ROSVITA (Hrotsuith, Hrotsvitha)
Monaca sassone, autrice di poemi e drammi latini, nata verso il 935, morta poco dopo il 973. Visse nel monastero di Gandersheim, dove ebbe maestra, indi badessa, una nipote di Ottone I, Gerberga.
La sua prima fatica letteraria fu quella di versificare, in metro eroico o elegiaco, leggende sacre: la storia della Vergine Maria, l'Ascensione del Signore, le passioni di S. Gongolfo, di S. Pelagio, di S. Dionigi, di S. Agnese, la conversione di Teofilo, un miracolo di S. Basilio. Attinse in genere a testi scritti; ma per S. Pelagio s'affidò alla narrazione ch'ella aveva udito dalla bocca d'un cordovano, cioè di un concittadino del santo, testimone oculare della sua vita e della sua morte. Del resto i libri che le servirono per le altre leggende furono testi apocrifi, come il Vangelo di S. Giacomo, o storie ricche di elementi meravigliosi (miracoli, patti diabolici, ecc.), che rivelano a ogni modo i gusti romanzeschi della poetessa. L'ultima sua fatica letteraria fu quella di comporre poemi storici, celebrando le gesta di Ottone I (sino all'incoronazione imperiale del 962, oltre la quale la pia suora non osò provare le sue forze) e le origini del monastero di Gandersheim. Ma tutte queste opere, senza dubbio notevoli, non sarebbero bastate a darle un posto distinto, anzi singolare, nella storia della letteratura latina medievale, se tra la prima e l'ultima serie dei suoi poemi R. non avesse composto anche sei drammi. Buona conoscitrice dei classici, ella osò, sola in tutto il Medioevo, imitare Terenzio. Voleva anzi, possibilmente, con la sua, sostituire l'opera del grande comico latino, non sulla scena, donde era disceso già da tanti secoli Terenzio, e dove R. non sognava certo di salire, ma nelle scuole e nelle biblioteche. Le commedie di Terenzio erano divenute un testo scolastico dei più letti e dei più studiati, un libro dei più diffusi e dei più ricercati; ma la loro immoralità costituiva agli occhi degli spiriti austeri un grave danno. Perciò Rosvita volle porvi rimedio, e "in quello stesso genere letterario, in cui si rappresentavano le lascivie delle male femmine, celebrare la castità delle sante vergini". Cercò dunque l'argomento dei suoi drammi nella letteratura agiografica; ma, poiché le parve constatare che la trattazione di amori colpevoli era, nella commedia, un elemento essenziale, preferì le pie leggende che le potevano fornire di tale materia. Così due dei suoi drammi (Abraham, Paphnutius) rappresentano la conversione di due meretrici; due altri (Callimachus, Dulcitius) il trionfo di una casta donna e di tre pure vergini contro le turpi voglie di due libertini. I due restanti drammi (Gallicanus, Sapientia) si sottraggono tuttavia a questa regola. Del resto R. disconosce i caratteri principali della commedia antica: non solo per lo scopo edificante che si propone, non solo per il funebre fine a cui conduce l'azione (in genere alla morte esemplare di martiri o di penitenti; in un caso all'orribile morte d'un malvagio), ma per l'assenza dell'elemento comico (se si eccettuano alcune notevoli scene del Dulcitius), anzi per la prevalenza dell'elemento tragico (che nel Callimachus assume addirittura carattere macabro); poi per la trasgressione d'ogni limitazione di tempo e di luogo e per la trascuranza d'ogni esigenza scenica; infine anche per l'abbandono d'ogni specie di versificazione, a cui è sostituita ingegnosamente la prosa rimata. Le esercitazioni drammatiche di R. non significano dunque affatto una resurrezione della commedia antica. E non hanno d'altra parte nulla di comune con quei drammi liturgici, che proprio allora stavano nascendo nelle chiese, e dai quali si sviluppò il dramma nuovo. Fu solo più tardi che le sacre rappresentazioni si volsero a sfruttare le leggende dei santi, e a trattare argomenti simili o uguali a quelli di R. Opera isolata fu dunque la sua; e, priva di contatti com'era con la realtà teatrale, piena di inesperienze; macchiata qua e là (specie nel Paphnutius) da pedanterie scolastiche; ma, con tutto ciò, sorretta da un naturale istinto drammatico: netti i caratteri, vivo il dialogo, una, in ogni dramma (se si eccettua il Gallicanus), l'azione: tutti pregi che spiccano in modo particolare nell'Abraham.
Non dunque soltanto la singolarità storica di questi drammi, ma anche il loro valore intrinseco, ne spiega il successo, in tempi recenti, anche fuori della stretta cerchia dei dotti: successo attestato dalle numerose traduzioni in varie lingue, oltre che da qualche isolato e curioso tentativo di rappresentazione.
Ediz.: Hrotsvithae Opera, ed. P. v. Winterfeld, Berlino 1902; ed. K. Strecker, 2ª ed., Lipsia 1930.
Bibl.: P. v. Winterfeld, Hrotsvits literarische Stellung, in Archiv f. d. Studium d. neuer. Sprachen u. Lit., CXIV (1905), pp. 25 segg. e 293 segg.; J. Schneiderhahn, Roswitha von Gandersheim, Paderborn 1912; S. Dolenz, Le commedie latine di Suor R., Roma 1926 (con una completa traduzione italiana; altre traduzioni italiane: T. Sorbelli, Lanciano 1927; G. Bosio, Milano 1927); M. Manitius, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, I, Monaco 1911, p. 619 segg.; W. Creizenach, Geschichte des neueren Dramas, I, 2ª ed., Halle 1911, p. 18 segg.