ROSEX, Nicoletto detto Nicoletto da Modena
‒ Attivo tra la fine del Quattrocento e il terzo decennio del Cinquecento, fu il più prolifico tra gli incisori italiani delle origini. Ciononostante, pochissime sono le notizie biografiche disponibili sul suo conto, e anche l’elogio tracciatone da Ludovico Vedriani (1662, p. 44), l’unica fonte antica a riferire dell’incisore, appare quanto mai generico.
Dopo gli esordi in ambito emiliano, in cui appaiono chiaramente visibili le relazioni che Nicoletto intrattenne con la cultura ferrarese e con la bottega bolognese di Francesco Francia, dal 1487 l’incisore è documentato a Padova per circa un ventennio. Nel 1487 e nel 1493 Rosex compare come testimone in tre atti notarili patavini, mentre al 1497 risale un pagamento a suo favore da parte del massaro dell’Arca del Santo per lavori di restauro eseguiti nella basilica antoniana (Pierpaoli, 2000, pp. 44, 55 note 15-16). Al soggiorno padovano, in cui il modenese ebbe modo di maturare, sotto l’influsso della scuola di Andrea Mantegna, una visione libera ed eccentrica dell’antico, è da ricondurre la celebre incisione raffigurante Quattro donne ignude, nota in tre esemplari e firmata e datata 1500 (pp. 45, fig. 1, 47 s., 56 nota 38). Nel 1506 Rosex ottenne il suo incarico di maggior impegno: il vescovo di Padova Pietro Barozzi gli commise la decorazione, poi perduta, della cappella del proprio palazzo in località Torre (p. 44).
Alla morte di Barozzi, sopraggiunta nel 1507, Rosex si trasferì a Roma. La produzione capitolina si caratterizza per un rinnovato interesse verso il mondo classico, testimoniato dalle stampe raffiguranti Apelle, la Statua equestre di Marc’Aurelio e la serie dei Pannelli ornamentali, in cui la decorazione a grottesca è trattata come soggetto autonomo (pp. 48-50, 56 note 45-53). È probabile che il soggiorno romano fosse di breve durata, dal momento che nel 1510 Nicoletto è documentato a lavoro nel palazzo ducale di Modena, dove dipinse «le due fenestre grande di verso la strada di fuoravia nella camera ditta del duca Borso» (Baracchi Giovanardi, 1997, p. 83).
Il pagamento modenese è l’ultima traccia documentaria finora emersa su Rosex, che a ogni modo dovette continuare a essere attivo almeno fino agli inizi del terzo decennio del Cinquecento, a prestar fede alla data 1522 apposta sulla stampa del S. Rocco salva nos a peste (Pierpaoli, 2000, p. 55 nota 6). L’attività degli ultimi anni, in cui è ravvisabile la conoscenza delle incisioni di Marcantonio Raimondi e di Giulio Campagnola, appare riconoscibile per la preponderanza dell’elemento architettonico e per la nuova centralità della figura umana nello spazio. Anche il segno incisorio è contraddistinto da una maggiore omogeneità e da ombreggiature più felici. Tale svolta è riscontrabile, ad esempio, nelle stampe raffiguranti S. Antonio abate e Pallade Atena, di chiara impronta bramantesca, e nei postremi S. Rocco e S. Sebastiano, di straordinaria resa volumetrica (pp. 52 s., 57 nota 66).
Fonti e Bibl.: L. Vedriani, Raccolta de’ pittori, scultori et architetti modenesi più celebri, Modena 1662, pp. 44 s.
M.J. Zucker, N. da M.’s late works reconsidered, in Print Quarterly, VIII (1991), pp. 28-36; O. Baracchi Giovanardi, Ipotesi su N. da M., in Atti e memorie. Deputazione di storia patria per le antiche province modenesi, s. 11, XIX (1997), pp. 73-91; G. Pierpaoli, Agli albori dell’incisione italiana. Considerazioni sulla figura e l’opera di N. da M., in L’arti per via. Percorsi nella catalogazione delle opere grafiche, a cura di G. Benassati, Bologna 2000, pp. 43-57; A.M. Korey, A “pleasing and enjoyable counsel for living wisely” by N. da M., in Italian art, society, and politics. A Festschrift of Rab Hatfield, a cura di B. Deimling - J.K. Nelson - G.M. Radke, Firenze 2007, pp. 99-111; L.A. Waldman, N. da M. and Giovanni Larciani, in Print Quarterly, XXIV (2007), pp. 141-145; G. Girondi - M. Crespi, A new print by N. da M., ibid., XXVIII (2011), pp. 44 s.