Rottamazione dei ruoli e delle liti
Recentemente sono state introdotte due nuove forme di condono relative ai carichi affidati all’agente della riscossione ed alle liti pendenti. La definizione avviene con il pagamento integrale dell’originario tributo e degli interessi risultanti dal titolo esecutivo (ruolo o avviso esecutivo) e con falcidia delle sanzioni e degli interessi di mora maturati successivamente alla notifica dell’atto. Nel suo complesso, tuttavia, la normativa in commento non risulta esente da critiche, specie a causa di alcune problematiche sul piano applicativo.
Il Governo ha recentemente adottato due nuove forme di condono relative ai carichi affidati all’agente della riscossione ed alle liti tributarie pendenti in cui è parte l’Agenzia delle entrate.
La definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione, anche detta nel gergo della prassi professionale, mutuando un’espressione già utilizzata in ambito condonistico, “rottamazione dei ruoli”, è stata originariamente introdotta dall’art. 6 d.l. 22.10.2016, n. 193 e, successivamente, modificata in sede di legge di conversione (l. 1.12.2016, n. 225). I carichi affidati all’agente della riscossione possono essere estinti dal debitore, previa apposita manifestazione della volontà di avvalersi della definizione agevolata, attraverso il pagamento dell’importo originario decurtato delle sanzioni e senza applicazione degli interessi di mora1.
Il mancato tempestivo pagamento integrale dell’unica rata (scadente il 31.7.2017) o di una delle rate anche successive alla prima, comporta l’inefficacia ex tunc della definizione agevolata e le somme eventualmente versate vengono acquisite a titolo di acconto sul maggiore avere. Per giunta, in ipotesi di inadempimento del debitore, è preclusa allo stesso la possibilità di avvalersi della rateizzazione di cui all’art. 19 d.P.R. 29.9.1973, n. 602 relativamente ai carichi oggetto dell’istanza di definizione agevolata divenuta inefficace. Le somme vanno corrisposte esclusivamente mediante domiciliazione bancaria, bollettini RAV precompilati dall’agente della riscossione ovvero recandosi presso uno sportello dell’agente della riscossione (art. 6, co. 7, cit.)2.
La definizione agevolata delle liti tributarie, introdotta dall’art. 11 d.l. 24.4.2017, n. 50, prevede la possibilità di definire le controversie pendenti alla data di entrata in vigore del decreto dinnanzi agli organi della giustizia tributaria (inclusa la Cassazione in sede di legittimità), mediante il pagamento del tributo originariamente oggetto dell’atto impugnato, comprensivo degli interessi da ritardata iscrizione a ruolo di cui all’art. 20 d.P.R. n. 602/1973, a prescindere dallo stato e grado del giudizio, con esclusione delle sanzioni e degli interessi di mora. Le controversie relative ai soli interessi di mora o alle sanzioni non collegate ai tributi sono, invece, definibili con il pagamento del 40% degli importi in contestazione. Mentre, le controversie relative esclusivamente a sanzioni collegate a tributi già definiti sono rottamabili senza il pagamento di alcun importo.
Il versamento degli importi dovuti per la definizione avviene secondo le modalità previste, in materia di accertamento con adesione, dall’art. 8 d.lgs. 19.6.1997, n. 218, con riduzione a tre del numero di rate (rateazione esclusa, invece, per importi inferiori a duemila euro).
La domanda deve essere presentata entro il 30.9.2017 per ciascuna “controversia autonoma”, con ciò intendendosi quella relativa a ciascun atto impugnato. Sono poi previste specifiche regole per l’impugnazione del diniego della definizione agevolata (art. 11, co. 10) e per la disciplina degli effetti del condono nei confronti dei coobbligati solidali (art. 11, co. 11).È altresì concessa agli enti locali la facoltà di estendere la definizione agevolata delle liti anche ai tributi dagli stessi amministrati, con regolamento da adottarsi entro il 31.8.2017.
In entrambe le misure è prevista l’esclusione della definizione agevolata per le risorse proprie dell’Unione europea, mentre, relativamente alla sola rottamazione (in considerazione del diverso ambito applicativo), sono escluse dalla definizione agevolata le sanzioni relative a sentenze penali di condanna, nonché le pronunce relative a sentenze della Corte dei Conti.
Le finalità dell’introduzione delle due misure di definizione agevolata, ricavabile dalle relazioni tecniche governative accompagnatorie dei due disegni di legge, va individuata principalmente in ragioni di cassa. L’introduzione della definizione delle liti fiscali pendenti è dipesa anche da esigenze di uniformità di trattamento, in relazione a quei contribuenti che, in pendenza di giudizio, avevano ricevuto una cartella per la riscossione frazionata, rottamabile in base alla definizione agevolata dei ruoli, al fine di consentire loro la definizione dell’intera pretesa collegata all’atto di accertamento impugnato.
Le due misure sono sicuramente inquadrabili, sul piano giuridico, nel condono. Infatti, secondo la definizione ricavabile dalla dottrina e dalla giurisprudenza, il condono consiste nell’insieme di atti stabiliti dalla legge diretti all’abbandono di pretese già verificatesi in passato e sempreché vengano perfezionate alcune “fattispecie condizionanti”3. La dottrina distingue, poi, il condono “puro”, che consente l’abbattimento delle sole sanzioni, da quelli “impuri” che, al contrario, comportano la falcidia anche di altri debiti già maturati (quali, ad esempio, gli interessi, ma anche lo stesso originario tributo). Infine, dottrina e giurisprudenza hanno coniato altre due definizioni rilevanti ai fini dell’inquadramento delle due forme di definizione agevolata: secondo una parte della dottrina il condono, infatti, è “premiale” quando comporta la «rideterminazione di elementi essenziali del tributo»4, mentre, secondo la giurisprudenza, tale espressione indicherebbe quei condoni i cui effetti si consolidano con il mero pagamento della prima rata (qualora sia possibile la rateizzazione del debito risultante dal condono); si definisce, invece, “clemenziale” il condono i cui effetti sono condizionati al pagamento integrale del “nuovo” debito risultante dalla misura5.
Poste queste definizioni è possibile procedere alla qualificazione delle due misure di definizione agevolata in commento. Entrambe prevedono, quale effetto del perfezionamento delle “fattispecie condizionanti”, l’estinzione delle sanzioni e degli interessi di mora di cui all’art. 30 d.P.R. n. 602/1973.
Dato che, in ogni caso, vengono falcidiati gli interessi maturati dal sessantunesimo giorno dalla notifica dell’atto, ciò comportando conseguentemente una minore entrata tributaria rispetto a quella originariamente maturata, entrambe le misure sono annoverabili tra i “condoni impuri”6.
Le due forme di definizione agevolata differiscono quanto al consolidamento degli effetti: ciò risulta implicitamente già da un confronto dei primi co. degli artt. 6 e 11 citati, laddove solo il primo utilizza l’espressione più rigorosa di «pagamento integrale»; inoltre, il co. 4 dell’art. 6 espressamente dispone la decadenza dalla definizione agevolata (ex tunc) in caso di mancato, insufficiente o tardivo pagamento di quanto dovuto per ciascuna delle rate dovute. Il già citato art. 11, co. 5, al contrario, rinviando all’art. 8, d.lgs. n. 218/1997, consente il consolidamento degli effetti del condono con il versamento della prima rata7.
Stando così le cose, sul piano definitorio e di inquadramento giuridico, la rottamazione dei carichi costituisce un condono impuro clemenziale, mentre quella delle liti fiscali pendenti un condono impuro premiale.
Chiarita la natura, appare opportuno rimarcare come anche queste due forme di condono non si sottraggano alle tradizionali critiche mosse sul piano costituzionale e comunitario.
Riguardo la legittimità costituzionale, va sottolineato che, mentre la dottrina ha sempre condannato i condoni impuri, da una rassegna dei precedenti della Consulta sembra ricavarsi una implicita conferma della loro legittimità8.
È così che la maggior parte delle censure di legittimità, sul fronte giurisprudenziale, riguardano l’eventuale contrasto dei condoni con il diritto dell’Unione europea. Pur rilevando l’esistenza di precedenti non univoci, sulla base dei principi ricavabili dagli arresti maggiormente significativi, si dovrebbero ritenere legittime sul piano comunitario quelle misure che appaiano del tutto eccezionali e giustificate dalle particolari circostanze dei singoli casi, mentre, sarebbero incompatibili quelle norme nazionali che comportino una rinuncia generale ed indifferenziata all’accertamento ed alla riscossione di un tributo armonizzato9.
Al di fuori di tali rilevanti questioni, per il cui approfondimento non può che rinviarsi alla nutrita dottrina esistente sull’argomento, le norme in commento, sotto altri profili, non sono certo esenti da critiche, apparendo, nel loro complesso, come un intricato coacervo di regole e deroghe (alcune delle quali introdotte in sede di conversione), per giunta,poco coordinate tra loro e certamente foriere di problematiche sul piano applicativo.
Sul piano della definizione dei carichi, il primo problema applicativo, immediatamente evidenziato dai commentatori della norma, concerne la scelta legislativa di prevedere, tra gli atti “condizionanti”, l’impegno del debitore di rinunciare ad eventuali giudizi pendenti, relativi alle medesime pretese per cui si intende aderire alla definizione agevolata, in luogo della consueta previsione della cessazione della materia del contendere.
La norma, sotto questo profilo, dà adito ad alcuni dubbi interpretativi. Le prime due questioni, strettamente connesse tra loro, sono alimentate dall’espressione atecnica utilizzata dal legislatore di “rinuncia ai giudizi” in luogo di altre, più appropriate, di “rinuncia agli atti del giudizio” ovvero di “rinuncia all’azione”10. Dalle prime pronunce sull’argomento sembra che il legislatore volesse riferirsi alla rinuncia agli atti e, se così fosse, queste sono le conseguenze: nei gradi di merito la rinuncia è inefficace senza l’accettazione della controparte costituita che abbia interesse alla prosecuzione del giudizio, accettazione che riguarderà anche il profilo delle spese perché, in caso contrario, il giudice sarebbe obbligato a condannare la parte rinunciante alla refusione delle stesse (art. 44 d.lgs. 31.12.1992, n. 546 in materia tributaria o art. 306 c.p.c. in ambito civilistico – si pensi a cartelle in materia di Cosap – o giuslavoristico, nel caso di liti previdenziali); in Cassazione l’art. 390 c.p.c. (applicabile al processo tributario in forza del rinvio operato dall’art. 62, co. 2, d.lgs. n. 546/1992), al contrario, non richiede alcuna accettazione delle controparti e, quindi, il giudizio si estingue con facoltà della Corte di pronunciarsi in merito alle spese (art. 391, co. 3, c.p.c.), a meno che alla rinuncia non abbiano aderito le altre parti (nel qual caso l’art. 391, co. 4, c.p.c. prevede che la condanna alle spese non è pronunciata), mentre, in ogni caso, sembra doversi escludere la condanna al doppio del contributo unificato11.
Ma se fosse corretta tale soluzione, quid iuris in caso di vittoria integrale in primo grado da parte del contribuente e di pendenza di impugnazioni proposte dalla controparte? È inutile profondere sforzi interpretativi per rispondere a quella che sembra, a tutti gli effetti, una domanda retorica12. Un possibile rimedio all’evidente impasse creato dal legislatore viene fornito dall’Agenzia delle entrate con la circ., 8.3.2017, n. 2/E, nella parte in cui si legge che il co. 2 dell’art. 6, non corrisponde strettamente alla rinuncia al ricorso di cui all’art. 44 d.lgs. n. 546/1992, bensì alla cessazione della materia del contendere ex art. 46 d.lgs. n. 546/1992 (norma che peraltro stabilisce espressamente «Il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge…»). È quindi probabile che il legislatore con l’espressione «rinuncia ai giudizi» si riferisse ad una rinuncia all’azione (quindi all’abdicazione da parte del contribuente del diritto sostanziale) o, preferibilmente (stante la difficoltà sul piano letterale), ad un non meglio precisato impegno a non proseguire i giudizi. Un’altra possibile (seppur “maliziosa”) lettura dell’intento legislativo potrebbe risiedere nell’obiettivo di evitare, attraverso lo strumento della rinuncia agli atti, una possibile disapplicazione della norma condonistica interna per contrasto con l’ordinamento europeo13.
Un altro aspetto problematico della norma in materia di definizione dei carichi deriva dal combinato disposto dei co. 8 e 9, relativamente al caso di debitori che stavano regolarmente pagando una rateizzazione. Quest’ultimo stabilisce che «il debitore, se per effetto dei pagamenti parziali di cui al comma 8, computati con le modalità ivi indicate, ha già integralmente corrisposto quanto dovuto ai sensi del comma 1, per beneficiare degli effetti della definizione deve comunque manifestare la sua volontà di aderirvi…». Tuttavia, dalla lettura delle modalità di calcolo degli importi dovuti, in caso di pagamenti pregressi alla rottamazione, il caso di cui al co. 9 sembra di impossibile realizzazione, dal momento che il co. 8, lett. b) così precisa: «restano definitivamente acquisite e non sono rimborsabili le somme versate, anche anteriormente alla definizione, a titolo di sanzioni ed interessi di mora…».
Ultima questione, degna di nota, in materia di definizione dei carichi affidati, riguarda il differenziato trattamento delle procedure di sovraindebitamento rispetto alle altre procedure concorsuali, in ordine ai pagamenti di quanto dovuto. Relativamente alle prime, i co. 9-bis e ss., introdotti in sede di conversione, dispongono che i pagamenti delle somme dovute (capitale ed interessi risultanti dal ruolo), “anche falcidiate”, secondo i tempi previsti nel decreto di omologazione14. Quanto al concordato preventivo, invece, il co. 13 stabilisce che «alle somme occorrenti per aderire alla definizione di cui al comma 1, che sono oggetto di procedura concorsuale … si applica la disciplina dei crediti prededucibili di cui agli articoli 111 e 111bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267». L’intento di questa ultima disposizione è chiaramente quello di “aggirare” il concorso dei creditori, consentendo il pagamento di debiti sorti prima della presentazione della domanda di accesso alla procedura concorsuale alle scadenze stabilite per la “rottamazione” (la previsione, infatti, non avrebbe senso per i debiti sorti successivamente alla domanda). Tale ultima norma, pertanto, si presta a due rilievi critici di ordine costituzionale, dato che, da un lato, stabilisce un trattamento peggiorativo per le imprese soggette alle procedure concorsuali di cui alla legge fallimentare (e per i relativi creditori “privati”), rispetto ai soggetti che, al contrario, possono accedere alle procedure concorsuali regolate dalla l. 27.1.2012, n. 3; dall’altro lato, con riferimento alle imprese fallibili, finisce per alterare il concorso dei creditori, reintroducendo una vecchia questione in materia di “transazione dei ruoli” che sembrava essere stata risolta15.
Sul fronte della definizione delle liti pendenti, il primo problema che si presenta all’interprete riguarda l’ambito applicativo della misura con riferimento alle liti aventi ad oggetto tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, quando questa ultima, tuttavia, non è formalmente parte del giudizio in ragione dell’ipotesi di legittimazione straordinaria prevista dall’art. 39 d.lgs. 13.4.1999, n. 11216. La questione concernente la qualità di “parte” in capo al sostituito processuale è annosa, tanto è che autorevole dottrina aveva in passato coniato l’espressione di “quasiparte”17. Esclusa, quindi, la qualità di parte in capo al sostituito processuale, tali liti risulterebbero irragionevolmente sottratte dalla definizione agevolata, attribuendo un effetto eccessivamente determinante alla scelta dell’agente della riscossione di non chiamare in causa l’ente impositore18.
Un’altra problematica relativa alla definizione delle liti dipende dalla previsione della sospensione automatica dei soli termini per l’impugnazione delle sentenze relative a liti astrattamente rottamabili, anche in caso di soccombenza reciproca (mentre non sono automaticamente sospesi i processi). Nulla quaestio relativamente ai termini di impugnazione da parte del contribuente delle sentenze di primo grado, già impugnate dall’ufficio: infatti, non essendo perentorio il termine di costituzione in giudizio per la parte appellata, in ottemperanza alla previsione legislativa in questione, quest’ultima potrà costituirsi ed eventualmente impugnare incidentalmente la sentenza di primo grado entro il termine ordinario sospeso di sei mesi. Un problema particolare si verifica, invece, per le sentenze di secondo grado impugnate per cassazione da parte dell’Agenzia delle entrate: infatti, in tali ipotesi, si avrebbe una situazione paradossale in cui il resistente deve presentare il controricorso nei termini ordinari non sospesi (non trattandosi di un termine per l’impugnazione), mentre risulterebbe sospeso il termine per presentare il ricorso incidentale. Poiché ciò non è possibile, dal momento che l’art. 371 c.p.c. dispone che il ricorso incidentale deve essere proposto con l’atto contenente il controricorso, la sospensione dei termini di impugnazione incidentale, stabilita dall’art. 11, co. 9, non opera per il giudizio di cassazione.
Infine, un’ultima questione, riguarda il coordinamento delle due forme di definizione agevolata. Da una parte, sembra che, a differenza dalla definizione dei carichi, per la definizione delle liti i contribuenti possano scomputare integralmente i pagamenti effettuati in precedenza, a qualsiasi titolo (art. 11, co. 7). L’art. 11, co. 5, sopra citato, poi, stabilisce che, se il contribuente ha già manifestato la volontà di aderire alla definizione agevolata dei ruoli, può usufruire della definizione agevolata delle liti unitamente alla prima. Tale disposizione sembrerebbe finalizzata a consentire ai contribuenti di fruire della più vantaggiosa rottamazione delle liti, senza incorrere nelle decadenze derivanti dalla mancata osservanza dei termini di pagamento stabiliti per la definizione dei carichi. Per contro, secondo l’Agenzia delle entrate (circ. n. 22/E/2017, par. 5), questa ultima norma andrebbe interpretata in un senso diametralmente opposto e, per definire la lite, il contribuente è tenuto ad eseguire il puntuale versamento delle somme dovute per la definizione dei carichi.
Note
1 Per addivenire all’estinzione, pertanto, il debitore deve provvedere al pagamento integrale del capitale e degli interessi risultanti dal ruolo, del cd. “aggio esattoriale” calcolato sulle somme dovute, nonché delle spese di notifica e di quelle eventualmente anticipate dall’agente della riscossione per l’avvio di procedure esecutive (art. 6, co. 13-ter, cit.).
2 Una disciplina particolare è prevista per le sanzioni relative a violazioni al codice della strada.
3 In merito all’istituto del condono, si richiama principalmente lo studio monografico di Preziosi, C., Il condono fiscale, Milano, 1987, passim; inoltre, tra i tanti Autori che si sono occupati dell’argomento, si vedano Falsitta, G., Giustizia tributaria e tirannia fiscale, Milano, 2008, 300; Id., I condoni fiscali Iva come provvedimenti di natura agevolativa violatori del principio di neutralità del tributo, in Riv. dir. trib., IV, 334; Lupi, R., Autotassazione, modelli culturali e condoni fiscali, in Rass. trib., 2004, 153; Falsitta, G., I condoni fiscali tra rottura di regole costituzionali e violazioni comunitarie, in Il fisco, 2003, 741 ss.; Fantozzi, A., Concordati, condoni e collette, in Riv. dir. trib., 2003, I, 191 ss.; De Mita, E., Il condono fiscale tra genesi e politica e limiti costituzionali, in Il fisco, 2003, 7313 ss.; Picciaredda, F., Condono (diritto tributario), in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1988.
4 Cfr. Falsitta, G., I condoni fiscali tra rottura di regole comunitarie e violazioni comunitarie, cit., 743, in part. § 2.
5 Relativamente alla differenza tra condono premiale e clemenziale si vedano, ex plurimis, Cass., 28.2.2017, n. 5165; Cass., 13.1.2016, n. 379; Cass., 13.1.2016, n. 417; Cass., 19.10.2015, n. 21154.
6 La mancata applicazione di interessi nel periodo successivo alla notifica dell’atto comporta una alterazione dei criteri di riparto, con riferimento a quei contribuenti che, a distanza di anni, sono chiamati a versare il solo originario tributo.
7 Il rinvio ha, quale effetto, anche l’applicazione delle regole proprie connesse ai versamenti diretti, quali, ad esempio, la possibilità di versare le singole rate successive alla prima entro la scadenza della rata successiva, ovvero l’irrilevanza (anche per la prima rata) del lieve inadempimento (ritardato versamento di qualche giorno; versamento di un importo lievemente inferiore a quello dovuto). Si veda Lovecchio, L., Definizione delle liti pendenti: criticità e proposte di miglioramento, in Il fisco, 2017, 21, 1 ss.
8 La dottrina maggioritaria ritiene incostituzionale il condono impuro, data l’alterazione dei criteri di riparto, per violazione degli artt. 2, 3 e 53 Cost. Si veda, principalmente, Falsitta, G., op. loc. ultt. citt., 745, con ampia rassegna di dottrina e giurisprudenza. Tra i precedenti giurisprudenziali si vedano C. cost., 25.5.1980, n. 96 e C. cost., 26.2.1981, n. 33 che hanno dichiarato non fondata la differenziazione dei contribuenti che avevano provveduto al pagamento in pendenza di giudizio e gli altri, unici a poter beneficiare del condono; C. cost., 13.7.1995, n. 321, con svariati precedenti conformi, ha ritenuto non fondata la mancata estensione degli effetti del condono ad un coobbligato. In C. cost., 13.7.2007, n. 270 è stato ritenuto illegittimo il condono nella parte in cui non contemplava i contribuenti con periodo di imposta non coincidente con l’anno solare. In C. cost., 29.12.2004, n. 433 e C. cost., 22.7.2005, n. 305 è stata dichiarata infondata la lamentata irragionevolezza della mancata applicazione del condono fiscale alle sanzioni penali pecuniarie. In C. cost., 31.10.2008, n. 356 la Consulta ha ritenuto legittima la proroga biennale dei termini di accertamento in relazione al condono del 2002, con nt. critica di Falsitta, G., La evanescente consistenza del principio di eguaglianza in una sentenza della Consulta di salvataggio della legislazione condonistica, in Riv. dir. trib., 2009, II, 191 ss. Si ribadisce però che i precedenti della Consulta non riguardano direttamente la legittimità del condono, bensì, principalmente l’irragionevole mancata estensione degli effetti a casi esclusi o non espressamente contemplati. Ciò dipende, probabilmente, anche dal rito costituzionale in via incidentale, con particolare riferimento al requisito della “rilevanza” nel giudizio a quo (a tal riguardo si vedano C. cost., 25.7.1980, n. 119 e C. cost., 17.12.1987, n. 548).
9 La questione della incompatibilità comunitaria della legislazione condonistica viene affermata per la prima volta, con riguardo agli artt. 8 e 9 della l. 27.12.2002, n. 289, su ricorso proposto dalla Commissione europea per accertare l’inadempimento dello Stato italiano agli obblighi scaturenti dal Trattato. Secondo C. giust., 17.7.2008, C132/06, Commissione c. Italia, il condono tombale del 2002 doveva ritenersi incompatibile con il diritto dell’Unione, dal momento che determinava una «rinuncia generale e indiscriminata» all’accertamento delle operazioni imponibili Iva (compromettendo, tra l’altro, la neutralità dell’imposta). Successivamente, Cass., 28.1.2009, nn. 2068 e 2069 e Cass., 20.2.2010, n. 2826 hanno stabilito che «l’assoluta indisponibilità da parte degli Stai Membri … di una puntuale applicazione della disciplina comunitaria in materia di Iva comporta che, anche misure di tenore diverso dal c.d. condono tombale, incorrano in tale rigoroso divieto. In particolare non pare dubbio che sia da ritenersi indebita la c.d. definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti, prevista dalla L. n. 389/2002, art. 16…». Il principio sembra essere stato condiviso, in materia di rottamazione dei ruoli, da Cass., S.U., 17.2.2010, n. 3674; al contrario, riguardo la definizione delle liti pendenti, Cass. S.U., 17.2.2010, n. 3676 e 3677 hanno ristretto la portata del principio succitato, stabilendo che l’art. 16 «non concerne la definizione dell’imposta, bensì la definizione di una lite in corso tra contribuente ed amministrazione, in funzione della riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite stessa al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra i contribuenti». Il principio di diritto sopra riportato è stato più di recente confermato dalla S.C., anche in considerazione del fatto che, successivamente, la Corte di giustizia europea ha “salvato” un’altra legislazione condonistica italiana sempre relativa alle liti pendenti (art. 3, co. 2-bis, d.l. 25.3.2010, n. 40, conv. dalla l. 22.5.2010, n. 73). Con le sentenze C. giust., 29.3.2012, C417/10, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia delle entrate c. 3M Italia SpA (originato da un rinvio pregiudiziale proposto dalla Suprema Corte, in materia di tributi non armonizzati) e C500/10, Ufficio IVA di Piacenza c. Belvedere Costruzioni Srl, (con ricorso pregiudiziale della Commissione Tributaria Centrale di Bologna in materia di IVA) la Corte di giustizia ha stabilito che una misura di condono (estinzione automatica del processo pendente in Commissione tributaria centrale ed estinzione del processo pendente in Cassazione, previo pagamento del 5% dell’originario accertamento), finalizzata a salvaguardare il principio di ragionevole durata dei processi, avente ad oggetto liti introdotte da oltre dieci anni, laddove l’amministrazione finanziaria fosse risultata soccombente nei primi due gradi di giudizio, va considerata del tutto eccezionale e, tenuto conto delle finalità, nonché della particolarità dei casi, compatibile con l’ordinamento comunitario. Tra i precedenti recenti si vedano, ex multis, Cass., 22.7.2016, n. 15195; Cass., 29.7.2016, n. 15877; Cass., 14.10.2016, n. 20773; Cass., 12.1.2017, n. 560. Se queste sono le ragioni della compatibilità comunitaria, le due misure in commento potrebbero risultare incompatibili dato che consentono un tardivo versamento dell’IVA, senza applicazione (non solo di sanzioni, ma anche) di interessi di mora, ciò determinando una violazione del principio di neutralità dell’IVA, presentando una portata generale ed indifferenziata (e ciò vale anche in materia di definizione delle liti pendenti, poiché, nel caso in esame, manca qualunque differenziazione in considerazione: a) dello stato del giudizio, argomento in base al quale le S.U. hanno, in passato, salvato tali misure; b) della sua vetustà, argomento adoperato negli ultimi arresti comunitari; c) ovvero della particolarità del caso). Né si può sostenere che con la sentenza C. giust., 7.4.2016, C546/14, Degano Trasporti S.a.s. di Ferruccio Degano & C., la Corte abbia mutato il proprio precedente orientamento: infatti, ritenendo compatibili le norme degli stati membri che consentano una falcidia dell’IVA, laddove, nel caso specifico, l’eventuale fallimento dell’impresa possa arrecare un maggiore pregiudizio all’erario, la Corte ha, di fatto, confermato il proprio precedente orientamento. In merito all’ultima sentenza, si veda Boria, P., La pronuncia sulla falcidia dell’Iva, in Riv. dir. trib., I, 461.
10 Quanto alla distinzione, si veda la rassegna di dottrina in Odoardi, F., La rinuncia all’appello del funzionario tributario in assenza di specifica delega a mezzo di dichiarazioni rilasciate in udienza, in Riv. dir. trib., 2005, II, 112 ss., nt. 5.
11 Relativamente alla condanna al pagamento del doppio del contributo unificato, stabilita dall’art. 13, co., 1-quater, d.P.R. 30.5.2002, n. 115, essa si applica a fattispecie tipiche (rigetto, inammissibilità, improcedibilità), Cass., 12.11.2015, n. 23175. Relativamente alla rinuncia agli atti, in caso di impugnazioni incidentali tempestive, ovviamente, il giudizio si estingue, limitatamente a quei ricorrenti che abbiano manifestato la rinuncia. In questa prospettiva si vedano Cass., 3.3.2017, n. 5497; Cass., 31.3.2017, n. 8377; Cass., 26.7.2017, n. 18432 che, per giunta, hanno adottato una diversa regolamentazione in ordine alla condanna alle spese del giudizio. È critico Lovecchio, L., L’istanza di rottamazione non basta a chiudere le liti, in Sole 24 Ore, 11.4.2017, 33. Invero, le pronunce della Corte, muovendo dall’assunto che, nella specie, era stata presentata una rinuncia agli atti, non hanno fatto altro che applicare, in maniera condivisibile, gli artt. 390 e 391 c.p.c.
12 È evidente che, in tali casi, il debitore non può rinunciare agli atti.
13 Esattamente ciò che è avvenuto nella citata Cass., S.U., n. 3674/2010 in cui non è stata dichiarata l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere, avendo le S.U. previamente disapplicato la norma condonistica.
14 Tale previsione assume un significativo interesse, specie, nella parte in cui espressamente conferma che nelle procedure di sovraindebitamento i carichi affidati all’agente della riscossione possono essere falcidiati. Si veda, tuttavia, Dami, F., I profili fiscali della disciplina di composizione della crisi da sovraindebitamento, in Rass. trib., 3, 2013, 615.
15 Esponendosi alle medesime critiche che, giustamente, erano state mosse con riferimento alla prima forma di transazione dei ruoli stabilita dall’art. 3 d.l. 8.7.2002, n. 138, successivamente sostituita dalla transazione fiscale di cui all’art. 182 ter l.f. Si vedano le perplessità di ordine sistematico in Fedele, A., Autonomia negoziale e regole privatistiche nella disciplina dei rapporti tributari, in La Rosa, S., a cura di, Profili autoritativi e consensuali del diritto tributario, Milano, 2008, 135; Moscatelli, M.T., La disciplina della transazione nella fase di riscossione del tributo, in Riv. dir. trib., 2005, I, 493 in part.; Basilavecchia, M., La transazione dei ruoli, in Corr. trib., 2005, 1217.
16 In merito ad una rassegna di dottrina e giurisprudenza sulla citata norma si rinvia a quanto detto in Odoardi, F., Il processo esecutivo tributario, Roma, 2012, 193 ss.. Tale norma è ritenuta dalla dottrina maggioritaria una forma di legittimazione straordinaria dell’ente impositore e, conseguentemente, una ipotesi di sostituzione processuale (art. 81 c.p.c.).
17 Chiovenda, G., Istituzioni di diritto processuale civile, II, Napoli, 1934, 215; Proto Pisani, A., Opposizione di terzo ordinaria, Napoli, 1965, 182. Il dibattito in merito alla questione si può leggere in Tommaseo, F., Parti (dir. proc. civile), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 4; Costantino, G., Legittimazione ad agire, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 7.
18 Per giunta, in considerazione del fatto che la stessa Agenzia delle entrate ha esaminato espressamente il problema ed ha ritenuto escluse dalla definizione agevolata le controversie che vedano quale parte il solo agente della riscossione (circ., 28.7.2017, n. 22/E, par. 1), l’eventuale presentazione di una domanda di definizione agevolata in relazione a tali cause è destinata ad un diniego di condono. Seppure tale atto sia impugnabile (art. 11, co. 10, cit.), l’intento di far valere una interpretazione adeguatrice della norma appare una soluzione eccessivamente onerosa per il contribuente.