese di Ss. Maria Addolorata e della Ss. Madonna del Bosco (Germanò, 1986, pp. 130 s., 158-162).
Gli ultimi progetti del G. furono ancora per Noto dove lavorò alla chiesa di S. Carlo Borromeo e a parte del collegio dei gesuiti.
In un documento dell'11 dic. 1762, il G., a causa dell'aggravarsi delle condizioni di salute, nominò suo procuratore il nipote, l'architetto Vincenzo Sinatra già suo collaboratore: è pertanto assai probabile che egli sia morto poco dopo questa data (Di Blasi - Genovesi, 1972, p. 25).
La figura di progettista del G., come l'influenza da lui esercitata sui suoi contemporanei, soprattutto a Noto, è rimasta a lungo trascurata dalla storiografia sul Settecento siciliano. Egli può essere infatti considerato il più originale tra gli architetti di quell'epoca, la figura più innovativa e meno legata alle "regole", "partecipe del dibattito culturale e architettonico europeo, consapevole degli avanzamenti teorici, progettuali e compositivi del proprio tempo, per niente isolato dall'ambiente periferico da cui proviene" (Trigilia, in R. G.…, 1996, p. 8).
La concezione architettonica del G. si ispira all'insegnamento di Vitruvio e dei teorici rinascimentali. Egli predilesse gli impianti longitudinali e utilizzò un sistema strutturale di archi che scaricano su pilastri evitando così di trasferire la spinta sui muri portanti esterni. È probabile che il G. abbia applicato sistemi costruttivi tradizionali anche per limitare gli effetti che un nuovo terremoto avrebbe potuto produrre sulle sue architetture; comunque egli dimostra di conoscere profondamente gli esperimenti del barocco romano che applica e incorpora con lo stile del barocco siciliano. Gli interni del G. appaiono semplificati; mentre egli si mostra più interessato alla volumetria dell'esterno e alla composizione di facciate caratterizzate dall'uso di superfici curve e dalla sovrapposizione di una unità su tre con mediazioni compiute per mezzo di volute, fino a giungere a uno dei modelli caratteristici del suo linguaggio, quello della facciata-torre (Tobriner, 1989, p. 143).
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