Mamoulian, Rouben
Regista cinematografico georgiano, naturalizzato statunitense nel 1930, nato l'8 ottobre 1897 a Tiflis (od. Tbilisi) e morto a Los Angeles il 5 dicembre 1987. Figura altera e sprezzante, M. fu forse, tra gli intellettuali europei emigrati a Hollywood, il più refrattario ai modelli di gusto imposti dal sistema cinematografico statunitense classico. Atipico difensore di una concezione autoriale del mestiere del regista e fervente interprete della singolarità estetica dell'opera, cercò sempre di conferire ai suoi film una particolare connotazione stilistica. La sua nozione di autore implicava l'espressione di un punto di vista e di una sensibilità personali. Da qui tutte le sperimentazioni e le invenzioni tecnico-visuali (la mobilità della macchina, i virtuosismi coloristici e sonori, l'uso frequente della soggettiva); l'estrema diffidenza nei confronti dei testi preesistenti (che fossero libretti d'opera, pièces teatrali, romanzi o sceneggiature), sempre riscritti e modificati secondo le proprie intenzioni formali ed esigenze plastiche; il difficile rapporto con gli studios. Nondimeno nel 1982 gli fu conferito dal Directors Guild of America il Griffith Award alla carriera.
Dopo aver compiuto gli studi al Lycée Montaigne di Parigi, M. frequentò corsi di criminologia e di teatro all'Università di Mosca. In quegli anni, ancora giovanissimo, lavorò come critico teatrale per un giornale di Tbilisi. Negli anni Venti si trasferì a Londra, dove fra il 1923 e il 1926 collaborò con l'Eastman Theatre allestendo numerosi spettacoli d'opera, d'operetta e di danza (Rigoletto, Carmen, La vedova allegra e Sister Beatrice), le cui mobilissime coreografie costituirono un punto di riferimento anche per i suoi musical hollywoodiani, tutti variamente influenzati dalla tradizione operettistica europea (si pensi ad Applause, 1929; Love me tonight, 1932, Amami stanotte; The gay desperado, 1936, Notti messicane; High, wide and handsome, 1937, Sorgenti d'oro; Summer holiday, 1948; Silk stockings, 1957, La bella di Mosca).
I successi europei lo condussero oltreoceano e venne chiamato a lavorare per le compagnie di Broadway. Negli Stati Uniti, ancora più che in passato, la carriera teatrale di M. divenne il vero laboratorio di ricerca visiva da cui sarebbe dipesa gran parte delle scelte compiute nell'ambito del suo lavoro cinematografico. In particolare fra il 1926 e il 1930 e fra il 1943 e il 1950, l'attività teatrale fu intensa e artisticamente produttiva. Per primo M. mise in scena da un testo di D. e D.B. Heyward Porgy (1927), che nel 1935 avrebbe riallestito sulla base delle musiche e del libretto di George Gershwin (con il titolo di Porgy and Bess). In questo spettacolo, come nei successivi Marco Millions (1928) e Wings over Europe (1928), il problema di regia che sembrava maggiormente interessarlo riguardava il raggiungimento di una tessitura ritmica capace di unificare in una sorta di 'continuità fluida' dialoghi, musica e danza. Per ottenerla M. operava sulla sovrapposizione del movimento coreografico a quello scenografico tramite la costruzione di una fitta rete di fondali mobili.
Ed è da queste sperimentazioni che scaturirono le radicali innovazioni filmiche attuate da M. fin dall'esordio nel cinema con Applause. Alle difficoltà tecniche dei primi anni del cinema sonoro (scarsa mobilità dovuta all'ingombrante presenza sul set di più macchine da presa che dovevano sopperire alla iniziale difficoltà nel missaggio), M. reagì riducendo i dialoghi ed enfatizzando il movimento. In Applause, film ambientato nel mondo del vaudeville, la cinepresa, come in pochi altri casi all'epoca, è frenetica, impegnata in complicate carrellate e panoramiche che sembrano quasi anteporsi allo svolgersi della narrazione. Nella sua seconda opera City streets (1931; Le vie della città) ‒ un gangster film che riveste la stessa importanza come ispiratore di un genere degli indimenticabili Underworld (1927) di Joseph von Sternberg, Little Caesar (1931) di Mervyn LeRoy, The pub-lic enemy (1931) di William A. Wellman e Scarface, shame of a nation (1932) di Howard Hawks ‒ è il complesso reticolo di ombre, luci notturne e languidi chiaroscuri a determinare espressivamente un racconto fatto di vuoti, allusioni ed ellissi, che segue la protagonista (Silvia Sidney) nel mondo turbinoso del crimine, dove la donna tesse gli intrighi del racket della birra. Allo stesso modo nel successivo Dr. Jekyll and Mr. Hyde (1932; Il dottor Jekyll) l'uso della soggettiva all'inizio e poi durante tutto il film non è una semplice virtuosistica esibizione di capacità tecniche, quanto piuttosto il segno visivo dello stato alterato e spinto al parossismo del personaggio del racconto di R.L. Stevenson, la cui angosciante battaglia interiore fra spirito e materia sarebbe ritornata in molti altri protagonisti dei suoi film (si pensi a Greta Garbo nel ruolo androgino della tormentata regina svedese in Queen Christina, 1933, La regina Cristina, o a William Holden violinista prestato al pugilato di Golden boy, 1939, Passione, o a Tyrone Power nella parte del torero accecato dalla passione in Blood and sand, 1941, Sangue e arena). Mentre nell'operetta Love me tonight il visivo (con sovrimpressioni che fanno nascere le immagini una dall'altra) e il sonoro (una canzone le cui parole passano di luogo in luogo e da personaggio a personaggio), riprendono le già citate esperienze teatrali e danno vita a una delle prime e migliori espressioni del musical hollywoodiano, dove la sonorità e le musiche diventano flusso ininterrotto che contiene e insieme trascende gli eventi narrativi, ossia una catena di equivoci legati all'identità di un falso barone.
Se la ricerca di M. continuò in quegli anni interessandosi agli aspetti plastici del décor (con obiettivi esplicitamente simbolici: si pensi al rapporto fra primo piano e magniloquenza scenografica in film come Song of songs, 1933, Il cantico dei cantici, una romantica esaltazione della bellezza femminile e dell'arte della scultura; Queen Christina, o ancora We live again, 1934, Resurrezione, tratto dal romanzo di L.N. Tolstoj), fu la scoperta del colore (per la quale v. anche colore) in Becky Sharp (1935, vincitore della coppa della III Esposizione d'arte per il miglior film a colori a Venezia) a imprimere una nuova svolta alla sua carriera. In questo film il pioneristico uso del Technicolor ‒ abbandonato in High, wide and handsome, Golden boy, The mark of Zorro (1940; Il segno di Zorro, remake dell'omonimo film di Fred Niblo del 1920) e in Rings on her fingers (1942; Ragazze che sognano), ma ripreso e perfezionato in Blood and sand, Summer holiday e Silk stockings ‒ mostra subito la natura eminentemente pittorica dell'immagine voluta da M. per ricreare l'atmosfera della Londra ottocentesca propria del romanzo di W.M. Thackeray. Qui e poi soprattutto in Blood and sand (Oscar per la miglior fotografia a colori a Ernest Palmer e Ray Rennahan nel 1942), lo spessore degli strati cromatici da un lato tende a intensificare il dato drammatico e dall'altro a costituire uno sviluppo visivo autonomo rispetto alle psicologie in gioco. Così il set di Blood and sand diviene quella che M. stesso chiamò 'la mia tavolozza', dimensione antirealista dove far rivivere le atmosfere di Velázquez (negli interni) o di F.J. Goya (a sottolineare la violenza delle corride).
Blood and sand, con i suoi ritmi dilatati e la sua estrema ricerca espressiva, segnò forse anche la definitiva rottura fra Hollywood e M. che riprese a lavorare in teatro. Fra il 1943 e il 1950 M. mise in scena i musical Oklahoma! (1943), Sadie Thompson (1944), Carousel (1945), St. Louis woman (1946), Leaf and bough (1949), Lost in stars (1949), Arms and the girl (1950), attraverso i quali poté continuare a indagare i rapporti ritmici fra danza, parola e canto. La sua carriera cinematografica però non era ancora terminata; M. infatti diresse Rings on her fingers, Summer holiday e, dopo circa dieci anni, Silk stockings (mentre venne allontanato dai set di Laura, Porgy and Bess e Cleopatra, opere realizzate, le prime due, da Otto Preminger, rispettivamente nel 1944 e nel 1959; e la terza da Joseph L. Mankiewicz nel 1963). L'ultimo film, Silk stockings, quasi un remake musicato di Ninotchka (1939) di Ernst Lubitsch, con Cyd Charisse nel ruolo che era stato di Greta Garbo, è anche il suo definitivo risultato filmico. Un musical in cui tutto, dal colore ai corpi di Fred Astaire e della Charisse, dalle scenografie ai numeri musicali, viene trasceso in un movimento incessante, iperbolico, tumultuoso, fantasmagorico.
Molti furono i progetti non realizzati, i fallimenti, le lunghe interviste teoriche sulla sua carriera. Tra i primi saggi scritti per spiegare la propria concezione pittorica e psicologica del colore, di notevole rilievo Some problems in the direction color pictures (pubblicato in "International photographer", July 1935; trad. it. in Il colore nel cinema, 1952, pp. 93 e segg.).
T. Milne, Rouben Mamoulian, London 1969.
M. Arriota-Jaregui, Notas sobre Rouben Mamoulian, San Sebastian 1973.
S.S. Prawer, Caligari's children, New York 1980 (trad. it. Roma 1981, pp. 111-33).
M. Spergel, Reinventing reality: the art and life of Rouben Mamoulian, Metuchen (NJ) 1993.
P. Berthomieu, Rouben Mamoulian: la galerie des doubles, Liège 1995.
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