Vedi ROTULO dell'anno: 1965 - 1997
ROTULO (τόμος, κύλινδρος, volumen)
Forma antica del libro, consistente in una striscia di materiale flessibile, prevalentemente, ma non sempre, papiro (v.). Il r. poteva avere anche assai notevole lunghezza, ma generalmente opere letterarie di grande mole venivano suddivise in più rotuli. Il r., come si vede nelle raffigurazioni sicuramente antiche, veniva impugnato nella mano sinistra e svolto con la destra. Esso è attributo dei letterati e dei filosofi (v.); in mano ai defunti simboleggia il testamento e quindi la potestà giuridica del testatore. L'illustrazione del r. è argomento che tocca le origini stesse dell'illustrazione antica, per le quali v. illustrazione; si veda anche la voce papiro per notizie tecniche e storiche, per il catalogo dei frammenti di rotuli di papiro illustrati pervenuti, ecc. In questa voce ci si limita ad esporre le peculiarità dell'illustrazione nel r., distinta da quella nel codice (v.).
Il più antico r. illustrato a noi noto, il cosiddetto Ramesseus, perché scoperto nel Ramesseum presso Tebe, raccoglie già il numero considerevole di trenta illustrazioni circa, che sottolineano i momenti salienti del racconto drammatico dell'intronizzazione di Sesostris I (circa 1980 a. C.). Tutte le illustrazioni, schizzi sommarî che nella loro essenzialità molto assomigliano ai geroglifici del testo, ma che sono tuttavia vere e proprie scenette, concise ed efficaci, sono confinate nella zona inferiore del r., occupando appena un quinto della sua altezza, al di sotto di una linea orizzontale che le separa dalle colonne verticali del testo sovrastante. Appare evidente che le illustrazioni furono apposte dopo che il testo era stato scritto, e l'illustratore ha faticato a seguirlo, pigiando le sue figurine all'inizio e lasciando addirittura uno spazio vuoto alla fine. Di quando in quando una riga verticale interrompe la successione delle scene raccordando così, per quanto è nelle capacità dell'illustratore, ogni scena al settore di testo cui si riferisce. Il lettore è dunque invitato a leggere una parte del testo, soffermarsi sulla illustrazione relativa, e riprendere la lettura. Nell'analisi di questo sistema illustrativo il Weitzmann avverte l'incertezza di un primo tentativo e il senso che la scoperta dell'illustrazione "come una nuova manifestazione d'arte" non fosse avvenuta in un tempo molto lontano.
Sono pochi i r. egizi illustrati di carattere non funerario giunti sino a noi (fra questi notevolissini il Pap. 10016, nel British Museum, della XIX o XX Dinastia con figure satinche di animali, disposte su una stretta striscia che si ritiene fosse la parte inferiore di un r. di cui il frammento con il testo sarebbe nel Museo Egizio di Torino; un frammento conservato a Torino, con raffigurazioni che han fatto pensare all'indiano Kâma-Sutra: esempî, tanto il primo quanto il secondo, di due generi di illustrazione che saranno trasmessi ai Greci). Il Libro dei Morti resta il solo testo egizio conservato su r. dipinti di cui ci sia possibile seguire le varie fasi. Benché, stando ai monumenti superstiti, esso incominci ad essere illustrato soltanto a partire dal Nuovo Regno, tuttavia sin dalla V Dinastia i geroglifici sulla tomba di Onnos a Saqqārah implicherebbero, secondo il Weitzmann, l'esistenza di redazioni illustrate del Libro già prima dei nostri documenti più antichi. Dalla XVIII Dinastia la sequenza di r. illustrati di questo libro è continua sino all'età romana. Le illustrazioni sono relative al viaggio nell'Oltretomba, alla Psychostasia, ecc. Con il Libro dei Morti di Iouiya (cancelliere sotto Annenophis III, 1400 a. C.) assistiamo a un notevole accrescimento dell'importanza dell'illustrazione nell'economia del r.: pur restando sempre sul margine inferiore, l'illustrazione occupa infatti ormai metà altezza del rotulo. Nello svolgimento successivo l'illustrazione crescerà sino ad occupare tutta intera l'altezza del r., interrompendo il testo. Questa netta prevalenza dell'illustrazione sul testo si osserva, per esempio, nel Papiro Hunefer del British Museum (Pap. 4901), databile al 1300 a. C. circa, che presenta la Psychostasia in tre momenti che si susseguono senza interruzione, secondo un principio che si direbbe di "narrazione continua" (v. continua, rappresentazione).
Il tratto saliente dei r. cui si è accennato è l'intima coerenza fra scrittura e illustrazione. La scrittura è infatti quella geroglifica lineare, ed è quindi già da sé pittogramma, ossia figura. Le file verticali dei segni si succedono da sinistra a destra, delimitato in alto dalla riga orizzontale che corre parallela al margine superiore del r. e si insinuano in basso entro i confini dell'illustrazione, adattandosi al suo andamento compositivo, e lasciandole così una piena libertà. Questa armoniosa architettura è interrotta dall'introduzione, con la XXI Dinastia (XI - X sec. a. C.), della scrittura ieratica, con andamento orizzontale da destra a sinistra. Tra la scrittura, priva ormai del tutto di associazioni all'immagine, concentrata in linee orizzontali disposte l'una sopra l'altra in colonna, e le eventuali figure, si crea così un dissidio insanabile, che incide sulla natura stessa dell'illustrazione, ponendola in rapporto con il testo nei termini antitetici che resteranno invariati sino ad oggi.
La difficoltà è chiaramente avvertita dal Papiro Greenfield (British Museum), del secondo venticinquennio del X sec. a. C. (XXI Dinastia). Le illustrazioni vi sono disposte a fregio nel margine superiore del r., senza mai intaccare le compatte colonne di scritto sottostanti, al punto di lasciare in bianco lo spazio risparmiato da una colonna di testo risultata più breve. L'illustrazione incomincia con una "vignetta" di frontespizio (il termine "vignetta" è usato dagli egittologi per designare una singola illustrazione, in realtà esso deriva dalle cornici di tralci dei manoscritti medievali), ma poi, quando si tratta di raffigurare la lunga processione funebre, per non interrompere l'altezza regolare delle colonne scritte, divide lo spazio riservato all'illustrazione in due zone, sovrapponendo le figure, diventate assai più piccole di quelle della "vignetta" precedente, su due registri. Diverso è il sistema seguito dal papiro di Nesikhonsu, nel museo del Cairo, del periodo tolemaico, con "vignette" inserite entro la colonna del testo. Poiché il senso della scrittura è da destra a sinistra, e dato che ci si preoccupa, ora, di non interrompere lo scritto, la "vignetta", più stretta della larghezza della colonna, è inserita sul lato sinistro di questa, quasi che fosse un fianco "aperto" (Weitzmann). Infine altri r. (Louvre, Pap. 3079; Princeton, Univ. Libr.) usano insieme il sistema a fregio e quello a "vignette" intercalate. In ogni caso l'illustrazione è ormai del tutto subordinata allo scritto ed è riconosciuta l'impossibilità di un ponte fra la parola scritta e l'immagine. Fu con questa fase finale della produzione libraria egiziana che venne in contatto la cultura greca, specialmente nel grande centro librario di Alessandria, e nei più antichi r. greci conservati, i rapporti con l'Egitto si scoprono non soltanto per alcuni piccoli indizî iconografici, ma persino per la distribuzione della scrittura e delle illustrazioni (con una parola moderna inadatta al r.: per l'"impaginazione"). Così, per esempio, nel Pap. i del Louvre, del II sec. a. C. (trattato sulle sfere celesti di Eudossio, un autore vissuto ad Alessandria nel IV sec. a. C.), o nel Papiro Rhind (museo di Edimburgo) si osserva che il lato "aperto", entro cui si inseriscono le "vignette" intercalate nella colonna, è il sinistro, benché questo, secondo la scrittura greca che va da sinistra a destra, debba considerarsi il fianco "chiuso".
Non è possibile tracciare un quadro dell'illustrazione del r. in età ellenistica per la quasi completa assenza di testimonianze archeologiche. I frammenti di papiri illustrati pervenuti sono rarissimi (v. papiro) e dei più recenti non sempre si può esser sicuri che derivino da r. anziché da codici. Le testimonianze indirette, rappresentate da rilievi, dipinti, o da quella classe specialissima di monumenti che sono le coppe megaresi (v.) non possono ricondursi con assoluta sicurezza a illustrazioni dei r. e in ogni caso la loro testimonianza indiretta non giova a ricostruire la disposizione delle figure accanto al testo. I frammenti più cospicui conservati (a parte i testi scientifici, si citano: il Pap. gr. Oxyrrh. 2331, di Oxford, con storie di Ercole; il Cod. suppl. gr. 1294 della Bibliothèque Nationale di Parigi, con un romanzo sconosciuto: v. vol. iv, tav. a pag. 112), presentano il sistema delle vignette intercalate nella colonna del testo. Le figure si accampano sul fondo bianco del papiro, che fu il modo, forse, di mantenere unità alla colonna scritta; è evitata ogni inquadratura, che introdurrebbe un accento spaziale incompatibile con la continuità di svolgimento del nastro scritto e che isolerebbe ancor più la scena, sconvolgendo quel rapido scorrere dal testo alla illustrazione relativa che ci appare qui come il grande fascino del r. antico, quasi una nuova risposta, dettata dalla rapidità di percezione e di descrizione dell'impressionismo ellenistico, all'antico dissidio fra testo e figura.
Tuttavia l'esistenza di un r. bizantino di pergamena (non soltanto la pergamena sostituì il papiro fra i materiali di scrittura nel Medioevo, ma la Legge presso gli Ebrei era sempre scritta su r. di pergamena) il cosiddetto Rotulo di Giosuè, cod. Pal. gr. 431 della Biblioteca Vaticana, di cui il Lietzmann e il Weitzmann hanno dimostrato la datazione nel X sec., occupato per quasi tutta la sua altezza da raffigurazioni, piene di reminiscenze antiche, delle gesta di Giosuè, accompagnate da appena poche righe di testo (una versione abbreviata dei Settanta), apposte nel margine inferiore in singolare contrasto con l'accentuata monumentalità delle figure, fece sorgere l'ipotesi, affacciata dal Birt, dell'esistenza di un tipo di r. con figure, privo o quasi privo di testo, la cui illustrazione si svolgesse in maniera ininterrotta seguendo lo sviluppo del rotulo. Un'eco antica di un r. di tal genere il Birt credette di riconoscere nei rilievi della Colonna Traiana (v. colonna coclide), posta, per l'appunto, proprio fra due biblioteche, in una situazione, dunque, che sembrava giustificare tale ipotesi.
Ma il Buberl capovolse completamente l'impostazione del Birt, considerando il R. di Giosuè come creazione originale del X sec., ispirata alle colonne coclidi. Dopo di lui, in una generale ricostruzione del sistema illustrativo del r. il Weitzmann negava che il procedimento illustrativo del R. di Giosuè fosse esistito in antico, e considerava quest'ultimo creazione della rinascenza macèdone, ispirata al sistema narrativo delle colonne coclidi. In uno studio approfondito del R. di Giosuè giungeva poi a riconnettere l'iconografia del r. alla tradizione dei codici bizantini dell'Ottateuco, facendo derivare il lungo fregio del r. dalla giustapposizione di scene originariamente staccate; il R. di Giosuè deriverebbe dunque dalla tradizione iconografica dei codici, e si ispirerebbe, per la sua forma, non a un tipo di illustrazione più antico, ma a tutt'altra classe di monumenti; costituirebbe quindi un unicum, al di fuori della storia dell'illustrazione antica. Indipendentemente dal Weitzmann, negli stessi anni lo Shapiro esaminava il R. di Giosuè e il codice Vat. gr. 746 dell'Ottateuco, giungendo a conclusioni opposte: in alcuni casi le illustrazioni del codice si rivelano tagli maldestri da un modello che conteneva più scene ravvicinate e senza alcuna divisione fra loro e, quando è possibile fare un controllo, il R. di Giosuè ci restituisce la versione più vicina all'originale, e ciò proprio in virtù del suo formato di rotulo. Inoltre lo Shapiro ricordava le ricerche del Lietzmann, dalle quali risulta che il testo del r. fu scritto per accompagnare le pitture relative, e che non fu scritto appositamente per il r. della Vaticana poiché quest'ultimo presenta nel testo omissioni che debbono corrispondere a lacune del modello. Vi sono dunque molte probabilità che il R. di Giosuè rifletta l'illustrazione di un r. antico. Per lo Shapiro si può ammettere l'esistenza di r. di questo tipo dopo la creazione della prima colonna coclide, eventualmente sotto l'influenza dei relativi cartoni preparatori. La stessa ipotesi sarà affacciata dal Bober, mentre per lo Hamberg (in contrasto con il Lehmann-Hartleben, v. colonna coclide) si deve ammettere la derivazione della colonna coclide dal r. illustrato.
Ma è forse più prudente (come dimostra il Becatti), separare le colonne coclidi dall'illustrazione del libro. Senza la geniale ipotesi del Birt forse mai si sarebbe attribuita ai Bizantini l'idea di emulare le colonne trionfali con un r. di pergamena, mentre la sola cosa che quelle colonne indubbiamente attestano, è l'esistenza di un tipo di illustrazione narrativa ininterrotta su un materiale flessibile, che può e può non essere stato il r. di papiro. Le nostre conoscenze del libro antico, in particolare del libro antico illustrato, non sono sufficienti a farci stabilire un sicuro rapporto, nell'età più antica, fra l'illustrazione del libro e altre classi di monumenti: in realtà ci troviamo di fronte a un singolare silenzio delle fonti letterarie.
Poiché l'unico libro antico di cui possediamo una documentazione piuttosto abbondante, in un susseguirsi di illustrazioni che in molti casi lasciano intravvedere la loro dipendenza da originali più antichi, è l'Antico Testamento (v. bibbia), è appunto la tradizione iconografica di questo testo che può darci qualche indicazione sull'illustrazione del r. nella sua ultima fase. Alcune di queste indicazioni sembrano confermare l'esistenza di un tipo di illustrazione ininterrotta.
Per incominciare non con un libro, ma, tentativamente, con un monumento di altra classe (nell'arte cristiana le relazioni fra la miniatura e altri monumenti sono assai meglio documentate), possiamo notare che alcuni degli espedienti usati dal pittore del R. di Giosuè per fondere le singole scene in una narrazione ininterrotta si ritrovano in un monumento della pittura narrativa cristiana più antica, i mosaici di Santa Maria Maggiore a Roma (v. bibbia), in cui tanti indizî consentono di riconoscere la derivazione da un prototipo miniato. Così la storia della caduta di Gerico (in una tradizione iconografica assai lontana da quella degli Ottateuci e quindi del R. di Giosuè, e anzi in accordo, come ha dimostrato P. Künzle, con la versione vetus Itala) presenta due episodi successivi l'uno vicino all'altro, separati da una quinta di rocce, in tutto simile a quelle che scandiscono la narrazione del R. di Giosuè.
Ma questa stessa sequenza nei mosaici di S. Maria Maggiore è interessante perché presenta altre analogie con raffigurazioni bibliche relative a tradizioni iconografiche diverse. Mentre infatti in un primo mosaico vediamo, da sinistra a destra, Giosuè che invia le spie e quindi le stesse spie accolte da Raab nella sua casa e intente a perlustrare le mura della città, nel mosaico successivo la direzione è invertita e, da destra a sinistra, vediamo le spie congedarsi da Raab, una quinta di roccia (che indica una cesura di tempo e di spazio) e quindi le spie che ritornano a Giosuè. L'"illustrazione" acquista efficacia propria da questa inversione di marcia, cioè proprio dalla sua disposizione su un registro continuo (il mosaicista ha intenzionalmente lasciato allo stesso livello le varie scene, benché occupino riquadri diversi) e la stessa pausa delle rocce, tra il terzo e il quarto episodio, rende certamente la contrapposizione dei due momenti assai più significativa di quanto apparirebbe se le due scene fossero intercalate entro una colonna di testo e separate da alcune righe di scrittura. La stessa inversione del senso di marcia del racconto, che abbiamo riscontrato in S. Maria Maggiore, si ritrova in altre occasioni. Una rara illustrazione di argomento biblico (cattura e successiva liberazione di Loth) inserita in un codice della Psychomachia di Prudenzio (v.), Voss. lat. oct. 15, di Leida, manoscritto del sec. IX in cui la Woodruff ha visto la diretta derivazione da un codice del VI, ci ripresenta ugualmente l'inversione di marcia nei due momenti salienti della storia: la cattura di Loth e il suo ritorno. Le due scene sono disposte su due registri, riuniti sulla destra con un gomito, facendo discendere i personaggi della storia dal registro superiore all'inferiore. La stessa disposizione su due registri, riuniti fra loro in curva sulla destra, è un tratto caratteristico di diverse pagine della Genesi di Vienna (v. bibbia), un codice quasi contemporaneo del modello del Prudenzio già citato. A proposito dell'illustrazione di un incidente della storia di Giuseppe, tanto nella Genesi di Vienna quanto nella tradizione della Genesi Cotton, I. e O. Pächt hanno dimostrato come sin dalle origini i due momenti della storia fossero uniti fra loro, per essere separati soltanto in redazioni più tarde; con ciò contraddicendo la teoria, del Weitzmann, secondo cui le scene contigue, particolarmente nella Genesi di Vienna e in generale, sarebbero il risultato dell'accostamento di originarie scene singole intercalate nella colonna del testo.
Accanto agli esempî che si sono raccolti, sembra ora difficile mantenere il principio che le scene disposte su più registri e fra loro riunite dal movimento dei personaggi rappresentati, nella Genesi di Vienna, debbano essere l'invenzione del miniatore del codice che avrebbe così riunito "vignette" staccate originariamente intercalate nel testo. Una disposizione su più registri, nota il Pächt, si osserva nella copia bizantina della Cynegetica di Oppiano, Venezia, Marciana, cod. gr. 479, un poema didascalico dedicato a Caracalla (ivi, i, 1-15) nel 215, e la disposizione su diversi registri è tipica di altri monumenti narrativi romani del III sec., o anche anteriori. A proposito di tali raffigurazioni su registri sovrapposti, nell'Iliade Ambrosiana, R. Bianchi Bandinelli ha sottolineato l'affinità con la scomposizione dello spazio che si avverte, per esempio, nelle nature morte romane (v.), riferimento che ha un valore stilistico, mentre nel preciso problema dell'illustrazione, si ha l'impressione che gli artisti si trovassero di fronte a un compito specifico, che era quello di utilizzare, nel breve e composto spazio del codice, composizioni più abbondanti, nate per lo spazio aperto del rotulo. Le constatazioni sin qui esposte portano così alla seguente conclusione: che, mentre conosciamo abbastanza bene, sia per la testimonianza di monumenti conservati, sia per le ricostruzioni del Weitzmann, il sistema di illustrazione del r. a piccole scene intercalate nella colonna scritta, dobbiamo anche ammettere un sistema diverso, più libero, di cui è difficile per ora ricostruire i termini.
In contrasto con la forma conchiusa del codice, che spingeva ad arrestare l'attenzione del lettore su una singola pagina, e in questa approfondire il tema dell'illustrazione, sino ad affacciare il problema di una ambiguità fra la illusoria spazialità della miniatura e la bidimensionalità della pagina scritta, il r., stando ai frammenti preservati e a quanto si può dedurre, evitò, come si è detto, ogni forma di inquadratura, in realtà congeniale al formato del codice, salvo a servirsene non per le illustrazioni ma per isolare tabelle iscritte, sull'esempio dell'epigrafia; di conseguenza anche gli accenni alla profondità spaziale dovettero esservi più allusivi che completamente svolti. Tuttavia sarebbe difficile riconoscere con criteri stilistici, e non soltanto iconografici, la derivazione dal r. di miniature trasmesse dai codici, supponendo, per esempio, che l'illustrazione del r. prediligesse un segno lineare, evitando effetti di chiaroscuro. In realtà i frammenti superstiti (sempre che siano tutti di r. e non di codici) mostrano una grande varietà stilistica, e confermano l'impossibilità di separare la storia dell'illustrazione da quella generale dell'arte. Il loro divario di qualità fa anche pensare a diversità di pubblico, sì da rendere dubbio che i r. illustrati fossero destinati esclusivamente alle clàssi più abbienti e rappresentassero sempre un genere particolarmente costoso di libro. Al contrario, non sembra di dover smentire, in molti casi, una vivacità e una semplicità tendenzialmente popolaresche. La tecnica varia dal semplice diagramma lineare (esempio: Vienna, Nationalbibliothek, Pap. gr. 19996, sec. I a. C.), al disegno calligrafico del Pap. Flor. 919 (Museo Archeologico), sec. II d. C., al rapidissimo schizzo del Pap. gr. Oxy. 2331 di Oxford, del sec. III d. C., alla brillante tecnica compendiaria del Cod. Suppl. gr. 1294 della Bibliothèque Nationale di Parigi (sec. II d. C., v. vol. iv, tav. a pag. 112), alla ricca tessitura cromatica e alla compiutezza del frammento nella Collezione Johnson di Oxford.
Bibl.: Le due opere fondamentali sull'argomento sono: Th. Birt, Die Buchrolle in der Kunst, Lipsia 1907; K. Weitzmann, Illustrations in Roll and Codex, A Study of the Origin and Method of Text Illustration ("Studies in Manuscript Illumination" No. 2) Princeton 1947. In quest'ultima è criticamente esaminata tutta la letteratura precedente. Ma v. anche: H. Lietzmann, Zur Datierung des Josuarolle, in Mittelalt. Hss., Festgage zum 60. Geburtstag von H. Degering, Lipsia 1926, p. 181 ss.; M. Shapiro, The Place of the Joshua Roll in Byzantin History, in Gazette des Beaux Arts, XXXV, 1949, pp. 161-176; H. Bober, recens. a K. Weitzmann, in The Art Bull., XXX, 1948, pp. 284-288; A. W. Bywanck, De oorsprong van het geillustrerde boek, in Huldeboek Pater B. Uruytwagen, L'Aia 1949; D. Tselos, in The Art Bull., XXXII, 1950, pp. 274-290; J. e O. Pächt, An Unknowu Cycle of Illustrations of the Life of Joseph, in Cah. Arch., VII, 1954, pp. 35-50; R. Bianchi Bandinelli, Hellenistic-byzantine Illustrations of the Iliad (Ilias Ambrosiana), Olten 1956; G. Becatti, La colonna coclide, Roma 1961.